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Sentenza

Caporalmaggiore E.I. imputato di insubordinazione con violenza, minaccia e ingiu...
Caporalmaggiore E.I. imputato di insubordinazione con violenza, minaccia e ingiuria aggravata, ai danni dei superiori in grado un sergente maggiore, un sergente ed altro sergente maggiore.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 02-12-2020) 08-01-2021, n. 456

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano - Presidente -

Dott. SANDRINI Enrico G. - rel. Consigliere -

Dott. SARACENO Rosanna - Consigliere -

Dott. MAGI Raffaello - Consigliere -

Dott. CENTONZE Alessandro - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

S.S., nato a (OMISSIS);

avverso la sentenza del 26/05/2019 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI;

letta la requisitoria scritta del Procuratore Generale Dott. Flamini Luigi Maria, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 29.05.2019 la Corte militare d'appello ha confermato la sentenza pronunciata il 3.12.2018 con cui il Tribunale militare di Roma aveva condannato S.S. alla pena (sospesa) di mesi 9 di reclusione militare per i reati, unificati in continuazione, di insubordinazione con violenza, minaccia e ingiuria aggravata a lui ascritti, commessi il (OMISSIS) in qualità di caporalmaggiore dell'esercito in servizio presso la task force (OMISSIS) in danno dei superiori in grado sergente maggiore F.C., sergente B.M. e sergente maggiore N.D.; in particolare, secondo il capo d'imputazione, il S. aveva dapprima minacciato e offeso il F. e il B., e quindi offeso e aggredito il N., intervenuto con intenti pacificatori, colpendolo con una testata al volto che gli aveva cagionato trauma contusivo in regione nasale con lesione escoriativa e transitoria epistassi.

Secondo la conforme ricostruzione del fatto e delle risultanze istruttorie operata dalle sentenze di merito, la prova della colpevolezza dell'imputato in ordine ai reati ascritti discendeva dalle convergenti dichiarazioni testimoniali delle persone offese F., B. e N., tutte presenti all'episodio criminoso e vittime contestuali della condotta minatoria, ingiuriosa e violenta dell'imputato, che si era recato nell'alloggio del F. per chiedere spiegazione del mancato rilascio di una licenza a un commilitone, e trovanti conferma in quelle di altri militari intervenuti successivamente, i quali avevano constatato il sanguinamento del naso del N., riscontrato anche da referto medico.

La sentenza d'appello, in particolare, riteneva le parole offensive pronunciate dal S. nei riguardi dei superiori in grado, riportate nell'imputazione, idonee a integrare il reato di ingiuria, nonchè la frase "ve la farò pagare" idonea a integrare una minaccia, mentre la testata inferta al N. e la conseguente lesione al volto integrava la condotta violenta, in termini probatoriamente non contraddetti dalla versione difensiva dell'imputato di essere stato spinto da tergo contro il N., priva di riscontri e neppure allegata nell'immediatezza dei fatti.

2. Avverso la sentenza d'appello ricorre per cassazione S.S., a mezzo del difensore, deducendo, con unico motivo, difetto di motivazione in ordine alle censure mosse dalla difesa, manifesta illogicità della motivazione, contraddittorietà e decisione per relationem.

Il ricorrente propone una ricostruzione dell'episodio alternativa a quella operata dalla sentenza impugnata, deducendo di essere stato spinto con forza dal N., che lo aveva fatto retrocedere, finchè aveva avvertito la presa di altra persona da tergo che lo aveva strattonato con violenza sospingendolo contro il N. e facendolo cadere addosso a quest'ultimo; deduce di aver riportato nell'occorso trauma contusivo in regione frontale e parascapolare sinistra, risultante da referto medico; lamenta l'omesso esame dei testi indicati nell'interrogatorio - che avrebbero potuto chiarire la dinamica dell'episodio - in violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa; censura la mancata considerazione della situazione di forte stress in cui versava il S., in ragione della sua presenza in un teatro operativo ad alto rischio e della cagionevole salute del figlio minore; contesta la sussistenza dei reati ascritti, in quanto il male prospettato era generico ed equivoco, potendo anche consistere in una non ingiusta segnalazione ai superiori gerarchici, e la frase proferita era priva di valenza intimidatoria; deduce il ragionevole dubbio in ordine all'intenzionalità della condotta lesiva e del contatto fisico col N., riconducibile a una condotta autodifensiva; invoca l'applicazione dell'art. 131 bis c.p. con riguardo alle parole offensive, lamentando l'interesse che aveva animato le dichiarazioni delle persone offese, a loro volta indagate e sulle cui sole affermazioni, prive di riscontri individualizzanti, era basata la sentenza di condanna.

3. Non essendo stata formulata istanza di discussione orale del processo, il procuratore generale militare ha tempestivamente trasmesso ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8 le proprie richieste scritte, con cui chiede che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua deduzione.

2. Le censure del ricorrente, pur deducendo formalmente una serie di vizi di motivazione della sentenza impugnata, si limitano in realtà a formulare, nel loro complesso, delle mere doglianze di merito dirette a sindacare - in punto di fatto la ricostruzione dell'episodio criminoso è la valutazione delle risultanze probatorie operate dalla Corte territoriale, con particolare riguardo alle dichiarazioni delle persone offese e alla loro attendibilità, mediante la sollecitazione di una interpretazione alternativa delle modalità di svolgimento del fatto in cui si colloca la condotta di insubordinazione ingiuriosa, minacciosa e violenta dell'imputato, basata su argomentazioni che, più che criticare la congruità e la tenuta logica della motivazione della sentenza d'appello, si pongono in diretto confronto con le emergenze istruttorie, secondo lo schema tipico di un gravame di merito che esula dalle funzioni dello scrutinio di legittimità (Sez. 6 n. 13442 dell'8/03/2016, Rv. 266924; Sez. 6 n. 43963 del 30/09/2013, Rv. 258153).

Sul punto, occorre ribadire l'orientamento consolidato (ex plurimis, Sez. Un. 47289 del 24/09/2003, Rv. 226074, Petrella; Sez. 6 n. 47204 del 7/10/2015, Rv. 265482; Sez. 3 n. 18521 dell'11/01/2018, Rv. 273217), secondo cui nel giudizio di cassazione sono precluse alla Corte di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, anche se indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito; il sindacato demandato alla Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza del giudice di merito, infatti, non può concernere nè la ricostruzione del fatto, nè il relativo apprezzamento probatorio, ma deve limitarsi al riscontro dell'esistenza di un logico apparato argomentativo, in quanto la funzione del controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza non è quella di sindacare l'intrinseca attendibilità dei risultati dell'interpretazione delle prove e di attingere il merito dell'analisi ricostruttiva dei fatti, ma soltanto di verificare che gli elementi posti a fondamento della decisione - che hanno condotto entrambe le sentenze di merito, con motivazioni coerenti e conformi, a ritenere provata la colpevolezza del S. in ordine ai reati ascritti - siano stati apprezzati seguendo le regole della logica e secondo linee argomentative adeguate che rendano giustificate sul piano della consequenzialità le conclusioni tratte.

Nel caso di specie, le sentenze di primo e secondo grado - le cui motivazioni si integrano tra loro, concorrendo a formare un unico, omogeneo e globale corpo argomentativo (Sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Rv. 236181) - hanno dato conto in modo puntuale delle ragioni della ritenuta attendibilità delle convergenti dichiarazioni accusatorie delle persone offese (riscontrate, quanto alle lesioni patite dal sergente maggiore N., anche da conforme referto medico), le quali, avendo natura di prova testimoniale, non necessitano di riscontri esterni e possono essere poste, anche da sole, a fondamento dell'affermazione della responsabilità penale dell'imputato (Sez. Un. 41461 del 19/07/2012, Rv. 253214); il relativo giudizio costituisce una tipica questione di fatto, che non è sindacabile dalla Corte di cassazione in presenza di una congrua e logica motivazione (Sez. 2 n. 7667 del 29/01/2015, Rv. 262575; Sez. 2 n. 20806 del 5/05/2011, Rv. 250362).

Le doglianze del ricorrente sono prive altresì del requisito dell'autosufficienza, e perciò anche sotto tale profilo inammissibili, nella parte in cui lamentano l'omesso esame di testi a discarico e deducono un'asserita veste di soggetti a loro volta indagati delle persone offese, in assenza di qualsiasi supporto documentale delle relative allegazioni, che non trovano alcun riscontro nella motivazione delle sentenze dei giudici di merito (Sez. 2 n. 26725 dell'1/03/2013, Rv. 256723).

3. La sentenza impugnata ha spiegato in termini congruenti e giuridicamente corretti anche le ragioni della ritenuta idoneità delle condotte poste in essere dall'imputato a integrare l'offensività tipica dei reati di minaccia e ingiuria (oltre che di insubordinazione intenzionalmente violenta, mediante la testata inferta al volto del sergente maggiore N.), in relazione alle parole proferite e al loro inequivoco significato, escludendo la ricorrenza della causa di non punibilità di cui all'art. 131 bis c.p. sulla scorta di un tipico giudizio di fatto, argomentato sulla pluralità e sulla plurioffensività soggettiva delle condotte delittuose, che non è censurabile in sede di legittimità.

4. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle Ammende della sanzione pecuniaria che si stima equo quantificare in 3.000 Euro.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021
Avv. Antonino Sugamele

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