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Sentenza

Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio determina una presunzion...
Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio determina una presunzione di efficacia causale esclusiva e sufficiente del servizio prestato sull'insorgere della patologia, onde sarebbe stato onere dell'Amministrazione dedurre e, conseguentemente, provare la sussistenza di altra diversa concausa. Detto onere non è stato in alcun modo assolto dal Ministero della Difesa nel presente giudizio. (…) Quanto alla valenza probatoria del menzionato decreto, ritiene la Corte che il contenuto dello stesso vada qualificato quale confessione stragiudiziale, con valenza anche nell'ambito dell'azione risarcitoria (...)” (Corte d'Appello di Roma n. 837/2017, pubblicata il 3.2.2017).
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio

(Sezione Prima Bis)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 16525 del 2014, integrato da motivi aggiunti, proposto da:
-OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato Angelo Fiore Tartaglia, con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale delle Medaglie d'Oro, 266;

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi, 12,

per il risarcimento

A) con il ricorso introduttivo dep. 24.12.2014:

dei danni tutti, patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali subiti a causa delle patologie “-OMISSIS-”, “-OMISSIS-”, “-OMISSIS-”, che il ricorrente affermava di avere contratto a causa del servizio prestato nelle missioni internazionali di pace a Beirut (Libano) dal 22/06/1983 al 18/10/1983, in Somalia dal 30.06.1993 al 31.10.1993, in Bosnia Erzegovina dal 19.06.2000 al 03.08.2000 e di nuovo in Bosnia Erzegovina dal 06.09.2001 al 19.11.2001, missioni alle quali aveva partecipato svolgendo le mansioni di “disinfettore” (qualifica acquisita a, termine di un corso mirato), comprendente tecniche e attività di disinfezione, disinfestazione e derattizzazione, con particolare riferimento agli interventi di sanificazione ambientale;

B) con motivi aggiunti dep. 26.1.2021:

dei danni tutti, patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali subiti dall'attore a causa della patologia “Intossicazione cronica da metalli pesanti”, diagnosticata al ricorrente in data 18.1.2021, nonché in relazione all'aggravamento della patologia “-OMISSIS-” e della patologia “-OMISSIS-”, dal medesimo contratte a seguito del servizio prestato nelle missioni internazionali di pace in Somalia dal 30.06.1993 al 31.10.1993, in Bosnia Erzegovina dal 19.06.2000 al 03.08.2000, in Bosnia Erzegovina dal 06.09.2001 al 19.11.2001, alle quali ha preso parte in qualità di Comandante della Squadra disinfezioni – alle dipendenze del Ministero delle Difesa; nonché per il risarcimento dei danni tutti, patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali subiti dall'attore a causa delle patologie “-OMISSIS-”, “-OMISSIS-”, “-OMISSIS-”, dal medesimo contratte a seguito del servizio prestato nelle missioni internazionali di pace in Somalia dal 30.06.1993 al 31.10.1993, in Bosnia Erzegovina dal 19.06.2000 al 03.08.2000, in Bosnia Erzegovina dal 06.09.2001 al 19.11.2001, alle quali ha preso parte in qualità di Comandante della Squadra disinfezioni – alle dipendenze del Ministero delle Difesa.


Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Difesa;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 27 marzo 2024 il dott. Claudio Vallorani e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


FATTO

Con ricorso in riassunzione tempestivamente proposto, il ricorrente, Primo Maresciallo in congedo dell’E.I., riassumeva dinnanzi a questo TAR la causa (inizialmente proposta dinnanzi al Tribunale ordinario di Roma) a seguito di:

- ordinanza n. 9667/14 del 6 maggio 2014 delle SS.UU. della Corte di Cassazione che, su ricorso preventivo di giurisdizione proposto dalla difesa erariale nel giudizio civile n. RG. 77468/2009, dichiarava la giurisdizione del G.A.;

- conseguente sentenza del Tribunale Civile di Roma – Sezione XII Civile n. 20446/2014 del 16.10.2014 che cosi disponeva: “Dichiara inammissibile la domanda attorea per difetto di giurisdizione del Tribunale Ordinario” e “rimette le parti innanzi il Giudice Amministrativo”, compensando integralmente le spese di lite.

La sentenza non veniva impugnata dal Ministero della Difesa.

Con l’atto di riassunzione oggi in esame parte ricorrente proponeva domanda volta all’accertamento del proprio diritto al risarcimento dei danni tutti, patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali subiti a causa delle patologie “-OMISSIS-”, “-OMISSIS-”, “-OMISSIS-”, che egli affermava di avere contratto a causa del servizio prestato nelle missioni internazionali di pace a Beirut (Libano) dal 22/06/1983 al 18/10/1983, in Somalia dal 30.06.1993 al 31.10.1993, in Bosnia Erzegovina dal 19.06.2000 al 03.08.2000 e di nuovo in Bosnia Erzegovina dal 06.09.2001 al 19.11.2001, missioni alle quali aveva partecipato in qualità di Comandante della Squadra disinfezioni, alle dipendenze del Ministero delle Difesa (avendo acquisito la qualifica di “disinfettore” al termine di un corso mirato), che era destinata a svolgere attività di disinfezione, disinfestazione e derattizzazione, con particolare riferimento agli interventi di sanificazione ambientale.

Durante le missioni in Bosnia Erzegovina il ricorrente soggiornava presso la Caserma Tito Barrack di Sarajevo.

Nel febbraio del 2006, quando il militare era già in congedo, gli veniva diagnosticato un “-OMISSIS-”.

Successivamente il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio (CVCS) ha espresso parere favorevole al riconoscimento al Sig. -OMISSIS- della dipendenza da fatti di servizio del “-OMISSIS- con asportazione di adenopatia laterocervicale dx” (parere espresso all’adunanza n. 8/2009 del 16.1.2009), in quanto le circostanze esposte dall’istante “potrebbero essere idonee a realizzare una condizione di stress tale da comprometterne le difese immunitarie, il cui deficit può favorire l’evoluzione di una neoplasia allo stadio pre-clinico; è plausibile ritenere che il servizio abbia potuto svolgere un ruolo concausale efficiente e determinante nell’insorgenza e/o slatentizzazione del processo neoplastico” (vedi doc. 4 copia fascicolo Trib. Civ.).

Sulla base del parere del CVCS sono state riconosciute dall’Amministrazione le particolari condizioni ambientali e operative di missione previste dall’art. 1 comma 2 lettera C del DPR 7 luglio 2006 n. 243.

Pertanto l’ex militare ha ottenuto tutti i benefici economici diretti e indiretti previsti dalla normativa in tema di pensione privilegiata ordinaria e di “vittime del dovere equiparate” mediante appositi decreti dirigenziali.

Assume il ricorrente, nel ricorso in esame, che le patologie suddette siano causalmente correlate alla sua esposizione a contaminazioni tossiche provocate dalla combustione ed ossidazione dei metalli pesanti, causate dall'impatto ed esplosione delle munizioni all'uranio impoverito utilizzate nei teatri di guerra nei quali egli si è recato, nei periodi di servizio prestato nelle missioni sopra menzionate, tenuto conto che, nell’espletamento dei servizi che gli venivano ordinati, lo stesso si trovava spesso all’aperto, a contatto con i più disparati tipi di armi e munizioni. Allega poi il ricorrente che egli era anche tenuto alla manutenzione dei mezzi militari e delle armi, con l’utilizzo di benzene quale solvente. Detti fattori, uniti al grave indebolimento fisico dovuto allo stress e ai diversi vaccini somministratigli senza il rispetto dei protocolli medici, avrebbero purtroppo determinato i loro effetti dannosi sulla salute del ricorrente.

Sostiene il sottufficiale che, nonostante fosse ampiamente nota (grazie alla letteratura medica specialistica e ai documenti ufficiali relativi all’uso di proiettili all’uranio impoverito in ambito militare) la grave nocività dell’esposizione dei militari alle micro e nano particelle di metalli pesanti prodotte dalle esplosioni di bombe e munizioni all’uranio impoverito (ampiamente utilizzate sia in Somalia che in Bosnia), l’Amministrazione non avrebbe predisposto misure di protezione idonee a prevenire l’insorgenza di “probabili” malattie neoplastiche.

In conclusione, ad avviso del ricorrente, è ravvisabile un comportamento negligente dell’Amministrazione intimata che non ha adeguatamente tutelato l’incolumità psico-fisica del Primo M.llo -OMISSIS-.

Sulla base delle sopra esposte deduzioni e dell’abbondante documentazione prodotta, parte ricorrente ha domandato l’accertamento e la declaratoria di responsabilità del Ministero della Difesa ai sensi del combinato disposto degli artt. 32, 2050 e 2087 cod. civ. per avere omesso di informare il militare sui rischi ai quali si è trovato esposto per l’uso (anche pregresso) di Uranio Impoverito in Somalia e Bosnia Erzegovina così “permettendo la nascita delle patologie”.

Per l’effetto, ha domandato la condanna della medesima Amministrazione al risarcimento dei danni patrimoniale, biologico, morale ed esistenziale subiti, nella misura di euro 2.700.000,00 ovvero nella maggiore o minore misura ritenuta di giustizia da questo Giudice.

In via istruttoria ha richiesto CTU e di essere ammesso alla prova testimoniale.

Si è costituito in resistenza il Ministero della Difesa, che ha depositato memoria in data 28.2.2020.

Con successivo ricorso per motivi aggiunti, lo stesso ricorrente ha proposto ulteriore domanda di risarcimento dei danni tutti (patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali), subiti a causa della ulteriore patologia “Intossicazione cronica da metalli pesanti”, diagnosticata al ricorrente in data 18.1.2021, nonché in relazione all'aggravamento delle patologie, già accertate, “-OMISSIS-” e “-OMISSIS-”, entrambe causalmente correlate alla patologia oncologica sofferta e alle invasive cure alle quali si era dovuto sottoporre.

La Sezione, con ordinanza collegiale del 28/10/2022 n. 13959 ha ritenuto di confermare quanto già statuito con la precedente ordinanza n. 10171 del 2021 in ordine all’opportunità di disporre verificazione per quantificare la percentuale di invalidità, derivante al ricorrente dalla patologia “-OMISSIS-”, già riconosciuta come derivante da causa di servizio, nonché conseguentemente liquidare il danno biologico e morale, sulla base dei parametri percentuali che il verificatore stesso avrebbe fornito.

Il verificatore veniva individuato nel Collegio Medio Legale della Difesa al quale veniva anche richiesto di chiarire se, con riguardo alla sola patologia “Intossicazione cronica da metalli pesanti” e all'aggravamento delle patologie “-OMISSIS-” e “-OMISSIS-”, poteva ritenersi accertato  il nesso causale di esse con il servizio effettivamente svolto dal ricorrente e, in particolare, chiarire “se in base alle attuali conoscenze scientifiche si possa ritenere verosimile, o più probabile che non, che queste patologie sofferte dal ricorrente, tenuto conto anche dei tempi di insorgenza e delle modalità di evoluzione, siano riconducibili al servizio prestato nelle missioni di pace in Somalia e Bosnia Erzegovina o, comunque, siano conseguenza delle cure effettuate in relazione al “-OMISSIS-”, e, più in generale, se tali patologie siano riconducibili all’attività di servizio svolta o, al contrario, se detto rapporto di causalità possa essere ragionevolmente escluso”

In data 13 marzo 2024 il Verificatore ha depositato la propria relazione.

Il Ministero della Difesa ha domandato il passaggio in decisione della causa con nota depositata il 13.3.2024.

Parte ricorrente ha prodotto in data 26.3.2024 documentazione relativa a recente giurisprudenza in materia.

Alla pubblica udienza del 27 marzo 2024, conclusa la discussione, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La vicenda clinica che ha riguardato l’odierno ricorrente può riassumersi nei termini che seguono (vedi relazione di verificazione pag. 8 e ss.).

La patologia, per quanto emerso dagli atti, esordiva nel dicembre del 2005 quando, a causa della comparsa di una adenopatia latero-cervicale destra, l’interessato, da poco in congedo, si sottoponeva ad alcuni accertamenti che si concludevano con l’asportazione chirurgica della massa e relativa diagnosi istologica di metastasi linfonodale da carcinoma scarsamente differenziato.

Era quindi ricoverato presso il Policlinico Militare Celio di Roma e dimesso con diagnosi definitiva di: “carcinoma indifferenziato del rinofaringe”.

Seguiva un trattamento combinato radio-chemioterapico in regime di Day Hospital presso l’Ospedale “San Pietro” di Roma fino al 29.4.2006.

Il paziente sviluppava contestualmente effetti collaterali generali (dimagrimento, astenia, ecc.) e locali (mucosite, disfagia, ipoacusia, ecc.), correlati alla tossicità delle terapie antiblastiche, che erano effettuate sempre in ambiente ospedaliero almeno fino al 2011.

Tutti i successivi controlli clinico-strumentali, fino al tempo della verificazione, sono risultati negativi per recidiva di malattia neoplastica sia a livello locale sia in forma di ripetizioni metastatiche.

2. Quanto alla sussistenza del nesso causale tra la principale patologia patita dal ricorrente e l’attività di servizio da questi svolta, con particolare riguardo alle missioni alle quali ha partecipato in diversi teatri di guerra (Bosnia Erzegovina, Somalia), il Collegio non ritiene di poter condividere l’assunto del Collegio Medico Legale della Difesa secondo cui tale nesso causale non sarebbe accertabile nella specie, neanche applicando il criterio di matrice giurisprudenziale del “più probabile che non” in quanto saremmo di fronte “…ad un nesso di causalità “ultradebole”, nel quale il servizio avrebbe rivestito un ruolo minimale di concausa nell’insorgenza dell’infermità, “così come sembra orientarsi il Comitato di Verifica per le Cause di Servizio” (cfr. pag. 10 relazione di verificazione).

In realtà, come risulta dal testo dell’ordinanza collegiale della Sezione n. 13959 del 2022, con riguardo alla più grave e principale patologia lamentata dal ricorrente il Collegio si limitava a rappresentare (al Verificatore) la necessità “di quantificare la percentuale di invalidità, derivante al ricorrente dalla patologia “-OMISSIS-”, già riconosciuta come derivante da causa di servizio, nonché conseguentemente quantificare il danno biologico e morale, secondo le attuali tabelle del Tribunale di Milano, o quantomeno fornire i parametri di quantificazione in base alle suddette tabelle”.

In altri termini, questo Collegio, preso atto dell’avvenuto riconoscimento della causa di servizio correlata a detta patologia da parte del sopra menzionato parere del CVCS, reso all’adunanza n. 8 del 16.1.2009, ha ritenuto raggiunta la prova sul punto e, valutati non necessari ulteriori approfondimenti istruttori al riguardo, si è limitato a chiedere al Verificatore la quantificazione percentuale del danno biologico connesso a detta patologia.

Sicché le considerazioni svolte sul nesso di causalità in questione dal Collegio Medico Legale esulano dall’oggetto di indagine assegnato e non possono essere prese in considerazione dal Collegio.

Peraltro si ritiene condivisibile l’affermazione giurisprudenziale secondo cui “Il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio determina una presunzione di efficacia causale esclusiva e sufficiente del servizio prestato sull'insorgere della patologia, onde sarebbe stato onere dell'Amministrazione dedurre e, conseguentemente, provare la sussistenza di altra diversa concausa. Detto onere non è stato in alcun modo assolto dal Ministero della Difesa nel presente giudizio. (…) Quanto alla valenza probatoria del menzionato decreto, ritiene la Corte che il contenuto dello stesso vada qualificato quale confessione stragiudiziale, con valenza anche nell'ambito dell'azione risarcitoria (...)” (Corte d'Appello di Roma n. 837/2017, pubblicata il 3.2.2017).

3. Piena condivisione merita, viceversa, l’accertamento medico-legale compiuto dal Verificatore in ordine al valore percentuale al quale deve parametrarsi il danno biologico correlato all’evolversi della malattia oncologica e alle cure alle quali il paziente si è dovuto sottoporre.

Afferma il Verificatore che, facendo riferimento alle più comuni tabelle utilizzate allo stato attuale in medicina-legale ovvero quelle di cui al DM 12/07/2000 (“Lesione dell’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico-legale, della persona” ex art. 13 del D.Lgs 38/2000 in ambito INAIL) e quelle edite dalla Società Italiana di Medicina Legale e delle Assicurazioni (SIMLA), le menomazioni relative alle forme neoplastiche maligne sono inquadrate dall’INAIL dalla voce 1313 alla voce 1374 con individuazione, da parte del medico-legale, della voce più appropriata tra quelle previste facendo riferimento al cosiddetto “tripode di fattori invalidanti” [ 1) grado di disabilità conseguente al quadro neoplastico; 2) efficacia dei trattamenti e caratteristiche degli stessi (locali, generali, radicali, palliativi); 3) prognosi o meglio aspettativa di sopravvivenza libera da eventi annullanti il bene salute in via temporanea.]

Alla luce di quanto sopra, il caso del Sig. -OMISSIS-, a distanza ormai di circa 15 anni dai trattamenti, in assenza di recidive e alla luce delle sue attuali condizioni di salute, può essere inquadrato nella voce 133: “Neoplasie maligne che si giovano di trattamento medico e/o chirurgico ai fini di una prognosi quoad vitam superiore a 5 anni, a seconda della persistenza e dell’entità dei segni e sintomi minori di malattia, comprensivi degli effetti collaterali della terapia”, fino a 30%.

Lo stesso Verificatore, poi, nell’ottica di una maggiore personalizzazione del danno e tenuto conto della specifica vicenda del Sottufficiale odierno ricorrente, ha concluso che “tenuto conto degli effetti collaterali delle terapie antiblastiche praticate sia di natura odontoiatrica sia uditive, è possibile assestarsi ai limiti superiori (30%) della forbice indicata dal 16 % al 30%. Ad analoga valutazione si perviene consultando le tabelle edite SIMLA che prevedono una fascia di valutazione ricompresa tra il 21 e il 35% per i soggetti affetti da neoplasie maligne con rilevanti ripercussioni anatomo-funzionali dei trattamenti medico-chirurgici, ricomprendendo quindi gli effetti collaterali provocati dalla radio-chemioterapia effettuata dal -OMISSIS- di cui si dirà in seguito. In conclusione sembra equo valutare gli esiti della malattia neoplastica e delle patologie correlate alla cura della medesima, nella misura del 35%”

Per quanto attiene, infine al “danno morale”, il Collegio si è motivatamente astenuto dall’esprimere una valutazione “ad hoc” in quanto la quantificazione percentualistica non è di pertinenza medico-legale, se non in particolari ambiti valutativi (Vittime del Dovere) ove è previsto che sia quantificata al massimo nella misura di 2/3 del danno biologico permanente.

Pertanto, per quanto sopra esposto e seguendo le puntuali indicazioni offerte dal Collegio Medico Legale della Difesa, il danno biologico permanente legato al tumore maligno “de quo” curato con esito favorevole - anche tenuto conto della “-OMISSIS-” e della “-OMISSIS-”, quali effetti collaterali dannosi, verificatisi a causa delle cure chemioterapiche intensive a cui il paziente si è dovuto sottoporre - deve essere valutato nella misura complessiva del 35 % (trentacinque per cento).

Va evidenziato che nella determinazione della percentuale del danno biologico permanente il Collegio Medico Legale ha anche tenuto conto “degli effetti collaterali delle terapie antiblastiche praticate, sia di natura odontoiatrica sia uditive”.

Con puntuali allegazioni, invero, il Verificatore ha accertato l’effettiva sussistenza sia della “ipoacusia neurosensoriale bilaterale” che della “parodontopatia” (su cui è stata svolta consulenza specialistica) e ha ricondotto causalmente entrambe alle cure subite da paziente in relazione al “-OMISSIS-”.

Infatti “l’ototossicità dei trattamenti chemio e radioterapici a cui si è sottoposto il -OMISSIS- sono ben noti nei pazienti con neoplasia della regione testa-collo; può interessare circa il 70% dei casi, con lo sviluppo di ipoacusia neurosensoriale che può essere bilaterale, progressiva ed irreversibile” (pagina 13 relazione di verificazione). Quanto alla diagnosticata “parodontopatia”, la consulenza dello Specialista ha consentito di verificare come vi sia stato il rapidissimo crollo della salute orale dell’interessato tra il 2006 e il 2007 (in concomitanza con le cure radio-chemioterapiche), con la comparsa in poco più di un anno di plurime lesioni cariose a carico di quasi tutti gli elementi dentari, soprattutto a livello della giunzione amelocementizia. Tale situazione viene ritenuta di probabile verificazione quando sono in corso chemioterapie sistemiche o per radioterapie del collo/testa. Lo stesso Reparto di Odontostomatologia dell’Ospedale Celio aveva valutato le patologie orali del paziente nel 2013 come diretta conseguenza delle terapie oncologiche a cui era stato sottoposto il -OMISSIS-.

Era evidenziata, inoltre, la possibile evoluzione in senso peggiorativo di tutto il cavo orale nel corso degli anni (relazione di verificazione pag. 13).

Può dunque concludersi che sia stata ampiamente motivata e sia condivisibile la conclusione del Verificatore secondo il quale la patologia principale sofferta dal ricorrente, insieme agli effetti collaterali dannosi (“-OMISSIS-” e “-OMISSIS-”) delle terapie che hanno agito con successo sul carcinoma, si sia cristallizzata in un danno biologico permanente valutabile nella misura del 35%.

4. Nella relazione del Verificatore, viceversa, è stata ampiamente argomentata la conclusione negativa circa la possibilità di rilevare un nesso causale anche tra i fatti di servizio riferiti dal ricorrente e l’ulteriore patologia, successivamente emersa e dedotta nell’atto per motivi aggiunti, costituita dalla “Intossicazione da metalli pesanti”.

Al riguardo questo Collegio ritiene di condividere quanto affermato dal Collegio Medico Legale (vedi pagg. 15 e ss. relazione) secondo il quale:

i. le nanoparticelle contenenti uranio impoverito (non rinvenute nel -OMISSIS-) possono costituire un rischio chimico-fisico per la salute umana a causa delle radiazioni emesse, mentre le nanoparticelle di altri metalli sono un argomento più controverso. È difficile, infatti, attribuire la provenienza del particolato all’ambiente bellico dei reperti analizzati, oltre che dimostrare la certezza che tali particelle fini siano la causa delle patologie denunciate dal -OMISSIS-;

ii. il semplice reperimento all’interno di campioni bioptici o chirurgici di particelle inorganiche di origine esogena potrebbe al massimo far “intravedere una possibilità di una correlazione” con l’attività svolta dai militari nei luoghi di missione. Occorrerebbe, ai fini probatori, un più preciso riscontro sulla provenienza di tali particelle da detti contesti e da differenti luoghi dove il militare ha vissuto per tempi sicuramente più lunghi rispetto ai brevi periodi passati in missione (complessivamente pari a 11 mesi circa)”;

iii. per avere una minima valenza scientifica e medico-legale, l’eventuale ruolo patogeno delle nanoparticelle eventualmente “assorbite” dai militari inviati nei Teatri Operativi esteri, dovrebbero essere comparate attraverso indagini analoghe su organi di altri militari che hanno effettuato servizio in missioni all’estero, ammalati e non, e sulla popolazione generale (sempre ammalata e non) di aree particolarmente urbanizzate, industrializzate;

iv. ha aggiunto poi il Verificatore che “è utile puntualizzare le caratteristiche del fumo di sigaretta (si ricorda che il -OMISSIS- dall’età di circa 18-20 ha fumato circa un pacchetto al giorno e che attualmente fuma 2-3 sigarette al giorno). Ora, la presenza di tracce di metalli nel fumo di tabacco è nota da tempo tra cui, i più comunemente associati agli effetti sulla salute includono l’arsenico (As), il cadmio (Cd), il cromo (Cr), il nichel (Ni) e il piombo (Pb). As, Cd e Cr, così come i composti del Ni, sono designati come cancerogeni per l'uomo dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. As e Cd hanno anche tossicità non cancerose anche sull’apparato cardiovascolare e renale. Il Pb è un agente cancerogeno di classe 2B6 e tossico per l'uomo, in quanto colpisce in particolare il sistema nervoso. Come prodotto di combustione, il fumo di tabacco ha una composizione molto complessa, con migliaia di componenti e composti chimici.”

v. è innegabile che “il fumo aumenta considerevolmente il rischio per lo sviluppo di malattie neoplastiche soprattutto delle vie aeree e dei polmoni, nonché del rinofaringe e di patologie cardiovascolari; quanto più lunga e intensa è l’abitudine al fumo di sigaretta, tanto maggiore è il rischio di carcinoma nasofaringeo.”.

Per queste ragioni - di indole generale, sulla non concludenza statistica, ai fini dell’accertamento della causalità rispetto ai fatti di servizio, dei valori di metalli pesanti registrati; di carattere specifico sul tabagismo del ricorrente – si ritiene che per l’intossicazione da metalli pesanti non sia stata raggiunta la prova del nesso di causalità e che quindi non possa essere considerato alcun danno biologico risarcibile, riferibile a tale patologia.

Da ciò consegue il rigetto delle domande articolate con ricorso per motivi aggiunti.

5. Svolti i chiarimenti che precedono sul nesso di causalità e sul danno biologico, nei limiti in cui esso può ritenersi accertato, il Collegio ritiene che, entro tali limiti, debba affermarsi la responsabilità dell’Amministrazione intesa come responsabilità datoriale ai sensi dell’art. 2087 cod. civ.

Va anzitutto ricordata, al riguardo, la decisione del Consiglio di Stato sez. IV, 30 novembre 2020, n.7557, con la quale si è, condivisibilmente, affermato che, allorquando invia uomini in missione all’estero, l’Amministrazione della difesa è giuridicamente tenuta:

- ad informarsi preventivamente della concreta ed effettiva situazione (militare, politica, sociale, sanitaria, ambientale) del contesto operativo;

- ad accertarsi della piena idoneità psico-fisica dei militari, adottando tutte le opportune profilassi;

- a fornire al personale tutti gli strumenti di protezione individuale ragionevolmente utili al fine di prevenire i possibili rischi, ivi inclusi quelli connotati da una bassa probabilità statistica.

Nell’ipotesi di missioni all’estero (cosiddette “missioni di pace”), l’Amministrazione della difesa versa in una condizione di responsabilità lato sensu di posizione, cui fa eccezione il solo rischio oggettivamente imprevedibile - giuridicamente qualificabile alla stessa stregua del caso fortuito - ma in cui, viceversa, rientra il rischio da esposizione ad elementi che, benché non ancora scientificamente acclarati come sicuro fattore eziopatogenetico, ciò nonostante lo possano essere, secondo un giudizio di non implausibilità logico-razionale.

La “diligentia” cui è tenuta l’Amministrazione si situa dunque, in tali casi, ad un livello massimo. Infatti, se è incontestato il dovere giuridico del militare di esporsi al pericolo (ciò che, anzi, ne marca la differenza ontologica rispetto al dipendente civile dello Stato e ne giustifica, da un lato, la sottoposizione ad un rigido vincolo gerarchico, dall’altro, l’acquisizione di uno speciale status positivamente normato), tuttavia, non può affermarsi che sul militare gravi ogni tipo di rischio comunque conseguente alla sua presenza fisica nel teatro di operazioni.

Al dovere del militare di esporsi al pericolo stricto sensu bellico, infatti, si contrappone lo speculare dovere dell’Amministrazione di proteggere il cittadino-soldato da altre forme prevedibili e prevenibili di pericoli non strettamente dipendenti da azioni belliche, in primis apprestando i necessari presidi sanitari di prevenzione e cura e dotandolo di equipaggiamento adeguato o, quanto meno, non del tutto incongruo rispetto al contesto, affinché il pieno assolvimento della missione (valore di carattere prioritario, quale precipitato non solo del principio di efficacia dell'azione amministrativa, ma, prima ancora, del carattere “sacro” della difesa della Patria) non vulneri il diritto dei cittadini-soldati a non essere sottoposti a rischi diversi ed ulteriori rispetto a quelli che sono ex lege tenuti ad affrontare.

L’Amministrazione della difesa, quale Ente datoriale, è sottoposta agli obblighi di protezione stabiliti dall’art. 2087 c.c., che impone a quanti ricorrano ad energie lavorative di terzi di adottare “misure” idonee, secondo un criterio di precauzione e di prevenzione, a “tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. La disposizione, che enuclea un dovere di protezione che arricchisce ex lege (cfr. art. 1374 c.c.) il rapporto obbligatorio riveniente dal contratto di lavoro, non ha una portata solo settoriale ma, al contrario, delinea un principio generale di tutela del prestatore di lavoro che si proietta prismaticamente in tutto l’ordinamento: come tale, integra un referente normativo e valoriale di impatto sistemico e, pertanto, trova applicazione anche nel caso del rapporto di impiego o, comunque, di servizio fra il militare e l’Amministrazione della difesa.

Ne consegue che, nel caso di invio di militari all’estero, l’Amministrazione è tenuta, prima di procedere all’esecuzione materiale della missione, ad una rigorosa analisi delle condizioni del contesto ambientale, ad una puntuale enucleazione dei possibili fattori di rischio e, quindi, ad una conseguente individuazione delle “misure” tecnico-operative concretamente disponibili, ragionevolmente implementabili e potenzialmente idonee ad eliminare o, comunque, ad attenuare il più possibile i rischi non stricto sensu bellici connessi all’impiego di militari nel teatro de quo.

Ciò è tanto più vero allorché la missione debba svolgersi in contesti operativi interessati da previ eventi bellici, come tali connotati da una poliedrica, imponderabile e multifattoriale pericolosità: nel caso di specie, in particolare, le zone della Bosnia Erzegovina nelle quali il militare è stato impiegato erano state condotta di campagne di bombardamenti, anche con uso di munizionamento pesante, con conseguente presenza, inter alia, di un potenziale e non implausibile rischio chimico/radiologico da inalazione/ingestione umana di particelle finissime di metalli pesanti, rimaste sospese nell’aria a seguito di esplosioni di obiettivi attinti da proiettili DU.

Tale rischio, per di più, è accentuato nei casi di immunodepressione: orbene, consta anche che i militari inviati in missione siano stati sottoposti ad un pesante protocollo di vaccinazioni, ciò che può con ogni ragionevolezza aver contribuito, insieme con il tipo di vita condotto in loco, ad indebolire le difese immunitarie.

Inoltre, la circostanza che Forze Armate di Paesi Alleati avessero dotato il proprio personale operante nelle missioni in discorso con dispositivi di protezione individuale ed avessero, inoltre, predisposto specifiche procedure volte a minimizzare il rischio da esposizione ad agenti patogeni dispersi nell’ambiente rileva per due ordini di considerazioni:

- il ricorso a tali dispositivi di protezione ed a tali procedure indica che altri Alleati, coinvolti nella stessa missione, ritenevano concreto o, comunque, astrattamente possibile il rischio alla salute derivante dall’esposizione a residui di combustione di metalli pesanti;

- il ricorso a tali dispositivi ed a tali procedure poteva rappresentare, in una doverosa ottica precauzionale, un elemento di tutela per il personale inviato in missioni come quelle nelle quali il sottufficiale ricorrente è stato coinvolto, a fronte di un costo economico e di uno sforzo logistico oggettivamente relativi, rispetto a quelli necessari per l’apprestamento e lo svolgimento della missione.

L’Amministrazione non può neppure invocare, quale fattore ostativo al riconoscimento della propria responsabilità, la mancanza di una chiara evidenza scientifica circa il carattere oncogenetico dell’esposizione umana a residui di combustione di metalli pesanti, in primis DU: la prova liberatoria non può consistere semplicemente nell’invocare il fattore causale ignoto, ma deve spingersi sino a provare convincentemente il fattore causale fortuito, ossia quello specifico agente, non prevedibile e, comunque, non prevenibile, che ha provocato l’evento di danno.

Altrimenti detto, nel quadro di una responsabilità contrattuale posta a garanzia di beni primari, nell’ambito di un ordinamento di settore connotato dall’insindacabilità degli ordini, nel contesto di una missione in un teatro operativo interessato da recenti eventi bellici ed ancora pervaso da plurimi, insidiosi e multifattoriali fattori di pericolo, il rischio causale ignoto grava sull’Amministrazione non sul singolo militare.

Del resto, la causa ignota, categoria gnoseologica e non ontologica, non è altro che la conseguenza dell’attuale ignoranza scientifica circa i nessi eziologici: è cioè, un dato umano, relativo e dinamico, non una realtà naturale, assoluta e fissa (fin qui la citata decisione del Consiglio di Stato n.7557/2020; vedi altresì, per analoghe argomentazioni: Cons. Stato sez. IV, 26 febbraio 2021, n. 1661; id. sez. II, 7 ottobre 2021, n.6684; id. sez. II, 3 novembre 2023, n. 9544).

6. Conclusivamente, alla luce degli elementi di fatto acquisiti in corso di causa e dei principi sopra delineati, il Collegio ritiene che siano stati provati: l’evento di danno; le sue conseguenze sulla integrità fisio-psichica del ricorrente; il nesso di causalità rispetto ai fatti di servizio dedotti come generatori del danno e, infine, l’addebito all’Amministrazione, ai sensi dell’art. 2087 cod. civ. (vedi il superiore par. 5), dell’evento di danno e delle sue conseguenze menomanti permanenti (integranti il complessivo danno non patrimoniale subito), che hanno inciso, da un lato, sulla integrità psico-fisica (danno biologico) e, dall’altro, sulla sfera morale del danneggiato, in termini di sofferenza soggettiva interiore.

In particolare il danno biologico, comprensivo del profilo dinamico-relazione (vale a dire del c.d. danno alla vita di relazione o “esistenziale”) è da quantificare nella misura complessiva di 35 punti percentuali secondo la valutazione medico-legale svolta dal Verificatore.

Sulla base dei criteri orientativi per la liquidazione del danno non patrimoniale offerti dalle Tabelle del Tribunale di Milano (ed. 2021), che il Collegio ritiene di applicare nel caso di specie, tenuto conto dell’orientamento giurisprudenziale più recente, si separa l’importo liquidato per il "danno biologico" dal cosiddetto “incremento per sofferenza soggettiva” (o “danno morale”).

Applicando detti criteri al caso di specie si deve muovere dall’età del soggetto danneggiato al momento della presente liquidazione (anni 67) e dalla percentuale di invalidità permanente accertata (35 punti percentuali).

In base alle tabelle milanesi il punto base del danno biologico corrispondente a tale percentuale di invalidità è pari ad Euro 4.823,00.

Con riguardo alla fattispecie che ci occupa, si deve avere riguardo anche al carattere profondamente afflittivo del danno soggettivo temporaneamente sofferto dall’interessato, come emergente dalla ricostruzione della vicenda clinica che ha comportato cure pluriennali (fino al 2011) e particolarmente invasive le quali, sebbene abbiano avuto in effetti successo, hanno tuttavia provocato effetti di non poco conto come l’ipoacusia e la paradontopatia, con intuibili conseguenze a livello personale (sofferenza soggettiva): è cioè verosimile che, dal momento in cui è stata formulata la diagnosi di “-OMISSIS-”, lo stesso ricorrente abbia patito notevoli sofferenze, all’inizio di natura prevalentemente psichica (consapevolezza di essere affetto da una malattia che, in base a giudizio “ex ante”, avrebbe anche potuto avere un esito nefasto), a cui progressivamente si sono aggiunte quelle fisiche legate alle intense cure chemioterapiche alle quali si è sottoposto e agli effetti sulla salute da esse prodotti.

Pertanto, al di là del dolore “somatico”, la sofferenza morale sperimentata dal Primo Maresciallo -OMISSIS- si è anche caratterizzata per la consapevolezza di un progressivo degrado della persona e di “non essere più in grado” di condurre la propria esistenza come condotta nello stato di salute anteriore, il che risulta accompagnato, in linea generale e irrimediabilmente, a sentimenti di tristezza, inadeguatezza, ansia, timore per la propria salute e paura di morire. In sintesi, sulla base della sola documentazione esaminata e dell’ “id quod plerumque accidit”, è possibile affermare che il ricorrente sia stato costretto via via a sopportare una sofferenza che si è mantenuta e consolidata nel tempo, ad livello elevato, vista anche l’importanza del permanente danno alla salute sofferto.

Deve quindi essere aggiunto al valore-punto del danno biologico (Euro 4.823,52), l’incremento per sofferenza soggettiva, nella misura del 50% del valore del primo e quindi, in conformità alle tabelle milanesi 2021, nella misura di Euro 2.411,76.

Pertanto il “punto danno non patrimoniale” è pari ad Euro 7.235,28.

Quest’ultimo sarà da moltiplicare per il totale dell’invalidità permanente (35 punti) e al risultato così ottenuto (euro 253.234,80) si dovrà applicare il coefficiente “demoltiplicare” (0,670) previsto dalle tabelle milanesi in relazione all’età del danneggiato, il che determina un complessivo danno non patrimoniale risarcibile pari ad Euro 169.667,00 dei quali: Euro 113.112,00 a titolo di danno biologico (comprensivo del profilo dinamico-relazionale) e euro 56.556,00 a titolo di incremento per sofferenza soggettiva (danno morale).

Resta inteso che, in applicazione del principio della “compensatio lucri cum damno” (cfr. Ad. Plen. Cons. Stato 1/2018), l’Amministrazione avrà diritto di procedere alla decurtazione, dall’ammontare risarcitorio suddetto, di tutte le somme già corrisposte e da corrispondere al danneggiato, per obbligo di legge, a titolo di indennità e adeguamento pensionistico “privilegiato”, in quanto somme ammesse in conseguenza del riconoscimento della causa di servizio in capo al ricorrente.

8. In conclusione, il ricorso merita accoglimento e, per l’effetto, accertata la dipendenza della patologia diagnosticata al ricorrente dal servizio prestato e la responsabilità in capo all’Amministrazione intimata per l’insorgenza dell’infermità de qua, si liquida, in favore del ricorrente la somma complessiva di Euro 169.667,00 a titolo di danno non patrimoniale.

Sono dovuti sulla somma così liquidata gli interessi legali dalla data della presente pronuncia al dì dell’effettivo soddisfo.

Le spese di lite, secondo l’ordinario criterio della soccombenza, sono poste a carico della parte soccombente e sono liquidate in dispositivo.

Sono, infine, a carico della stessa resistente le spese della verificazione così come richieste dal Collegio Medico Legale, nella misura di Euro 400,00 + IVA (22%), da versare sul conto intestato a Difesa Servizi S.p.a. secondo le modalità indicate dal Verificatore con nota depositata in data 13.3.2024.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Bis), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto:

- lo accoglie e, per l’effetto, accertata la dipendenza della patologia diagnosticata al ricorrente dal servizio da questi prestato e la responsabilità in capo all’Amministrazione intimata per l’insorgenza dell’infermità, condanna il Ministero della Difesa al risarcimento del danno in favore del Sig. -OMISSIS-, che liquida nella somma complessiva di euro di Euro 169.667,00 (centosessantanoveseicentosessantasette/00), oltre interessi legali fino al giorno del pagamento;

- respinge i motivi aggiunti proposti.

Condanna il Ministero della Difesa al pagamento delle spese di giudizio che liquida in favore del ricorrente nella somma complessiva di euro 4.500,00 (quattromilacinquecento/00), oltre IVA, CPA, oneri per spese generali nella misura del quindici per cento e rimborso del contributo unificato anticipato.

Condanna lo stesso Ministero al pagamento del compenso in favore del Verificatore che liquida nella somma di Euro 400,00 più IVA (22%) da versare a Difesa Servizi S.p.a. secondo le modalità indicate in motivazione.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, e all'articolo 9, paragrafi 1 e 4, del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 e all’articolo 2-septies del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101, manda alla Segreteria di procedere, in qualsiasi ipotesi di diffusione del presente provvedimento, all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi dato idoneo a rivelare lo stato di salute delle parti o di persone comunque ivi citate.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 27 marzo 2024 con l'intervento dei magistrati:

Giovanni Iannini, Presidente

Claudio Vallorani, Consigliere, Estensore

Domenico De Martino, Referendario

 		
 		
L'ESTENSORE		IL PRESIDENTE
Claudio Vallorani		Giovanni Iannini
 		
 		
 		
 		
 		

IL SEGRETARIO
Avv. Antonino Sugamele

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