Il militare sindacalista deve attenersi comunque alla linea gerachica.
Consiglio di Stato Sezione II
Sentenza 18 maggio 2020, n. 3165
Data udienza 5 maggio 2020
Integrale
Forze armate - Militari - Sanzione disciplinare della consegna - Lettera di critica attinente al servizio ed alla disciplina direttamente al Comandante Generale dell'Arma - Mancato rispetto delle gerarchie - Diritti sindacali dei militari - Sigla associativa - Scriminante della condotta - Art. 5 della l. 11 luglio 1978, n. 382 - Militare in servizio attivo - Effetti
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Seconda
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2741 del 2011, proposto dal Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via (...),
contro
il signor -OMISSIS-, non costituito in giudizio,
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Prima n. -OMISSIS-, resa tra le parti, concernente la sanzione disciplinare della "-OMISSIS-.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore, nell'udienza pubblica del giorno 5 maggio 2020, il Cons. Antonella Manzione e dato per presente, ai sensi dell'art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18, l'Avvocato dello Stato in difesa dell'Amministrazione appellante;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
1. Con il presente atto di appello il Ministero della difesa ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione I bis, n. -OMISSIS-, che ha accolto il ricorso proposto dal maresciallo ordinario -OMISSIS- avverso il provvedimento con il quale era stata confermata la sanzione disciplinare della consegna per -OMISSIS-inflittagli il -OMISSIS-dal Comandante della Compagnia Carabinieri di -OMISSIS-Nello specifico al militare era stata contestata la violazione dell'art. 12, comma 2, del Regolamento di disciplina militare (R.D.M.), approvato con d.P.R. n. 18 luglio 1986, n. 545, per avere inviato, unitamente ad altri commilitoni, una lettera di critica attinente al servizio ed alla disciplina direttamente al Comandante Generale dell'Arma, senza osservare la via gerarchica.
L'avvio del procedimento disciplinare era stato comunicato con nota dell'11 febbraio 2000, contenente la contestazione del relativo addebito; il ricorso gerarchico al Comando Provinciale era stato presentato in data 9 marzo 2000 e respinto in data 23 marzo 2000.
La sentenza di primo grado ha ritenuto la sanzione irrogata illegittima in quanto non aveva tenuto nel debito conto la riconducibilità della condotta all'esercizio di un'attività "parasindacale", quale quella dell'Associazione culturale di appartenenza, svolta pertanto come privato cittadino.
2. Con l'atto di appello sono state contestate le affermazioni del giudice di primo grado, sostenendo che l'interessato aveva agito come militare in servizio attivo ed effettivo, giusta le previsioni in tal senso rivenienti dall'art. 5 della l. 11 luglio 1978, n. 382, essendosi rivolto al "Sig. Comandante Generale dell'Arma dei Carabinieri" facendo precedere il proprio nominativo dall'indicazione del grado di maresciallo rivestito nella struttura, pur se come "Segretario nazionale" dell'associazione U.N.A.C. L'appartenenza a tale associazione sarebbe incompatibile ex se con lo status di militare dell'Arma dei Carabinieri, tanto che con provvedimento dell'11 aprile 2001, la cui legittimità è stata confermata dal T.A.R. per il Lazio (sentenza n. 3528 del 18 febbraio 2002), il Ministero della Difesa negava l'assenso alla sua costituzione. La comunicazione avrebbe violato altresì le regole sui rapporti con la stampa statuite in apposita circolare avente ad oggetto le competenze in merito a vari livelli dei Comandi, l'individuazione delle Autorità alle quali richiedere preventivamente le autorizzazioni a rilasciare interviste e, in generale, le prescrizioni da seguire. Del tutto inconferente si paleserebbe infine il riferimento all'inutilità dell'avvalimento del canale gerarchico, non essendo affatto notorio che le relazioni inoltrate per quel tramite siano sempre destinate ad archiviazione con la formula di rito del "fin de non recevoir".
3. Il signor -OMISSIS- non si è costituito in giudizio.
4. All'udienza pubblica del 5 maggio 2020 la causa è stata trattenuta in decisione con le modalità di cui all'art. 84, comma 5, del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18.
DIRITTO
5. Preliminarmente il Collegio ritiene opportuno, per la sensibilità dei temi astrattamente lambiti dall'odierna controversia, perimetrarne gli esatti confini, eliminando suggestioni di principio riferibili all'esercizio di diritti costituzionalmente garantiti, del tutto estranei alla stessa.
Le restrizioni, infatti, imposte ai diritti del cittadino-militare, derivano dai princì pi organizzativi che ineriscono alla struttura del corpo, qualificando in modo necessario il rapporto di impiego in questo comparto dell'amministrazione, quali gerarchia, obbedienza, prontezza, coerenza interna e compattezza. Al riconoscimento generale, dunque, di tali diritti fa seguito l'imposizione, con formula altrettanto generale, di limitazioni nell'esercizio di alcuni di essi, insieme all'osservanza di particolari doveri nell'ambito dei principi costituzionali, al fine di garantire l'assolvimento dei compiti propri delle Forze armate.
Nel caso di specie, tuttavia, non è in discussione il contenuto dell'esternazione del militare nei confronti della struttura, né men che meno la sua riconducibilità a ruoli di rappresentanza sindacale o, più genericamente, "parasindacale", quale che sia da intendere l'esatta accezione da attribuire alla relativa dizione, evocata anche dal giudice di prime cure come sinonimo di tutela di interessi "privati" dei propri iscritti. La contestazione di addebito, infatti, ha ad oggetto l'inoltro ex se della comunicazione - pubblicata anche sulla stampa - inerente materie di servizio al vertice dell'Arma di appartenenza, bypassando la necessaria filiera gerarchica, in palese dispregio delle regole al contrario imposte dall'art. 12 del R.D.M.
In sintesi, l'utilizzo della "etichetta" associativa si palesa neutro rispetto alla condotta addebitata, sia che la si invochi quale fattore di aggravio dell'illecito commesso, sia che, al contrario, si pretenda di ergerla a scudo per scriminare comportamenti diversamente perseguibili sul piano disciplinare.
La circostanza, cioè, che la comunicazione per saltum al Comandante Generale dell'Arma sia avvenuta utilizzando la sigla dell'Associazione culturale di appartenenza indica presumibilmente il terreno nel quale è maturata l'esternazione critica, ma non muta i contorni oggettivi dell'addebito, centrato interamente sul metodo e non sul merito della vicenda. Del resto, rileva ancora la Sezione, laddove per il tramite dell'utilizzo del paravento associativo il militare avesse la possibilità di pretermettere le regole della gerarchia, ne risulterebbe facile, ben al di là del - peraltro non evocato -diritto di critica, lo strumentale aggiramento, a discapito delle specificità ordinamentali di riferimento.
6. Chiarito quanto sopra, è evidente come il richiamo da parte della difesa erariale alla natura sostanzialmente sindacale dell'associazione U.N.A.C. si palesa del tutto inconferente, a prescindere finanche dall'avvenuta conferma in sede di appello della richiamata sentenza di prime cure (T.A.R. per il Lazio n. -OMISSIS-) da parte di questo Consiglio di Stato (Cons. Stato, sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4012).
Il riconoscimento dei diritti associativi direttamente rivenienti dall'art. 39 della Costituzione, costituisce infatti il punto di approdo di una condivisibile rivendicazione di categoria degli appartenenti alle Forze armate, pur con i calibrati equilibrismi imposti dalla loro richiamata peculiarità ordinamentale, che rende comunque anacronistico il riferimento alla ricercata essenza dell'attività svolta concretamente dall'Associazione.
Giova ricordare in punto di fatto come l'U.N.A.C., nata effettivamente nel 1998 come Associazione a scopo culturale e assistenziale, seguendo gli sviluppi della giurisprudenza, in primo luogo della Corte di giustizia dell'Unione europea in materia di diritti sindacali dei militari, nell'anno 2013 si è trasformata in Sindacato autonomo Carabinieri e Militari, con regolare statuto, notificato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al Ministro della Difesa, al Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, al Comitato delle pari opportunità ed al Ministro dell'interno, procedendo altresì alla formazione dell'organico dirigenziale, con conseguente invio in via gerarchica delle prime deleghe sindacali.
Con la sentenza 13 giugno 2018, n. 120 della Corte costituzionale, di declaratoria dell'illegittimità costituzionale dell'art. 1475, comma 2, del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell'ordinamento militare), si è poi riconosciuto, traendo spunto da una vicenda che comunque vedeva coinvolta ridetta Associazione, il diritto di affiliazione ad associazioni sindacali da parte dei militari. Quanto detto in ragione del ritenuto contrasto della norma con l'art. 117, comma 1, Cost., in relazione agli artt. 11 e 14 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, come da ultimo interpretati dalle sentenze in data 2 ottobre 2014 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, quinta sezione, nei casi "Matelly c. Francia" (ricorso n. 10609/10) e "Adefdromil c. Francia" (ricorso n. 32191/09) e in relazione all'art. 5, terzo periodo, della Carta sociale europea riveduta, firmata in Strasburgo in data 3 maggio 1996 e resa esecutiva in Italia con legge 9 febbraio 1999, n. 30 (per una ricostruzione della vicenda, v. da ultimo Cons. Stato, sez. I consultiva, n. 2571 del 25 settembre 2019). Ciò senza negare la possibilità che la legge adotti restrizioni per determinate categorie di dipendenti pubblici, inclusi gli appartenenti alle Forze armate: con il risultato che la previsione di condizioni e limiti alla libertà di associazione sindacale tra militari, facoltativa per i parametri internazionali, è invece doverosa nell'ordinamento nazionale, al punto da escludere la possibilità di un vuoto normativo, che sarebbe d'impedimento al riconoscimento dello stesso diritto di associazione sindacale. Da qui la ribadita legittimità del comma 1 dell'art. 1475 COM, il quale subordina la costituzione di associazioni e circoli tra militari al preventivo assenso del Ministro della Difesa, disposizione valida, a fortiori, per le associazioni sindacali, in quanto species di quel genus, peraltro di particolare rilevanza (sul punto cfr. il parere rilasciato dalla sez. II consultiva di questo Consiglio di Stato sul quesito avanzato dal Ministero della Difesa proprio in ordine all'applicazione dell'articolo 1475, comma 1, del Codice dell'ordinamento militare, alla luce della sentenza della Corte costituzionale n. 120 del 13 giugno 2018, relativamente al rilascio del preventivo assenso del Ministro della difesa per la costituzione di associazioni professionali tra militari a carattere sindacale, n. 2756 del 23 novembre 2018).
7. La necessità di attualizzare il contesto ordinamentale in materia di diritto associativo dei militari, non fa che rafforzare la ritenuta neutralità del ruolo di segretario dell'U.N.A.C. rivestito dal militare sanzionato nel caso di specie. Non a caso, nel ricostruire in fatto la vicenda, il T.A.R. afferma chiaramente che l'appartenenza all'Associazione culturale "anche secondo la resistente, non era, e non è, incompatibile col giuramento di fedeltà [...] prestato". Trattasi dunque non del punto di approdo di una scelta ermeneutica volta a legittimare la condotta associativa, ma di una riferita circostanza di fatto, incontestata tra le parti, posta "a contorno" dell'episodio accaduto, quale suo evidente contesto genetico. Ciò che rileva, cioè, è l'inoltro della lettera, non il fatto che la sua stesura sia avvenuta sotto l'egida dell'U.N.A.C.; argomentazione questa introdotta casomai dal militare in sede di difesa nel ricorso gerarchico, quasi a voler distinguere la propria condotta "ideativa" da quella "materiale" di invio agli organi di stampa, asseritamente avvenuto a cura di sedicenti uffici di comunicazione interni alla struttura associativa. E inopportunamente ripresa dalla difesa erariale nell'atto di appello, riproponendo inesistenti profili di illiceità dell'appartenenza associativa ex se, quand'anche ipotizzabili nel contesto storico sociale dell'epoca, tutt'affatto valutati dall'Amministrazione procedente, che non ne ha in alcun modo fatto oggetto di addebito.
8. Va reciprocamente escluso anche, rileva ancora il Collegio, che la sigla associativa scrimini di per sé la condotta, dequotando le rimostranze mosse utilizzando la stessa, quale che ne sia stato il veicolo di trasmissione, prescindendo peraltro dai toni, seppur generici, del tutto irriguardosi, come riconosciuto dallo stesso giudice di prime cure, in una sorta di argomentazione a contrario di ciò che legittimamente si sarebbe potuto addebitare al militare e non si è invece stigmatizzato, dando rilievo ad aspetti ritenuti poi irrilevanti disciplinarmente ("essa [contestazione di addebito] avrebbe (pure) potuto porre l'accento sul contenuto della missiva "incriminata" (in cui il Comandante Generale dell'Arma viene accusato, la citazione è pressoché testuale, di non essere "super partes"; ma di avere a cuore solo la sorte di chi gli è vicino").
Essa, cioè, non attrae alla sfera del "privato cittadino" il comportamento dei suoi iscritti, ammantando di "culturale" un rilievo mosso all'organizzazione del servizio da parte di chi quel determinato servizio è chiamato ad eseguire.
A tale riguardo l'art. 5 della l. 11 luglio 1978, n. 382, applicabile ratione temporis al caso di specie, dopo avere ricordato (comma 3) che le regole di disciplina militare si applicano ai dipendenti "dal momento della incorporazione a quello della cessazione dal servizio attivo", individua le "condizioni" in presenza delle quali il militare è da considerarsi tale. Esse sussistono quando gli interessati "a) svolgono attività di servizio; b) sono in luoghi militari o comunque destinati al servizio; c) indossano l'uniforme; d) si qualificano, in relazione a compiti di servizio, come militari o si rivolgono ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali". Ove così non fosse, ovvero ove si riconoscesse la possibilità di dismettere temporaneamente l'uniforme, nel contempo ammantandosi della veste del privato cittadino per il solo tramite di un sodalizio, per quanto idealisticamente apprezzabili ne siano le finalità, per pretermettere le regole intrinseche dell'ordinamento di appartenenza, non è chi non veda la facilità di aggiramento delle stesse, con grave nocumento della funzionalità del sistema che anche dalla loro compattezza trae il proprio prestigio e la propria autorevolezza. Nel caso di specie, dunque, non soltanto il ricorrente, dipendente al momento della stesura della lettera all'Amministrazione della difesa, si è qualificato con il grado militare, ma egli si è rivolto al Comandante Generale dell'Arma, per dolersi di modalità gestionali inerenti il servizio, come tali in alcun modo qualificabili "culturali", ovvero "assistenziali". Ciò a prescindere finanche dalla voluta risonanza mediatica che si è inteso far avere alla rimostranza, nel momento in cui la relazione ha assunto la veste di un comunicato stampa, chiunque sia stato incaricato dell'inoltro agli organi competenti. La violazione della circolare sui rapporti con la stampa, infatti, pure evocata dall'Amministrazione appellante, serve a maggiormente contestualizzare la condotta addebitata al militare, ma non è stata oggetto di specifico addebito, al pari della ricordata appartenenza associativa. Essa dunque, pur aggravando complessivamente il disvalore dell'illecito per come oggettivamente percepibile, se anche ha assunto un qualche rilievo nel procedimento disciplinare, ciò è da intendersi limitatamente alla conferma per tabulas che non si è seguita la via gerarchica nell'inoltro. Infine, l'asserita inutilità di qualsivoglia reclamo incanalato correttamente per quel tramite, in quanto destinato a finire comunque nel nulla (l'evocato fin de non recevoir, aulicamente richiamato in sentenza), oltre che inconferente, appare alla Sezione immotivatamente critico di una prassi neppure documentata, e contraddittoriamente finanche giustificata (stante che "giustamente" l'Amministrazione avrebbe opposto la diplomatica formula soprassessoria in non meglio precisati "casi analoghi").
9. Le conclusioni descritte si pongono del resto in armonia con quanto già affermato da questo Consiglio di Stato in relazione ad un altro dei militari coinvolti nella medesima vicenda, seppure in un contesto ordinamentale ancora non evoluto nel senso garantista poc'anzi delineato. Con parere n. -OMISSIS-, infatti, reso all'esito di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica promosso, quale scelta alternativa a quella giurisdizionale, da altro dipendente firmatario della medesima missiva, la sezione III consultiva aveva analogamente riconosciuto di dover considerare il ricorrente "militare in servizio attivo", in quanto "anteponeva al proprio nome il grado rivestito e l'Amministrazione di appartenenza oltre ad argomentare su questioni attinenti il servizio".
10. Per tutto quanto sopra, pertanto, il Collegio ritiene che l'appello debba essere accolto e, per l'effetto, debba essere riformata la sentenza del T.A.R. per il Lazio, sez. I bis, n. 2014 del 12 febbraio 2010 e respinto il ricorso di primo grado n. r.g. -OMISSIS--OMISSIS-, confermando la legittimità del provvedimento di irrogazione in via definitiva della sanzione della "consegna" di -OMISSIS-inflitta al militare.
La peculiarità della controversia e l'evoluzione della cornice ordinamentale di riferimento, giustificano la compensazione delle spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Seconda, definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l'effetto annulla la sentenza del T.A.R. per il Lazio, sez. I bis, n. -OMISSIS- con conseguente reiezione del ricorso di primo grado n. r.g. -OMISSIS--OMISSIS-e conferma della legittimità del provvedimento di irrogazione della sanzione disciplinare -OMISSIS-.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente in primo grado.
Così deciso dalla Sezione Seconda del Consiglio di Stato con sede in Roma nella camera di consiglio del giorno 5 maggio 2020 tenutasi in modalità da remoto e con la contemporanea e continuativa presenza dei magistrati:
Raffaele Greco - Presidente
Paolo Giovanni Nicolò Lotti - Consigliere
Giancarlo Luttazi - Consigliere
Italo Volpe - Consigliere
Antonella Manzione - Consigliere, Estensore
28-03-2021 13:42
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