Militare. Lesioni personali gravissime inflitte alla fidanzata dell'epoca. Perdita del grado con rimozione e cessazione dal servizio.
Consiglio di Stato sez. IV 17/11/2015 ( ud. 23/06/2015 , dep.17/11/2015 ) Numero: 5233
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 9347 del 2013, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dagli avv.ti Domenico Bonaiuti e
Paolo Bonaiuti, e presso il loro studio elettivamente domiciliato in
Roma, alla via Riccardo Grazioli Lante n. 16, per mandato a margine
dell'appello;
contro
Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro-tempore,
rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura generale dello Stato,
e presso gli uffici della medesima domiciliato per legge in Roma,
alla via dei Portoghesi n. 12;
Direzione Generale per il Personale Militare del Ministero della
Difesa, in persona del Direttore generale pro-tempore, non costituito
come tale;
per la riforma
della sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Friuli Venezia
Giulia, n. 359 del 21 giugno 2013, notificata il 30 settembre 2013,
resa tra le parti, con cui è stato rigettato, con compensazione delle
spese del giudizio di primo grado, il ricorso n.r. 196/2013, proposto
per l'annullamento del decreto direttoriale del 15 marzo 2013,
notificato il 26 marzo 2013, recante declaratoria della perdita del
grado con rimozione e cessazione dal servizio dal 4 maggio 2010, a
seguito di condanna penale per delitto comune non colposo con
applicazione della pena accessoria della rimozione
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 52 D. Lgs. 30.06.2003 n. 196, commi 1 e 2;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 23 giugno 2015 il Cons.
Leonardo Spagnoletti e uditi per l'avv. Bonaiuti per l'appellante
-OMISSIS- e l'avvocato di Stato Varrone per l'appellato Ministero
della Difesa;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
FATTO e DIRITTO
1.) -OMISSIS-, primo caporalmaggiore e volontario in servizio permanente dell'Esercito in forza al Reparto Comando e supporti tattici "Iulia" presso la Caserma "Spaccamela" di Udine, ha riportato condanna penale alla pena principale di anni 3 e mesi 6 di reclusione ed € 600,00 di multa (irrogata con sentenza del Tribunale di Napoli n. 751 del 13 gennaio 2003, confermata dalla sentenza della Corte d'Appello di Napoli n. 147 del 12 gennaio 2010, irrevocabile il 4 maggio 2010); la pena principale è stata condonata per indulto, in misura pari ad anni 3 e per la residua pena (dedotto un breve periodo presofferto di custodia cautelare) l'interessato è stato affidato in prova ai servizi sociali, con esito favorevole.
L'episodio di vita, risalente al 2002, riguardava lesioni personali gravissime inflitte alla fidanzata dell'epoca.
Con ordinanza del Tribunale di Napoli del 31 gennaio 2013, in sede di incidente probatorio promosso dalla Procura generale presso la Corte d'Appello di Napoli, la sentenza di condanna è stata "integrata" (ed in effetti corretta), provvedendosi all'irrogazione della pena accessoria della rimozione, ai sensi del combinato disposto degli artt. 33 comma 1 n. 3), 66 n. 3) e 29 comma 2 del c.p.m.p.
È seguito il decreto direttoriale del 15 marzo 2013 con cui, in applicazione dell'art. 866 comma 1 del codice dell'ordinamento militare, è stata disposta la perdita del grado senza giudizio disciplinare.
Con il ricorso in primo grado n.r. 196/2013 l'interessato ha dedotto una questione di legittimità costituzionale delle disposizioni relative alla perdita del grado per rimozione senza procedimento disciplinare, in relazione agli artt. 3 e 97 Cost. (per il deteriore trattamento dei militari rispetto ai dipendenti civili, per cui l'art. 55 quater d.lgs. n. 165/2001 lega l'estinzione del rapporto d'impiego, quando non sia applicata la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, a condanna alla reclusione non inferiore a tre anni ma solo per taluni reati propri dei pubblici ufficiali), nonché altre censure concernenti la tardività del procedimento sul presupposto della sua natura disciplinare.
2.) Con la sentenza in forma semplificata, senza esaminare la questione di costituzionalità, il ricorso è stato rigettato, con diffusa motivazione in ordine alla vincolatezza del potere esercitato, connesso in via diretta e automatica all'irrogazione della pena accessoria della rimozione, non "coperta" dall'indulto, e quindi all'inapplicabilità delle disposizioni concernenti il procedimento disciplinare.
3.) Con appello notificato il 27 novembre 2013 e depositato il 20 dicembre 2013, la sentenza è stata impugnata deducendo le seguenti censure, così rubricate:
- Esito positivo dell'affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 legge n. 354/1975.
- Uso improprio e/o sviamento del fine tipico dell'atto.
- Contraddittorietà interna ed esterna. Carenza e/o difetto dei presupposti.
- Contraddittorietà intrinseca, manifesta illogicità della sentenza di primo grado e insufficienza della motivazione.
- Eccesso di potere sotto il profilo della mancanza e/o insufficienza di motivazione.
Il provvedimento impugnato non avrebbe potuto essere emanato:
- in relazione all'esito positivo dell'affidamento in prova ai servizi sociali, e dell'efficacia della sopravvenuta declaratoria di estinzione della pena e degli altri effetti penali della condanna, come disposta da ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Napoli n. 13/4066 del 4 ottobre 2013, tenuto conto che la pena accessoria della rimozione deve ritenersi essa pure estinta in quanto assimilabile a un effetto penale della condanna;
- in generale in relazione al pieno reinserimento sociale e lavorativo dell'appellato, come attestato dalla relazione dei servizi sociali e anche dai rapporti di servizio dei superiori gerarchici;
- in funzione della violazione del principio d'irretroattività, poiché l'episodio di vita, e anche la condanna (salva la correzione dell'errore concernente l'applicazione della pena accessoria), è anteriore al codice dell'ordinamento militare.
L'Autorità statale si è costituita con atto di mero stile.
Con memoria depositata il 22 maggio 2015 l'appellante ha insistito sulle censure dedotte, ulteriormente illustrate, insistendo altresì sulla questione di costituzionalità
All'udienza pubblica del 23 giugno 2015 l'appello è stato discusso e riservato per la decisione.
3.) L'appello è destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato con la conseguente conferma della sentenza gravata.
Secondo gli esatti rilievi del giudice amministrativo friulano, il decreto direttoriale del 15 marzo 2013 non ha natura disciplinare essendo provvedimento del tutto vincolato alla obiettiva ricognizione dell'applicazione, in sede processuale penale, della pena accessoria della rimozione.
Tale pena -prevista dall'art. 29 comma 2 n. 1) del codice penale militare di pace per i casi di condanna alla reclusione militare " inflitta per durata superiore a tre anni"- è altresì irrogata secondo il disposto del successivo art. 33 comma 1 n. 3) c.p.m.c. "...in ogni altro caso di condanna alla reclusione, da sostituirsi con la reclusione militare à termini degli articoli 63 e 64"; e ai sensi dell'art. 63 comma 1 n. 3, si fa appunto luogo alla sostituzione della reclusione con la reclusione militare "...per i militari in servizio permanente alle armi", se la condanna per reato comune non importa la interdizione perpetua dai pubblici uffici... per eguale durata, ancorché la reclusione sia inferiore a un mese".
L'esito favorevole dell'affidamento in prova al servizio sociale non può spiegare alcun effetto estintivo della suddetta pena accessoria speciale, poiché tale istituto implica la sola estinzione della pena detentiva (nel caso in esame nella porzione residua non coperta da indulto), e non anche di quella accessoria, non potendo ritenersi compresa nella nozione di "altro effetto penale" di cui all'art. 47 ultimo comma della legge 26 luglio 1975, n. 354 (cfr. in tal senso Cass. Civ. Sez. I 28 ottobre 2008 n. 25896, che esclude che l'esito positivo dell'affidamento possa, ad esempio, far venir meno la perdita dell'elettorato attivo connessa alla pena accessoria dell'interdizione da pubblici uffici).
È peraltro pacifico che la pena accessoria non sia stata estinta dall'indulto -che secondo la regola generale di cui all'art. 174 cod. pen. "non estingue le pene accessorie", salva diversa previsione del decreto, nella specie insussistente- essendo stata condonata parzialmente, in misura pari ad anni 3, la sola pena detentiva principale, e essendosi riferito l'affidamento in prova (dedotto un breve periodo presofferto di custodia cautelare) al residuo periodo della medesima.
Peraltro, in funzione della perpetuità della pena accessoria della perdita del grado, come stabilita dall'art. 29 comma 1 c.p.m.p., nonché in applicazione del principio tempus regit actum, è altresì palesemente infondata la questione della pretesa applicazione retroattiva dell'art. 866 del codice dell'ordinamento militare.
Da ultimo deve rilevarsi che la questione di costituzionalità, proposta in termini chiari solo in primo grado e riproposta in modo alquanto ellittico in appello, è priva del requisito della non manifesta infondatezza poiché non vi è alcuna omogeneità di posizioni tra militari e altri pubblici dipendenti che possa sorreggere l'invocata disparità di trattamento in funzione della diversa previsione recata dal combinato disposto degli artt. 29 comma 1, 33 comma 1 n. 2 c.p.m.p., 866 c.o.m. in relazione all'art. 55 quater d.lgs. n. 165/2001.
Le questioni appena vagliate esauriscono la vicenda sottoposta alla Sezione, essendo stati toccati tutti gli aspetti rilevanti a norma dell'art. 112 c.p.c., in aderenza al principio sostanziale di corrispondenza tra il chiesto e pronunciato (come chiarito dalla giurisprudenza costante: ex plurimis, per le affermazioni più risalenti, Cass. civ., sez. II, 22 marzo 1995, n. 3260, e, per quelle più recenti, Cass. civ., sez. V, 16 maggio 2012, n. 7663). Gli argomenti di doglianza non espressamente esaminati sono stati dal Collegio ritenuti non rilevanti ai fini della decisione e comunque inidonei a condurre a una conclusione di segno diverso.
4.) In conclusione l'appello in epigrafe deve essere rigettato, con la conferma della sentenza gravata.
5.) Sussistono nondimeno giusti motivi per dichiarare compensate per intero le spese del giudizio d'appello, in relazione alla peculiarità e novità delle questioni esaminate.
PQM
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) rigetta l'appello in epigrafe n.r. 9347 del 2013 e, per l'effetto, conferma la sentenza in forma semplificata del T.A.R. per il Friuli Venezia Giulia, n. 359 del 21 giugno 2013.
Spese del giudizio d'appello compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1 D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi dell'appellante manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 giugno 2015 con l'intervento dei magistrati:
Goffredo Zaccardi, Presidente
Nicola Russo, Consigliere
Diego Sabatino, Consigliere
Silvestro Maria Russo, Consigliere
Leonardo Spagnoletti, Consigliere, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 17 NOV. 2015.
04-12-2015 23:00
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