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Sentenza

Maresciallo Magg. dei Carabinieri accusato di essersi appropriato di due bicicle...
Maresciallo Magg. dei Carabinieri accusato di essersi appropriato di due biciclette che erano state sequestrate dai Carabinieri in quanto di presunta provenienza illecita.
T.A.R. Lombardia Milano Sez. IV, Sent., (ud. 22-12-2020) 21-05-2021, n. 1250


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia

(Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2664 del 2019, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Filippo Bucchi, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

contro

Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, Comando Legione Carabinieri Lombardia, in persona del Ministro in carica pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Milano, via Freguglia, 1;

per l'annullamento:

- del decreto -OMISSIS-datato 6 novembre 2019 del Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale Militare, a firma del Direttore della 3a Divisione Capitano di Vascello (CM) -OMISSIS-, notificato il 20 novembre 2019, con il quale è stata disposta la sospensione dal servizio nei confronti del ricorrente, a decorrere dall'8 luglio 2019, ai sensi degli artt. 922, lett. b), del D.Lgs. n. 66 del 2010 e 4, comma 1, della L. n. 97 del 2001;

- della determina del Comandante della Legione Carabinieri Lombardia n. -OMISSIS-datata 3 dicembre 2019, con la quale è stato disposto il trasferimento del ricorrente al Reparto Comando "forza potenziale", in esecuzione della sospensione dal servizio;

- di ogni altro atto presupposto, connesso e/o conseguente, "anche se allo stato non conosciuto" ivi inclusa, per quanto occorrer possa, la circolare del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri n. -OMISSIS-datata 3 agosto 2012, menzionata dalla predetta determina del 3 dicembre 2019.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa, Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri, Comando Legione Carabinieri Lombardia;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore il dott. Oscar Marongiu nell'udienza del giorno 22 dicembre 2020, svoltasi in modalità da remoto, come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

1. Il ricorrente, in servizio nell'Arma dei Carabinieri con il grado di Maresciallo Maggiore, ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe, con i quali il Ministero della Difesa ha disposto nei suoi confronti la sospensione dal servizio, a decorrere dall'8 luglio 2019, ai sensi degli artt. 922, lett. b), del D.Lgs. n. 66 del 2010 (Codice dell'Ordinamento Militare) e 4, comma 1, della L. n. 97 del 2001, e il suo trasferimento al Reparto Comando "forza potenziale".

La sospensione è stata applicata all'interessato dopo che quest'ultimo, con sentenza del Tribunale di Milano pubblicata il 4 ottobre 2019, è stato condannato, in concorso con altro collega, alla pena principale di un anno, nove mesi e dieci giorni di reclusione, e alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena principale, per il reato di peculato (per essersi appropriato di due biciclette che erano state sequestrate dai Carabinieri in quanto di presunta provenienza illecita). Al ricorrente è stata riconosciuta, oltre alle attenuanti generiche, l'attenuante del fatto di particolare tenuità di cui all'art. 323-bis c.p. e concessa la sospensione condizionale della pena (estesa anche alla pena accessoria dell'interdizione, ex art. 166 c.p.), oltre al beneficio della non menzione. Il ricorrente ha proposto appello avverso la sentenza di condanna, rimasta invece inappellata dal P.M., e l'appello risulta pendente.

In relazione agli stessi fatti, inoltre, il ricorrente è stato sottoposto a procedimento disciplinare, conclusosi con la sanzione di due giorni di consegna.

Con l'odierno ricorso il ricorrente lamenta l'illegittimità dei provvedimenti impugnati per violazione del principio del ne bis in idem e di tassatività delle sanzioni, violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità, eccesso di potere per errore sui presupposti, contraddittorietà, illogicità, difetto di motivazione e sviamento. Solleva, inoltre, questione di legittimità costituzionale degli artt. 922 del D.Lgs. n. 66 del 2010 e dell'art. 4 della L. n. 97 del 2001 per contrasto con gli artt. 3, 4, 35, 36 e 97 Cost.

Si è costituito in giudizio il Ministero intimato, chiedendo la reiezione del ricorso.

Alla camera di consiglio del giorno 8 gennaio 2020 la Sezione ha respinto l'istanza cautelare con ordinanza n. -OMISSIS-.

In sede di appello cautelare il Consiglio di Stato, con ordinanza n. -OMISSIS-, ha disposto la fissazione del merito per la trattazione della causa, peraltro già fissato dalla Sezione.

Alla camera di consiglio del giorno 6 maggio 2020 la Sezione, con ordinanza n. -OMISSIS-, ha respinto l'istanza di riesame del provvedimento cautelare n. -OMISSIS-.

In vista dell'udienza di discussione il ricorrente ha ribadito le proprie difese con memoria e il Ministero ha insistito per la reiezione con memoria di replica.

All'udienza del giorno 22 dicembre 2020, svoltasi in modalità da remoto, la causa è stata trattenuta in decisione.

2. Il ricorso è infondato.

Al riguardo, il Collegio osserva quanto segue.

2.1. Il ricorrente deduce che:

- la sospensione per condanna non definitiva ex artt. 922, lett. b), del D.Lgs. n. 66 del 2010 e 4, comma 1, della L. n. 97 del 2001, come quella oggetto di controversia, non troverebbe giustificazione laddove ricorrano due circostanze: i) che la P.A. abbia già esperito e concluso il procedimento disciplinare per i medesimi fatti del processo penale, per di più valutando i fatti come non gravi e non idonei a rendere incompatibile la prosecuzione del rapporto di impiego; ii) che non sia applicata o applicabile, anche in caso di conferma e passaggio in giudicato della condanna penale, una sanzione idonea a incidere sul rapporto di servizio;

- nella fattispecie ricorrono entrambi i presupposti, atteso che: i) l'Amministrazione, prima della conclusione del procedimento penale, ha avviato, per i medesimi fatti, dapprima un procedimento disciplinare di stato (archiviato in quanto l'Autorità competente ha ritenuto di non dover applicare le più gravi sanzioni di stato) e, successivamente, un procedimento disciplinare di corpo, conclusosi con l'applicazione della sanzione di due giorni di consegna; ii) la sentenza penale del Tribunale di Milano non è stata appellata dal P.M., sicché, nell'ipotesi peggiore, sarebbe confermata la condanna già inflitta in primo grado; iii) tale condanna non può comportare la perdita del grado, non solo perché il fatto è stato ritenuto di particolare tenuità, ma anche perché è stata concessa la sospensione condizionale della pena che, a norma dell'art. 866 del D.Lgs. n. 66 del 2010, preclude la perdita del grado; iv) l'interdizione dai pubblici uffici, comminata dalla sentenza di condanna, non può operare in quanto sospesa a sua volta, tenuto conto che, a norma dell'art. 166 c.p., la sospensione condizionale si estende alle pene accessorie, se non è diversamente disposto dal giudice (e nella fattispecie nessuna deroga all'estensione è stata disposta);

- in quest'ottica, poiché, anche in caso di conferma della condanna inflitta in primo grado, nessun'altra conseguenza, sul piano del rapporto di servizio, potrebbe derivare al ricorrente e nessun'altra sanzione, oltre a quella già scontata, potrebbe essergli inflitta, l'impugnata sospensione non avrebbe più alcuna funzione cautelare e diverrebbe illegittimamente una nuova misura sanzionatoria afflittiva per i medesimi fatti per i quali il ricorrente ha già subito una sanzione disciplinare e una sanzione penale;

- la gravata sospensione, quindi, si porrebbe in contrasto sia con il principio del ne bis in idem sia con i principi di tassatività e di proporzionalità delle sanzioni, risulterebbe irragionevole e integrerebbe uno sviamento di potere, poiché non vi sarebbe più alcunché da cui l'Amministrazione debba preservarsi: in altri termini, la sospensione in questo caso non sarebbe "precauzionale", perché non sarebbe preordinata a nessuna nuova sanzione o conseguenza sul piano del rapporto di impiego, e anzi, paradossalmente, diverrebbe la sanzione più dura e maggiormente lesiva per il ricorrente, ancor più della condanna penale e della sanzione disciplinare già subite;

- tali effetti evidenzierebbero l'incostituzionalità degli artt. 922 del D.Lgs. n. 66 del 2010 e dell'art. 4 della L. n. 97 del 2001, per irragionevolezza e disparità di trattamento, violazione dell'art. 3 Cost. e del principio di proporzionalità rispetto al fatto concreto, riconosciuto di tenue entità dal giudice penale e dalla stessa Amministrazione militare, nonché per violazione del principio del buon andamento dell'agire amministrativo di cui all'art. 97 Cost.; sarebbe inoltre integrata una lesione delle disposizioni costituzionali a tutela del diritto al lavoro, di cui agli artt. 4, 35 e 36 Cost., atteso che nessun'altra sanzione e/o causa sospensiva e/o interruttiva del rapporto di servizio potrebbe più trovare applicazione nella fattispecie.

2.2. Le censure non persuadono.

Come già rilevato nella fase cautelare, l'Amministrazione ha correttamente applicato le previsioni di cui al combinato disposto degli artt. 922 del D.Lgs. n. 66 del 2010 e 4 della L. n. 97 del 2001 (a tenore del quale "Nel caso di condanna anche non definitiva, ancorché sia concessa la sospensione condizionale della pena, per alcuno dei delitti previsti dall'articolo 3, comma 1, i dipendenti indicati nello stesso articolo sono sospesi dal servizio"), posto che tra i delitti previsti dal citato art. 3, comma 1, della L. n. 97 del 2001, rientra anche il peculato (art. 314 c.p.), per il quale il ricorrente, come visto sopra, è stato condannato dal Tribunale di Milano. Il Ministero, quindi, non poteva fare altro che adottare il provvedimento di sospensione di cui è causa.

Peraltro, la giurisprudenza condivisa dal Collegio, nell'esaminare la disposizione di cui all'art. 4, comma 1, della L. n. 97 del 2001 (ai sensi della quale, come appena visto, i pubblici dipendenti sono sospesi dal servizio nel caso di condanna penale anche non definitiva per alcuno dei delitti previsti dal precedente art. 3, comma 1), ha già evidenziato che si tratta di valutazione del legislatore di estremo rigore, atteso che la sospensione dal servizio del pubblico dipendente deve aver luogo anche in caso di concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, il che avviene, ex art. 163 c.p., solo quando è ragionevole ritenere che il colpevole si asterrà in futuro dal commettere altri reati; ne consegue che la pubblica Amministrazione non ha alcun margine di apprezzamento in ordine alla misura del potere cautelare da esercitare nei riguardi del dipendente, ma deve dare obbligatoriamente applicazione alla previsione legislativa (T.A.R. Puglia - Lecce, Sez. II, n. 1422/2016).

2.2.1. Quanto alla questione di costituzionalità sollevata da parte ricorrente, la prospettazione attorea pare muovere dall'erroneo assunto secondo cui la sospensione de qua possa trovare giustificazione soltanto se e nella misura in cui risulti "preordinata" ad una ulteriore sanzione o conseguenza sul piano del rapporto di impiego, dimodoché nei casi in cui - come nella fattispecie di cui è causa - tale evenienza debba escludersi (perché il procedimento disciplinare, per i medesimi fatti oggetto della condanna penale, si è già concluso con sanzioni che non incidono sul rapporto di servizio e, al contempo, perché anche da un'eventuale conferma e passaggio in giudicato della condanna penale non potrebbe derivare alcuna conseguenza sulla prosecuzione del rapporto di servizio) l'applicazione della sospensione sarebbe irragionevole e si porrebbe in contrasto con le norme e i principi costituzionali evocati da parte ricorrente.

Tale prospettazione, tuttavia, non convince, perché non tiene conto del fatto che la sospensione obbligatoria dal servizio non costituisce una misura prodromica necessariamente preordinata all'applicazione di successive eventuali sanzioni, di carattere penale o disciplinare, ma si sostanzia - come chiarito dalla giurisprudenza - in una misura prevista a protezione (in ciò ravvisandosi la sua funzione cautelare) dell'immagine non solo della pubblica Amministrazione, ma anche dell'interessato, la cui posizione resta comunque sub iudice ed è tutelata dall'ordinamento in caso di eventuale esito favorevole del processo (cfr. T.A.R. Puglia - Lecce, n. 1422/2016, cit.). Si tratta, in altri termini, di una misura che si caratterizza per la sua natura essenzialmente cautelare e non afflittiva o sanzionatoria, volta a tutelare esigenze ricollegabili sia al buon funzionamento dei pubblici uffici sia alle prerogative individuali del dipendente pubblico autore del reato rispetto all'ambiente in cui viene a svolgere le proprie mansioni, all'indomani della pubblicazione della sentenza di accertamento penale.

E del resto la Corte costituzionale, nella sentenza n. 145/2002, con la quale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della L. n. 97 del 2001 in riferimento agli artt. 3, 4, 24, 27, 35, 36 e 97 Cost., ha già affermato che "sia l'interesse generale al buon andamento della pubblica amministrazione che il rapporto di fiducia dei cittadini verso quest'ultima possono risultare gravemente compromessi dalla permanenza in servizio di un dipendente condannato - sia pure in via non definitiva - per taluno dei delitti riguardati dalla norma impugnata. E ciò in considerazione della particolare gravità dei delitti stessi, comportanti la violazione dei fondamentali obblighi di fedeltà del pubblico dipendente", osservando inoltre che "emerge, d'altro canto, con chiarezza, dai lavori preparatori, che l'intervento del legislatore, a tutela dei suddetti interessi, si è reso necessario per ovviare ad una situazione di diffusa inerzia della pubblica amministrazione nell'esercizio del suo potere di sospensione facoltativa dal servizio del dipendente sottoposto a procedimento penale per reati di notevole gravità e, sotto altro aspetto, per ristabilire in materia il principio di pari trattamento per tutti i pubblici dipendenti".

Per tali ragioni le censure vanno respinte.

2.3. In definitiva, il ricorso è infondato e deve essere respinto.

2.3.1. Le spese del giudizio, nondimeno, possono essere compensate tra le parti, tenuto conto del complesso della vicenda e della peculiarità delle questioni affrontate.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento UE n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.

Così deciso in Milano nella camera di consiglio del giorno 22 dicembre 2020, svoltasi in modalità da remoto, con l'intervento dei magistrati:

Rosalia Maria Rita Messina, Presidente

Oscar Marongiu, Primo Referendario, Estensore

Katiuscia Papi, Referendario
Avv. Antonino Sugamele

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