Poliziotto imputato di concussione. Avrebbe prospettato ad un soggetto, esposto alla concreta possibilità di vedersi revocare la licenza di vendita di tabacchi, la possibilità di "sistemare" la situazione omettendo l'inserimento di certi atti nel fascicolo che lo riguardava previo esborso della somma di € 2.000.
T.A.R. Lazio Roma Sez. I quater, Sent., (ud. 21/02/2023) 08-09-2023, n. 13671
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima Quater)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4442 del 2021, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avvocati Fabrizio Tigano e Bruno Tassone, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento
a) del decreto n. 333-C-I/Sez.2^/24997.8.2, datato 11 gennaio 2021, a firma del Capo della Polizia, b) della delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina di Roma della Polizia di Stato n. 18/20 C.P.D. del 1 dicembre 2020, entrambi notificati, giusto verbale di notifica redatto presso la Questura di Roma - Commissariato di P.S. sez. "-OMISSIS-" il 1 febbraio 2021, con cui è stata disposta la destituzione dal servizio del ricorrente,
c) di ogni altro atto comunque connesso.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 21 febbraio 2023 la dott.ssa Francesca Romano e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo
1. Con ricorso notificato il 1 aprile 2021 e depositato il successivo 26 aprile, il sig. -OMISSIS- ha adito questo Tribunale al fine di ottenere l'annullamento del decreto del Capo della Polizia n. 333-C-I/Sez.2^/24997.8.2 dell'11 gennaio 2021 e della delibera del Consiglio Provinciale di Disciplina di Roma della Polizia di Stato n. 18/20 C.P.D. del 1 dicembre 2020, con cui è stata disposta la destituzione dal servizio del ricorrente.
2. Il ricorrente espone in fatto di essere un ex -OMISSIS- della Polizia di Stato.
A suo carico, in data 17 marzo 2007, veniva instaurato un procedimento penale (n. -OMISSIS-) presso la Procura della Repubblica di Roma per il reato di concussione (art. 317 c.p.).
Alla conclusione delle indagini preliminari, in data 24 aprile 2009, ne era, altresì, chiesto il rinvio a giudizio.
L'accusa consisteva nell'avere abusato della propria posizione di responsabile dell'-OMISSIS- presso il Commissariato di P.S. "-OMISSIS-", operando pressioni e chiedendo favori correlati al suo ruolo. In particolare, la contestazione discendeva dall'aver prospettato ad un soggetto, esposto alla concreta possibilità di vedersi revocare la licenza di vendita di tabacchi, la possibilità di "sistemare" la situazione omettendo l'inserimento di certi atti nel fascicolo che lo riguardava previo esborso della somma di € 2.000.
Il processo, svoltosi col rito abbreviato, si concludeva con una sentenza, emessa dal GUP, di condanna per il reato di tentata concussione, determinando la pena in anni 1 e mesi 8 di reclusione con interdizione dai pubblici uffici per la durata della pena stessa.
Seguiva il decreto del Capo della Polizia del 16 aprile 2010 di sospensione cautelare dal servizio.
Avverso tale sentenza veniva proposto appello, il cui esito era, tuttavia, la conferma della decisione di primo grado da parte della III sezione penale della Corte d'Appello di Roma in data 30 gennaio 2017.
A seguito di questi accadimenti veniva aperto il procedimento disciplinare culminato con gli avversati provvedimenti, previo deferimento con lettera del Questore di Roma del 28 ottobre 2020.
Il ricorrente veniva così convocato per la riunione del 20 novembre 2020 presso il Consiglio Provinciale di Disciplina di Roma, con notifica del 10 novembre 2020.
In riscontro a tale convocazione, in data 13 novembre 2020, lo stesso comunicava di nominare come proprio difensore -OMISSIS-, ex -OMISSIS- in quiescenza.
Il Consiglio di Disciplina, con nota del 17 novembre 2020, notificata il 19 novembre 2020, insisteva, tuttavia, nella convocazione, precisando, in riscontro alla nota del 13 novembre 2020 inviata dall'esponente, l'impossibilità di nominare nell'ambito del procedimento disciplinare "un ex appartenente alla Polizia di Stato attualmente in quiescenza" ai sensi dell'art. 20 D.P.R. n. 737 del 1981, tenuto conto della sentenza n. 182/2008 della Corte costituzionale.
Questi, dunque, veniva invitato a provvedere "senza ritardo, alla nomina di un difensore appartenente all'Amministrazione della Pubblica Sicurezza" e a comunicarlo al Consiglio.
Con nota del 19 novembre 2020, tuttavia, l'istante confermava la nomina del predetto ex Ispettore in quiescenza -OMISSIS- ai sensi dell'art. 83 L. n. 121 del 1981, come novellato dalla L. n. 125 del 2013, a termini della quale l'attività sindacale può essere svolta anche da dipendenti in quiescenza. Nel contempo, lamentava una grave violazione delle garanzie procedimentali previste in specie e l'impossibilità di svolgere le proprie difese compiutamente, non ritenendo di poter partecipare alla seduta, senza l'assistenza del nominato difensore.
In data 23 novembre 2020, al medesimo ricorrente veniva notificato un ulteriore invito a comparire dinanzi al Consiglio Provinciale di Disciplina nella data dell'1 dicembre 2020, con l'allegata avvertenza che, in caso di mancata ed ingiustificata presentazione alla seduta, si sarebbe proceduto in sua assenza. Con l'occasione, si rammentava la "facoltà di nominare un altro difensore purché appartenente alla Polizia di Stato, il cui nominativo dovrà essere comunicato entro tre giorni dalla presente notifica, ai sensi dell'art. 20 D.P.R. n. 737 del 1981", nonché che "il difensore non può intervenire alle sedute degli Organi Collegiali senza l'assenso dell'interessato".
A fronte di siffatta insistenza nell'imporre una differente scelta difensiva, il ricorrente confermava la precedente scelta, ritenendola legittima ed ammissibile ai sensi dell'art. 83 L. n. 21 del 1981, ribadendo che, in assenza del proprio difensore, non gli sarebbe stato possibile presenziare alla seduta fissata per il 1 dicembre 2020.
Il Consiglio Provinciale di Disciplina, pertanto, procedeva indipendentemente dalla presenza del diretto interessato, comminandogli all'unanimità la sanzione disciplinare della destituzione, per avere, "l'inquisito, posto in essere atti che rivelano mancanza del senso dell'onore e del senso morale, in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento e dolosamente violando i doveri propri dell'appartenente all'Amministrazione della Pubblica Sicurezza, arrecandone grave pregiudizio".
All'esito del procedimento, dunque, con decreto del Capo della Polizia, Direttore Generale della Pubblica Sicurezza presso il Ministero dell'Interno - Dipartimento della Pubblica Sicurezza, dell'11 gennaio 2021, veniva quindi a lui inflitta "la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, ai sensi dell'art. 7, comma 2, nn. 1, 2, 3 e 4 del D.P.R. n. 737 del 1981".
3. Avverso i gravati provvedimenti il ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:
I. Violazione del D.P.R. n. 737 del 1981 per abnormità della sanzione.
II. Violazione dell'art. 83 della L. 1 aprile 1981, n. 121, come novellato dal D.L. 31 agosto 2013, n. 101 (in G.U. 31/08/2013, n.204), convertito con modificazioni dalla L. 30 ottobre 2013, n. 125 (in G.U. 30/10/2013, n. 255) il quale ha disposto, con l'art. 7, comma 9-bis, la modifica dell'art. 83, comma 1 dalla L. 30 ottobre 2013, n. 125 ("Disposizioni urgenti per il perseguimento degli obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni").
III. Sviamento di potere ed ingiustizia manifesta; difetto di motivazione, assenza di contraddittorio e violazione del diritto alla difesa.
Il Consiglio avrebbe agito in difformità dalla stessa norma che ha invocato a sostegno del suo operato - l'art. 83 L. n. 121 del 1981 - facendo riferimento ad una decisione della Corte costituzionale dalla quale non è corretto desumere, quale conseguenza, l'impossibilità di nominare un difensore in quanto ex appartenente ai ruoli della Polizia di Stato, laddove questi rivesta la qualifica di appartenente al sindacato di Polizia.
Anche la decisione, solo apparentemente ineccepibile, è contestabile in quanto frutto della mera applicazione del giudicato penale, conducendo all'irrogazione della sanzione più grave, quella della destituzione dal servizio.
La destituzione comminata al ricorrente discenderebbe direttamente dalla presa d'atto della sentenza penale, senza che sia stata compiuta alcuna valutazione complessiva del suo profilo, anche con riferimento ai suoi precedenti.
4. Si è costituita in giudizio la resistente amministrazione contestando, nel merito, la fondatezza del gravame.
5. Alla pubblica udienza del 21 febbraio 2023 la causa è passata in decisione.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
Il decreto del Capo della Polizia datato 11 gennaio 2021, con il quale è stata inflitta al ricorrente la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, ai sensi dell'art. 7, comma 2, nn. 1, 2, 3 e 4 del D.P.R. del 25 ottobre 1981, n. 737, motiva la sanzione "per avere, l'inquisito, posto in essere atti che rivelano mancanza del senso dell'onore e della morale, in grave contrasto con i doveri assunti col giuramento e dolosamente violando i doveri propri dell'appartenente all'Amministrazione della Pubblica Sicurezza arrecandone grave pregiudizio. Dalle risultanze di una indagine, infatti, è emerso che egli, nella consapevolezza dell'antigiuridicità della propria condotta e con grave abuso della funzione esercitata quale operatore della Polizia di Stato tentava di indurre il titolare di una rivendita di tabacchi a farsi dare denaro per celare un provvedimento di divieto di espatrio per tre mesi, conseguente al ritiro della patente di guida sotto l'effetto di stupefacenti che, a suo dire, avrebbero pregiudicato il rinnovo della licenza".
Con riguardo ai tre motivi di ricorso, che parte ricorrente espone unitariamente, deve osservarsi quanto segue.
1.1. In via preliminare deve richiamarsi il consolidato orientamento giurisprudenziale che riconosce una ampia discrezionalità amministrativa in ordine alla valutazione della gravità dei fatti contestati in sede disciplinare (ex multis, Cons. St., sez. IV, 7 gennaio 2021, n. 235) e alla individuazione della sanzione da applicare (Tar Lazio Roma, sez. I bis, 4 agosto 2022, n. 11030 e sez. I, 4 maggio 2021, n. 5214), alla luce del quale e della complessiva motivazione dell'atto gravato già emerge l'infondatezza della prospettazione di parte in ordine alla assenza di proporzionalità tra i fatti e la sanzione.
Il provvedimento, inoltre, diversamente da quanto sostenuto in gravame, non risulta affetto da carenze istruttorie determinate dal mancato autonomo accertamento da parte dell'Amministrazione dei fatti posti a fondamento del provvedimento intervenuto.
Al riguardo deve evidenziarsi che "la sanzione irrogata al ricorrente … è scaturita da fatti accertati definitivamente in sede penale: il relativo accertamento esplica efficacia di giudicato nel procedimento per responsabilità disciplinare, ai sensi dell'art. 653, comma 1-bis, c.p.p. In materia di procedimenti disciplinari degli appartenenti alle Forze Armate, ai sensi dell'art. 653, comma 1-bis, c.p.p. la sentenza penale irrevocabile di condanna ha efficacia di giudicato nel giudizio per responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all'affermazione che l'imputato lo ha commesso (Consiglio di Stato Sez. IV, 16 marzo 2020, n. 1864), cosicché nessuna ulteriore indagine sul fatto doveva essere condotta dall'Amministrazione." (Tar Molise, Campobasso, sez. I, 4 agosto 2020, n.226).
1.2. Con riguardo all'asserita non congruità della sanzione in relazione alla gravità dei fatti addebitati al ricorrente deve osservarsi che "l'individuazione della sanzione da irrogare nel caso concreto spetta a chi dispone del potere/dovere disciplinare ed è frutto di una valutazione discrezionale, competendo al giudice amministrativo esclusivamente la verifica circa la presenza di errori manifesti o di vizi macroscopici che possono inficiare il procedimento o il provvedimento disciplinare. In sostanza, in materia di sanzioni disciplinari, il principio di proporzionalità non può consentire al giudice amministrativo di sostituirsi alla valutazione dell'Amministrazione, essendo possibile solo verificare che l'atto sia sorretto da adeguata motivazione e basato su fatti e circostanze tali da indurre la medesima Amministrazione a considerarli incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV, 4 aprile 2012, n. 1993 e Tar Lazio, Roma, sez. I, 4 maggio 2021, n. 5214).
Nella fattispecie, la motivazione del provvedimento disciplinare, nell'affermare l'oggettiva gravità dei fatti, il particolare disvalore connesso alla circostanza che gli stessi siano stati posti in essere con abuso dell'autorità derivante al ricorrente dalla qualifica posseduta, nello svolgimento dell'attività di lavoro, evidenzia plurimi aspetti fondamentali ai fini della irrogazione della sanzione della destituzione, tutti tali da determinare una palese ed oggettiva violazione dei doveri assunti dal militare con il giuramento e l'adozione di una condotta sicuramente antigiuridica e particolarmente disdicevole per un militare, in grado di ripercuotersi, per il principio di immedesimazione, tipico degli appartenenti alle Forze armate, in senso negativo su queste ultime.
La gravità dei fatti accertata in maniera indiscutibile nei due gradi di giudizio in cui si è articolato il processo penale e tale da far emergere "un basso profilo morale dell'inquisito", la sostanziale mancata adesione dello stesso ai principi morali e ai dovere connessi all'esercizio della peculiare funzione pubblica rivestita e la consequenziale irrimediabile rottura del "rapporto fiduciario che deve, necessariamente, intercorrere fra ogni appartenente alla Polizia di Stato e l'Amministrazione della P.S., in ragione della peculiarità del rapporto di lavoro in sé considerato", sono stati, di conseguenza, motivatamente posti a base dell'individuazione della sanzione, senza che possa configurarsi alcuna lesione del principio di gradualità.
1.3. Infine prive di pregio sono le censure che il ricorrente muove al diniego opposto dall'amministrazione alla possibilità di essere assistito in sede di procedimento disciplinare da un ex dipendente della Polizia di Stato, in quiescenza.
La valutazione espressa sul punto dall'amministrazione appare, infatti, anche alla luce della giurisprudenza già formatosi in merito (cfr. Tar Lazio, IS, 5 ottobre 2022, n. 12606), legittimamente adottata in conformità della circolare ministeriale del 2 marzo 2016 e alla normativa di riferimento, atteso che la necessità che il difensore nominato nell'ambito del procedimento disciplinare sia un dipendente in servizio appare conforme alla lettera dell'art. 20 del D.P.R. n. 737 del 1981, che nello stabilire che i soli "appartenenti" all'amministrazione possono essere nominati difensori dell'incolpato nell'ambito dei procedimenti dinanzi al Consiglio provinciale di disciplina fa chiaramente riferimento a una attualità dell'appartenenza stessa.
La chiarezza del precetto è poi tale da non poter essere superata dalla pretesa interpretazione estensiva di una norma evidentemente dettata per una diversa finalità (art. 83 L. n. 121 del 1981, riferita allo svolgimento dell'attività sindacale).
Non trattandosi di procedimento giurisdizionale del resto, la presenza del difensore ha un carattere sostanzialmente facoltativo (in tal senso, Consiglio di Stato, sez. II, 10 giugno 2022, n. 4751).
2. Alla luce di quanto esposto il ricorso deve, pertanto, essere respinto.
3. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della resistente amministrazione, delle spese di lite che liquida nella somma complessiva di € 1.000 (euro mille/00), oltre oneri e accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 9, paragrafo 1, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 febbraio 2023 con l'intervento dei magistrati:
Concetta Anastasi, Presidente
Mariangela Caminiti, Consigliere
Francesca Romano, Consigliere, Estensore
16-09-2023 21:16
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