Pubblico impiego e perentorietà dei termini nel procedimento disciplinare
T.A.R. Lazio Roma Sez. I bis, Sent., (ud. 26-02-2021) 03-03-2021, n. 2593
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Bis)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1876 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Michela Scafetta, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero della Difesa, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio fisico in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
- della sanzione disciplinare di stato di tre mesi di sospensione dall'impiego disposta con Decreto prot. n. M D GMIL (...)del 22.11.2019 dalla Direzione Generale per il personale militare, in quanto illegittima poiché adotta sia in violazione delle norme che stabiliscono i termini e le modalità del procedimento disciplinare di stato che dei principi di speditezza e non aggravio dell'azione amministrativa, delle garanzie di difesa costituzionalmente garantite e di imparzialità;
- della Nota della Direzione Generale per il personale militare prot. n. M D GMIL REG (...) del 05/12/2019 notificata al ricorrente in data 09/12/2019 concernente l'esclusione del ricorrente dal Concorso interno straordinario, per titoli ed esami , per il reclutamento di Marescialli dell'Esercito, della Marina Militare e dell'Aeronautica Militare motivata dall'aver riportato nell'ultimo biennio la sanzione disciplinare di cui al provvedimento sopra richiamato anch'esso oggetto del presente ricorso; in quanto atto che ha il suo presupposto nella sanzione disciplinare comminata e riconoscere il diritto del ricorrente a proseguire l'iter già avviato per l'avanzamento al grado di maresciallo;
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 29 gennaio 2021 il dott. Fabrizio D'Alessandri, celebrata nelle forme di cui all'art. 25 del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in L. n. 176 del 2020, come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
Parte ricorrente ha impugnato la sanzione disciplinare di stato di tre mesi di sospensione dall'impiego comminatagli con Decreto prot. n. M D GMIL (...) del 22.11.2019 e la nota prot. n. M D GMIL REG (...) del 05/12/2019 notificata al ricorrente in data 09/12/2019 che l'ha esclusa dal Concorso interno straordinario, per titoli ed esami, per il reclutamento di Marescialli dell'Esercito, della Marina Militare e dell'Aeronautica Militare, per aver riportato nell'ultimo biennio la sanzione disciplinare di cui al provvedimento sopra richiamato.
In particolare, la sanzione disciplinare era stata comminata in quanto il ricorrente, nelle date del 23 e 28 novembre 2018 presso la Navy Exchange della Base Americana di Camp Lemonnier di Giubuti, si sarebbe reso responsabile della sottrazione di due dispositivi USB, per un valore complessivo di euro 127,98 lasciando in entrambe i casi l'edificio senza pagare i due oggetti. Scoperto, il militare aveva ammesso la sottrazione, consegnato spontaneamente le due chiavette, e provveduto al pagamento dei due oggetti mediante carta di credito.
In data 5.12.2019, il ricorrente è stato rimpatriato e, in seguito alla segnalazione dell'accaduto, è stato aperto un procedimento disciplinare culminato con la sanzione impugnata.
Parte ricorrente ha gravato la sanzione in esame formulando un unico articolato motivo di ricorso così rubricato: Violazione delle disposizioni sul procedimento disciplinare di stato ed in particolare dell'art. 1392, comma 4 del C.O.M. - carenza assoluta di potere - decadenza dall'esercizio del potere disciplinare - violazione del principio di non aggravamento del procedimento amministrativo di cui all'art. 1 della l. n. 241/90 - eccesso di potere sotto il profilo dell'irragionevolezza della sanzione per inidoneità della stessa, iniquità, non congruità, non gradualità e non proporzionalità - violazione del diritto alla difesa costituzionalmente garantito.
Si è costituita in giudizio l'Amministrazione intimata resistendo al ricorso.
Motivi della decisione
1. Il ricorso si palesa fondato.
2. Parte ricorrente ha invocato l'art. 1392, comma 4, del Codice dell'Ordinamento Militare, ai sensi del quale "in ogni caso, il procedimento disciplinare si estingue se sono decorsi novanta giorni dall'ultimo atto di procedura senza che nessuna ulteriore attività è stata compiuta".
In particolare, risulterebbe violato il termine dei 90 giorni senza alcun atto della procedura disciplinare, in quanto l'atto formale successivo alla relazione contenente le risultanze dell'inchiesta del 2 maggio 2019 sarebbe stato adottato l'1 ottobre 2019 e coinciderebbe con relazione riepilogativa.
Tra la data del 2 maggio e quella dell'1 ottobre sarebbe intercorso uno iato temporale di ben 152 giorni, con conseguente estinzione del procedimento disciplinare.
Sempre secondo il ricorrente, non potrebbe, infatti, assumere alcun valore, ai fini della norma invocata, l'Appunto del 12 luglio 2019 redatto dall'Ufficio Affari Giuridici Nazionali dello SMD.
La medesima parte ricorrente evidenzia al riguardo come si tratti di un mero appunto, definito dalla stessa Amministrazione che lo ha redatto come "non classificato", non citato nella relazione riepilogativa fatta visionare e sottoscrivere dall'interessato per presa visione in data 1.10.2020, né messo a disposizione dello stesso ricorrente sia in quell'occasione che in sede di accesso agli atti, se non nella forma priva di allegati.
In punto di diritto, il Collegio rileva come nessun dubbio sussista sulla perentorietà del termine di 90 giorni di cui all'art. 1392, comma 4, del D.Lgs. n. 66 del 2010 (Cons. Stato Sez. IV, 10/07/2018, n. 4205)
Il procedimento disciplinare, infatti, si estingue quando siano decorsi novanta giorni dall'ultimo atto senza che nessun ulteriore atto sia stato compiuto (Cons. Stato, Sez. VI, 13 ottobre 2017, n. 4761; Tar Calabria, Reggio Calabria, 9 febbraio 2011, n. 95).
La perentorietà del suddetto termine si giustifica con l'esigenza di tutelare il soggetto sottoposto al procedimento disciplinare per evitare che resti soggetto al procedimento pendente per un tempo indeterminato in ragione della natura pregiudizievole della stessa durata, nonché con la garanzia di ricevere una risposta in tempi certi da parte dell'amministrazione procedente.
A tale riguardo, non si richiede che il procedimento si concluda entro novanta giorni dal suo inizio, ma soltanto che non vi sia, all'interno dello stesso, una volta avviato, un periodo di 90 giorni senza che nessun atto sia compiuto. Ad ovviare l'estinzione del procedimento disciplinare è, tuttavia, sufficiente l'adozione di un atto procedimentale di carattere interno, dal quale si possa inequivocabilmente desumere la volontà dell'Amministrazione di portare a conclusione il procedimento stesso.
In altri termini, in sede di procedimento disciplinare, al fine di interrompere il termine di 90 giorni è utile ogni atto con il quale l'amministrazione esprima la volontà di portare avanti il procedimento, ancorchè di natura endoprocedimentale e di rilievo interno (T.A.R. Lazio Roma, Sez. I bis, 14 novembre 2018, n. 10986; Consiglio di Stato, Sez. III, 3 agosto 2015, n. 3812; TAR Lazio, Roma, Sez. II, 8 gennaio 2015, n. 146; TAR Molise, Campobasso, Sez. I, 13 marzo 2015, n. 95).
L'atto dell'Amministrazione del 12 luglio 2019, per quanto interno e denominato appunto, manifesta espressamente tale intenzione indicando una soluzione procedurale da seguire rispetto a una situazione di stallo del procedimento venutasi a creare e, pertanto, si inserisce nell'iter procedimentale dell'inchiesta formale evidenziandosi come idoneo a interrompere il termini di cui all'art. 1392, comma 4, del Codice dell'Ordinamento Militare.
3. Parte ricorrente si è altresì lagnata del mancato rispetto di alcuni adempimenti procedurali previsti dalla 5^ edizione della circolare del Ministero della difesa - DG PREVIMIL - "Guida tecnica Procedure disciplinari", richiamata espressamente nella nota del 27.02.2019 di avvio al procedimento disciplinare e confermati dalla 6^ edizione giugno 2019 delle medesime linee guida, emanate, nel corso del procedimento disciplinare.
In particolare, si duole che la "cd. Relazione riepilogativa" messa a disposizione del ricorrente, è costituita solo da un elenco pedissequo di documenti, in cui risulta leso il diritto alla difesa; in essa non è presente l'invito rivolto all'inquisito e/o il difensore a prendere visione degli atti e della "relazione riepilogativa" e a presentare, quindi, per iscritto, entro il termine all'uopo fissato (10 giorni dalla presa visione), le proprie deduzioni difensive finali (modello in allegato 3.I); mancherebbe, inoltre, la "Relazione Finale".
Sarebbe stata violata anche la previsione, contenuta nella medesima circolare, secondo cui "nell'ipotesi in cui l'Autorità che ha disposto l'inchiesta formale, dopo la chiusura della stessa, accerti la sussistenza di vizi formali di procedura, deve restituire gli atti all'Ufficiale inquirente, affinché l'inchiesta stessa sia formalmente regolarizzata". Deduce, altresì, la violazione dell'indicazione contenuta della medesima circolare, secondo cui gli atti dell'inchiesta formale pervengano comunque alla Direzione Generale per il Personale Militare in originale, entro 30 (trenta) giorni dalla scadenza del termine del procedimento disciplinare di stato.
Il Collegio rileva che seppure, come indicato dall'Amministrazione, le Linee Guida in questione non hanno valore prettamente normativo, le stesse dettano una procedura che l'Amministrazione si è autoimposta di seguire per lo svolgimento dei procedimenti disciplinari, la cui immotivata violazione rileva quantomeno sotto il profilo dell'eccesso di potere.
Al riguardo, il Collegio rileva come l'iter procedimentale portato avanti dall'Amministrazione militare sia carente perché non si rinviene tra gli atti allegati la relazione finale dell'Ufficiale inquirente, non depositata in atti e, in particolare, viene meno quella scansione delle fasi del procedimento in sede di inchiesta formale, prevista dalla suindicata circolare, che prevede una relazione riepilogativa, conseguente diritto dell'inquisito o difensore a prendere visione degli atti e della relazione riepilogativa e a presentare per iscritto le proprie deduzioni difensive finali e la successiva relazione finale.
Negli atti depositati in giudizio non si ravvisa la scansione procedimentale relazione riepilogativa - relazione finale da parte dell'Ufficiale inquirente a chiusura dell'inchiesta formale, tanto più che in data 1.10.2019, risulta redatta una relazione riepilogativa da parte dell'autorità che ha disposto l'inchiesta disciplinare, senza poi alcuna relazione finale.
Non hanno alcun rilievo, al contrario, le censure inerenti la mancata regolarizzazione, perché non specificano quali irregolarità sarebbero dovute essere regolarizzate, né quelle inerenti la violazione dell'indicazione contenuta della medesima circolare, secondo cui gli atti dell'inchiesta formale devono pervenire alla Direzione Generale per il Personale Militare in originale, entro 30 (trenta) giorni dalla scadenza del termine del procedimento disciplinare di stato, in quanto si tratta di un termine evidentemente ordinatorio.
4. A fronte della rilevata illegittimità della sanzione disciplinare della sospensione dall'impiego, deve essere accolta l'impugnativa per illegittimità derivata avverso l'esclusione del concorso interno straordinario, per titoli ed esami, per il reclutamento di Marescialli dell'Esercito, della Marina Militare e dell'Aeronautica Militare motivata dall'aver riportato nell'ultimo biennio la sanzione disciplinare, stante anche l'effetto retroattivo della sentenza di annullamento.
Al riguardo non può avere rilievo in questa sede la circostanza, pur in grado di ingenerare rilevanti effetti procedimentali, che parte ricorrente, dopo aver impugnato in questa sede l'esclusione dal concorso, ha gravato, per illegittimità derivata con ricorso Straordinario al Capo dello Stato il connesso provvedimento concernente la modifica del provvedimento di nomina e immissione nel ruolo dei Marescialli dell'Esercito secondo l'ordine riportato nel medesimo provvedimento, che non comprende il ricorrente.
Al riguardo, l'adito T.A.R. rileva che, secondo giurisprudenza, il principio di alternatività tra ricorso giurisdizionale e ricorso straordinario al Capo dello Stato, comporta l'inammissibilità del ricorso straordinario proposto per illegittimità derivata di un atto presupposto gravato davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (vedi Cons. Stato Sez. III, 7.1.2020, n. 112).
Principio fondamentale dell'istituto del ricorso straordinario al Capo dello Stato è, infatti, l'alternatività, in ossequio al quale il ricorso straordinario e il ricorso al giudice amministrativo non possono essere proposti contro il medesimo atto. L'art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 1199 del 1971 dispone infatti che non è ammesso il ricorso straordinario "da parte dello stesso interessato" se "l'atto sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale". Ciò significa che non può essere proposta impugnazione nelle diverse sedi, straordinaria e giurisdizionale, avverso lo stesso provvedimento e, una volta esperito il primo rimedio, non è più consentito accedere al secondo (electa una via non datur recursus ad alteram). La ratio di questo principio va ravvisata nell'esigenza di evitare l'insorgere di contrasti tra le decisioni del Consiglio di Stato in sede consultiva e le sentenze del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con conseguente sovrapposizione della decisione giurisdizionale alla decisione del ricorso straordinario.
La giurisprudenza amministrativa ha costantemente ravvisato la ratio del principio di alternatività nell'esigenza di impedire un possibile contrasto di giudizi in ordine al medesimo oggetto (Cons. Stato, sez. III, 1 marzo 2005, n. 1852; cfr. Cons. Stato , sez. III, 15 novembre 2010 , n. 1963; Cons. Stato, sez. I, 29 aprile 2010 , n. 584; Cons. Stato , sez. III, 24 marzo 2009, n. 616; Cons. Stato , sez. V, 05 febbraio 2007, n. 454; Cons. Stato , sez. III, 23 settembre 2008 , n. 734) e, dunque, di evitare l'inutile proliferazione dei ricorsi ed il pericolo di pronunce contrastanti di organi appartenenti allo stesso ramo di giustizia (Cons. Stato, sez. I, 6 marzo 2019, n. 761; Sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2185; e ancora Cons. Stato, sez. I, 16 dicembre 2015, n. 211).
La medesima giurisprudenza ritiene anche che il principio di alternatività, pur non essendo suscettibile di interpretazione analogica, allorché le due impugnative riguardino atti distinti, deve comunque ritenersi operante nel caso in cui, dopo l'impugnativa in sede giurisdizionale dell'atto presupposto, venga successivamente impugnato in sede straordinaria l'atto conseguente, al fine di dimostrarne l'illegittimità derivata dalla dedotta invalidità del menzionato atto presupposto. Ciò per l'identità sostanziale delle due impugnative (Cons. Stato, sez. III, 1 marzo 2005, n. 1852); pertanto esso trova applicazione "anche quando si tratti di atti distinti, purché legati tra loro da un nesso di presupposizione" (Cons. Stato, sez. V, 3 settembre 2013, n. 4375). L'operatività del principio di alternatività opera, infatti, anche ai casi in cui, pur essendovi atti formalmente distinti, sussiste una connessione sostanziale in termini di pregiudizialità/dipendenza.
Tale principio si impone anche quando l'eventuale venir meno dell'atto presupposto, oggetto di impugnativa dinanzi al giudice amministrativo ha, come nel caso di specie, un effetto meramente viziante (e non caducante) per l'atto impugnato con ricorso al Capo dello Stato.
Per quest'ultima ipotesi, una visione moderna del principio di alternatività impone di rivolgersi allo stesso organo ogni qual volta si discuta del medesimo rapporto giuridico o quando le censure formulate siano identiche e, come detto, riferibili allo stesso rapporto giuridico tra amministrazione e amministrato. Ragionando diversamente si legittimerebbe il frazionamento della tutela giurisdizionale in contrasto con il principio del giusto processo (art. 111 Cost.) e con il suo corollario dell'economia dei mezzi giuridici.
Tali indicati approdi, tuttavia, non possono avere effetti diretti sul processo in esame, in quanto il loro precipitato pratico comporta che nel caso in cui l'atto presupponente sia impugnato con ricorso giurisdizionale, a fronte di un ricorso straordinario già promosso avverso l'atto presupposto, il ricorso giurisdizionale dovrà essere dichiarato inammissibile dal giudice amministrativo. Se invece l'atto successivo è impugnato in sede straordinaria, a fronte di un ricorso giurisdizionale già promosso avverso l'atto presupposto, il ricorso straordinario sarà inammissibile per violazione del principio di alternatività.
Nel caso di specie l'eventualmente declaratoria di inammissibilità è di competenza del Capo dello Stato in sede di decisione del ricorso straordinario, né l'adito T.A.R. può in questa sede dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse, perché ciò comporterebbe un inammissibile giudizio prognostico, con effetti potenzialmente definitivi, sull'esito del ricorso straordinario.
4. Deve conseguentemente essere accolta, per illegittimità derivata, anche l'impugnativa avverso l'esclusione del ricorrente dal Concorso interno straordinario, per titoli ed esami, per il reclutamento di Marescialli dell'Esercito, della Marina Militare e dell'Aeronautica Militare motivata dall'aver riportato nell'ultimo biennio la sanzione disciplinare dichiarato illegittima.
5. Per quanto indicato il ricorso deve essere accolto, nei termini indicati.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta al Collegio, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante, ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cassazione civile, sez. II, 22 marzo 1995 n. 3260 e, per quelle più recenti, Cassazione civile, sez. V, 16 maggio 2012 n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a supportare una conclusione di tipo diverso.
Le specifiche circostanze inerenti al ricorso in esame costituiscono elementi che militano per l'applicazione dell'art. 92 c.p.c., come richiamato espressamente dall'art. 26, comma 1, c.p.a. e depongono per la compensazione delle spese di giudizio tra le parti.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei termini suindicati.
Compensa le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare la parte ricorrente.
Così deciso in Roma nelle camere di consiglio dei giorni 29 gennaio 2021 e 26 febbraio 2021, con collegamento da remoto, ai sensi dell'art. 25 del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in L. n. 176 del 2020, con l'intervento dei magistrati:
Concetta Anastasi, Presidente
Rosa Perna, Consigliere
Fabrizio D'Alessandri, Consigliere, Estensore
20-03-2021 17:39
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