Militare dell'Arma dei Carabinieri in servizio presso il R.O.S condannato per accesso abusivo alla banca dati interforze S.D.I., ma per la Cassazione il processo è da rifare.
Corte di cassazione penale, sez. VI, 19 aprile 2023 n. 16672
ud. del 2 febbraio 2023
Presidente Di Stefano Pierluigi; Estensore De Amicis Gaetano; Ricorrente Omissis
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 22 dicembre 2021 la Corte di appello di Roma ha parzialmente riformato la decisione emessa dal Tribunale di Roma in data 19 gennaio 2021, dichiarando inammissibile l'appello proposto nell'interesse di R.S. - condannato in primo grado alla pena di anni dieci e mesi dieci di reclusione per il reato di concorso nella corruzione propria aggravata di cui al capo Y) - e rideterminando le pene irrogate ai coimputati L.M. (assolto dal reato ex art. 81 c.p., comma 2, art. 110 e 615-ter c.p. di cui al capo D) per non avere commesso il fatto) e P.C., nelle rispettive misure di anni sei e mesi uno di reclusione e di anni sei, mesi undici e giorni quindici di reclusione, previa esclusione dell'aggravante di cui all'art. 416-bis 1 c.p., con la conferma nel resto della decisione impugnata, che riteneva i predetti imputati responsabili, a vario titolo, di una serie di condotte di accesso abusivo alla banca dati interforze S.D.I. (ex art. 81, comma 2, art. 110, art. 615-ter, commi 1 e 2, nn. 1 e 3, cit.) e del delitto di concorso in corruzione propria aggravata ai sensi degli artt. 110, 319, 321, 416-bis 1 cit. di cui al capo Y), in esso assorbiti gli ulteriori fatti di corruzione propria ad essi rispettivamente ascritti ai capi N) ed O), nelle qualita', il L., di appartenente ai servizi di sicurezza dello Stato, ed il P., di appartenente all'Arma dei Carabinieri.
2. Avverso la su indicata decisione ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia di R.S., censurando, con unico motivo, l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 133 c.p., per non avere la Corte territoriale proceduto ad una riduzione della pena nonostante l'esclusione, in motivazione, della circostanza aggravante di cui all'art. 416 bis 1 cit., cosi' erroneamente confermando l'entita' della pena irrogata in primo grado.
3. Il difensore di P.C. ha proposto ricorso per cassazione censurando, con il primo motivo, violazioni di legge ex artt. 110, 319 e 321 c.p. e L. n. 124 del 2007, artt. 17 e 18, unitamente a plurimi vizi della motivazione con riferimento all'affermazione di responsabilita' per il concorso nei reati di corruzione di cui ai capi O) e Y), avuto riguardo al tipo di ufficio pubblico ricoperto dal ricorrente, militare dell'Arma dei Carabinieri in servizio presso il R.O.S., che in ragione dei suoi compiti funzionali non avrebbe potuto esercitare alcuna forma di ingerenza, ne' rivendicare alcuna competenza, in relazione ai controlli operati negli scali aeroportuali, anche sotto il profilo dell'ipotizzata ricerca di funzionari pubblici a tal fine compiacenti.
Si assume, al riguardo, l'inesistenza di qualsiasi collegamento funzionale tra l'atto asseritamente compiuto e l'ufficio pubblico dal ricorrente ricoperto, a fronte di un'erronea valutazione della Corte distrettuale in merito alla ritenuta non estraneita' dell'atto "non autorizzato" al collegamento funzionale con il relativo munus, la' dove la sentenza impugnata ha genericamente fatto leva sul presupposto che il coimputato L.M. era, all'epoca dei fatti, dipendente dei Servizi d'informazione e sicurezza e poteva dunque svolgere, ai sensi della L. n. 124 del 2007, attivita' informative ed operative non specificamente indicate dalla legge, sebbene la contestata condotta corruttiva mai risulti essersi estrinsecata nella richiesta o nella promessa di attivare in concreto i poteri (ivi compreso quello di derogare ai controlli aeroportuali sulle somme di denaro oggetto di una non meglio precisata attivita' di contrabbando) solo astrattamente conferiti al L. dalle richiamate disposizioni normative.
Ulteriori profili di contraddittorieta' nella motivazione si deducono in relazione all'argomento incentrato sulla valorizzazione di non meglio specificati poteri di interferenza attivabili dal ricorrente e dal coimputato L. nei riguardi di persone "compiacenti", da loro conosciute in quanto titolari di pubbliche funzioni esercitate presso gli scali aeroportuali nazionali, ma alle quali essi avrebbero dovuto necessariamente rivolgersi in considerazione della loro impossibilita' di operare autonomamente.
3.1. Con un secondo motivo si deducono analoghi vizi della motivazione per l'omessa risposta alle deduzioni dalla difesa formulate riguardo alla configurabilita' dell'elemento oggettivo dei reati di corruzione propria contestati sub Y) ed O), unitamente all'erronea applicazione del principio del ragionevole dubbio, per avere l'Giudici di merito erroneamente individuato l'utilita' nell'accettazione - da parte dei due pubblici ufficiali - della promessa di somme di denaro derivanti dalla loro partecipazione pro quota agli utili ricavati dalle illecite attivita' gestite da un sodalizio criminale operante nel territorio della capitale, sul rilievo che: a) nessuna concreta promessa era emersa dalle captazioni telefoniche o ambientali; b) l'unica attivita' illecita gestita dall'associazione sul territorio romano riguardava alcune condotte estorsive gia' giudicate nell'ambito di altro procedimento e mai contestate nei confronti del P. e dello stesso L.; c) l'accertata assenza di qualsiasi elemento di prova riguardo all'esistenza di un'articolazione del "clan" gelese dei R. a Roma, con il programma di portare a termine una serie indeterminata di delitti, avrebbe dovuto portare ad escludere la configurabilita' stessa dell'elemento materiale della corruzione sotto il profilo dell'utilita' cosi' come individuata nell'imputazione; d) il perfezionamento dell'accordo corruttivo e' stato desunto sulla base di un'argomentazione solo assertiva, tenuto conto del fatto che nessuna potenziale fonte di aspettativa economica (ne' la condivisione di benefici connessi al contrabbando di valuta, ne' la realizzazione di eventuali attivita' di riciclaggio valutario) e' stata contestata ad alcuno dei soggetti coinvolti; e) vi era una ontologica incompatibilita' nel ruolo, contemporaneamente attribuito al coimputato L., di associato e al contempo di persona corrotta dall'associazione; f) nessuna contestazione dei fatti di corruzione sub N) ed O) e' stata mossa ai pubblici funzionari (C.C. e P.G.) che sarebbero stati corrotti dal P. e dal L. per poter accedere a scali aeroportuali riservati, e cosi' alimentare un'attivita' di riciclaggio valutario, sebbene i predetti funzionari fossero stati gia' compiutamente identificati nel corso delle indagini; g) nessuna spiegazione e' stata offerta riguardo alle ragioni giustificative del patto corruttivo, qualora dovesse prendersi in considerazione la diversa alternativa prospettata nella sentenza impugnata, secondo cui i due coimputati avrebbero maturato l'intenzione di procedere alla consegna di denaro spostandosi via terra in automobile; h) nessuna risposta e' stata offerta alla doglianza difensiva esposta in sede di gravame riguardo al prospettato travisamento dei dati probatori indicati a sostegno dell'esistenza di un accordo corruttivo che sarebbe stato raggiunto con il C. il (Omissis) in un locale di Roma.
3.2. Con un terzo motivo, inoltre, si prospettano violazioni di legge e plurimi vizi della motivazione in ragione della omessa riqualificazione del reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio ex art. 319 c.p. in quello piu' lieve di corruzione per asservimento della funzione ex art. 318 c.p., non avendo la Corte distrettuale considerato che, nel caso in esame, l'atto contrario ai doveri d'ufficio non poteva coincidere con i mai dimostrati contatti preliminari intercorsi con compiacenti operatori aeroportuali, trattandosi di un ambito di competenze del tutto estranee al munus esercitato dal P.: un'attivita' questa, che semmai avrebbe potuto configurarsi come sintomatica di un generico asservimento alle richieste avanzate dal corruttore.
3.3. Con un quarto motivo, infine, si deducono plurimi vizi della motivazione con riguardo alla determinazione del trattamento sanzionatorio e al diniego delle invocate circostanze attenuanti generiche.
4. Nell'interesse di L.M. hanno proposto ricorso per cassazione i difensori di fiducia, deducendo otto motivi il cui contenuto viene qui di seguito sinteticamente illustrato.
4.1. Con un primo motivo si deducono violazioni della legge processuale e vizi della motivazione in relazione all'art. 16 c.p.p., avendo la Corte distrettuale erroneamente disatteso l'eccezione relativa alla prospettata incompetenza territoriale del Tribunale di Roma, per essere invece competente quello di Bologna, con riferimento a condotte corruttive (quelle di cui al capo N) commesse "per prime", ossia il (Omissis), rispetto ad altre dotate di pari disvalore, commesse in Roma e contestate nei capi O) ed Y), ma erroneamente ritenute di maggiore gravita' sulla base del riferimento all'aggravante ad effetto speciale di cui all'art. 416-bis 1 cit., la cui contestazione, di contro, connotava tutte e tre le ipotesi corruttive in esame.
4.2. Con un secondo motivo si deducono analoghe censure in relazione alla configurabilita' del concorso nell'episodio di accesso abusivo al sistema informatico di cui al capo S) - contestato anche al P. - per avere la Corte distrettuale omesso di spiegare quale sia stato il contributo morale del L. nella realizzazione di una condotta materialmente posta in essere dal solo coimputato, sebbene la difesa avesse evidenziato, al riguardo, che gli elementi probatori in atti risultavano, al piu', valutabili quale mera connivenza non punibile.
4.3. Con un terzo motivo si censurano violazioni di legge processuale e vizi della motivazione con riferimento al giudizio di responsabilita' per il reato di corruzione di cui al capo Y), sotto il profilo della mancata correlazione tra accusa e sentenza ex art. 521 c.p.p., per avere i Giudici di merito ritenuto che le condotte contestate sub N) ed O) - dove egli figurava quale corruttore costituivano parte integrante la condotta di cui al capo Y) - ove assumeva la posizione di pubblico ufficiale corrotto - ed erano ivi assorbite quali frammenti esecutivi di un unico accordo corruttivo, con la conseguenza che l'attivita' posta in essere dal L. non poteva considerarsi propriamente quella del corrotto - si' come in origine contestata - ma quella del privato intermediario fra il corruttore (nel caso di specie il R.) ed i potenziali corrotti (ossia il C. ed il P.), individuati quali pubblici ufficiali che avrebbero potuto evitare il controllo delle borse di denaro.
Non vi e' stato, dunque, mercimonio della pubblica funzione, non avendo gli imputati - nel contattare il P. ed il C. - agito nell'esercizio dei relativi poteri, e la sentenza di condanna, di converso, e' stata pronunciata per una condotta corruttiva in cui l'esecuzione del pactum sceleris - come descritta e contestata nei capi N) ed O) - e' stata affidata ai predetti pubblici ufficiali, mentre l'atto contrario ai doveri d'ufficio, che sarebbe stato richiesto dal R. nell'ambito di un distinto e prodromico accordo corruttivo, non e' stato dalla Corte distrettuale individuato se non attraverso un generico riferimento al dovere di astensione dalla commissione di fatti illeciti o al dovere di denuncia in capo agli agenti.
Assume, infine, il ricorrente che la decisione impugnata ha omesso di replicare alle deduzioni esposte in sede di gravame riguardo ai termini del presunto accordo corruttivo, specie in relazione alla pattuizione del prezzo della corruzione, non essendo emerso alcun contatto diretto tra corrotti e corruttori sulle cifre e sulle modalita' dell'ipotizzato accordo.
4.4. Con un quarto motivo si prospettano i medesimi vizi con riferimento al reato di cui al capo Y) - ove sono stati assorbiti i fatti di corruzione contestati sub N) ed O) - per l'omessa applicazione dell'art. 115 c.p., atteso che in entrambe le richiamate condotte, come gia' evidenziato in sede di appello, mancava la prova della conclusione del sinallagma corruttivo, attraverso l'effettiva promessa di una controprestazione ed il conseguente mercimonio delle funzioni proprie del pubblico ufficiale.
Si assume, al riguardo, che nessun accordo era stato raggiunto e che i contatti intercorsi con il C. ed il P. si erano arrestati ancor prima di acquistare qualsiasi rilievo penale, poich?? la stessa Corte distrettuale ha riconosciuto che i predetti avevano manifestato agli imputati solo una generica disponibilita', come tale arrestatasi in un momento antecedente la previsione del mero accordo non punibile ex art. 115 cit.; la stessa obbligazione di risultato che gli imputati, secondo la sentenza impugnata, avrebbero assunto con il R. potrebbe assumere concretamente rilievo solo se, diversamente da quanto avvenuto nel caso in esame, potesse ritenersi espressione di esercizio della funzione del pubblico ufficiale.
4.5. Con un quinto motivo si lamenta, in via subordinata, l'omessa sussunzione dei fatti di cui ai capi N) ed O) nell'ipotesi prevista dall'art. 346-bis c.p., sull'assunto che ne' il L., ne' il P. avevano la possibilita' di esercitare, in ragione del loro ufficio, alcuna effettiva ingerenza sul comportamento dei pubblici ufficiali C. e P. o su altre persone effettivamente impiegate presso gli scali aeroportuali.
4.6. Con un sesto motivo si censura, in via ulteriormente subordinata, l'omessa sussunzione dei fatti di cui ai capi N) ed O) nell'ipotesi prevista dall'art. 322 c.p., atteso che il L. ed il P., secondo la ricostruzione operata dalla Corte distrettuale, avrebbero assunto la veste di intermediari del R., quali istigatori della corruzione dei pubblici ufficiali C. e P., i quali, a loro volta, non potevano in ogni caso ritenersi quelli effettivamente chiamati ad omettere un atto del loro ufficio (ossia il controllo della borsa).
4.7. Con il settimo e l'ottavo motivo si censura, infine, l'omessa motivazione riguardo al diniego sia delle invocate circostanze attenuanti generiche, sia della attenuante della minima partecipazione ex art. 114 c.p..
5. Con memoria trasmessa alla Cancelleria di questa Suprema Corte il 17 gennaio 2023 i difensori di L.M., Avv. Cesare Placanica e Avv. Domenico Mariani, hanno illustrato ulteriori argomenti a sostegno delle ragioni di doglianza gia' esposte nel secondo motivo di ricorso con riferimento al reato di cui al capo S).
A tal riguardo si pone in rilievo, alla luce delle conversazioni oggetto delle intercettazioni richiamate nella sentenza impugnata, l'assenza di prova in ordine alla circostanza che l'imputato abbia fornito al P. il numero identificativo della targa oggetto della consultazione avvenuta sul sistema informatico indicato nell'imputazione, ribadendo, sotto tale profilo, che fu il P. a chiedere al L. delle informazioni, sollecitandolo all'invio di alcuni dati dopo che gli accessi al sistema erano stati da lui autonomamente effettuati.
Non sono emersi, dunque, elementi oggettivi idonei a provare l'esistenza di un contributo concorsuale posto in essere dall'imputato ai fini della realizzazione della condotta, neanche sotto il profilo della ritenuta agevolazione degli accessi abusivi effettuati dal P. sul conto di tale G.M. nella banca dati interforze S.D.I..
Motivi della decisione
1. Il ricorso proposto nell'interesse del R. e' fondato e va accolto, poich?? la sentenza impugnata, nell'escludere la configurabilita' dell'aggravante di cui all'art. 416-bis 1 c.p., ha confermato la pena irrogatagli dal primo Giudice, senza spiegare la ragione per la quale la complessiva entita' della pena e' stata diversamente fissata, nella motivazione della sentenza di primo grado, in misura pari ad anni dieci e mesi sei di reclusione, e nel dispositivo di tale decisione in misura pari ad anni dieci e mesi dieci di reclusione.
La sentenza di appello, inoltre, non ha spiegato quale incidenza abbiano concretamente avuto, ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, l'esclusione dell'aggravante mafiosa in sede di gravame e l'aumento di pena di converso operato (nel primo giudizio) per l'applicazione della sola circostanza aggravante relativa alla contestata recidiva, tenuto conto del fatto che la individuazione dell'entita' della pena base in primo grado (pari ad anni sei e mesi sei di reclusione) sembra aver tenuto conto dei plurimi atti corruttivi oggetto di un accordo stretto fra il R. ed i coimputati L. e P., all'interno di un contesto fattuale diversamente connotato dalla, ivi inizialmente ritenuta, configurabilita' dell'aggravante mafiosa.
Nel dispositivo della sentenza impugnata, peraltro, nessuna precisa statuizione risulta adottata in ordine alla configurazione della circostanza aggravante ad effetto speciale ex art. 416-bis 1 cit., sebbene la stessa sia stata esclusa nella motivazione.
Deve infine rilevarsi che il presupposto del ragionamento al riguardo seguito dalla Corte distrettuale, ossia che l'aumento della pena sia stato effettuato esclusivamente in ragione della contestata recidiva, sembra contraddire il disposto di cui all'art. 63 c.p., comma 4, la' dove si prevede la possibilita' di aumentare la misura della pena applicata per la sola aggravante ad effetto speciale piu' grave, in considerazione della peculiare evenienza legata al concorso di una pluralita' di circostanze aggravanti del tipo di quelle previste nel comma 3 dell'art. 63 cit., la cui configurabilita' nel caso di specie e' stata tuttavia negata proprio in ragione della ritenuta esclusione dell'aggravante ex art. 416-bis 1 cit.
2. Infondata, preliminarmente, deve ritenersi l'eccezione di incompetenza territoriale reiterata nel primo motivo del ricorso proposto nell'interesse del L., ove si consideri: a) che ai fini della determinazione della competenza territoriale, come puntualmente osservato dalla Corte distrettuale, assume rilievo la contestazione del fatto di reato (da ultimo v. Sez. I, n. 31335 del 23 marzo 2018, Giugliano, Rv. 273484) e che i fatti di corruzione descritti nei capi N) ed O) sono stati, gia' in primo grado, ritenuti assorbiti nella condotta di corruzione descritta nel capo Y); b) che, secondo l'iniziale formulazione della contestazione, le tre ipotesi di corruzione teste' richiamate risultavano chiaramente connesse ai sensi dell'art. 12 comma 1, lett. c), c.p.p.; c) che, pur a fronte della originaria contestazione di una circostanza aggravante ad effetto speciale riferibile (ex art. 416-bis 1 c.p.) a tutte e tre le imputazioni sopra indicate, e dunque nella ricorrenza di una situazione di pari gravita' di piu' reati fra loro connessi, il primo fatto di reato rilevante ai sensi dell'art. 16 c.p.p., comma 1, e' in ogni caso quello di cui al capo Y), commesso in (Omissis), laddove quello di cui al capo N) risulta commesso il (Omissis) e quello di cui al capo O) il (Omissis), discendendone, di conseguenza, la corretta determinazione della competenza ratione soci dinanzi all'Autorita' giudiziaria che ha proceduto nel caso in esame.
3. Ancora in via preliminare - stante la pregiudizialita' di ordine logico che ne connota la relativa formulazione, imponendone, conseguentemente, una trattazione prioritaria - deve ritenersi infondata la doglianza oggetto del terzo motivo dedotto nel ricorso del L. con riferimento all'affermazione di responsabilita' per il reato di corruzione di cui al capo Y), sotto il profilo della mancata correlazione tra accusa e sentenza ex art. 521 c.p.p..
Giova richiamare, al riguardo, il principio affermato da questa Suprema Corte, secondo cui, per aversi mutamento del fatto, occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l'ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un'incertezza sull'oggetto dell'imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa (Sez. U, n. 36551 del 15 luglio 2010, Carelli, Rv. 248051).
Di tale principio ha fatto buon governo la sentenza impugnata, la' dove ha coerentemente escluso qualsiasi immutazione del fatto rilevante al fine qui considerato, muovendo da un triplice ordine di argomentazioni: a) che la pronuncia di condanna e' intervenuta per un fatto - quello contestato sub Y) avente ad oggetto un accordo fra il R., da un lato, e il duo L.- P., dall'altro, finalizzato alla consegna di somme di denaro da trasportare all'estero; b) che i fatti descritti nei capi N) ed O) - relativi ad interlocuzioni avute dai predetti imputati con altri pubblici ufficiali (ossia, come si vedra', con il P. ed il C.) - dovevano ritenersi assorbiti nell'unica ipotesi di corruzione ascritta agli imputati sub Y), trattandosi di condotte non autonome, bensi' volte ad integrare il fatto ivi contestato, realizzando la causa tipica dell'accordo stipulato con il R., quali modalita' di adempimento della correlativa illecita pattuizione; c) che le condotte "assorbite" nel capo Y) vi risultavano, del resto, gia' sostanzialmente contenute, poich?? la relativa imputazione faceva espressamente riferimento alla circostanza di fatto che i predetti imputati si erano attivati per "...avere la complicita' di soggetti in grado di consentire loro di accedere, senza controlli, alle aree riservate alle partenze di scali aeroportuali ove consegnare somme di denaro destinate alla loro abusiva esportazione all'estero...".
Nessuna immutazione del fatto, dunque, si e' verificata nel caso in esame, trattandosi di condotte che gli imputati hanno posto in essere sempre nella loro qualita' soggettiva di pubblici ufficiali e che, proprio avvalendosi della correlativa posizione qualificata, sono state strumentalmente orientate, secondo la stessa formulazione del tema d'accusa, all'attuazione dell'accordo corruttivo che ne costituiva l'oggetto.
Irrilevante deve altresi' ritenersi, per le medesime ragioni or ora esposte, la circostanza che, nelle interlocuzioni e nei contatti avuti con il P. ed il C., i predetti imputati abbiano, in tesi, agito quali intermediari a fronte della posizione da loro assunta nel rapporto con il R., avendo i Giudici di merito correttamente inquadrato l'effettiva incidenza di tale profilo ricostruttivo nel piu' ampio contesto fattuale di una pluralita' di atti esecutivi finalisticamente indirizzati, secondo il tenore letterale della richiamata imputazione, alla materiale realizzazione dell'unica intesa corruttiva che vi figurava puntualmente descritta.
4. Parimenti infondate devono ritenersi le ragioni di doglianza prospettate dai ricorrenti P. e L. (rispettivamente, nel primo e secondo motivo di ricorso del P. e nel terzo e quarto motivo di ricorso del L.) in ordine alla configurabilita' del reato di corruzione propria, si' come dai Giudici di merito accertato in relazione alle condotte di cui al capo Y), avendo la sentenza impugnata congruamente esaminato e disatteso le medesime censure in questa Sede riproposte, all'esito di un complessivo richiamo alle condivise valutazioni al riguardo gia' motivatamente rese dal primo Giudice.
Secondo l'impostazione ricostruttiva delineata dai Giudici di merito, l'intesa corruttiva oggetto della richiamata imputazione e' stata conclusa dai pubblici ufficiali L. e P. con il R. (persona in precedenza condannata per il reato di cui all'art. 416-bis cit.) ed altro coimputato (M.I.), che li avevano incaricati di far recapitare all'estero, consegnandola a non identificati emissari russi, una borsa contenente somme di denaro e valori: attivita', questa, per la quale era stata pattuita una remunerazione da parte del R., e per la cui effettiva realizzazione gli odierni ricorrenti contattarono, a loro volta, P.G. e C.C. (con le rispettive posizioni di appartenente all'Arma dei Carabinieri e collega del L., in servizio presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il primo, e di Assistente capo della Polizia di Stato in servizio presso l'aeroporto di Fiumicino, il secondo), i quali, dietro offerta di compenso, diedero la disponibilita' per garantire la consegna della borsa con l'elusione dei relativi controlli presso gli scali aeroportuali di Rimini e di Fiumicino.
Nel richiamare le univoche risultanze del compendio probatorio illustrato nella motivazione, ed in particolare gli esiti delle numerose conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione, unitamente ai correlativi elementi di riscontro gia' conformemente vagliati dal primo Giudice, la Corte distrettuale ha posto in rilievo, fra l'altro, le dirimenti circostanze di fatto qui di seguito sinteticamente indicate: a) l'accordo a prestazioni corrispettive raggiunto fra gli imputati ed il R. sulla base di una ricompensa pattuita per l'illecita attivita' che essi si erano impegnati a svolgere nell'esclusivo interesse del primo (ossia, la consegna di una borsa contenente denaro da far recapitare all'estero sottraendola ai controlli aeroportuali); b) la disponibilita' del R. a remunerare l'intera attivita' oggetto dell'intesa con un compenso in danaro, quantificato in misura percentuale rispetto all'entita' delle somme da consegnare; c) la contemporanea esplicitazione dell'offerta di tale disponibilita' nelle interlocuzioni e negli incontri che i due imputati hanno direttamente organizzato sia con il P. che con il C. e l'evidente collegamento funzionale tra la promessa del R. e la successiva, illecita, attivita' richiesta ai pubblici ufficiali P. e C. in vista della realizzazione del risultato che costituiva l'oggetto dell'impegno geneticamente assunto con il R.; d) l'accettazione dell'incarico da parte dei due imputati intorno al febbraio del 2016 - solo dietro il versamento di un compenso per il buon esito dell'operazione concordata con il R.; e) l'offerta, da parte degli odierni ricorrenti, di un corrispettivo in denaro da versare in favore del C. e del P., quantificato sulla base della provvista derivante dal compenso a loro volta ricevuto dal R.; f) la concreta possibilita' di realizzare effettivamente, attraverso l'utilizzazione di accessi riservati negli scali aeroportuali, l'illecita operazione concordata con il R., atteso che il P. era in possesso di conoscenze tali da poter pianificare al momento giusto l'attivita' di consegna nell'aeroporto di Rimini ed il C., a sua volta, era in servizio proprio presso la Polizia di frontiera dell'aeroporto di Fiumicino.
Nel dar conto delle caratteristiche proprie dell'accordo corruttivo stipulato con il R., la sentenza impugnata ha posto altresi' in rilievo: a) la circostanza che solo L. e P. hanno avuto contatti diretti con il C. ed il P.; b) che i predetti ricorrenti hanno interloquito per conto del R., senza pero' spenderne il nome; c) che costui si e' affidato ai suddetti imputati per realizzare il proprio obiettivo, lasciando loro la scelta delle modalita' esecutive piu' idonee per conseguirlo; d) la consapevolezza, da parte del R., delle modalita' programmate dai due coimputati al fine di ottenere la concreta realizzazione dell'obiettivo pattuito nell'esclusivo interesse del primo.
5. E' nell'ambito dell'accordo corruttivo concluso con il R. che ha ricevuto, pertanto, un logico inquadramento storico-fattuale ed una coerente base giustificativa la disponibilita' mostrata sia dal L. che dal P. a ricompensare l'attivita' contraria ai doveri d'ufficio cui essi hanno fatto riferimento nelle interlocuzioni avute con il P. ed il C. al fine di attuare il contenuto della pattuizione ab origine conclusa con il primo: un'attivita' funzionalmente e strumentalmente collegata alla realizzazione dell'iniziale intesa corruttiva, il cui oggetto prevedeva non solo la materiale consegna della borsa, ma la predisposizione di tutte quelle attivita' che si rivelassero necessarie al perseguimento del fine illecito qui considerato.
Un'impostazione ricostruttiva, quella accolta dai Giudici di merito, che deve ritenersi coerente con l'insegnamento di questa Suprema Corte (ex multis v. Sez. VI, n. 29549 del 07 ottobre 2020, De Simone, Rv. 279691), secondo cui, a fronte di un solo accordo corruttivo che preveda una pluralita' di atti da compiere, si configura un unico reato rispetto al quale gli atti e comportamenti posti in essere dal pubblico ufficiale costituiscono momenti esecutivi, che non danno luogo, peraltro, a continuazione, essendo quest'ultima ipotizzabile solo nel caso di una pluralita' di accordi corruttivi.
Proprio muovendo da tale impostazione, peraltro, la sentenza impugnata ha correttamente escluso, per gli atti descritti nei capi N) ed O), l'aumento di pena erroneamente operato nel giudizio di primo grado a titolo di continuazione, trattandosi non di reati autonomi, bensi' di attivita' rientranti nell'ambito della condotta delittuosa enucleata sub Y) ed ivi ritenute assorbite.
Sotto altro, ma connesso profilo di analisi, e' ben possibile, per un soggetto che non sia stato parte dell'accordo corruttivo, intervenire nella sola fase esecutiva, adoperandosi alla sua realizzazione (Sez. VI, n. 18125 del 22 ottobre 2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555; Sez. VI, n. 46404 del 29 ottobre 2019, Genco, Rv. 277308, nella cui motivazione si e' precisato che la partecipazione alla sola realizzazione di quanto pattuito nell'accordo non modifica la struttura del patto gia' concluso tra soggetti diversi e non consente di aggiungere all'unico patto pregresso un nuovo contraente postumo, ma puo' assumere, al piu', rilevanza penale in relazione ad altre fattispecie di reato).
Il delitto di corruzione, invero, si perfeziona alternativamente con l'accettazione della promessa ovvero con la dazione-ricezione dell'utilita' (Sez. U, n. 15208 del 25 febbraio 2010, Mills, Rv. 246583) e puo', dunque, ritenersi consumato quando tra le parti sia stato raggiunto anche solo un accordo di massima sulla ricompensa da versare in cambio dell'atto o del comportamento del pubblico agente, anche se restino da definire ancora dettagli sulla concreta fattibilita' dell'accordo e sulla precisa determinazione del prezzo da pagarsi (Sez. VI, n. 13048 del 25 febbraio 2013, Ferrieri Caputi, Rv. 255605).
Uniformandosi al su esposto quadro di principi, la sentenza impugnata ha richiamato le inequivoche risultanze probatorie offerte dal contenuto delle conversazioni oggetto d'intercettazione, coerentemente evidenziando - sia sulla base dei dialoghi svoltisi tra il R. ed il M., sia con riferimento a quelli aventi come interlocutori i due pubblici ufficiali ricorrenti - il fatto che l'accordo raggiunto con il R. era a prestazioni corrispettive, prevedendo la elargizione di un compenso per l'attivita' che costoro, avvalendosi della loro posizione soggettivamente qualificata, si erano impegnati a svolgere nell'interesse del primo.
Proprio per tale ragione, inoltre, gli imputati hanno modificato l'iniziale pianificazione delle condotte realizzative dell'accordo, abbandonando l'idea di una consegna via terra, per privilegiarne un'altra con la programmazione dell'illecito utilizzo di accessi riservati all'interno degli scali aeroportuali.
5.1. Per la medesima ragione deve ritenersi non pertinente il riferimento evocato nel quarto motivo di ricorso del L. - all'istituto disciplinato dall'art. 115 c.p., a fronte delle contrarie argomentazioni esaustivamente sviluppate dalla sentenza impugnata in relazione sia alla decisiva circostanza dell'intervenuta stipula dell'accordo corruttivo con il R., sia all'accertata contemporaneita' del suo collegamento funzionale rispetto alle interlocuzioni verificatesi con il C. ed il P., e dunque alla riscontrata circostanza della fattibilita' dell'operazione oggetto d'intesa, che costoro ebbero a garantire dietro offerta di una ricompensa in denaro quantificata proprio sulla base della complessiva entita' del corrispettivo dallo stesso R. promesso ai coimputati L. e P..
5.2. V'e', altresi', da considerare che l'elemento sinallagmatico della fattispecie prevista dall'art. 319 c.p. e' integrato anche dalla mera disponibilita' mostrata dal pubblico ufficiale a compiere in futuro atti contrari ai doveri del proprio ufficio, ancorch?? non specificamente individuati (Sez. VI, n. 33881 del 19 giugno 2014, Lorito, Rv. 261406).
Entro tale prospettiva, questa Corte ha precisato che l'atto oggetto del mercimonio deve rientrare nella sfera di competenza o di influenza dell'ufficio cui appartiene il soggetto corrotto, di modo che in relazione ad esso egli possa esercitare una qualche forma di ingerenza, sia pure di mero fatto (Sez. VI, n. 17973 del 22 gennaio 2019, Caccuri, Rv. 275935).
Di tale quadro di principi la sentenza impugnata ha fatto buon governo, ponendo in rilievo la circostanza che gli atti necessari alla realizzazione dell'illecito risultato della pattuizione conclusa con il R. rientravano pienamente nella concreta sfera di intervento operativo e funzionale dei due pubblici ufficiali, che proprio a tal fine si avvalsero delle qualita' riconducibili alle pubbliche funzioni da loro esercitate per concordare e promettere alla controparte il comportamento consistente nel materiale adempimento dell'obbligazione di risultato la cui esecuzione altri pubblici ufficiali - da loro conosciuti e a tale scopo contattati e messi a conoscenza del fatto che il loro compenso derivava direttamente da un terzo, sia pure non espressamente nominato - erano effettivamente in grado di garantire grazie al patrimonio di informazioni e conoscenze acquisite per le loro funzioni ed al ruolo che erano concretamente in grado di svolgere nei predetti scali aeroportuali, omettendo (il C.) ovvero facendo omettere (il P.) il necessario controllo doganale sull'oggetto della consegna.
Nel caso in esame, dunque, la sequenza dei comportamenti posti in essere dai due imputati in esecuzione dell'accordo illecito stipulato con il corruttore si e' realizzata quale espressione delle attribuzioni funzionali proprie delle loro qualifiche soggettive ed ha comportato l'attivazione di poteri istituzionali ricollegabili, sia pure non direttamente, all'ufficio pubblico da essi rispettivamente ricoperto (Sez. VI, n. 33435 del 04 maggio 2006, Battistella, Rv. 234359).
La contrarieta' ai doveri d'ufficio, peraltro, puo' in concreto manifestarsi non soltanto in relazione ad atti illeciti (perch?? vietati da atti imperativi) o illegittimi (perch?? dettati da norme giuridiche riguardanti la loro validita' ed efficacia), ma anche in relazione a quegli atti che, pur formalmente regolari, prescindono, per consapevole volonta' del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio, dall'osservanza di doveri istituzionali espressi in norme di qualsiasi livello, ivi compresi quelli di correttezza ed imparzialita' (Sez. VI, n. 30762 del 14 maggio 2009, Ottochian, Rv. 244530).
Seguendo tale impostazione ermeneutica, la Corte distrettuale ha coerentemente posto in rilievo l'illiceita' della causa dell'accordo raggiunto con il R., valorizzandone la obiettiva strumentalita' all'elusione di un'attivita' d'ufficio prevista dalle norme del codice della navigazione - quella del doveroso controllo su somme di denaro, titoli o valori raccolti in una borsa da consegnare all'estero con il mezzo aereo - il cui effettivo svolgimento da parte degli addetti agli scali aeroportuali avrebbe consentito di verificarne un contenuto la cui ostensione doveva essere, di contro, nella comune consapevolezza delle parti interessate, necessariamente evitata.
Nel contenuto dell'accordo, secondo quanto spiegato dai Giudici di merito, era infatti ricompresa la scelta degli atti esecutivi idonei a garantire la realizzazione dell'illecito risultato che ne costituiva l'oggetto, anche avvalendosi, come si e' visto, dell'ausilio a tal fine richiesto ad altri pubblici ufficiali.
6. Analoghe considerazioni devono svolgersi con riferimento alle ragioni di doglianza incentrate (rispettivamente nel quinto e nel sesto motivo di ricorso del L.) sull'omessa sussunzione dei fatti di cui ai capi N) ed O) nell'ipotesi prevista dall'art. 346-bis c.p., ovvero in quella prevista dall'art. 322 c.p..
6.1. Riguardo al primo dei due profili or ora indicati deve rilevarsene la aspecificita' di formulazione, che non tiene conto del quadro argomentativo delineato dalla Corte distrettuale nei passaggi motivazionali ove ha spiegato che i ricorrenti non hanno affatto messo in contatto il P. ed il C. con il R., ma, nell'ambito dell'intesa gia' definita con quest'ultimo, hanno direttamente provveduto a contattarli, per poi accordarsi autonomamente con loro nella prospettiva di garantire la realizzazione del contenuto dell'originaria pattuizione corruttiva.
La condotta descritta nella richiamata fattispecie di cui all'art. 346-bis cit. avrebbe potuto configurarsi, come puntualmente affermato nella sentenza impugnata, solo nell'ipotesi in cui i predetti imputati si fossero limitati a svolgere una attivita' di intermediazione ponendo in contatto il privato corruttore ed il pubblico ufficiale in grado di soddisfarne le aspettative, nell'ambito di un accordo concluso tra il soggetto privato ed il pubblico ufficiale contattato da un intermediario rimasto estraneo all'intesa.
Nel caso in esame, come si e' invece posto in rilievo, i due imputati avevano gia' definito la loro intesa con il privato corruttore e si sono poi avvalsi di soggetti terzi nella diversa, ed autonoma, prospettiva della sua piu' efficace esecuzione, al fine di conseguire la realizzazione di un accordo che lasciava ad essi ampia liberta' di movimento sul piano operativo, tanto da concordare in via del tutto autonoma l'entita' del compenso previsto per l'attivita' di collaborazione delle persone che vi sono state coinvolte.
La richiamata doglianza, peraltro, non tiene conto del fatto, specificamente evidenziato dalla Corte distrettuale, che gli atti originariamente descritti sub N) ed O) sono stati ritenuti meramente esecutivi ed in stretta connessione, sul piano finalistico e temporale, rispetto all'accordo corruttivo contestato sub Y), la cui "causa" tipica e' stata coerentemente inquadrata sul piano storico-fattuale come "l'in se' dell'operazione" complessivamente convenuta, ponendosi in grado di assorbire, in quanto tale, la pluralita' degli atti in concreto diretti a realizzarla.
6.2. Manifestamente infondata deve ritenersi, inoltre, la prospettazione sottesa al secondo dei profili dianzi indicati, avendo la sentenza impugnata correttamente osservato che l'accordo corruttivo si e' originariamente perfezionato tra il L. ed il P., da un lato, ed il R., dall'altro lato, sorreggendo in tal modo l'intera operazione causalmente orientata alla sua realizzazione, senza che la successiva attivita' funzionalmente posta in essere dagli imputati al fine di conseguire la causa tipica dell'accordo attraverso i contatti e le interlocuzioni con altri pubblici ufficiali possa immutare o anche solo condizionare la struttura del patto gia' a suo tempo concluso tra soggetti diversi.
L'accettazione della proposta corruttiva, del resto, esclude di per se' la sussumibilita' della condotta nell'ambito della diversa fattispecie incriminatrice ex art. 322 c.p., rendendo invece configurabile quella, piu' grave, della corruzione.
7. Parimenti infondata deve ritenersi, inoltre, la doglianza prospettata nel terzo motivo di ricorso del P. riguardo all'omessa riqualificazione del reato di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio ex art. 319 c.p. in quello piu' lieve di corruzione per asservimento della funzione ex art. 318 c.p., ove si consideri che la linea di confine tra le due ipotesi corruttive e' stata tracciata da questa Suprema Corte con riferimento alla progressione criminosa dell'interesse protetto in termini di gravita' (che giustifica la diversa risposta punitiva), da una situazione di pericolo (per il generico asservimento della funzione) ad una fattispecie di danno, in cui si realizza invece la massima offensivita' del reato (con l'individuazione di un atto contrario ai doveri d'ufficio).
Nel primo caso la dazione indebita, condizionando la fedelta' ed imparzialita' del pubblico ufficiale che si mette genericamente a disposizione del privato, pone in pericolo il corretto svolgimento della pubblica funzione; nell'altro, la dazione, essendo sinallagmaticamente connessa con il compimento di uno specifico atto contrario ai doveri d'ufficio, realizza una concreta lesione del bene giuridico protetto, meritando quindi una pena piu' severa (Sez. VI, n. 4486 del 11 dicembre 2018, dep. 2019, Palozzi, Rv. 274984).
Ne consegue: a) che il delitto di cui all'art. 318 cit. si differenzia da quello di corruzione propria, di cui all'art. 319 cit., in quanto ha natura di reato di pericolo, sanzionando la presa in carico, da parte del pubblico funzionario, di un interesse privato dietro una dazione o promessa indebita, senza che sia necessaria l'individuazione del compimento di uno specifico atto d'ufficio; b) che lo stabile asservimento del pubblico ufficiale ad interessi personali di terzi, realizzato attraverso l'impegno permanente a compiere od omettere una serie indeterminata di atti ricollegabili alla funzione esercitata, e' sussumibile nella previsione dell'art. 318 cit., e non in quella, piu' severamente punita, dell'art. 319 cit., salvo che la messa a disposizione della funzione abbia in concreto prodotto il compimento di atti contrari ai doveri di ufficio (Sez. VI, n. 18125 del 22 ottobre 2019, dep. 2020, Bolla, Rv. 279555).
Di tale quadro di principi ha fatto buon governo la sentenza impugnata, la' dove ha qualificato sul piano giuridico le condotte oggetto del tema d'accusa dopo aver proceduto ad un'attenta e completa ricostruzione probatoria del contenuto delle obbligazioni reciprocamente pattuite, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, delle connotazioni della condotta serbata dai pubblici ufficiali nell'intera vicenda e delle modalita' di corresponsione del prezzo della corruttela.
Entro tale prospettiva la Corte distrettuale ha coerentemente inquadrato i fatti all'interno dello schema descrittivo tipizzato nell'art. 319 cit., ponendo in evidenza, con argomenti immuni da vizi logico-giuridici in questa Sede deducibili, che l'oggetto del mercimonio era costituito, nel caso di specie, non solo dal fatto di mettersi a disposizione del privato corruttore per soddisfarne tutte le richieste (avendo gia' il primo Giudice rimarcato il fatto che, oltre al compenso stabilito per il primo trasporto, il vantaggio concordato consisteva nel fatto che questo poteva diventare "un lavoro", sicch?? entrambi gli imputati avevano ottenuto assicurazioni in ordine ad un futuro programma di consegne), ma dalla specifica valenza di un atto contrario ai doveri d'ufficio (l'elusione dei controlli doganali sull'esportazione di valuta e merci negli scali aeroportuali), individuato in relazione ad una operazione di consegna di danaro che doveva effettuarsi non piu' via terra, come inizialmente convenuto e pianificato, ma con un'altra modalita' di trasporto, poich?? i destinatari russi - non identificati - sarebbero arrivati in territorio italiano a bordo di un aereo, rendendo cosi' necessaria la modifica dell'originaria programmazione operativa di quell'attivita'.
8. Infondate, sin quasi a lambire il margine della inammissibilita', devono ritenersi le ragioni di doglianza illustrate nel secondo motivo di ricorso richiamata memoria difensiva del L. (v., in narrativa, il par. 5), in quanto essenzialmente reiterative di censure gia' puntualmente esaminate e disattese, con argomenti esenti da vizi logico-giuridici in questa Sede deducibili, nelle conformi decisioni di merito.
In ordine al reato di accesso abusivo nella banca dati interforze S.D.I. ascritto a titolo concorsuale ad entrambi gli imputati, per avere essi raccolto informazioni sull'Ispettore di Polizia penitenziaria G.M. e su un'autovettura nella sua disponibilita', munita di targa recante i dati identificativi puntualmente richiamati nell'imputazione di cui al capo S) - deve rilevarsi come la Corte distrettuale abbia analiticamente ricostruito la vicenda storico-fattuale oggetto del tema d'accusa ivi enucleato, per un verso condividendo le conformi conclusioni cui era pervenuto il primo Giudice, per altro verso spiegando quali fossero gli elementi di prova in base ai quali affermare la fondatezza dell'ipotesi accusatoria, senza alcuna inosservanza od erronea applicazione delle norme oggetto di censura, delle quali i Giudici di merito hanno offerto, di contro, una corretta interpretazione con riferimento alle peculiarita' del caso di specie.
Esorbita, invero, dal perimetro cognitivo del sindacato di legittimita' affidato a questa Suprema Corte la prospettazione di una diversa o alternativa ricostruzione fattuale della sequenza temporale e del contenuto delle conversazioni oggetto delle richiamate intercettazioni, si' come dai Giudici di merito conformemente ritenute dimostrative del comune interesse dei coimputati ad acquisire gli esiti delle operazioni di accesso abusivo ad un sistema informatico protetto e di pubblico interesse, materialmente poste in essere dal P. con il concorso, quanto meno morale, del L., nella comune prospettiva della realizzazione del condiviso intento criminoso.
Al riguardo, infatti, la sentenza impugnata ha posto in rilievo, e coerentemente vagliato, un complesso di elementi fattuali rappresentati, segnatamente: a) dalla pluralita' delle interlocuzioni svoltesi tra i due imputati nel corso della medesima giornata; b) dal loro contenuto, ritenuto univocamente sintomatico della comune consapevolezza della illegittimita' delle informazioni richieste dal L. e acquisite dal P.; c) dal comune interesse ad ottenerle per effetto delle accertate operazioni di accesso abusivo; d) dalla rilevata contestualita', sul piano temporale, tra gli accessi alla banca dati e lo scambio delle comunicazioni tra di loro avvenute; e) dalla strumentalita' delle informazioni in tal modo raccolte rispetto ai comuni interessi perseguiti nell'ambito dei rapporti da loro intrattenuti con il R.; f) dal linguaggio criptico e dagli accorgimenti che entrambi gli imputati hanno utilizzato nel corso delle richiamate conversazioni (ove il P. sollecitava il L. ad inviargli prontamente, attraverso un sistema di comunicazione protetto, un numero necessario per effettuare tempestivamente le ricerche richieste); g) dall'immediata disponibilita' mostrata dal L. ad inviare quanto richiesto, utilizzando subito una modalita', parimenti riservata ma comunque tempestiva, di comunicazione; h) dalla successiva interrogazione effettuata alla banca dati, con la conseguenziale acquisizione e trasmissione delle informazioni dal P. al L.; i) dalla volonta' del L. di mantenere riservata, nel corso di uno dei colloqui telefonici intercorsi con il P., la destinazione finale delle informazioni da costui raccolte e comunicategli.
Sotto tale profilo, in definitiva, i rilievi formulati dal ricorrente si muovono per lo piu' nella prospettiva di accreditare una diversa lettura delle emergenze probatorie e si risolvono, quindi, in non consentite censure in punto di fatto all'iter argomentativo tracciato nella sentenza impugnata, dalla cui disamina emerge una puntuale risposta alle correlative ragioni di doglianza, avendo la Corte territoriale offerto, con motivazione logicamente adeguata, piena giustificazione dell'epilogo decisorio cui e' sul punto pervenuta, da un lato escludendo l'evocata configurabilita' di una connivenza non punibile, dall'altro lato ponendo in rilievo l'efficacia causale del contributo dal ricorrente prestato a titolo concorsuale, le cui note modali, come e' noto, possono manifestarsi attraverso forme differenziate e atipiche della condotta criminosa, sia in caso di concorso morale che in caso di concorso materiale.
9. In ordine alle doglianze attinenti alla dosimetria della pena e al denegato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di quella di cui all'art. 114 c.p. (per come formulate nel quarto motivo di ricorso del P. e nel settimo ed ottavo motivo del ricorso proposto dal L.), il vizio di omessa motivazione e' stato assertivamente prospettato a fronte di una base giustificativa al riguardo compiutamente delineata nelle decisioni di merito, ove si fa riferimento ad una serie di indici complessivamente rappresentati dalla individuazione del minimo edittale della pena base prevista per il delitto di corruzione, dalle gravi modalita' di realizzazione dell'azione delittuosa da parte di entrambi gli imputati, dal significativo arco temporale entro cui la stessa si e' dispiegata, dal carattere neutro dell'ammissione degli addebiti da parte del P. (in quanto a lui pacificamente riferibili) e dalla mancata allegazione - per entrambi gli imputati di elementi positivamente valutabili al fine di riconoscere in concreto i presupposti dell'evocata attenuante ex art. 62-bis cit..
Congruamente giustificate, alla luce di una globale e condivisa valutazione dei criteri direttivi dettati dall'art. 133 c.p., devono pertanto ritenersi le valutazioni di merito afferenti sia alla dosimetria della pena concretamente irrogata, sia al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il cui diniego, come e' noto, puo' essere legittimamente motivato dal giudice non solo sulla base di un complessivo apprezzamento di gravita' delle accertate condotte delittuose, ma anche con la rilevata assenza di elementi o circostanze di segno positivo a tal fine valutabili, a maggior ragione dopo la riforma dell'art. 62-bis cit., disposta con il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, convertito con modifiche nella L. 24 luglio 2008, n. 125, per effetto della quale non e' piu' sufficiente, ai fini della concessione della predetta diminuente, il solo stato di incensuratezza dell'imputato.
Per quel che attiene, poi, alla censura incentrata sulla richiamata circostanza attenuante della minima partecipazione concorsuale, l'apprezzamento del ruolo concretamente assunto dal L. nella commissione dei reati ascrittigli, si' come ritenuto di pari incidenza e disvalore operativo rispetto al comportamento, equivalente e del tutto sovrapponibile, posto in essere dai correi, assume evidentemente un carattere ostativo ai fini della evocata configurabilita' dei presupposti e degli elementi costitutivi dell'attenuante di cui all'art. 114 cit..
10. Sulla base delle su esposte considerazioni s'impone, conclusivamente, l'annullamento della sentenza impugnata nei confronti di R.S. limitatamente alla determinazione del trattamento sanzionatorio, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello in dispositivo indicata.
Al rigetto dei ricorsi proposti nell'interesse di L.M. e P.C. consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna dei predetti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di R.S. limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra Sezione della Corte di appello di Roma. Rigetta i ricorsi di L.M. e P.C. che condanna al pagamento delle spese processuali.
07-06-2023 20:06
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