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Sentenza

Ai sensi dell'art. 240, primo comma, cod. pen., i documenti che contengono dichi...
Ai sensi dell'art. 240, primo comma, cod. pen., i documenti che contengono dichiarazioni anonime non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati, salvo che - ciò che non rileva nel caso di specie - costituiscano corpo del reato o provengano comunque dall'imputato.
Cassazione Penale Sent. Sez. 2 Num. 16474 Anno 2024
Presidente: RAGO GEPPINO
Relatore: LEOPIZZI ALESSANDRO
Data Udienza: 20/03/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
nel procedimento a carico di:
M.G. nato a R. il .....
avverso la sentenza del 05/07/2023 della CORTE DI APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ALESSANDRO LEOPIZZI;
sentite le richieste del PG LIDIA GIORGIO, che ha concluso chiedendo
l'accoglimento del ricorso;
sentite le conclusioni dell'avv. FRANCO COPPI, per l'imputato, che ha chiesto il
rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Napoli, quale giudice del
rinvio, in riforma della pronuncia emessa in data 2 luglio 2020 dal Tribunale di
Napoli, ha assolto G.M. dal residuo reato di cui all'art. 326 cod. pen. a
lui contestato al capo i).
Tale imputazione ipotizzava che l'imputato, nella sua qualità di pubblico
ufficiale (generale di corpo d'armata della Guardia di finanza, con incarichi
operativi apicali), avesse volontariamente rivelato all'avvocato R,G, 
specifiche informazioni coperte da segreto di ufficio e in particolare l'esistenza di
intercettazioni ambientali all'interno dello studio del commercialista G.D.V. , 
in relazione a delitti perpetrati a beneficio di associazioni camorristiche.
2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte
di appello di Napoli, formulando quattro motivi di impugnazione, che qui si
riassumono nei termini di cui all'art. 173 disp. att. cod. proc. pen., con cui si
deduce:
2.1. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in
relazione all'esistenza e al contenuto dello scritto anonimo prospettato nella
versione difensiva. La Corte di appello sarebbe incorsa in un travisamento della
prova, introducendo nella motivazione un'informazione rilevante in realtà non
presente negli atti. Il teste S. avrebbe infatti meramente ricordato che il
generale M. gli mostrò, dicendogli di averlo ricevuto informalmente, uno
scritto anonimo relativo a sue presunte propalazioni relative a indagini in corso e
alla possibilità di essere intercettato; il generale gli disse che ne avrebbe parlato
con un suo amico avvocato di nome "Guido" o di cognome "G.". Premessa la
dubbia attendibilità di S., ufficiale della Guardia di finanza già titolare di
incarichi di rilievo (che in quanto tale avrebbe dovuto riferire ai superiori
gerarchici, se avesse davvero visionato il documento), in realtà tutti gli elementi
veicolati da S. gli sarebbero stati comunicati dall'imputato, che gli mostrò solo
un foglio con frasi scritte a stampatello. Sussisterebbe dunque un errore logico,
tale da viziare l'intera ricostruzione, nel ritenere che la deposizione dell'unico teste
a discarico abbia riscontrato la tesi difensiva.
2.2. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in
relazione al colloquio tra M. e G. del 7 febbraio 2014, alla missiva ricevuta
dall'imputato il 23 gennaio 2015 e alla data della conversazione oggetto di
contestazione. I giudici di appello avrebbero infatti omessa la valutazione di prove
decisive. In primo luogo, l'esame dell'avvocato G. (incompatibile con la
narrazione dell'imputato, laddove il teste riferisce di essere stato subito informato
proprio da quest'ultimo delle intercettazioni e del loro contenuto) non è stato preso
minimamente in considerazione, ricostruendo i fatti unicamente secondo la
versione difensiva. Analogamente, non si sarebbe tenuto conto della lettera,
prodotta in originale da G., con cui M. lo pregherebbe confidenzialmente
di "tirarlo fuori dai guai", avvisandolo della possibilità di captazioni.
Carente di motivazione, inoltre, secondo l'Ufficio ricorrente, anche la
collocazione temporale della vicenda e l'intervallo tra il primo incontro con G.
(oggetto del capo h), definito con assoluzione definitiva), da cui hanno preso le
mosse le investigazioni sul generale, e il secondo, quello per cui si procede in
questa sede.
2.3. Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in
relazione ai due ulteriori colloqui tra M. e G.. Posto che il generale e
l'avvocato si incontrarono anche nel maggio e nel settembre 2014, con modalità
di estrema cautela, scrupolosamente poste in essere dall'imputato, la sentenza
impugnata non chiarisce come sia stato superato il contrasto tra le divergenti
dichiarazioni dei due soggetti interessati. G., infatti, ha riferito che M. gli
confidò di avere appreso di essere stato iscritto nel registro degli indagati e gli
chiese ancora di non fare il suo nome qualora sentito dagli inquirenti; l'imputato,
al contrario, ha affermato di essersi attivato unicamente al fine di apprendere
ulteriori dettagli sulle rivelazioni fatte da G. a terzi.
2.4. Violazione di legge in relazione all'art. 326 cod. pen. Si contesta, in primo
luogo, la formula assolutoria "perché il fatto non sussiste", incoerente con la
riscontrata oggettività del fatto tipico. Non potrebbe dubitarsi della sussistenza di
tutti gli elementi costitutivi dell'illecito: la qualifica di pubblico ufficiale, restando
indifferente il successivo pensionamento; la violazione di informazioni destinate a
rimanere riservate ai sensi del testo unico sugli impiegati civili dello Stato ed anzi
coperte dal segreto investigativo; la piena consapevolezza dello sviluppo attuale e
potenziale delle indagini e la coscienza e volontà della rivelazione; l'impossibilità
di scriminare per l'esercizio del diritto di difesa, a fronte della imprudenza e della
sproporzione nella scelta dei mezzi.
3. La difesa dell'imputato ha depositato memoria, a sostegno della richiesta
di inammissibilità del ricorso della Parte pubblica.
4. All'odierna udienza pubblica, le parti presenti hanno concluso come da
epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1. La sentenza della Sesta Sezione della Corte di cassazione n. 39312/22 del
10 luglio 2022 ha ritenuto fondate le censure del ricorrente, ad eccezione di quelle
dirette ad eccepire la violazione dell'art. 521 cod. proc. pen., con assorbimento di
quelle relative alla punibilità e al trattamento sanzionatorio, e ha
conseguentemente annullato senza rinvio la decisione della Corte di appello, per
quanto attiene alla rivelazione colposa di segreti d'ufficio ascritta a G. M. 
sub m), perché il fatto non sussiste (dal momento che è rimasta
insuperabilmente indefinita la verifica sul concreto oggetto della rivelazione, anche
in ordine alla permanenza degli obblighi di riservatezza), e con rinvio in relazione
alla rivelazione dolosa di cui al capo i). A proposito di quest'ultima imputazione, è
stata stigmatizzata la mancata considerazione dell'alternativa ipotesi ricostruttiva
offerta dalla difesa, in particolare, escludendo l'attendibilità del teste S. su
basi sostanzialmente congetturali e presumendo l'inesistenza dello scritto anonimo
sulla sola base dell'acribia dell'imputato, solito conservare ogni tipologia di
documentazione, asseritamente incompatibile con la distruzione della missiva, così
desumendo illogicamente la pregressa autonoma conoscenza dell'attività captativa
presso lo studio del commercialista D.V.. È stato pertanto demandato al giudice
di merito un nuovo esame del compendio probatorio, con precipua attenzione alla
deposizione del teste S..
La Corte di appello di Napoli, nel giudizio di rinvio, ha proceduto a una
rinnovata ponderazione della narrazione del teste S. e della sua attendibilità.
Lo scrutinio ha avuto in entrambi i casi esito positivo, sottolineandosi la non
necessità di riscontri esterni e la concreta mancanza di risultanze di segno
contrario, nonché la mancata soggezione nei confronti di M., non giustificabile
con la sola subordinazione gerarchica, a fortiori dopo il pensionamento del
dichiarante. Da ciò, è fatta conseguire la valutazione di esistenza della lettera
anonima descritta nella narrazione difensiva, seppure mai prodotta in giudizio.
Non può affatto escludersi, invero, che l'imputato abbia distrutto la missiva per
evitare il rischio che cadesse in mani altrui, con evidente nocumento per la sua
reputazione. In punto di diritto, d'altronde, l'oggetto della rivelazione - e cioè il
contenuto dello scritto anonimo - non sarebbe di per sé coperto dal segreto, di
modo che non potrebbe configurarsi il delitto contestato. In ogni caso, la
ricostruzione della vicenda storica consente di affermare che tutti gli incontri con
G. fortemente voluti da M. erano diretti non a fornire notizie al
professionista, ma a sondare quanto a sua conoscenza, per propria autotutela (il
che spiegherebbe anche l'estrema prudenza con cui si mosse il militare).
2. La pronuncia liberatoria della Corte partenopea si basa dunque su due
paralleli ordini di ragioni, uno fattuale e uno giuridico: il generale M. fu
informato della pendenza delle investigazioni e dello svolgimento di attività
captativa solo mediante un biglietto anonimo a lui indirizzato; l'oggetto della
contestata rivelazione non consiste in un atto coperto dal segreto d'ufficio.
2.1. Nel giudizio di rinvio a seguito di annullamento per vizio di motivazione,
il giudice di merito non è vincolato, né condizionato da eventuali valutazioni in
fatto formulate dalla Corte di cassazione con la sentenza rescindente, spettando
solo al primo il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze
processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova
(Sez. 2, n. 8733 del 22/11/2019, dep. 2020, Le Voci, Rv. 278629-02). Il giudice
del rinvio, ai sensi dell'art. 627 cod. proc. pen., è dunque chiamato a compiere un
nuovo completo esame del materiale probatorio con i medesimi poteri che aveva
il giudice la cui sentenza è stata annullata, salve le sole limitazioni previste dalla
legge consistenti nel non ripetere il percorso logico già censurato (ovvero, nel caso
di specie, la preliminare valutazione di irrilevanza della questione del biglietto
anonimo e della apodittica inattendibilità del teste S.), spettandogli in via
esclusiva il compito di ricostruire i dati di fatto risultanti dalle emergenze
processuali e di apprezzare il significato e il valore delle relative fonti di prova
(Sez. 3, n. 34794 del 19/05/2017, F., Rv. 271345).
2.2. Entro questo perimetro valutativo, il rinnovato apparato argomentativo,
scevro di vizi logico-giuridici e attento nel valutare, nella pienezza della
giurisdizione di merito, l'incidenza di tutti gli elementi allegati dalla difesa o
evidenziati dall'accusa, soddisfa l'obbligo motivazionale imposto dalla sentenza di
annullamento.
Analizzando, in maniera sintetica ma completa, l'intero theme decidendum
sottoposto al suo giudizio, muovendo da una ricostruzione in fatto impermeabile
allo scrutinio di legittimità, la sentenza impugnata afferma che l'imputato fu
avvisato del possibile svolgimento di indagini riguardanti, foss'anche
marginalmente, anche la sua colposa rivelazione di atti coperti da segreto di ufficio
(oggetto del capo h) della rubrica imputazione, in ordine al quale si è interrotta la
catena devolutiva a seguito dell'annullamento senza rinvio da parte della Corte di
cassazione) soltanto da un avvertimento informale, fattogli pervenire sotto forma
di biglietto anonimo. L'esistenza del manoscritto, di cui non è stata accertata la
effettiva provenienza, è espressamente affermata dai giudici di appello e il suo
contenuto è stato ricostruito, sulla base delle prove dichiarative, nelle frasi «A
Napoli vanno dicendo che tu spifferi tutto all'avv. G. su Rossopomodoro, come
ha detto lui ad un suo amico commercialista intercettato. Stai attento che potresti
avere il telefono sotto» o comunque in altre consimili. D'altronde, ai sensi dell'art.
240, primo comma, cod. pen., i documenti che contengono dichiarazioni anonime
non possono essere acquisiti né in alcun modo utilizzati, salvo che - ciò che non
rileva nel caso di specie - costituiscano corpo del reato o provengano comunque
dall'imputato. Questa inutilizzabilità non si riferisce ai documenti anonimi in quanto
tali, bensì a quelli contenenti dichiarazioni anonime, di modo che la disposizione
impedisce non di accertare, come fatto storico, che un documento anonimo sia
stato formato e abbia un determinato contenuto, ma solo di utilizzarlo come fonte
di prova di quanto rappresentato nelle dichiarazioni raccolte (Sez. 4, n. 34984 del
24/05/2022, Pollichemi, Rv. 283492; Sez. 6, n. 12655 del 26/02/2016, Bambini,
Rv. 266950). Correttamente, la Corte di appello ha dunque preso le mosse per le
proprie riflessioni in iure da questo dato fattuale.
La tenuta logica di questa ricostruzione non resta significativamente incisa
dalle dichiarazioni dell'avvocato G., non apparendo dirimente la mancata
specificazione da parte del generale di avere appreso delle indagini da una lettera
anonima, tenuto anche conto della modalità di confronto schiettamente
"esplorativa" (e, anzi, celare la propria fonte appare comunque coerente con la
finalità "maieutica" affermata dall'imputato, che avrebbe agito proprio allo scopo
di trovare presso l'interlocutore conferma del sibillino avvertimento). Né la parte
ricorrente lumeggia altri canali informativi, desumibili dalle emergenze
procedimentali e tali da connotare le riflessioni dei giudici di appello in termini di
contraddittorietà.
Il primo e il terzo motivo di impugnazione sono dunque non consentiti, in
quanto diretti, sotto l'abito del vizio di motivazione, a sollecitare un'alternativa
rilettura del compendio istruttorio, preclusa nel giudizio di cassazione.
2.3. Non sussiste neppure alcuna lacuna motivazionale, rispetto in particolare
alle vicende successive al fatto in contestazione. La lunga e asfissiante attività di
pressione dell'imputato nei confronti dell'avvocato G., costretto a ripetuti
incontri con modalità carbonare, non risulta incompatibile con le conclusioni tratte
dalla Corte territoriale per quanto concerne il fatto di reato già consumato.
La sentenza chiarisce congruamente come i ripetuti contatti e le continue
richieste, pur non commendevoli (ma comunque rilevanti nel presente processo
solo come riprova ex post dell'illiceità penale dell'ipotizzata rivelazione), trovino
una ragionevole spiegazione nei già analizzati «fini di autotutela»: «l'imputato si
vuole cautelare per il contenuto grave dello scritto anonimo perciò si muove con
cautela e circospezione». D'altronde, erano stati proprio il suo improvvido
commento sugli accertamenti tributari sul Gruppo Rossopomodoro e la scarsa
discrezione sul punto da parte dell'avvocato G. che avevano dato la stura
all'intera vicenda.
D'altro canto, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame non è
tenuto a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a
prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece
sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo
logico e adeguato, le ragioni del proprio convincimento, dimostrando di aver
tenuto presente ogni fatto decisivo; debbono pertanto considerarsi implicitamente
disattese le deduzioni che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., da ultimo, Sez. 6, n.
34532 del 22/06/2021, Depretis, Rv 281935).
Il terzo motivo di ricorso è pertanto manifestamente infondato.
3. Secondo la costante interpretazione di legittimità, il contenuto dell'obbligo
la cui violazione è sanzionata dall'art. 326 cod. pen., a prescindere dalla natura
civile o militare delle funzioni pubbliche svolte (o dal pubblico servizio esercitato)
dall'agente, deve essere desunto dal nuovo testo dell'art. 15, d.P.R. 10 gennaio
1957, n. 3, come sostituito dall'art. 28 della legge 7 agosto 1990, n. 241:
«l'impiegato deve mantenere il segreto d'ufficio. Non può trasmettere a chi non
ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni
amministrative, in corso o concluse, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza
a causa delle sue funzioni, al di fuori delle ipotesi e delle modalità previste dalle
norme sul diritto di accesso.» Il divieto di divulgazione delle «notizie d'ufficio, le
quali debbono rimanere segrete» cade, dunque, su tutte le conoscenze sottratte
all'accesso esterno, nonché, secondo l'opinione maggioritaria, anche, su quelle
informazioni astrattamente accessibili quando però offerte a chi non abbia il diritto
di riceverle, in quanto non titolare dei prescritti requisiti (Sez. 6, n. 35779 del
11/05/2023, Agnetto, Rv. 285179; Sez. 6, n. 39312 del 01/07/2022, Mango, Rv.
283941; Sez. 6, n. 19216 del 04/11/2016, dep. 21/04/2017, Di Campli, Rv.
269776; Sez. 6, n. 9409 del 09/12/2015 dep. 2016, Cerato, Rv. 267274).
Nel caso di specie, la Corte di appello ha correttamente rilevato come l'oggetto
della rivelazione debba individuarsi non in una specifica «notizia di ufficio» (cioè
la conoscenza certa dell'effettiva pendenza di indagini, anche mediante
svolgimento di intercettazioni telefoniche, ciò di cui il generale aveva fondato
timore, senza averne alcuna formale o comunque effettiva certezza), ma in una
circostanza, meramente paventata, riportata da uno scritto anonimo e confermata
solo successivamente a seguito dell'interlocuzione con l'avvocato G..
L'avvertimento, in termini affatto generici e contenuto in una lettera di ignota
paternità, non può dunque essere ricondotto nella nozione di «notizia di ufficio»,
pur intesa nella più ampia latitudine e a prescindere dal supporto materiale che
eventualmente la incorpori, come specifica informazione riguardante atti e fatti
funzionalmente collegati all'attività istituzionale.
Le doglianze in merito all'erronea applicazione dell'art. 326 cod. pen.
contenute nel quarto motivo di ricorso risultano in conclusione manifestamente
infondate. Deve, altresì, ritenersi inammissibile per difetto di interesse, prima
ancora che manifestamente infondato alla luce delle considerazioni che precedono,
il profilo di censura inerente la specifica formula assolutoria "perché il fatto non
sussiste" (cfr. Sez. 2, n. 40373 del 27/09/2023, Pantano, Rv. 285254, secondo
7Corte di Cassazione - copia non ufficiale
cui il mezzo di impugnazione deve perseguire un risultato non solo teoricamente
corretto, ma anche praticamente favorevole).
4. Il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello di Napoli deve
pertanto essere dichiarato inammissibile.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Così deciso il 20 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Avv. Antonino Sugamele

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