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Sentenza

Ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte militare d'appello di Rom...
Ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte militare d'appello di Roma che aveva dichiarato inammissibile la richiesta di revisione presentata con riguardo alla sentenza di applicazione della pena pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale militare di Padova, irrevocabile, per il reato di truffa militare pluriaggravata relativa all'ottenimento di pagamento di somme di denaro a titolo di rimborso spese di pernottamento per importi superiori a quelle sostenute.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 19-02-2020) 30-03-2020, n. 10815


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROCCHI Giacomo - Presidente -

Dott. VANNUCCI Marco - Consigliere -

Dott. APRILE Stefano - rel. Consigliere -

Dott. MINCHELLA Antonio - Consigliere -

Dott. CAIRO Antonio - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

P.G., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 12/03/2019 della CORTE MILITARE d'APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere APRILE STEFANO;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore UFILUGELLI Francesco che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso.

udito il difensore avvocato TASSONE VITO che conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con il provvedimento impugnato, la Corte militare d'appello di Roma ha dichiarato inammissibile la richiesta di revisione presentata da P.G. con riguardo alla sentenza di applicazione della pena pronunciata dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale militare di Padova il 12 gennaio 1996, irrevocabile il 11 febbraio 1996, per il reato di truffa militare pluriaggravata relativa all'ottenimento di pagamento di somme di denaro a titolo di rimborso spese di pernottamento per importi superiori a quelle sostenute.

2. Ricorre P.G., a mezzo del difensore e procuratore speciale avv. Vito Tassone, che chiede l'annullamento della sentenza impugnata denunciando:

- la violazione di legge, con riferimento all'art. 634 c.p.p., comma 1, art. 637 c.p.p., comma 1 e il vizio della motivazione per non essere state considerate le nuove prove indicate come idonee a scardinare l'impianto posto a base della sentenza, essendosi dimostrata l'assenza di capacità dimostrativa delle prove su cui si fondava la sentenza impugnata perchè non decisive, mancando la dimostrazione che il condannato abbia pernottato in un luogo diverso dall'albergo che invece gli ha rilasciato la ricevuta, non risultando affatto provato che l'hotel fosse solito rilasciare ricevute compiacenti e che comunque le abbia di fatto rilasciate al condannato o che questi non abbia corrisposto il dovuto (primo motivo);

- la violazione di legge, con riferimento all'art. 192 c.p.p., art. 634 c.p.p., comma 1, art. 637 c.p.p., comma 1, artt. 24 e 111 Cost., 6 Convenzione EDU, e il vizio della motivazione con riguardo alla dichiarata inammissibilità dell'istanza perchè i giudici sono entrati nel merito della stessa senza avere però ammesso le prove richieste, così sovrapponendo illegittimamente diversi momenti procedimentali. Del resto, i tabulati contabili posti a base della condanna non sono, come si è dimostrato, dei documenti, ma piuttosto delle elaborazioni compiute dal consulente tecnico con la collaborazione dell'operante e sulla scorta di informazioni altrimenti raccolte, tanto che nessuna delle annotazioni riportate nei registri dell'hotel costituisce la prova del mancato pernottamento (secondo motivo).
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Va anzitutto precisato che il ricorso per cassazione avverso la decisione in tema di revisione deve essere presentato, alla stregua di quanto previsto dall'art. 613 c.p.p., unicamente a mezzo del difensore iscritto nell'albo delle magistrature superiore che sia munito di procura speciale.

La giurisprudenza di legittimità ha infatti chiarito che "in tema di revisione, è inammissibile l'istanza proposta dal difensore privo di procura speciale, in quanto l'art. 571 c.p.p., comma 3, prevede autonoma possibilità di impugnazione solo per il difensore dell'imputato e non anche del condannato, trovando la limitazione giustificazione nel carattere assolutamente personale della richiesta. In motivazione, la Corte ha precisato che l'inammissibilità permane anche a seguito delle modifiche apportate all'art. 613 c.p.p. dalla L. 23 giugno 2017, n. 103, con le quali si è inteso assicurare un livello di professionalità adeguato alla difficoltà tecnica del giudizio di legittimità, senza contraddire il carattere assolutamente personale della richiesta di revisione" (Sez. 6, n. 27720 del 03/04/2019, Di Giorgio, Rv. 276223; in generale: Sez. U, n. 8914 del 21/12/2017 dep. 2018, Rv. 272011).

1.2. Trattandosi di una questione avente natura processuale (qual è certamente la verifica officiosa della legittimazione del ricorrente), la Corte di legittimità "è giudice anche del fatto" e, per risolvere la relativa questione, può - talora necessariamente deve - accedere all'esame dei relativi atti processuali (Sez. U., n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092).

Nel caso di specie al ricorso per cassazione è allegato un documento intitolato "nomina di difensore di fiducia" che non richiama però la disposizione di cui all'art. 122 c.p.p., sicchè potrebbe dubitarsi della idoneità di tale atto a conferire al nominato difensore lo specifico potere di proporre il ricorso per cassazione avverso il provvedimento in oggetto.

Per risolvere la problematica è necessario fare applicazione del principio espresso dalla giurisprudenza di legittimità secondo il quale "nei casi in cui nel giudizio penale sia prescritto che la parte stia in giudizio col ministero di difensore munito di procura speciale, il mandato, in virtù del generale principio di conservazione degli atti, deve considerarsi valido anche quando la volontà del mandante non sia trasfusa in rigorose formule sacramentali, ovvero sia espressa in forma incompleta, potendo il tenore dei termini usati nella redazione della procura speciale e la sua collocazione escludere ogni incertezza in ordine all'effettiva portata della volontà della parte" (Sez. 3, n. 4676 del 22/10/2014 dep. 2015, M., Rv. 262473; Sez. 2, n. 46159 del 11/07/2013, Ferrari, Rv. 257335; Sez. 4, n. 14863 del 03/02/2004, Micucci, Rv. 228595).

Ebbene, nel caso in esame deve ritenersi conferito il mandato speciale a proporre l'impugnazione straordinaria in discorso, essendo espressamente indicato nell'atto di nomina lo scopo di esso mediante la formula: "affinchè proponga ricorso per cassazione avverso la sopra citata sentenza n. 32/2019". Si tratta di una espressione che sostanzialmente coincide con il conferimento di un mandato speciale, anche se non vengono impiegate le formule tipiche dell'art. 122 c.p.p..

2. Così risolta la questione della legittimazione a impugnare, è opportuno, per evidenti ragioni di ordine logico, esaminare anzitutto il secondo motivo di ricorso che riguarda la forma del provvedimento impugnato (sentenza ex art. 637 c.p.p., anzichè ordinanza ex art. 634 c.p.p.) e che contestualmente denuncia la violazione del diritto di difesa per avere la Corte militare d'appello dichiarato l'inammissibilità dell'istanza di revisione, svolgendo però un giudizio di merito sulla fondatezza della richiesta.

2.1. Nel caso di specie, come risulta dal provvedimento impugnato e la stessa difesa non contesta, la Corte militare d'appello, fissata l'udienza alla quale hanno partecipato tutte le parti necessarie che hanno assunto le rispettive conclusioni, ha emesso la sentenza dichiarando l'inammissibilità dell'istanza.

In proposito, è bene ricordare che la giurisprudenza di legittimità è costantemente orientata ad affermare che "in sede di giudizio di revisione, la Corte d'Appello può rivalutare la richiesta e dichiararne con sentenza l'inammissibilità, non solo nel corso o all'esito del dibattimento, ma anche nella fase degli atti preliminari, allorquando risulti, per qualsiasi ragione, che le prove richieste manchino del requisito della novità o della idoneità a provocare l'assoluzione del condannato, non residuando in tal caso alcun ulteriore accertamento che giustifichi il prosieguo del dibattimento e lo svolgimento di ulteriore attività difensiva" (Sez. 2, n. 34773 del 17/05/2018, Turrà, Rv. 273452; Sez. 3, n. 43573 del 30/09/2014, G., Rv. 260989; Sez. 5, n. 4652 del 20/11/2013 dep. 2014, Accordi, Rv. 258718; Sez. 4, n. 16111 del 18/01/2011, Batignani, Rv. 250321), sicchè deve escludersi qualunque irregolarità procedurale derivante dalla immediata pronuncia della sentenza di inammissibilità senza, cioè, avere provveduto alla ammissione delle prove dedotte dal condannato.

2.2. Con riguardo al secondo aspetto denunciato al secondo motivo di ricorso, concernente le valutazioni espresse dalla Corte militare d'appello in ordine alle prove indicate dal condannato, sembra utile rinviarne la trattazione al successivo paragrafo quando saranno esaminate le doglianze sviluppate al primo motivo di ricorso.

3. Il primo motivo di ricorso, al quale è anteposta la integrale trascrizione (che occupa oltre 115 pagine) della richiesta di revisione formulata nell'interesse del condannato, denuncia la violazione di legge e il vizio della motivazione in merito alla ritenuta capacità dimostrativa della innocenza dell'imputato sulla base delle nuove prove prodotte e reperite. A tali censure si assommano quelle formulate nella parte conclusiva del secondo motivo di ricorso.

3.1. Prima di analizzare le argomentazioni difensive è opportuno ricordare che l'istanza di revisione si poggia:

- sulle nuove prove repertate in altri procedimenti penali concernenti fatti che si dicono connessi, poichè relativi ad altri militari accusati di condotte analoghe a quelle che hanno portato all'applicazione della pena nei confronti di P.G., e dalle quali dovrebbe inferirsi l'insussistenza del fatto allo stesso attribuito in via definitiva;

- sulla inconciliabilità dei fatti stabiliti da altre sentenze che avrebbero deciso sullo stesso elemento materiale costituente il reato di truffa militare, poichè esse avrebbero di fatto escluso la attendibilità della documentazione acquisita presso l'hotel, sicchè, in applicazione del principio della prova al di là di ogni ragionevole dubbio, il condannato deve essere assolto;

- sulla richiesta di procedere all'esame di alcuni testimoni in relazione ai fatti che i medesimi hanno documentato o ai quali hanno assistito e le cui dichiarazioni sono state versate in diversi procedimenti penali, ma delle quali non vi è traccia nel procedimento a carico del condannato e che perciò costituiscono idonea causa di revisione.

3.2. E' utile premettere che la giurisprudenza di legittimità è orientata ad affermare che "è inammissibile la revisione ex art. 630 c.p.p., comma 1, lett. a), di una sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, in quanto pronunciata all'esito di una procedura priva della ricostruzione probatoria del fatto e dell'accertamento della responsabilità penale dell'autore" (Sez. 1, n. 4417 del 17/10/2017 dep. 2018, Gjini, Rv. 272293).

Ciò impone, anzitutto, di ritenere inammissibile la questione dell'inconciliabilità dei giudicati, soprattutto laddove si tratta, come nel caso in esame, di un reato mono-soggettivo, sicchè deve escludersi qualsiasi rilevanza a qualsivoglia diversa valutazione di condotte mono-soggettive di altri soggetti, ancorchè simili o analoghe dal punto di vista materiale (truffa militare commessa mediante falsi giustificativi di spese di pernottamento rilasciate dalla medesima struttura alberghiera).

Si è, del resto, chiarito che non costituisce valido argomento contrario, alle sopra richiamate conclusioni, l'inclusione, ad opera della L. n. 134 del 2003, della sentenza di patteggiamento nel novero delle pronunce soggette a revisione, secondo l'elencazione così integrata e contenuta nell'art. 629 c.p.p., poichè, in realtà, l'ipotesi cui si riferisce la novella è soprattutto quella contemplata alla lett. b) del successivo art. 630 c.p.p., (Sez. 5, n. 34443 del 04/05/2015, Paoli, Rv. 264995; Sez. 3, n. 13032 del 18/12/2013, Tosi, Rv. 258687; Sez. 3, n. 23050 del 23/04/2013, Mattioli, Rv. 256169).

In effetti, l'estensione del rimedio straordinario alla sentenza di patteggiamento, indicato come problematico sul piano sistematico sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, non ha inciso sulla natura dell'intervento giudiziale di controllo sul patto negoziato tra le parti e sulla funzione della motivazione della relativa sentenza, che esprime il risultato della verifica, ma non il ragionamento cognitivo sotteso; esso ha necessariamente effetti meno ampi rispetto alla revisione ordinaria e non può costituire uno strumento per vanificare una decisione chiesta dall'imputato con una esplicita manifestazione di consenso irrevocabile, al punto da condurre ad una fase di accertamento dei fatti e della responsabilità che non si è svolta nel procedimento originario e non può ammettersi nemmeno in sede di revisione (Sez. 6, n. 10299 del 13/12/2013, K, Rv. 258997).

Ciò consente, quindi, di ritenere inammissibili le doglianze concernenti il contrasto di giudicati, in relazione a diversi giudizi celebrati nei confronti di altri soggetti per distinte ipotesi di reato, poichè anzitutto estranee al perimetro cognitivo della sentenza di applicazione della pena pronunciata su istanza di P.G..

3.3. Con riguardo all'ipotesi di cui all'art. 630 c.p.p., comma 1, lett. c), la costante giurisprudenza di legittimità ha affermato che "la revisione della sentenza di patteggiamento, richiesta per la sopravvenienza o la scoperta di nuove prove, comporta una valutazione di queste ultime alla luce della regola di giudizio posta per il rito alternativo, con la conseguenza che le stesse devono consistere in elementi tali da dimostrare la sussistenza di cause di proscioglimento dell'interessato secondo il parametro di giudizio dell'art. 129 c.p.p., sì come applicabile nel patteggiamento (Sez. 6, n. 5238 del 29/01/2018, Notarangelo, Rv. 272129; Sez. 6, n. 10299 del 13/12/2013 dep. 2014, K., Rv. 258997; Sez. 4, n. 26000 del 05/03/2013, Paoli,) Rv. 255890; Sez. 6, n. 31374 del 24/05/2011, C., Rv. 250684).

Ebbene, la Corte militare d'appello ha esaminato (peraltro con particolare attenzione e solerzia che non può che essere lodata, ma non certo censurata come pretenderebbe il ricorrente) tutte le argomentazioni sviluppate dal condannato giungendo ad escludere, con ragionamento logico e coerente, l'esistenza degli elementi di novità che la richiesta di revisione dovrebbe contenere, ponendo in evidenza, come il ricorso omette di considerare, che le presunte novità vengono affastellate per sottoporre al giudice di merito (e oggi a quello di legittimità) un diverso compendio probatorio da esaminare secondo una regola di giudizio che è però del tutto estranea a quella alla quale il condannato aveva inteso sottoporsi all'applicazione della pena.

Del resto, come emerge dall'esame introduttivo del giudizio di revisione, che contrariamente alle aspirazioni del difensore (pagg. 119 e 120 del ricorso) la Corte di legittimità non può esaminare nel merito al pari del fascicolo processuale del giudizio di merito, l'istanza volta a provocare un nuovo giudizio fa leva non tanto sull'esistenza di nuove prove in grado di escludere la responsabilità dell'imputato, quanto piuttosto sulla presunta emersione del dubbio circa l'attendibilità di alcuni elementi di prova che erano contenuti nel fascicolo processuale oggetto di patteggiamento, attendibilità che si pretenderebbe di minare introducendo valutazioni di diverso contenuto che sono state effettuate da altri organi giudiziari in procedimenti a carico di altri soggetti, così sovvertendo la regola di giudizio di cui all'art. 444 c.p.p..

A fronte di tale specifica considerazione, coerentemente svolta dalla Corte d'appello di Brescia, il ricorso omette completamente di confrontarsi con la motivazione del provvedimento impugnato che, a fronte dei provvedimenti giudiziari che hanno dubitato dell'attendibilità di taluni elementi di prova, ha evidenziato che in altri casi i procedimenti si sono conclusi con sentenze irrevocabili di condanna basate proprio sulla concludenza di tali elementi.

Si è poi evidenziato, senza che il ricorso prenda una specifica posizione sul punto, che le "nuove prove" introdotte dalla difesa, oltre ad avere per oggetto diverse posizioni processuali - tanto che non è possibile traslarne direttamente la rilevanza rispetto alla posizione del condannato -, non assumono comunque il grado di decisività necessario a superare la stabilità del giudicato di patteggiamento che è caratterizzato da un percorso logico giuridico che assevera la proposta della parte di applicazione della pena sulla base di una verifica operata soltanto "in negativo" rispetto all'art. 129 c.p.p., cosicchè i nova devono essere di tale portata da far scattare detta clausola di salvaguardia piuttosto che, come vorrebbe la difesa, la diversa regola di giudizio enucleata all'art. 533 c.p.p..

3.4. L'inammissibilità del ricorso discende quindi sia dalla genericità delle censure, che inoltre ripropongono pedissequamente le argomentazioni già motivatamente superate dal giudice di merito, sia dalla erroneità della prospettazione circa la decisività dei nova rispetto alla regola di giudizio applicabile nel caso di specie.

4. All'inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost., sentenza n. 186 del 2000), anche la condanna al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in Euro 3.000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.

Così deciso in Roma, il 19 febbraio 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 marzo 2020
Avv. Antonino Sugamele

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