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Sentenza

Reati contro il servizio militare - Abbandono di posto e violazione di consegna ...
Reati contro il servizio militare - Abbandono di posto e violazione di consegna - Configurabilità del reato di violata consegna - Violazione della prescrizione della consegna - Sufficienza - Necessità d'ulteriore evento - Esclusione - Natura di reato di pericolo presunto
Cass. pen. Sez. I Sent., 02/12/2020, n. 458 (rv. 280212-01)
 REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IASILLO Adriano - Presidente -

Dott. SANDRINI Enrico G. - Consigliere -

Dott. SARACENO Rosanna - Consigliere -

Dott. MAGI Raffaello - Consigliere -

Dott. CENTONZE Alessandro - rel. Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:

1) D.R.G., nato a (OMISSIS);

Avverso la sentenza emessa il 29/05/2019 dalla Corte militare di appello di Roma;

Sentita la relazione del Consigliere Dott. Alessandro Centonze;

Sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale Dott. Flamini Luigi Maria, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con sentenza emessa il 03/10/2018 il Tribunale militare di Napoli condannava D.R.G. alla pena di due mesi di reclusione militare per il reato di cui all'art. 120 c.p.m.p., commi 1 e 2, art. 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2, commesso a (OMISSIS).

2. Con sentenza emessa il 29/05/2019 la Corte militare di appello di Roma, decidendo sull'impugnazione proposta dall'imputato, confermava la decisione appellata, condannando l'appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali.

3. I fatti di reato, nella loro consistenza materiale, devono ritenersi incontroversi, riguardando la violata consegna aggravata, commessa dall'imputato - che, all'epoca dei fatti, prestava servizio quale secondo capo presso il Terzo Reggimento San Marco Battaglione SDI SUD della (OMISSIS) -, nella sua qualità di capo posto NAPI, smontante dal turno compreso tra le ore 8 del (OMISSIS) e le ore 8 dell'(OMISSIS), svolto presso il Deposito Petroli Oli Lubrificanti di (OMISSIS), conseguente all'avere affidato la pistola d'ordinanza Beretta 92 FS, recante numero di matricola (OMISSIS), munita di caricatore, al capo posto montante del turno successivo, A.M..

Le modalità di affidamento dell'arma determinavano la violazione delle consegne ricevute dall'imputato, che gli prescrivevano, nella qualità militare che si è indicata, di consegnare al capo posto subentrante la pistola d'ordinanza scarica, con il caricatore non inserito e con la sicura disattivata.

3. Avverso tale sentenza l'imputato D.R.G., a mezzo degli avvocati Giovanni Dallera, e Pierpaolo Rivello, ricorreva per cassazione, deducendo due motivi di ricorso.

Con il primo motivo di ricorso si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argornentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi del reato contestato a D.R. ex art. 120 c.p.m.p., commi 1 e 2, art. 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2, la cui configurazione doveva essere esclusa in assenza di una ricognizione preliminare sulle connotazioni, oggettive e soggettive, del comportamento criminoso dell'imputato.

Si deduceva, in proposito, che la Corte militare di appello di Roma non aveva tenuto conto delle circostanze di tempo e di luogo che avevano indotto a violare le consegne ricevute D.R., che si era giustificato riferendo che, la mattina dell'(OMISSIS), poco prima di terminare il suo turno di servizio, aveva sentito dei rumori che lo avevano allarmato e che, dopo essersi accorto del sopraggiungere di un branco di cani randagi, gli avevano fatto ritenere opportuno caricare la pistola d'ordinanza. Tuttavia, dopo avere inserito il caricatore della pistola, D.R., per una mera dimenticanza, aveva omesso di ripristinare lo stato pregresso dell'arma, consegnandola al sottufficiale subentrante nelle condizioni oggetto di contestazione.

Con il secondo motivo di ricorso si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del mancato riconoscimento dell'esimente di cui all'art. 131-bis c.p., la cui concessione si imponeva tenuto conto del disvalore, oggettivamente modesto, della condotta illecita ascritta a D.R..

Secondo la difesa del ricorrente, nell'escludere l'esimente invocata, la Corte militare di appello di Roma non aveva tenuto delle circostanze di tempo e di luogo in cui si erano verificati gli accadimenti criminosi, che costituivano la conseguenza di un comportamento isolato nella lunga carriera militare del ricorrente e non potevano ritenersi connotati da abitualità, rendendo evidente l'incongruità del percorso argomentativo seguito per escludere la sussistenza delle condizioni applicative dell'art. 131-bis c.p..

Le considerazioni esposte imponevano l'annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

1. Il ricorso proposto da D.R.G. è inammissibile.

2. Deve, ritenersi inammissibile il primo motivo di ricorso, con cui si deduceva la violazione di legge del provvedimento impugnato, conseguente al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi del reato contestato a D.R. ex art. 120 c.p.m.p., commi 1 e 2, art. 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2, la cui configurazione doveva essere esclusa in assenza di una ricognizione preliminare sulle connotazioni, oggettive e soggettive, del comportamento criminoso dell'imputato.

La Corte militare di appello di Roma, invero, evidenziava che le verifiche investigative eseguite nell'immediatezza dei fatti - che consentivano di accertare la violata consegna dell'ordine di restituire al capo posto NAPI subentrante a D.R. la pistola di ordinanza Beretta 92 FS, recante numero di matricola (OMISSIS), scarica, rilevante ex art. 120 c.p.m.p., commi 1 e 2, art. 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2, - risultava univocamente orientato in senso sfavorevole all'imputato. Tali verifiche, del resto, traevano origine dalla relazione di servizio redatta dal secondo capo A.M., che subentrava all'imputato quale capo posto del turno di servizio svolto presso il Deposito Petroli Oli Lubrificanti di (OMISSIS), accertando che la pistola d'ordinanza gli veniva affidata in violazione delle disposizioni ricevute, contenute nelle "Consegne di massima del Sottordine al Sottuficiale d'Ispezione al (OMISSIS)", che prescrivevano all'imputato, nella qualità militare contestata, di restituire l'arma scarica, con il caricatore non inserito e con la sicura disattivata.

Non si riteneva, del resto, plausibile che un sottufficiale della competenza e dell'esperienza dell'imputato - che, all'epoca dei fatti, prestava servizio quale secondo capo presso il Terzo Reggimento San Marco Battaglione SDI SUD della (OMISSIS) -, anche a volere ritenere pienamente credibile la sua ricostruzione degli accadimenti criminosi, avesse potuto dimenticare di restituire al capo posto montante la pistola d'ordinanza nell'assetto prescritto dalle disposizioni militari. Tale dimenticanza, peraltro, appariva ancora meno giustificabile alla luce del fatto che il ricorrente aveva avuto due occasioni costituite dal rientro dal giro esterno del comprensorio vigilato e dal passaggio delle consegne al secondo capo A. - per controllare l'assetto dell'arma prima di affidarla nelle mani del sottufficiale subentrante.

Non potevano, in ogni caso, rilevare, in senso favorevole al ricorrente, le circostanze, ancorchè meramente asserite, che lo avevano indotto a caricare la pistola d'ordinanza prima di restituirla al secondo capo A. - riguardanti il sopraggiungere di un branco di cani randagi, di cui si accorgeva poco prima della conclusione del suo turno di servizio -, dovendosi in proposito richiamare la giurisprudenza consolidata di questa Corte, secondo cui: "Per la configurabilità del reato di violata consegna previsto dall'art. 120 c.p.m.p. è sufficiente la violazione delle prescrizioni della consegna, la cui tassatività ne esige l'osservanza incondizionata, senza che sia necessario il verificarsi di un ulteriore evento come conseguenza di tale violazione, trattandosi di reato di pericolo presunto" (Sez. 1, n. 23316 del 15/05/2015, Cherubini, Rv. 263820-01; si veda, in senso sostanzialmente conforme, anche Sez. 1, n. 5030 del 17/12/2008, Cadice, Rv. 243371-01).

Nè potrebbe essere diversamente, atteso che, per la configurabilità del delitto di violata consegna previsto dall'art. 120 c.p.m.p. è sufficiente la violazione delle prescrizioni ricevute dal soggetto attivo del reato, la cui tassatività, trattandosi di un reato di pericolo presunto, ne esige l'osservanza incondizionata da parte del militare, senza che sia necessario il verificarsi di un ulteriore evento come conseguenza della violazione.

Tali conclusioni, del resto, appaiono corroborate dalla struttura del reato di cui all'art. 120 c.p.m.p., che mira a tutelare il bene giuridico della funzionalità e dell'efficienza di determinati servizi militari, che il legislatore ha ritenuto di dovere garantire rendendone rigide e inderogabili le modalità esecutive da parte dell'agente. Ne consegue che la violazione della consegna deve ritenersi, di per se stessa, idonea a ledere interessi di rilievo costituzionale, riconducibili ai valori espressi dall'art. 52 Cost., che giustificano la norma incriminatrice anche per il caso in cui non sia derivato un danno concreto all'apparato militare, non potendosi pretendere l'incriminazione del soggetto attivo del reato soltanto nel caso in cui dalla violazione della funzionalità del servizio sia derivato un danno materiale.

L'accertamento in concreto della sussistenza dei presupposti che identificano la consegna che si ritiene violata, naturalmente, rimane compito dell'autorità giudiziaria militare, alla quale spetta di valutare se tutte le prescrizioni impartite siano, nel caso concreto, finalizzate a garantire il corretto svolgimento del servizio comandato. Si tratta, allora, di verificare se l'eventuale inadempimento del militare a una o più di tali prescrizioni sia idoneo a pregiudicare l'integrità del bene protetto, possedendo quelle connotazioni di offensività richieste dall'art. 120 c.p..

Si muove, del resto, in questa direzione, anche la Corte costituzionale, che, con la sentenza 5 aprile 2000, n. 263, nel ritenere l'art. 120 c.p.m.p. conforme all'art. 52 Cost., evidenziava che tale disposizione rispondeva "al requisito (...), della offensività in astratto, che va intesa come limite di rango costituzionale alla discrezionalità legislativa in materia penale e che spetta indubbiamente a questa Corte rilevare (...)". Si evidenziava, al contempo che una "volta accertato che il bene giuridico protetto dall'art. 120 c.p.m.p. è la funzionalità e l'efficienza di servizi determinati, che il legislatore ha inteso garantire rendendone rigide e tassative le modalità di esecuzione da parte del militare comandato, non vi è ragione di dubitare che la violazione della consegna sia di per sè suscettibile di ledere interessi di rilievo costituzionale riconducibili ai valori espressi dall'art. 52 Cost.".

Le considerazioni esposte impongono di ritenere inammissibile il primo motivo di ricorso.

3. Parimenti inammissibile deve ritenersi il secondo motivo di ricorso, con cui si deducevano violazione di legge e vizio di motivazione della sentenza impugnata, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto del mancato riconoscimento dell'esimente di cui all'art. 131-bis c.p., la cui concessione si imponeva tenuto conto del disvalore, oggettivamente modesto, della condotta illecita ascritta all'imputato.

Non può, in proposito, non ribadirsi che il giudizio di colpevolezza espresso nei confronti di D.R. dai Giudici militari di merito conseguiva a una valutazione ineccepibile dei fatti di reato che gli venivano contestati, ai sensi degli art. 120 c.p.m.p., commi 1 e 2, art. 47 c.p.m.p., comma 1, n. 2, tenuto conto delle connotazioni, oggettive e soggettive, della condotta dell'imputato e dell'incarico di capo posto NAPI, in relazione al quale si concretizzava la violazione dei doveri di consegna controversi. Da questo punto di vista, appaiono condivisibili le conclusioni della Corte militare di appello di Roma, che, nel passaggio motivazionale esplicitato nelle pagine 9 e 10 della sentenza impugnata, evidenziava come non si poteva "non sottolineare che a seguito della consegna del D.R. all' A. di un'arma con caricatore inserito e del successivo comportamento dell' A. che ha effettuato la prova di un'arma scarica senza recarsi nell'apposita stazione e senza utilizzare l'apposito dispositivo a tartaruga, vi è stata un'esplosione di un proiettile che oltre ai sussistenti danni alle cose, avrebbe potuto provocarne anche alle persone".

Questo percorso argomentativo deve ritenersi idoneo a escludere in sede di legittimità, senza il compimento di alcuna valutazione complessiva dei profili fattuali riscontrabili nel caso in esame, l'esimente invocata nell'interesse di D.R.G., non potendosi ipotizzare, anche tenuto conto dell'elevata pericolosità dell'arma in questione e della posizione professionale altamente qualificata del ricorrente, la particolare tenuità dell'offesa presupposta dall'art. 131-bis c.p. Sul punto, non si può che richiamare il seguente principio di diritto: "Ai fini della configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis c.p., il giudizio sulla tenuità richiede una valutazione complessa e congiunta di tutte le peculiarità della fattispecie concreta, che tenga conto, ai sensi dell'art. 133 c.p., comma 1, delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza da esse desumibile e dell'entità del danno o del pericolo" (Sez. U, n. 13682 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266591-01).

Le considerazioni esposte impongono di ribadire l'inammissibilità del secondo motivo di ricorso.

4. Per queste ragioni, il ricorso proposto da D.R.G. deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle Ammende, determinabile in tremila Euro, ai sensi dell'art. 616 c.p.p..
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2021
Avv. Antonino Sugamele

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