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Sentenza

Assolto dall'omicidio di un giornalista italiano e dal tentato omicidio di u...
Assolto dall'omicidio di un giornalista italiano e dal tentato omicidio di un giornalista francese. Regione ucraina del Donbass posta a valle della collina del Carachum.La Cassazione spiega le ragioni dell'inammissibilità del ricorso proposto dal Procuratore generale presso la Corte di Appello di Milano e delle parti civili e quindi la conferma dell'assoluzione dell'imputato.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 09-12-2021) 31-01-2022, n. 3347
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRICCHETTI Renato Giuseppe - Presidente -

Dott. SANDRINI Enrico G. - rel. Consigliere -

Dott. FIORDALISI Domenico - Consigliere -

Dott. BIANCHI Michele - Consigliere -

Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D'APPELLO DI MILANO dalla parte civile R.R. nato a (OMISSIS) dalla parte civile S.E. nato a (OMISSIS) dalla parte civile F.M.C. nato a (OMISSIS) dalla parte civile R.L.A. nato a (OMISSIS) dal responsabile civile STATO UCRAINO;

nel procedimento a carico di quest'ultimo e di:

M.V., nato a (OMISSIS) imputato, non ricorrente;

parti civili non ricorrenti:

ASS. LOMBARDA DEI GIORNALISTI;

FED. NAZIONALE DELLA STAMPA ITALIANA;

CESURA LAB;

avverso la sentenza del 03/11/2020 della CORTE ASSISE APPELLO di MILANO;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere SANDRINI ENRICO GIUSEPPE;

udito il Procuratore Generale nella persona di PICARDI ANTONIETTA;

Il P.G. conclude chiedendo in accoglimento del ricorso del Procuratore Generale e delle parti civili l'annullamento con rinvio della sentenza, nonchè la declaratoria di inammissibilità del ricorso del responsabile civile;

udito il difensore:

L'avvocato TAMBUSCIO EMANUELE per la parte civile R.L.A. conclude chiedendo l'accoglimento del proprio ricorso e deposita conclusioni e nota spese. L'avvocato BALLERINI ALESSANDRA per le parti civili R.R., S.E., F.M.C. conclude chiedendo l'accoglimento del proprio ricorso e deposita conclusioni e nota spese.

L'avvocato PISAPIA MARGHERITA conclude chiedendo l'accoglimento dei ricorsi delle P.C. e del P.G. e l'inammissibilità del ricorso del responsabile civile e deposita conclusioni e nota spese solo per le sue P.C..

l'avvocato BERTOLINI CLERICI NICCOLO' per il responsabile civile conclude chiedendo l'accoglimento del proprio ricorso.

L'avvocato SPIGARELLI VALERIO per l'imputato conclude chiedendo l'inammissibilità o in subordine il rigetto dei ricorsi delle P.C. e del P.G..

L'avvocato DELLA VALLE RAFFAELE per l'imputato conclude chiedendo l'inammissibilità in subordine il rigetto dei ricorsi delle P.C. e del P.G..
Svolgimento del processo

1. Con sentenza in data 12 luglio 2019 la Corte d'assise di Pavia condannava M.V. alla pena di anni 24 di reclusione, oltre pene e statuizioni accessorie, per i delitti, unificati in continuazione, di cui ai capi A e B della rubrica, consistiti rispettivamente nell'omicidio del giornalista italiano R.A. e nel tentato omicidio del giornalista francese R.W., esclusa l'aggravante contestata della crudeltà, commessi il (OMISSIS) nella regione ucraina del Donbass; condannava altresì l'imputato, in solido col responsabile civile Stato Ucraino, al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili costituite.

2. A seguito di appello dell'imputato e del responsabile civile, la Corte d'assise d'appello di Milano, con sentenza pronunciata il 3 novembre 2020, in riforma della decisione di primo grado assolveva, ai sensi dell'art. 530 c.p.p., comma 2, M.V. da entrambi i reati ascritti per non aver commesso il fatto e revocava le statuizioni civili della sentenza impugnata nei confronti dell'imputato e del responsabile civile.

3. Sulla base della ricostruzione del fatto operata e condivisa dalle sentenze di primo e secondo grado, le persone offese si erano recate a bordo di un taxi, insieme al fotografo russo M.A. rimasto parimenti ucciso nell'evento, nei pressi della città di Sloviansk situata nella regione del Donbass contesa tra lo stato dell'Ucraina e i separatisti filorussi, raggiungendo la linea di demarcazione tra i due opposti schieramenti, posta a valle della collina del Carachum presidiata dalle milizie della guardia nazionale ucraina in contatto coi retrostanti reparti regolari dell'esercito ucraino, rivestente importanza strategica perchè interessata dall'istallazione dell'antenna della TV di Stato ucraina irradiante le trasmissioni nella zona contesa, linea che correva lungo la linea ferroviaria fiancheggiante una fabbrica (la Zeus) e l'area, occupata dai separatisti filorussi, sottostante la collina; le vittime, scese dall'autovettura, mentre erano intente a scattare fotografie, erano state fatte segno di colpi di arma da fuoco, provenienti dapprima da armi automatiche (kalashnikov) che le avevano costrette a ripararsi in un fossato costeggiante la linea ferroviaria, unitamente al tassista e ad altro giovane presente in loco, ed erano state quindi fatte oggetto di una serie di salve di mortaio, progressivamente aggiustate sulla loro posizione, nella cui esplosione i giudici di merito avevano individuato la causa della morte del R. e del M. e del ferimento del R.; i colpi di mortaio, secondo la ricostruzione della sentenza d'appello fondata essenzialmente sulle dichiarazioni del teste sopravvissuto R. e su una serie di considerazioni logiche, erano stati sparati dall'esercito ucraino, che disponeva della relativa dotazione di artiglieria, in base alle coordinate fornite dai militi della guardia nazionale appostati sulla collina con compiti di osservazione e segnalazione, i quali avevano diretto il progressivo aggiustamento del tiro sulle persone offese, escludendo che a sparare i colpi mortali fossero stati i filorussi; R., ritenuto attendibile sia perchè privo di interesse all'esito della vicenda processuale in quanto già risarcito di ogni danno subito, sia per la sua esperienza pregressa di reporter di guerra, aveva infatti fornito una descrizione della provenienza dei colpi di mortaio - da ovest rispetto alla sua posizione nel fossato - coincidente con la collina presidiata dagli ucraini, mentre sul suo lato est insisteva, a immediato ridosso del fossato, il muro della fabbrica Zeus, dove si trovavano i filorussi, dalla cui direzione i colpi non potevano provenire.

M., quel giorno, era pacificamente presente in loco, arruolato nella guardia nazionale ucraina; la sentenza d'appello, dichiarata l'inutilizzabilità delle testimonianze dei militari ucraini superiori diretti dell'imputato o suoi commilitoni aventi la medesima posizione o gli stessi turni di servizio, perchè nei loro confronti vi erano o potevano essere ab initio indizi di correità che ne avrebbero imposto l'esame nelle forme dell'art. 210 c.p.p., previ gli avvertimenti di cui all'art. 63, lo ha assolto, per non aver commesso il fatto, dall'accusa di aver materialmente concorso nei delitti, mancando la prova certa sia che l'imputato occupasse una postazione dalla quale poteva osservare e quindi segnalare ai mortaisti dell'esercito la posizione delle vittime, dirigendo il tiro di aggiustamento su di esse, sia che egli occupasse la ridetta posizione sulla collina nel lasso temporale, compreso tra le 16:30 e le 17:30, in cui si collocavano gli eventi; è stata di conseguenza rigettata anche la domanda risarcitoria delle parti civili verso lo Stato Ucraino, nei cui riguardi la sentenza d'appello ha peraltro ribadito la sussistenza della giurisdizione italiana sul presupposto dell'idoneità dei fatti a integrare un crimine di guerra contro i giornalisti indifesi, e riconoscibili per tali, destinatari della protezione accordata dalla 4 convenzione di (OMISSIS), alla stregua dei principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 238 del 2014 sulla prevalenza della tutela dei diritti fondamentali della persona riconosciuti dalla Costituzione Italiana sulla regola generale di diritto consuetudinario internazionale (recepita dall'art. 10 Cost.) afferente la irresponsabilità risarcitoria dello Stato straniero per gli atti compiuti iure imperii dai suoi cittadini in danno dei cittadini di altro Stato.

4. Avverso la sentenza d'appello hanno proposto distinti ricorsi per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d'Appello di Milano, nonchè, a mezzo dei rispettivi difensori, i prossimi congiunti del R. costituiti parti civili e il responsabile civile.

4.1. Il ricorso proposto dal Procuratore Generale deduce, con unico, cumulativo, motivo, violazione di legge, in relazione agli artt. 63 e 177 ss. c.p.p., nonchè vizio di motivazione e travisamento delle prove.

Il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale di ritenere, d'ufficio e in assenza di eccezione di parte, l'inutilizzabilità delle deposizioni dei militari ucraini assunti in qualità di testi, ove superiori diretti dell'imputato o suoi commilitoni aventi la medesima posizione o gli stessi turni di servizio nel maggio 2014.

Con specifico riguardo alla ritenuta inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal teste A.A. nel corso dell'esame dell'8 febbraio 2019, il ricorrente rileva che dal relativo verbale emergeva che questi non era superiore diretto del M. all'epoca dei fatti, ricoprendo un ruolo gerarchico molto più elevato, e non aveva avuto alcun ruolo diretto nell'azione del (OMISSIS); il teste aveva riferito di essere coordinatore del primo battaglione di riserva della Guardia Nazionale Ucraina e che in tale ruolo esercitava funzioni di comando nelle operazioni iniziate il 2 maggio 2014 sotto la città di Sloviansk, in collegamento con l'esercito e col superiore Comando dell'Ucraina, nonchè di essersi recato sulla collina del Carachun per la prima volta l'8 giugno 2014 in occasione della rotazione del battaglione 15 giorni dopo i fatti; il teste, che secondo le sue dichiarazioni non aveva verificato se vi fossero ordini scritti stabilenti le postazioni e i turni di servizio dei militari della Guardia Nazionale, perchè ciò non rientrava nelle sue responsabilità, doveva ritenersi estraneo ai fatti-reato, con conseguente utilizzabilità della sua deposizione, dalla quale era emersa una serie di elementi di prova decisivi a carico dell'imputato, con riguardo all'assegnazione di specifiche postazioni ai militari della Guardia Nazionale dislocati sul Carachun, alla previsione di turni di servizio per ciascun militare sulla base di ordini verbali, all'individuazione dell'ufficiale competente ad assegnare le postazioni, alla gestione del registro scritto del combattimento da parte del comandante della compagnia, all'invio quotidiano di una cartina della disposizione del battaglione; quanto alla postazione occupata da M., che il teste conosceva personalmente fin dal 13 dicembre 2013, A., dopo la visione di un video proiettato in udienza riprendente anche la posizione dell'imputato, l'aveva collocata in un luogo da cui era possibile vedere la fabbrica Zeus e il passaggio a livello della ferrovia, così da assumere rilevanza decisiva al fine di contraddire l'affermazione della sentenza impugnata secondo cui non era dimostrabile con certezza che M. prèstasse servizio nella postazione di cui al video tratto dal suo tablet.

Secondo il ricorrente, anche la deposizione del teste M.B., introdotto dalla difesa, doveva essere ritenuta ammissibile perchè, in qualità di vice comandante della Guardia Nazionale Ucraina, egli aveva riferito di essersi recato sul Carachum solo dopo l'abbattimento di un elicottero ucraino avvenuto il 29 maggio 2014, mentre attorno al 20 maggio 2014 egli si era limitato ad avvicinarsi alla collina, rimanendovi non più di 20-30 minuti; il ruolo militare di vertice e la natura fugace delle sue presenze - in loco, in giorni diversi dal (OMISSIS), escludevano una corresponsabilità del teste nei fatti-reato, che non erano riconducibili a ordini da lui impartiti; anche dalla sua testimonianza erano emersi elementi decisivi di prova sulla possibilità di rotazione delle postazioni operative assegnate ai singoli militari in servizio sul Carachun, rotazione che poteva avvenire senza formale registrazione, concentrando i militi dove ve ne fosse la necessità, specie nel corso di combattimenti; doveva perciò concludersi che i soldati ucraini posizionati sulla collina il (OMISSIS) fossero dislocati in modo da individuare la posizione dei bersagli e da comunicarne l'avvistamento.

Con riguardo all'orario in cui l'imputato si trovava in servizio il (OMISSIS), il ricorrente censura il giudizio dubitativo formulato dalla Corte territoriale, rilevando che dalla testimonianza di A. era emersa l'interscambiabilità dei turni di servizio tra i militari presenti in base a semplici ordini verbali, specie in costanza di azioni di fuoco, contraddicendo sul punto quanto allegato dal M. sull'esistenza di turni scritti; dalle stesse dichiarazioni dell'imputato, erroneamente trascurate dalla sentenza impugnata, era emersa l'esistenza di turni operativi prestabiliti di 4 ore effettive, seguite da 4 ore a disposizione e da 4 ore di riposo; ciò comportava che M., il giorno dei fatti, doveva aver svolto un turno operativo di 8 ore complessive, contemplante la sua presenza sul Carachun dalle 16.30 alle 17.30.

Le testimonianze dei giornalisti ( V., I., F. e M.) che conoscevano personalmente l'imputato e avevano avuto contatti diretti con lui nel giorno dei fatti o in quelli immediatamente successivi, o lo utilizzavano come fonte informativa, ritenute tutte ammissibili dalla Corte territoriale, avevano riportato le dichiarazioni di M., aventi natura di confessione stragiudiziale, sulla sua partecipazione all'azione di fuoco che aveva causato la morte delle persone offese, rese - in particolare nel corso delle comunicazioni telefoniche con F.M. - addirittura a combattimento in corso; dalle stesse (in specie quelle riferite da M.I.) emergeva la funzione di comando svolta dall'imputato, riscontrata dai contenuti delle intercettazioni ambientali eseguite nel carcere di Pavia il 17 luglio 2017; la sentenza impugnata era perciò incorsa in un travisamento delle risultanze di prova, che ne legittimava l'annullamento e la necessità di rinnovare il dibattimento mediante nuovo esame dei testi A., B., I., F. e M..

4.2. I ricorsi proposti, ai soli effetti civili ex art. 576 c.p.p., dalla parte civile R.L.A., col patrocinio dell'avv. Emanuele Tambuscio e dalle parti civili R.R., S.E. e F.M.C., con il patrocinio dell'avv. Alessandra Ballerini, deducono due motivi dai contenuti comuni, che possono essere riassunti in modo congiunto.

Col primo motivo le parti civili lamentano violazione degli artt. 63 e 177 ss. c.p.p., nonchè vizio di motivazione e travisamento delle prove, con riguardo alla ritenuta inutilizzabilità delle deposizioni dei testi A. e B., in termini sovrapponibili a quelli - già riportati - del ricorso del Procuratore Generale, da intendersi perciò qui integralmente richiamati.

L'eccessiva concisione della motivazione con cui la Corte territoriale aveva ritenuto inutilizzabili ex art. 63 c.p.p., le dichiarazioni dei due militari ucraini sull'erroneo presupposto che si trattasse di superiori diretti dell'imputato o di commilitoni aventi la medesima posizione o gli stessi turni di servizio nel maggio 2014, non consentiva di comprendere, secondo i ricorrenti, se fosse stata ritenuta la inutilizzabilità di cui al comma 1 della norma processuale o quella erga omnes di cui al comma 2, nonostante quest'ultima fosse contraddetta dall'assenza di elementi indiziari a carico dei testi prima dell'assunzione della loro deposizione, in particolare quella del B., soggetto indicato esclusivamente dalla difesa e mai sentito in precedenza; la sentenza impugnata non si era attenuta ai principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte per cui il giudice deve essere messo in condizione di conoscere la situazione di incapacità a testimoniare del soggetto per applicare gli artt. 63 e 210 del codice di rito, così che, non emergendo l'incapacità dagli atti del fascicolo del dibattimento, essa avrebbe dovuto essere dedotta dal teste o eccepita dalle parti, e non poteva essere rilevata d'ufficio come aveva fatto la Corte territoriale; le parti civili ribadivano l'assenza di qualsiasi indizio di reità preesistente o emerso nel corso delle deposizioni, delle quali invocavano la natura decisiva a carico del M. per le ragioni già indicate nel ricorso della parte pubblica.

Anche con riguardo all'erronea valutazione delle dichiarazioni dell'imputato sugli orari della sua presenza sul Carachun e al travisamento del contenuto delle testimonianze rese dai giornalisti F., M., V. e I. su quanto appreso dal M. circa la sua attiva partecipazione all'azione di fuoco del pomeriggio del (OMISSIS), i ricorsi delle parti civili censurano la motivazione della sentenza impugnata in termini conformi a quelli del Procuratore Generale.

Col secondo motivo, le parti civili denunciano violazione di legge processuale e assenza di motivazione con riguardo all'omessa riassunzione da parte della Corte di secondo grado, nelle forme garantite dell'art. 210 c.p.p., delle testimonianze dei militari ucraini che erano state giudicate inutilizzabili, nonostante la loro natura decisiva.

4.3. Il ricorso proposto nell'interesse dello Stato Ucraino, in persona dell'Ambasciatore plenipotenziario in Italia, dal difensore e procuratore speciale avv. Niccolò Bertolini Clerici, deduce i seguenti motivi di censura.

Il ricorrente premette la legittimazione e l'interesse del responsabile civile ad impugnare la sentenza di assoluzione dell'imputato con formula dubitativa per non aver commesso il fatto, anzichè perchè il fatto non sussiste, in quanto i fatti erano stati contestati al M. in concorso con altri soggetti arruolati nell'esercito regolare ucraino ovvero affiliati al corpo paramilitare ausiliario della Guardia Nazionale impegnati nel Dombass, e la sentenza d'appello aveva confermato le conclusioni della decisione di primo grado sulla provenienza dei colpi che avevano attinto le vittime dalla collina del Carachum, siccome sparati dai militari dell'armata ucraina, con conseguente utilizzabilità dei fatti ivi accertati, una volta divenuta definitiva la sentenza, ex art. 238-bis c.p.p., anche in altri processi in cui lo Stato Ucraino fosse citato in qualità di responsabile civile per i medesimi fatti imputati ai soggetti individuati quali concorrenti del M.; l'attualità dell'interesse al ricorso discendeva dalla trasmissione di copia degli atti alla Procura della Repubblica di Roma, disposta dalla Corte d'assise di Pavia, perchè si procedesse nei confronti del superiore gerarchico di M. e degli altri responsabili.

Con un primo motivo, il ricorrente denuncia violazione dell'art. 20 c.p.p., in relazione alla L. 14 gennaio 2013, n. 5, art. 3, nel testo risultante dalla sentenza n. 238 del 2014 della Corte costituzionale, nonchè vizio di motivazione in ordine alla sussistenza della giurisdizione dello Stato Italiano; i fatti non si erano verificati, nemmeno in parte, in territorio italiano, con la conseguenza che nel caso di specie non poteva trovare applicazione il principio, derogatorio della regola consuetudinaria di diritto internazionale sull'immunità degli Stati dalla giurisdizione civile di altri Stati per gli atti posti in essere iure imperii, affermato dalla Consulta con riguardo ai crimini contro l'umanità commessi da uno Stato straniero sul territorio italiano.

Con un secondo motivo, il ricorrente lamenta vizio di motivazione della sentenza impugnata con riguardo all'attribuzione del fatto all'esercito ucraino e alla Guardia Nazionale ucraina e alla conseguente assoluzione dell'imputato con la formula per non aver commesso il fatto, anzichè perchè il fatto non sussiste, nonchè travisamento della prova.

Il ricorrente rileva la contraddizione in cui era incorsa la Corte territoriale nell'escludere che le vittime fossero state colpite dai separatisti filorussi, nonostante l'accertata presenza di questi in prossimità della linea ferroviaria dove si trovavano le persone offese e i colpi dagli stessi esplosi nei confronti di R. fintantochè questi non si era qualificato come giornalista; l'assunto dei giudici di merito secondo cui le vittime erano state bersagliate da colpi di mortaio provenienti esclusivamente dalla collina del Carachum, sulla quale erano dispiegati i soldati ucraini, e indirizzati contro le stesse e non contro i filorussi, non trovava conferma nell'annotazione di polizia giudiziaria contenente la trascrizione di quanto ripreso dal video girato nell'occasione da R., nè nelle dichiarazioni del tassista che aveva accompagnato sui luoghi le persone offese.

Con successiva memoria depositata il 22 novembre 2021 il difensore del responsabile civile ribadisce l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice italiano e il travisamento delle prove in cui era incorsa la sentenza impugnata, con particolare riguardo all'utilizzo dei contenuti del rapporto OSCE del 23 maggio 2014 e di quello del Direttore di Human Rights Watch del 6 giugno 2014.

5. I difensori dell'imputato, avv. Raffaele Della Valle e Valerio Spigarelli, hanno depositato memoria con cui chiedono che i ricorsi della parte pubblica e delle parti civili siano dichiarati inammissibili.

Premessa una sintetica ricostruzione della vicenda processuale, la difesa del M. evidenzia le criticità della ricostruzione del fatto, operata dai giudici di primo grado, secondo cui i colpi che avevano attinto le persone offese sarebbero stati riconducibili, nella loro provenienza, esclusivamente alle forze ucraine, perchè basata essenzialmente sulle convinzioni personali del teste R. e contraddette dalle risultanze obiettive, nonchè da una serie di considerazioni logiche che conducevano a ritenere più verosimile l'evenienza di un fuoco incrociato proveniente da entrambi gli schieramenti che si fronteggiavano in loco. Quanto alla posizione specifica dell'imputato, la difesa ribadisce l'assenza di elementi in grado di asseverare l'ipotesi che M. fosse in servizio attivo al momento del fatto e, ove presente in loco, occupasse una postazione dalla quale sarebbe stato in grado di osservare i movimenti delle vittime e di fornire ai mortaisti dell'esercito le coordinate di tiro; i testimoni escussi non erano stati in grado di indicare, se non in termini perplessi e contraddittori, la postazione dell'imputato, mentre dalle loro deposizioni era emerso che la decisione di attivare il fuoco di artiglieria era di competenza esclusiva dell'esercito regolare, e non della guardia nazionale, che aveva meri compiti segnalatori tramite la catena di comando alla quale era estraneo il M., ricoprente il ruolo di semplice soldato; il teste B. si era limitato a riferire il dato irrilevante relativo alla possibilità che i militari in servizio sul Carachum, durante l'azione, potessero cambiare posizione in base a meri ordini verbali, ciò che nulla dimostrava circa la, postazione effettiva tenuta dall'imputato al momento degli spari, mentre il teste A. aveva dichiarato che la postazione di M. guardava verso A. piuttosto che verso la fabbrica Zeus e la zona ad essa antistante teatro degli eventi; nè l'imputato aveva mai reso dichiarazioni confessorie, di natura extragiudiziale, sulla sua partecipazione ai fatti-reato, nel corso delle conversazioni intercettate in carcere o dei dialoghi, riportati, coi giornalisti.

I ricorsi, intesi a sollecitare, attraverso l'annullamento della sentenza impugnata, una rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale mediante la riassunzione in forme garantite dei testi B. e A., erano dunque inammissibili, perchè da un lato insuscettibili di soddisfare la prova di resistenza circa l'idoneità delle testimonianze a superare l'oggettiva incertezza probatoria esistente sui punti decisivi afferenti la collocazione spazio-temporale dell'imputato al momento dei fatti, e dall'altro si risolvevano in una non consentita lettura alternativa delle risultanze processuali.
Motivi della decisione

1. Tutti i ricorsi proposti avverso la sentenza pronunciata il 3 novembre 2020 dalla Corte d'assise d'appello di Milano devono essere dichiarati inammissibili, per le ragioni di seguito esposte.

2. Il ricorso del Procuratore generale della Repubblica e quelli proposti dall'avv. Emanuele Tambuscio e dall'avv. Alessandra Ballerini nell'interesse delle parti civili da essi rispettivamente rappresentate, valutabili agli effetti dell'art. 576 c.p.p., deducono motivi in larga misura comuni e tra loro sovrapponibili, che è opportuno esaminare congiuntamente al fine di evitare inutili ripetizioni.

2.1. I ricorsi sono manifestamente infondati, e perciò inammissibili, nella parte in cui deducono la violazione degli artt. 63 e 210 c.p.p., con riguardo alla decisione della sentenza d'appello di ritenere inutilizzabili nei riguardi dell'imputato le deposizioni testimoniali dei militari ucraini individuati dalla Corte. distrettuale come superiori diretti dell'imputato o suoi commilitoni aventi la medesima postazione o i medesimi turni di servizio nel mese di maggio 2014 (epoca dei fatti) - e in particolare dei testi A. e B. - in quanto potenziali concorrenti nei reati ascritti al M., nei confronti dei quali dovevano ritenersi ravvisabili indizi di correità fin dall'inizio del loro esame, tali da imporne l'assunzione con l'assistenza del difensore nelle forme garantite stabilite dagli artt. 63 e 64 del codice di rito.

Costituisce orientamento consolidato di questa Corte che, in tema di prova dichiarativa, allorchè venga in rilievo la veste che può assumere il dichiarante, spetta al giudice di merito il potere-dovere di verificare in termini sostanziali, e quindi al di là del riscontro di indici formali quali l'eventuale già intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato, l'attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le dichiarazioni stesse vengano rese, sicchè il relativo accertamento si sottrae, se congruamente motivato, al sindacato di legittimità (Sez. U n. 15208 del 25/2/2010, Rv. 246584; e, da ultima, Sez. 5 n. 39498 del 25/6/2021, Rv. 282030).

La puntuale verifica della corretta veste processuale secondo cui deve essere assunto l'esame del soggetto la cui testimonianza sia stata introdotta dalle parti costituisce, dunque, preciso dovere del giudice - cui il giudice di merito è tenuto a procedere d'ufficio, anche in assenza di eccezione di parte e a prescindere dalla veste attribuita al teste dalla parte che lo ha introdotto - e il relativo esito, con particolare riguardo al caso (che qui interessa) di ritenuta sussistenza ab initio di indizi di reità a carico del soggetto, integra un accertamento in punto di fatto che, ove sorretto da congrua motivazione, non è sindacabile dalla Corte di legittimità.

Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha dato conto (alla pagina 32 della motivazione) della veste di superiori dell'imputato, nella catena di comando della guardia nazionale ucraina, sia dell' A., in qualità di coordinatore del primo battaglione di riserva del corpo paramilitare, sovraordinato a R.G. e a M.B., rispettivamente comandanti della compagnia e del plotone in cui militava il M.; sia del B., in quanto comandante della guardia nazionale ucraina a partire dal 7 maggio 2014.

Dalla motivazione della sentenza d'appello emerge, dunque, che entrambi i testimoni rivestivano ruoli diretti - e rilevanti - di comando nelle operazioni belliche in corso contro i separatisti filorussi nella zona di Sloviansk, nel cui contesto si collocano i fatti-reato ascritti all'imputato in qualità di militare arruolato nella guardia nazionale ucraina e in esecuzione degli ordini impartiti dai suoi superiori in grado, secondo la consueta catena gerarchica propria dell'ordinamento militare; è lo stesso ricorso del Procuratore generale, del resto, a dare atto che A., secondo le sue dichiarazioni, esercitava funzioni di comando sulle operazioni iniziate il 2 maggio 2014 sotto la città di Sloviansk, in collegamento con l'esercito ucraino, mentre il B. aveva riferito a sua volta di essersi recato, nella veste di comandante del corpo, nei pressi della collina del Carachum attorno al 20 maggio 2014 (prima dei fatti oggetto di processo); entrambi i testi apparivano pertanto ab origine, oltre che a diretta e personale conoscenza dei luoghi, responsabili dello schieramento sul terreno e dei compiti assegnati ai militi della guardia nazionale ucraina ivi dispiegati - in quanto ad essi gerarchicamente subordinati ed agenti secondo i loro ordini e direttive compiti tra i quali rientrava quello di presidiare e difendere la collina del Carachum e le installazioni strategiche della televisione di Stato ucraina ivi presenti, segnalando in particolare all'artiglieria dell'esercito regolare, appostata nelle retrovie, le eventuali necessità di intervento e gli obiettivi da colpire.

La decisione della Corte di secondo grado di ritenere inutilizzabili - erga omnes, e dunque anche nei confronti del M. - le dichiarazioni rese in qualità di testimoni "ordinari" ex art. 198 c.p.p., dall' A. e dal B. risulta perciò coerentemente argomentata con riferimento al ruolo ricoperto dai due soggetti nella catena di comando coinvolta nella vicenda fattuale e alla concreta formulazione delle imputazioni su cui si è svolto il giudizio, che addebitano al M. l'omicidio del R. e il tentato omicidio del R. non già come il frutto di un'iniziativa personale, autonoma ed estemporanea dell'imputato, ma a titolo di compartecipazione materiale al risultato di un'azione di fuoco collettiva, concertata ed attuata, in concorso con gli altri militari responsabili appartenenti alla guardia nazionale e all'esercito regolare ucraini, nel contesto della postazione occupata e in esecuzione degli ordini ricevuti di fare fuoco in direzione di persone sospette e di segnalarne la posizione alle forze di artiglieria individuate come autrici dei colpi mortali.

La individuabilità ab initio dei due soggetti come potenziali coindagabili dei medesimi reati ascritti all'imputato legittimava, di conseguenza, la rilevabilità d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio (art. 191 c.p.p., comma 2), dell'inutilizzabilità del risultato dei relativi esami testimoniali assunti in violazione della norma inderogabile di cui all'art. 63, comma 2, del codice di rito, sulla scorta di un giudizio che - alla stregua degli elementi sin qui esposti - non è sindacabile in sede di legittimità.

La sentenza impugnata non è dunque incorsa - sul punto - in alcuna violazione di legge, vizio di motivazione o travisamento della prova, ma ha tratto delle conclusioni giuridiche coerenti al dettato normativo e logicamente consequenziali a una lettura ragionata di acquisizioni istruttorie sostanzialmente incontroverse nel loro substrato fattuale: le censure dei ricorrenti, intese a contraddire il giudizio di inutilizzabilità degli esami testimoniali dell' A. e del B. sotto il profilo di una dedotta estraneità dei testi ai fatti-reato che discenderebbe dalla mancanza di un loro coinvolgimento diretto nell'azione di fuoco del (OMISSIS), in quanto non presenti in loco nell'occasione e rivestenti un ruolo di comando di rango più elevato rispetto ai superiori immediati dell'imputato, si risolvono nel prospettare un'interpretazione alternativa di elementi fattuali già vagliati dalla Corte di merito, che non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità e confligge - peraltro - coi dati notori di funzionamento della catena gerarchica militare di comando, che è stata oggettivamente ricostruita dalla sentenza d'appello con riguardo al corpo della guardia nazionale ucraina allora operante nella zona.

2.2. I ricorsi del Procuratore generale e delle parti civili presentano un ulteriore profilo di inammissibilità, nella misura in cui non si confrontano adeguatamente col tema decisivo dell'idoneità delle dichiarazioni dell' A. e del B., anche nell'ipotesi in cui fossero ritenute utilizzabili, a supportare la prova della responsabilità del M. nei termini a lui ascritti.

Dalla lettura dei capi d'imputazione emerge inequivocabilmente che la condotta addebitata al M. è quella di aver apportato "un contributo materiale determinante" all'offesa delle vittime (l'uccisione di R. e il grave ferimento di R.), mediante azioni consistite dapprima nel fare fuoco verso le stesse con armi portatili individuali del tipo kalashnikov, e poi nel dirigere e aggiustare progressivamente verso il fossato in cui i giornalisti avevano cercato riparo il tiro dei mortai in dotazione alle forze regolari dell'esercito ucraino appostate nelle retrovie; in particolare, proprio nell'esplosione dei colpi di mortaio è stata individuata dai giudici di merito la causa delle lesioni provocate alle vittime, mediante l'investimento dei corpi da parte delle schegge liberate dallo scoppio degli ordigni così sparati.

L'azione causale imputata al M. postula dunque la sua presenza fisica sul (OMISSIS), nell'orario - compreso tra le 16:30 e le 17:30 - in cui si collocano i fatti-reato, appostato sulla collina in una posizione tale da poter rilevare la presenza dei giornalisti, osservarne i movimenti e segnalarli all'artiglieria: è proprio la ritenuta assenza di prova sufficiente sul punto che ha determinato la sentenza assolutoria pronunciata all'esito del giudizio d'appello. Su tale punto circostanziale decisivo le conclusioni della sentenza impugnata non appaiono suscettibili di essere scalfite dai contenuti degli esami resi dall' A. e dal B., così come riportati dai ricorrenti negli atti di impugnazione, anche qualora fossero ritenuti utilizzabili o ne fosse disposta la rinnovata assunzione nelle forme garantite dell'art. 210 c.p.p..

Dalla lettura dei ricorsi emerge testualmente che i dichiaranti, entrambi non presenti (pacificamente) sul Carachum al momento dei fatti, nulla sono stati in grado di riferire sulla condotta, sulla postazione occupata e sulla stessa presenza in servizio del M. nel contesto spaziotemporale dell'azione di fuoco.

Il B. si è limitato a riferire circostanze utili soltanto a dimostrare, in generale, che i militi della guardia nazionale ucraina in servizio sulla collina erano dislocati in posizioni mobili e interscambiabili, in grado di consentire loro di individuare potenziali bersagli e comunicarne l'avvistamento all'artiglieria.

L' A., pur dichiaratosi a conoscenza della posizione all'epoca occupata sulla collina dai militi alle sue dipendenze, si è tuttavia espresso - all'esito della visione di un filmato ritraente i luoghi, proiettato nell'aula d'udienza nel corso della deposizione - in termini imprecisi e in parte dubitativi ("per quello che vedo dal video questa è la posizione che dà sul villaggio A. e dovrebbe essere occupata dalla guardia nazionale, doveva essere la posizione loro"), rispondendo alla domanda se la postazione ripresa fosse quella del M. ("Circa, sì, perchè sui 45 gradi vediamo la Zeus") e a quella se l'imputato potesse vedere Sloviansk dalla propria posizione ("Se si fosse girato dall'altra parte, se si fosse girato, sì, poteva vederlo. Ma la postazione sua era indirizzata direttamente su A.. Esatto, Perchè lì c'era il passaggio a livello") (p. 85 della sentenza di primo grado): ma il dato di fatto, così acquisito, che il M. tenesse una posizione sul Carachum dalla quale sarebbe stato possibile vedere i luoghi (la zona antistante la fabbrica Zeus, fiancheggiante la linea ferroviaria) in cui avvennero i fatti non equivale alla prova - così come puntualmente rilevato dalla sentenza d'appello che egli fosse in servizio attivo al momento dell'arrivo dei giornalisti e della verificazione dei reati, occupando effettivamente quella postazione e partecipando personalmente alle attività di avvistamento, segnalazione, apertura e aggiustamento del fuoco.

Tutte le considerazioni svolte dai ricorrenti negli atti di impugnazione su una diversa lettura possibile delle relative acquisizioni dichiarative, coordinate con le testimonianze de relato rese dai giornalisti italiani che ebbero contatti, diretti o indiretti, con l'imputato a immediato ridosso dei fatti, e coi contenuti delle conversazioni intercettate nei confronti del M. durante la sua detenzione, sono connotate da un'intrinseca natura congetturale che le rende strutturalmente inidonee a scardinare la tenuta logica della decisione assolutoria alla quale è pervenuta la sentenza impugnata, proprio perchè sviluppate a partire da un dato privo di obiettiva certezza processuale in ordine alla effettiva presenza in servizio dell'imputato nel contesto temporale della commissione dei fatti-reato.

2.3. Per le medesime ragioni risulta inammissibile la doglianza che censura la mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale da parte della Corte di secondo grado mediante un nuovo esame dell' A. e del B. nelle forme garantite dell'art. 210 del codice di rito, articolata nel secondo dei motivi di ricorso delle parti civili.

Costituisce ius receptum che la mancata rinnovazione in appello dell'istruttoria dibattimentale può essere censurata mediante ricorso per cassazione soltanto qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove nel giudizio di secondo grado (ex multis, Sez. 5 n. 32379 del 12/4/2018, Rv. 273577; Sez. 6 n. 1400 del 22/10/2014, dep. 14/1/2015, Rv. 261799); di conseguenza, il motivo di ricorso con cui si deduca la decisività di una prova non raccolta o non rinnovata, al fine di inficiare la tenuta logica della sentenza d'appello, deve illustrare - a pena di inammissibilità per aspecificità dell'impugnazione - la sua incidenza determinante nella produzione di un diverso esito processuale, attraverso una sorta di prova di "non resistenza" della decisione impugnata (in termini speculari all'ipotesi in cui il ricorso lamenti l'inutilizzabilità di un elemento di prova a carico, la rilevanza della cui espunzione postula la dimostrazione che le residue acquisizioni istruttorie non siano di per sè sufficienti a giustificare l'identico convincimento: Sez. 2 n. 7986 del 18/11/2016, dep. 20/2/2017, Rv. 269218).

Nel caso di specie, i ricorrenti si limitano a sollecitare la rinnovazione di una prova dichiarativa strutturalmente priva, anche nella lettura riproposta nel motivo di impugnazione, della capacità di superare, per le ragioni sopra esposte, l'oggettiva insufficienza del quadro probatorio nei confronti dell'imputato.

3. Il ricorso proposto dall'avv. Niccolò Bertolini Clerici nell'interesse del responsabile civile è inammissibile, sotto l'assorbente profilo della carenza di legittimazione del responsabile civile ad impugnare la sentenza di assoluzione dell'imputato che non contenga statuizioni risarcitorie o relative alla rifusione delle spese processuali.

L'ambito oggettivo della legittimazione all'impugnazione del responsabile civile è regolato dall'art. 575 c.p.p., che al comma 1 stabilisce che l'impugnazione può essere proposta contro le disposizioni della sentenza riguardanti la responsabilità dell'imputato e contro quelle relative alla condanna di questi e del responsabile civile alle restituzioni, al risarcimento del danno e alla rifusione delle spese processuali, mentre il successivo comma 3 dispone che il responsabile civile può altresì proporre impugnazione contro le disposizioni della sentenza di assoluzione relative alle domande proposte per il risarcimento del danno e per la rifusione delle spese processuali.

Si tratta di un regime ben circoscritto, che delimita l'impugnazione alle sole sentenze che spiegano effetti in modo immediato e diretto sul rapporto che fa capo al responsabile civile quale soggetto obbligato ex art. 185 c.p., per il fatto dell'imputato, in coerenza con le ragioni che ne giustificano la presenza nel processo penale e con la natura accessoria del rapporto processuale di cui il responsabile civile diviene titolare a seguito della vocatio in iudicium o del suo intervento volontario.

Al di fuori delle sentenze contenenti pronuncia di condanna dell'imputato ai sensi dell'art. 533 c.p.p., e dei conseguenti capi concernenti gli interessi civili, ex artt. 538 ss. del codice di rito, la sentenza di assoluzione - quale è quella pronunciata nel caso di specie nei confronti del M., con la formula per non aver commesso il fatto - è impugnabile dal responsabile civile con esclusivo riguardo alle (eventuali) statuizioni sulle domande di risarcimento del danno e di rifusione delle spese processuali (Sez. 1 n. 31130 del 17/6/2004, Rv. 229154), che non sono presenti nella sentenza pronunciata il 3 novembre 2020 dalla Corte d'assise d'appello di Milano, la quale ha revocato tutte le statuizioni civili della sentenza di primo grado e non ne contiene di proprie.

In forza del principio di tassatività delle impugnazioni non residua perciò alcuna legittimazione del responsabile civile - Stato Ucraino - ad impugnare la sentenza. L'inammissibilità - sotto tale prioritario (dal punto di vista logico) profilo dell'impugnazione assorbe ogni altra questione dedotta dal ricorrente.

4. All'inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna delle parti private ricorrenti al pagamento delle spese processuali e a versare, ciascuna, alla Cassa delle ammende la sanzione pecuniaria che si stima equo quantificare nella somma di 3.000 Euro, in assenza di elementi in grado di escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. n. 186 del 2000).

Nei rapporti tra le parti private vanno infine compensate, per quanto occorre, le spese processuali relative al presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna le parti civili ricorrenti e il responsabile civile al pagamento delle spese processuali e ciascuno al pagamento della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Compensa, per quanto occorre, tra le parti private le spese sostenute.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 31 gennaio 2022
Avv. Antonino Sugamele

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