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Sentenza

Fucilato per l'intenzione di disertare....
Fucilato per l'intenzione di disertare.
Q.A., della provincia di Udine, anni 35, agricoltore; coniugato con prole, soldato del 58º fanteria; condannato alla pena di morte mediante fucilazione nella schiena per diserzione in presenza del nemico. Tribunale militare di guerra del sesto corpo d'armata, 14 maggio 1917.
L'accusato la sera del  7 maggio 1917 mentre il suo reparto che si trovava a Cerovo   apprestavasi  a raggiungere le trincee di prima linea, ed essendo a conoscenza di ciò si assentava di nascosto dal reparto medesimo risultando mancante alla adunata e rendendosi irreperibile fino a che il mattino successivo fu visto dal maresciallo del suo reggimento B. M.in Cerovo stesso.
Detto maresciallo lo esortò a raggiungere immediatamente il reparto ma il Q. A. rispose recisamente che mai si sarebbe recato in linea. Essendo stati avvertiti i carabinieri, questi raggiunsero il militare a circa duecento metri da Cerovo e lo tradussero al reparto che già trovava in linea.
Il Q. A. mentre consumava il rancio alla presenza di molti cari riuniti ebbe ad esclamare come appena fosse in linea avrebbe cercato subito un varco nei reticolati per passare al nemico, aggiungendo la precisa frase "poi vi aggiusto tutti".
Inoltre alla presenza di numerosi compagni esclamò: "vigliacchi ci vogliono fare ammazzare tutti e farci morire di fame".
Il Q. A. Venne perciò denunciato e deferito a questo tribunale di guerra.
i fatti esposti sono rimasti provati per le deposizioni concordi dei testi tutti acquisiti alla causa. L'accusato null'altro ha potuto infatti addurre a sua giustificazione se non la circostanza di non avere voluto andare in linea perché già riconosciuto meno adatto ai servizi di guerra era stato altra volta lasciato come piantone presso il comando, dichiarando quanto alle frasi sopra riferite di averle pronunciate in tono di scherzo senza avere nessuna intenzione né di offendere superiori, né di passare al nemico.
È emerso che il Q. A. Non era affetto da nessuna imperfezione fisica per la quale dovesse essere dispensato dai servizi di prima linea e che al tempo del suo allontanamento egli prestava regolare servizio in compagnia. Del pari è emerso come il militare in parola fosse nel pieno godimento delle sue facoltà mentali, allorché si presenta del tutto infondata la richiesta avanzata dalla difesa per sottoporre l'accusato a perizia psichiatrica.
Infine, per le deposizioni dei testi rimase escluso che il Q. A. Pronunciasse le parole già indicate in tono scherzoso e rimase invece accertato che egli le ebbe a pronunciare con tanta manifesta serietà di proposito da suscitare l'indignazione dei compagni i quali lo redarguivano acerbamente chiamandolo anche vigliacco.
Per le circostanze specifiche sopra esposte e per i precedenti militari dell'accusato, il quale come risulta dalle informazioni versate in atti si dimostrò costantemente soldato privo di qualsiasi buona volontà nell'adempimento dei propri doveri, cercando sempre pretesti di inesistenti indisposizioni per sottrarsi ai servizi, il collegio ha dovuto convincersi che il Q. A punto, nell'assentarsi dal reparto ebbe ad agire esclusivamente per un pravo senso di codardia col determinato proposito di sottrarsi in specie ai pericoli imminenti del servizio nelle trincee di prima linea e di abbandonare definitivamente il reparto e il servizio militare in genere e quindi controllo specifico di disertare; pronto anche a passare al nemico non appena avesse potuto cogliere l'occasione. La località di Cerovo in cui si trovava il reparto era certamente alla presenza del nemico, dal quale distava pochi kilometri e dal fuoco di artiglieria dal quale ben poteva essere battuto. D'altronde l'accusato si allontanò nel momento in cui il reparto doveva muovere per il trasferirsi in prima linea. Di conseguenza nel fatto dalla Q. A. perpetrato si esauriscono obiettivamente esso obiettivamente gli estremi integranti il reato di diserzione in presenza del nemico.
Infine nelle frasi pronunciate dall'accusato in presenza di altri militari ben ricorrano gli estremi costitutivi del reato di ingiuria pubblica da che esse suonavano certamente denigrazione e vilipendio ai capi dell'esercito e agli ufficiali in genere.
Avv. Antonino Sugamele

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