Ten. colonnello dell'Esercito italiano condannato per il reato di disobbedienza previsto dall'art. 173 c.p.m.p. perché, una volta trasferito presso altro reparto, aveva rifiutato di consegnare entro 30 giorni il casco di volo in dotazione presso il precedente reparto di assegnazione.
Cassazione penale sez. I, 28/02/2023, (ud. 28/02/2023, dep. 27/04/2023), n.17503
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOGINI Stefano - Presidente -
Dott. LIUNI Teresa - Consigliere -
Dott. APRILE Stefano - Consigliere -
Dott. DI GIURO Gaetano - Consigliere -
Dott. RUSSO Carmine - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
S.A., nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 04/05/2022 della CORTE MILITARE APPELLO di
ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CARMINE RUSSO;
udito il PG, Dott. UFILUGELLI FRANCESCO, che ha concluso chiedendo
l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. STRAMPELLI MASSIMILIANO, del foro di ROMA in
qualità di sostituto processuale dell'avvocato MURANO GIULIO, del
foro di ROMA, in difesa di S.A. conclude riportandosi ai
motivi di ricorso chiedendone l'accoglimento.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 9 dicembre 2021 il Tribunale militare di Roma ha condannato il tenente colonnello dell'Esercito italiano S.A. alla pena di 4 mesi di reclusione militare per il reato di disobbedienza previsto dall'art. 173 c.p.m.p. perché, una volta trasferito presso altro reparto, aveva rifiutato di consegnare entro 30 giorni il casco di volo in dotazione presso il precedente reparto di assegnazione; l'ordine di riconsegna era stato notificato il 21 dicembre 2018, l'effettiva riconsegna era avvenuta il 12 aprile 2019.
Con sentenza del 4 maggio 2022 la Corte militare di appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, previa concessione delle attenuanti generiche, ha rideterminato la pena in 2 mesi e 20 giorni di reclusione militare e confermato la sentenza di primo grado per il resto.
2. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso l'imputato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi di seguito descritti nei limiti strettamente necessari ex art. 173 disp. att. c.p.p..
Con il primo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, in quanto la sentenza impugnata non ha valutato adeguatamente che il casco indicato nell'ordine di riconsegna non era lo stesso in disponibilità dell'imputato che aveva un numero seriale diverso, nonché perché la missiva del 21 dicembre 2018 non era un ordine in senso tecnico ma solo una diffida di carattere civilistico atteso che forniva una alternativa al suo adempimento, ed anche perché non è stata valutata la possibilità di applicare al caso in esame l'istituto dell'art. 131-bis c.p..
Con il secondo motivo deduce inosservanza legge penale e vizio di motivazione, perché l'ordine non era chiaro, perché non proveniva da superiore gerarchico dell'imputato ma dal comandante del precedente reparto in cui serviva lo stesso, e perché la missiva del 21 dicembre 2018 notificata all'imputato era una mera diffida civilistica, non idonea ad integrare l'ordine di cui alla norma incriminatrice.
3. La difesa dell'imputato ha chiesto la discussione orale.
Il Procuratore generale, Dott. Francesco Ufilugelli, ha chiesto l'inammissibilità del ricorso.
Il difensore dell'imputato, avv. Giulio Murano, attraverso il sostituto processuale, ha insistito per l'accoglimento del ricorso.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo deduce motivazione manifestamente illogica o contraddittoria, evidenziando anzitutto che la richiesta di riconsegna non poteva essere evasa dall'imputato in quanto il casco indicato nel provvedimento non era in disponibilità dello stesso, in quanto quello in dotazione riportava un numero seriale diverso.
L'argomento non è fondato, perché la motivazione della Corte militare di appello, riportando le dichiarazioni del testimone T. che, per conto del comandante del Reggimento, aveva avuto un incontro con l'imputato finalizzato a risolvere la questione, evidenzia che l'imputato aveva compreso quale fosse il casco di cui gli era stata formulata richiesta, perché non aveva obiettato la non esistenza del casco oggetto del provvedimento ma soltanto che lo stesso non era sul carico amministrativo del Reggimento richiedente. La circostanza, quindi, che il casco di servizio in disponibilità dell'imputato avesse un numero diverso non gli avrebbe impedito, pertanto, di ottemperare all'ordine.
Il motivo di ricorso prosegue evidenziando che la missiva del 21 dicembre 2018, recante l'ordine di consegna del casco, non poteva essere considerata ordine in senso tecnico nel significato di cui all'art. 173 c.p.m.p., ma solo una diffida di carattere civilistico, perché essa forniva una alternativa al suo adempimento, che era il pagamento del valore corrispondente del bene.
Anche questo argomento è infondato. La sentenza di appello evidenzia a pag. 12 che "la lettera del 21 dicembre 2018 sancisce l'obbligo di restituzione entro 30 giorni dalla notifica, fa riferimento all'interruzione del termine di prescrizione ed alle norme del codice civile e illustra da un lato che l'interessato può giustificare la perdita del possesso con idonea documentazione ma dall'altro che la mancata consegna comporta il recupero con trattenute sulla retribuzione. La chiusura della lettera, mediante la frase che inizia con "nel caso di restituzione", ad avviso della Corte non rende la restituzione una semplice possibilità, non svuota la lettera del suo contenuto di obbligo di restituzione. Quelle parole adeguatamente contestualizzate esprimono in modo ellittico un diverso significato "a seguito della restituzione"; tutto il contenuto della lettera, infatti, è improntato all'obbligo è chiaro in questo senso riferimento all'interruzione della prescrizione una clausola cautelare in favore dell'amministrazione ha protezione dei suoi beni tale riferimento non sarebbe compatibile con una facoltà".
In modo non illogico, pertanto, la Corte militare di appello ha ritenuto che la alternativa del pagamento del valore economico del bene non priva il provvedimento notificato del contenuto di ordine in senso proprio, perché il suo tenore letterale depone per l'esistenza di un obbligo cogente in capo al militare che ha ricevuto l'ordine. Infatti, correttamente la Corte militare di appello ha ritenuto che, in realtà, una vera alternativa alla riconsegna non vi fosse, perché il pagamento dell'equivalente economico non era rimessa alla volontà dell'interessato, perché avveniva non in modo non spontaneo, ma mediante trattenuta sullo stipendio. Si trattata di un recupero coattivo, ulteriore elemento che induceva a ritenere la cogenza dell'ordine, non di un pagamento volontario a titolo di corrispettivo.
Il ricorso prosegue la critica a questo passaggio della motivazione della sentenza impugnata sostenendo che l'alternativa del pagamento dell'equivalente economico stava anche a significare che la mancata restituzione non poteva in alcun modo offendere il bene giuridico tutelato dalla norma contestata.
Anche questo argomento non è fondato. Se, per stessa ammissione del ricorrente, l'art. 173 tutela l'esigenza di assicurare il corretto funzionamento dell'apparato militare, la circostanza che il casco di volo fosse una dotazione di servizio comporta la inerenza dell'ordine al servizio, e la conseguente offensività del comportamento dell'imputato attraverso cui il bene è stato sottratto alla sua destinazione.
E' quindi correttamente stato ritenuto integrato l'elemento oggettivo del reato dell'art. 173 c.p.m.p. che dispone che "il militare, che rifiuta, omette o ritarda di obbedire a un ordine attinente al servizio o alla disciplina, intimatogli da un superiore, è punito con la reclusione militare fino a un anno"; nel percorso della norma l'ordine è qualificato soltanto dal fatto che deve inerire al servizio o alla disciplina. La Corte Cost con ordinanza n. 39 del 5 febbraio 2001 dichiarò la manifesta infondatezza della questione di costituzionalità della norma dell'art. 173 precisando che "il reato non si sostanzia nella disobbedienza ad un ordine qualsiasi proveniente da un superiore gerarchico, in quanto solo la disobbedienza a un ordine funzionale e strumentale alle esigenze del servizio o della disciplina, e comunque non eccedente i compiti di istituto, integra gli estremi del modello legale di cui all'art. 173 c.p.m.p.; che, infatti, oggetto della tutela apprestata dalla norma censurata non è il prestigio del superiore in sé e per sé considerato, ma il corretto funzionamento dell'apparato militare". Nel caso in esame, la circostanza che il casco di volo fosse una dotazione di servizio comporta, pertanto, come detto, la inerenza dell'ordine al servizio.
Il motivo di ricorso prosegue sostenendo che anche alla luce della mancanza di offensività del comportamento contestato la motivazione della sentenza impugnata deve essere censurata, perché non ha preso in considerazione la possibilità dell'applicazione al caso in esame dell'art. 131-bis c.p., applicazione che, a giudizio del ricorrente, sarebbe possibile chiedere per la prima volta in sede di legittimità.
L'argomento è infondato, perché la giurisprudenza di legittimità, che ammette effettivamente che la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall'art. 131-bis c.p., sia astrattamente applicabile ai reati militari. (Sez. 1, Sentenza n. 30694 del 05/06/2017, Corda, Rv. 270845), ritiene che la questione dell'applicabilità dell'art. 131-bis c.p. non possa essere dedotta per la prima volta in cassazione, ostandovi il disposto di cui all'art. 609 c.p.p., comma 3, se il predetto articolo era, come nel caso in esame, già in vigore alla data della deliberazione della sentenza d'appello (Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018, Sarr, Rv. 272789; Sez. 5, n. 57491 del 23/11/2017, Moio, Rv. 271877; Sez. 3, n. 6870 del 28/04/2016, Fontana, dep. 2017, Rv. 269160; Sez. 7, n. 43838 del 27/05/2016, Savini, Rv 268281; Sez. 6, n. 20270 del 27/04/2016, Gravina, Rv. 266678).
In definitiva, il motivo è infondato.
2. E' infondato anche il secondo motivo, in cui si deduce inosservanza legge penale e vizio di motivazione, perché sarebbe stato violato il D.P.R. 15 marzo 2010, n. 90, art. 729 che dispone che gli ordini di servizio devono essere emanati in modo che non possa nascere dubbio ed esitazione in chi li riceve.
In realtà, la norma dell'art. 729, comma 1, dispone che il militare che riceve l'ordine deve "astenersi da ogni osservazione, tranne quelle eventualmente necessarie per la corretta esecuzione di quanto ordinato; obbedire all'ordine ricevuto da un superiore dal quale non dipende direttamente, informandone quanto prima il superiore diretto; far presente, se sussiste, l'esistenza di contrasto con l'ordine ricevuto da altro superiore; obbedire al nuovo ordine e informare, appena possibile, il superiore dal quale aveva ricevuto il precedente ordine"; da esso, pertanto emergono obblighi del militare destinatario dell'ordine, ed il suo tenore letterale non legittima esoneri dalla osservanza dell'ordine per motivi di mancanza di chiarezza dello stesso.
La stessa previsione del successivo comma 2, primo periodo, che dispone che "il militare al quale è impartito un ordine che non ritiene conforme alle norme in vigore deve, con spirito di leale e fattiva partecipazione, farlo presente a chi lo ha impartito dichiarandone le ragioni, ed è tenuto a eseguirlo se l'ordine è confermato" non legittima la mancata osservanza, ma solo ad aprire una interlocuzione con chi ha emesso l'ordine contestato.
Peraltro, il motivo di ricorso fonda il dubbio sulla correttezza dell'ordine sulla dichiarazione del teste F., che la Corte militare di appello avrebbe ingiustamente trascurato, e che in giudizio avrebbe sostenuto che "normalmente gli equipaggiamenti di volo vengono trasferiti all'ente dove va il soggetto". Ma si tratta di elemento probatorio del tutto inidoneo a disarticolare il percorso logico della sentenza impugnata, perché introduce un argomento puramente ipotetico e congetturale su un tema (il reparto che avrebbe dovuto legittimamente prendere in carico il casco) che avrebbe dovuto essere provato mediante la produzione di documenti interni (circolari, regolamenti).
Il ricorso prosegue sostenendo che, inoltre, l'ordine non proveniva dalla linea gerarchica in cui era inserito l'imputato, perché il colonnello A. che lo aveva firmato non era più superiore gerarchico dell'imputato, ma si è ricordato sopra che la norma dell'art. 729 invocata dallo stesso ricorrente prevede che il militare debba obbedire all'ordine ricevuto da un superiore dal quale non dipende direttamente, informandone quanto prima il superiore diretto, e la sentenza della Corte Militare d'appello, riportando la deposizione del teste A., dà atto dell'esistenza di una interlocuzione tra le due amministrazioni.
Il ricorso prosegue sostenendo da ultimo che l'ordine fosse, in realtà, una diffida di carattere civilistico, ma si tratta di argomento di ricorso che si sovrappone con quello già speso nel primo motivo, esaminato al punto 1 di questa sentenza, cui quindi si rinvia.
In definitiva, anche questo motivo è infondato.
3. Ai sensi dell'art. 616 c.p.p., comma 1, alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2023.
Depositato in Cancelleria il 27 aprile 2023
17-05-2023 23:34
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