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Sentenza

Il Tribunale Militare di Napoli condanna un Brigadiere Capo dei Carabinieri che ...
Il Tribunale Militare di Napoli condanna un Brigadiere Capo dei Carabinieri che definisce un subordinato (Appuntato) "parassita dei Carabinieri" e lo condanna per minaccia per avere detto al subordinata che gli faceva una faccia "quanto un pallone" e che lo avrebbe ucciso. Quest'ultima accusa cade in appello, ma la Cassazione conferma il resto.
Corte di cassazione penale, sez. I, 21 settembre 2023 n. 38664
  
ud. del 19 maggio 2023
Presidente Mogini Stefano; Estensore Masi Paola; Ricorrente Omissis


Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa in data 09 novembre 2022 la Corte militare di appello, riformando parzialmente la sentenza emessa in data 16 marzo 2022 dal Tribunale militare di Napoli, ha condannato il brig. capo CC M.V. alla pena di tre mesi di reclusione militare, con i doppi benefici di legge, per il reato di ingiuria aggravata ad inferiore di cui all'art. 196 c.p.m.p., comma 2, e art. 47 c.p.m.p., per avere il (Omissis) offeso l'app. G.T., appartenente al Nucleo Cinofili di (Omissis), agendo per cause non estranee al servizio e alla disciplina. Ha confermato le statuizioni civili, riducendo però l'importo della somma liquidata a titolo di risarcimento dei danni.
Il Tribunale aveva condannato il brig. M. alla pena di sette mesi di reclusione militare, per avere minacciato e offeso l'app. G. il (Omissis), più volte ingiuriandolo, minacciandolo di percosse e cercando di afferrarlo per un braccio, ed aveva contestualmente condannato l'app. G. per insubordinazione con minaccia e ingiuria aggravata. La Corte di appello ha ritenuto insussistente la condotta di minaccia contestata al brig. M.: egli aveva discusso con l'app. G. lamentandosi per il fatto che questi aveva riferito ad un superiore un comportamento scorretto dello stesso brig. M., l'app. G. aveva risposto in modo offensivo, ed il brig. M. lo aveva. apostrofato con la frase "parassita dei carabinieri", che i giudici hanno ritenuto costituire un'ingiuria verso un subordinato. La Corte di appello, invece, non ha ritenuto provato con la necessaria certezza che l'imputato avesse minacciato di fargli una faccia "quanto un pallone" e di ucciderlo, frasi riferite dalla vittima ma non dai testi, i quali avevano dichiarato di avere sentito altre frasi, più ambigue quanto al contenuto minatorio, in particolare la frase "ti faccio la liberatoria", ed ha assolto il brig. M. ritenendo che quest'ultima espressione non costituisse una minaccia. Ha invece escluso, in relazione al reato residuo, la sussistenza dell'attenuante di cui all'art. 198 c.p.m.p., avendo il brig. M. stesso iniziato la discussione.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso M.V., con due atti predisposti separatamente dai suoi difensori avv. Rivello Pierpaolo e avv. Sansone Salvatore.
3. L'avv. Rivello articola il proprio ricorso in quattro motivi.
3.1. Con il primo motivo lamenta il travisamento dei fatti, la illogicità della motivazione, la carenza di prova e l'omessa valutazione dei motivi di appello.
La sentenza impugnata non ha tenuto conto dei preesistenti motivi di astio dell'app. G. verso il brig. M.. Inoltre ha fondato la condanna sulla testimonianza della sola teste P., immotivatamente ritenendola più attendibile delle altre deposizioni ascoltate, sebbene tutti gli altri testi abbiano escluso di avere sentito il brig. M. pronunciare la frase ingiuriosa contestata. Detta teste è collega della parte offesa, circostanza che ne incrina l'attendibilità, e non è vero che ella sia stata l'unica ad avere assistito ai fatti sin dall'inizio, come sostenuto dalla Corte di appello per giustificare la maggiore valenza data alle sue dichiarazioni, perchè anche i testi V. e F. hanno narrato la vicenda in modo completo, negando però che il brig. M. abbia pronunciato detta frase.
3.2. Con il secondo motivo lamenta la illogicità e carenza della motivazione nell'escludere l'applicabilità dell'istituto di cui all'art. 131-bis c.p..
La sentenza l'ha negata perchè l'episodio avrebbe offuscato l'immagine di disciplina, ma l'istituto non può essere escluso per tale motivo, perchè ciò comporterebbe la sua inapplicabilità per moltissimi reati militari. L'applicabilita' deve essere valutata in concreto, e la stessa Corte ha ritenuto che l'episodio sia stato di modesta gravità. Altrettanto errato è escludere l'istituto perchè il fatto e' avvenuto al cospetto di altri militari, come se esso fosse applicabile solo nel caso contrario: molti reati militari prevedono, quale condizione, il fatto di essere commessi in presenza di altri militari, e l'affermazione della Corte di appello porterebbe ad escludere a priori l'applicazione ad essi di tale forma di assoluzione.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso censura la illogicità e la carenza della motivazione in merito al mancato riconoscimento dell'attenuante della provocazione prevista dall'art. 198 c.p.m.p..
I testi hanno confermato le frasi ingiuriose pronunciate dall'app. G. contro l'imputato, per cui se anche questi lo avesse definito "parassita", avrebbe solo agito in uno stato d'ira provocato dal fatto ingiusto altrui. La Corte ha escluso l'attenuante addebitando al brig. M. le cause della discussione, ma ciò è errato, dovendosi invece valutare se vi sia stato un fatto ingiusto altrui, capace di provocare uno stato d'ira, valutazione che è stata omessa.
3.4. Con il quarto motivo lamenta il travisamento dei fatti e la illogicità della motivazione in merito all'omessa concessione della prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante.
La sentenza impugnata nega tale prevalenza attribuendo al brig. M. il ruolo di "responsabile del Centro Polifunzionale di (Omissis)", ruolo che invece egli non aveva. E' errato negare tale prevalenza per il superiore grado gerarchico dell'imputato, che gli avrebbe imposto un maggior rispetto delle regole comportamentali, non rivestendo il brig. M. un grado apicale, ed è errato anche negarle perché egli avrebbe dato inizio alla discussione, dal momento che lo stato di ostilità tra i due litiganti ha avuto origine dall'app. G., a cui anche in quella occasione il brig. M. si limitò a chiedere un chiarimento in relazione alla sua ennesima condotta ostile. Infine è errato e ingiustificato avere negato tale prevalenza al brig. M. perché si è sempre dichiarato innocente, riconoscendola invece all'app. G. a motivo delle sue parziali ammissioni.
4. L'avv. Sansone articola il proprio ricorso in due motivi.
4.1. Con il primo lamenta la violazione dell'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p. per la errata valutazione della prova e la contraddittorietà e illogicità della motivazione.
La sentenza impugnata non motiva in merito alla sussistenza del reato di ingiuria aggravata, limitandosi a confermare la sentenza di primo grado, senza dare conto dei motivi di impugnazione ed omettendo persino di riproporre la motivazione del giudice di primo grado o di riportarsi ad essa "per relationem", in particolare omettendo di riportare il fatto che la frase ingiuriosa non sia stata confermata da ben nove dei dieci testi ascoltati.
4.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione dell'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p., per la errata valutazione della prova e la contraddittorietà e illogicità della motivazione, ripetendo che dei dieci testi ascoltati solo la teste P. ha riferito di avere sentito l'imputato pronunciare la frase "Sei un parassita dei Carabinieri". Ella, però, è una collega della persona offesa, elemento che fa propendere per una sua "benevola versione diretta a favorire il collega". La sentenza fa immotivatamente prevalere tale testimonianza su quella degli altri nove testimoni, risultando perciò illogica e contraddittoria.
3. Il Procuratore generale, nella discussione orale, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto con i due diversi atti è infondato in tutti i suoi motivi, e deve essere rigettato.
I due atti ripropongono, sostanzialmente, le medesime doglianze già avanzate nell'atto di appello, ma la sentenza impugnata le ha respinte con motivazione adeguata, non illogica nè contraddittoria.
1.1. La Corte di cassazione, in particolare nelle sentenze Sez. II, n. 9106 del 12 febbraio 2021, Caradonna, Rv. 280747; Sez. VI, n. 13809 del 17 marzo 2015, O., Rv. 262965, ha chiarito che "in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicchè sono inammissibili tutte le doglianze che "attaccano" la persuasivita', l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo, elemento". E' infatti un principio consolidato quello secondo cui "esula dai poteri della Cassazione, nell'ambito del controllo della motivazione del provvedimento impugnato, la formulazione di una nuova e diversa valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacchè tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare il giudizio di legittimità solo la verifica dell'"iter" argomentativo di tale giudice, accertando se quest'ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione" (Sez. VI, n. 1354 del 14 aprile 1998, Rv. 210658, e le molte successive).
Deve pertanto escludersi l'ammissibilità dei motivi che lamentano il travisamento del fatto, introdotti in questo caso dal ricorrente, in quanto "Anche a seguito della modifica apportata all'art. 606 comma 1, lett. e), c.p.p., dalla L. n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito" (Sez. III, n. 18521 del 11 gennaio 2018, Rv. 273217).
1.2. Deve inoltre considerarsi che, avendo la sentenza di appello riformato quella di primo grado solo quanto all'entità della pena inflitta, oltre all'esclusione di uno dei due reati in origine contestati, le due pronunce devono essere ritenute una "doppia conforme". In questo caso "la struttura giustificativa della sentenza di appello, trattandosi di c.d. doppia conforme, si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando il giudice del gravame, esaminando le censure proposte dall'appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico-giuridici della prima sentenza, concordi nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione" (Sez. II, n. 25016 del 30 giugno 2022, non massimata).
1.3. E' quindi manifestamente infondato il primo motivo del ricorso predisposto dall'avv. Sansone, che lamenta l'incompletezza della motivazione della sentenza impugnata perchè essa rimanda alla motivazione della sentenza di primo grado senza riprodurla e senza richiamarsi ad essa "per relationem": in primo luogo essa, in realtà, riassume ampiamente la sentenza di primo grado, dalla p. 5 alla p. 12, e in secondo luogo la sua conformità alla sentenza del Tribunale è sufficiente per ritenere la sua struttura argomentativa unita ad essa.
2. Il primo motivo dell'atto predisposto dall'avv. Rivello e il secondo motivo dell'atto predisposto dall'avv. Sansone, che censurano la carenza e illogicità della motivazione e l'omessa decisione sui motivi di appello in merito alla valutazione della prova, sono infondati.
La sentenza impugnata motiva ampiamente, ed in modo non illogico nè contraddittorio, le ragioni della sua ricostruzione del fatto ed i motivi per cui la teste P. viene ritenuta credibile, benché sia l'unica che riferisca la frase ingiuriosa pronunciata dal brig. M. contro l'app. G.. Infatti, alla p. 21, la Corte di appello sottolinea la piena attendibilità della teste perchè e' l'unica ad avere riferito fatti a carico di entrambi gli imputati, circostanza che impone di respingere l'affermazione del ricorrente di una sua scarsa attendibilità perchè collega dell'app. G.. Inoltre la sentenza evidenzia che detta teste ha fornito una descrizione molto precisa della vicenda, comprensiva di particolari secondari, ha potuto comprendere meglio le parole dei due imputati perchè a conoscenza delle ragioni del diverbio, ed e' stata l'unica, tra tutti i testi ascoltati, a ricordare con esattezza i soggetti presenti al fatto e il momento dell'arrivo di ciascuno. La sentenza precisa altresì che il teste F., indicato dal ricorrente come presente al diverbio sin dal suo inizio, pur essendo in grado di "percepire quasi tutto ciò che stava avvenendo" doveva al contempo provvedere al servizio di apertura del cancello, e quindi era "forse più preoccupato di evitare che la discussione sfociasse in uno scontro fisico che a prestare attenzione ad ogni parola detta". Quanto al teste V., anch'egli citato dal ricorrente come presente anche alle fasi iniziali dell'alterco, la sentenza impugnata sottolinea che questi sentì il brig. M. rivolgersi all'app. G. in siciliano, segno che la conversazione aveva già preso un carattere di estrema emotività, e nella sentenza di primo grado è riportato che egli vide i due litiganti da lontano, e sentì le loro frasi solo quando "i toni si alzarono".
La motivazione circa la credibilità della teste P., e l'affermazione che solamente costei sentì le prime frasi del brig. M., contenenti l'ingiuria contestata, sono quindi logiche e fondate su elementi oggettivi, emersi dalle varie prove dichiarative, per lo più concordi anche nell'indicare la donna come effettivamente presente ai fatti. Peraltro, gli altri testi non hanno negato che il brig. M. abbia pronunciato la frase ingiuriosa contestatagli, in quanto hanno solo affermato di non averla udita: la teste P., quindi, non è stata in realtà smentita da alcuna diversa testimonianza.
E' poi evidente che la credibilità di un testimone non riposa sul fatto che la sua dichiarazione sia confermata da altri, nè rileva, a tale fine, il fatto che gli altri nove testimoni ascoltati non abbiano riferito la predetta frase ingiuriosa, essendo stato motivatamente spiegato che solo lei ha ascoltato il diverbio con attenzione fin dal suo inizio.
3. Il secondo motivo dell'atto predisposto dall'avv. Rivello è manifestamente infondato.
La sentenza impugnata non ha escluso, in termini generali, l'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. quando il reato offuschi la disciplina o sia commesso in presenza di più militari, ma ha valutato se, nel caso concreto, sussistessero i presupposti della "particolare tenuità del fatto" richiesta dalla norma, quanto alle le modalità della condotta e all'esiguità del danno o del pericolo. Ha quindi ritenuto che, pur nella complessiva modesta gravità del fatto, la condotta dei due imputati, e quindi anche quella dell'attuale ricorrente, non sia stata di particolare tenuità perchè ha coinvolto molte persone presenti, anche non militari, ed ha distolto dai propri servizi, anche se per breve tempo, il personale che operava presso il corpo di guardia. Ha inoltre ritenuto non lieve il danno, perché il fatto ha offuscato l'immagine di disciplina ed ha screditato i due contendenti agli occhi degli altri militari presenti.
Tale motivazione è quindi conforme ai principi normativi e giurisprudenziali, e la valutazione compiuta dal giudice di merito e' insindacabile, non risultando nè contraddittoria, né manifestamente illogica.
4. Anche il terzo motivo dell'atto predisposto dall'avv. manifestamente infondato.
Il ricorrente censura provocazione basandosi su compendio probatorio, in quanto prescinde dalla testimonianza della P.. La sentenza impugnata, invece, correttamente ha ritenuto che la frase ingiuriosa sia stata pronunciata dal brig. M. prima di ricevere le risposte offensive e minacciose dell'app. G., così come riferito dalla predetta teste, la cui credibilità è stata valutata, come detto, in modo approfondito, logico e non contraddittorio. Non sussiste, quindi, un fatto ingiusto commesso da altri in quel momento, che abbia provocato nel brig. M. uno stato d'ira che lo ha determinato a reagire nel modo contestato. Un simile fatto ingiusto non può essere ravvisato neppure nel precedente comportamento dell'app. G., di cui il brig. M. chiedeva conto, cioè le lamentele inviate per via gerarchica per l'uso che il brig. M. faceva del centro polifunzionale, ritenuto dall'app. G. e da altri militari non rispettoso delle loro esigenze di riposo e tranquillità, non trattandosi, palesemente, di un comportamento "non giusto". Non è stato provato, infine, l'asserito astio che l'app. G. avrebbe nutrito contro il brig. M., astio che, peraltro, non sarebbe stato idoneo a cagionare in quest'ultimo uno stato d'ira, non avendolo sostenuto neppure lo stesso ricorrente.
Anche questo motivo di ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, stante la manifesta insussistenza del vizio attribuito alla sentenza impugnata.
5. Infine è infondato il quarto motivo del ricorso predisposto dall'avv. Rivello, relativo alla omessa concessione della prevalenza delle attenuanti generiche sull'aggravante.
La sentenza impugnata ha motivato in modo adeguato, logico e non contraddittorio la decisione di non concedere tale prevalenza al brig. M., diversamente da quanto deciso per il coimputato. Si deve ricordare che, conformemente al principio stabilito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 10713 del 25 febbraio 2010, n. 245931, Contaldo, Rv. 245931, "Le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell'equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l'adeguatezza della pena irrogata in concreto".
Nel presente caso, la motivazione è logica e adeguata laddove afferma che il ruolo di responsabile del centro polifunzionale, nonché la superiorità di grado rispetto all'app. G., dovevano indurre il brig. M. ad un comportamento più corretto e rispettoso dei rapporti tra militari, e rendono quindi piu' grave e ingiustificabile la sua condotta. Il ricorrente nega di avere ricoperto tale ruolo, ma dalla sentenza di primo grado risulta che egli stesso, esaminato quale persona offesa, disse di essere "direttore del Centro polifunzionale sportivo CC di (Omissis)", e che tale ruolo di "responsabile" venne confermato dai testi V., D.L. e L.M.. La motivazione, sul punto, è quindi conforme alle prove raccolte e non in contraddizione con esse.
Altrettanto logico, e conforme al compendio probatorio, è il diniego della prevalenza delle attenuanti per avere il brig. M. dato inizio al diverbio: secondo la sentenza impugnata, non e' stata solo la teste P. ad affermare che fu il brig. M. a fermare l'app. G. e ad iniziare a discutere con lui, in quanto anche i testi F. e M. hanno riferito che l'app. G. cercava di andarsene, anche dopo che lo scambio verbale era degenerato in un litigio, mentre il brig. M. appariva, tra i due, quello più intenzionato a proseguire l'alterco.
Infondato e irrilevante è, infine, il confronto con la motivazione relativa al coimputato, basata su altre valutazioni.
Nel suo complesso, quindi, la motivazione relativa al bilanciamento delle circostanze è fondata su una pluralità di argomentazioni non arbitrarie nè manifestamente illogiche, e si sottrae, perciò, al sindacato di legittimità, secondo il consolidato principio stabilito dalla citata sentenza.
6. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere rigettato, e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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