Giurisdizione ordinaria e non militare. Maresciallo dei Carabinieri riceve l'ordine dal Giudice di distruggere due armi clandestine, ma le trattiene per se.
Autorità: Cassazione penale sez. VI
Data udienza: 24 ottobre 2012
Numero: n. 44213
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GARRIBBA Tito - Presidente -
Dott. GRAMENDOLA Francesco - Consigliere -
Dott. LANZA Luigi - rel. Consigliere -
Dott. CAPOZZI Raffaele - Consigliere -
Dott. APRILE Ercole - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
decidendo sul ricorso proposto da:
G.S. nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza 14 aprile 2011 della Corte di appello di
Campobasso.
Visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso.
Udita la relazione fatta dal Consigliere Luigi Lanza.
Sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto
Procuratore Generale dott. VIOLA Alfredo Pompeo che ha concluso per
la declaratoria di inammissibilità del ricorso, nonchè il difensore
del ricorrente avv. Mileti che ha chiesto l'accoglimento
dell'impugnazione.
Fatto
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
G.S., ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 14 aprile 2011 della Corte di appello di Campobasso, che, in parziale riforma della sentenza 15 giugno 2010 del Tribunale di Larino (che lo aveva dichiarato colpevole dei reati ascrittigli e riconosciutagli la diminuente di cui all'art. 442 c.p.p., comma 2 lo aveva condannato alla pena di anni 3 di reclusione, considerando i reati avvinti dal vincolo della continuazione con dichiarazione di falsità degli atti di cui ai capi e), o, h), i), p), q) della rubrica), riconosciute le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate, aveva ridotto la pena ad anni 1 e mesi 10 di reclusione.
1.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.
I fatti che hanno dato origine alla presente vicenda riguardano due armi clandestine: la carabina ad aria compressa marca Diana, mod. 23, con matricola abrasa, ed il fucile definito "a ripetizione ordinaria, privo di marca, modello e matricola e di calibro non definibile", armi nella disponibilità del pubblico ufficiale che le aveva ricevute dall'autorità giudiziaria al fine di distruggerle. Armi invece che, dopo essere state custodite dal ricorrente - all'interno della caserma dei Carabinieri - nello spazio tra un armadio ed il muro, erano state spostate nella casa abitata dal sottufficiale, collocate nella veranda dell'abitazione stessa, e, successivamente consegnate spontaneamente dal G. ai colleghi operanti R.D. 18 giugno 1931, n. 773, ex art. 41 (T.U.L.P.S.).
Per entrambe tali armi era stato redatto dal ricorrente un falso verbale di distruzione.
Da ciò la doppia conforme condanna dei giudici di merito.
Con un primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità ex art. 606 c.p.p., lett. c) in quanto i fatti di causa contestati ed oggetto dei capi di imputazione non possono essere sussunti ex art. 479 c.p. ed ex art. 314 c.p. bensì andavano e vanno ascritti sub art. 215 del c.p.m.p., per quanto riguarda il peculato militare , e sotto le ipotesi di reati falso previsto dal c.p.m.p., per quanto concerne la contestata falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, ex art. 479 c.p..
Il prevenuto infatti avrebbe commesso tutti i fatti-reato "nella sua qualità di Maresciallo dei Carabinieri in Servizio presso la Compagnia di Termoli", con conseguente difetto di giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria in favore di quella Militare , trattandosi di fattispecie commesse da militare appartenente all'Arma dei Carabinieri nell'esercizio delle sue funzioni, soprattutto nei contestati reati più gravi, quali appunto il falso ed il peculato.
Il primo motivo, in punto di prospettato difetto di giurisdizione, è nella specie ammissibile ma infondato.
Invero, nella vicenda, si dimentica un dato di risolutivo rilievo e, cioè, che la disponibilità delle due armi in capo al ricorrente conseguiva, non già ad una decisione dell'Autorità giudiziaria ordinaria di consegna delle armi al Comandante la stazione dei Carabinieri, ai fini del versamento alle competenti direzioni di artiglieria dell'Esercito Italiano, ai sensi della L. n. 152 del 1975, art. 6 circostanza questa che avrebbe determinato l'appartenenza delle stesse all'Amministrazione militare (cfr. in tale senso: Cass. Sez. 6 sent. N. 694 del 2.11.99 Rv 215320, Sez. 6 sent. N. 8408 del 19.2.90 Rv 184608), ma si trattava invece di beni per i quali era stata disposta, dal giudice ordinario, la confisca e la conseguente distruzione: il m.llo dei Carabinieri in tale vicenda agiva ed operava non come " militare " ma come "longa manus" del giudice ordinario, al di là e al di fuori di ogni ipotizzarle concorrente violazione del Codice penale militare di pace.
Il motivo va quindi rigettato.
Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione, atteso il ricorso ad una motivazione de relato puramente apparente, priva di contenuti, contraddittoria e senza risposte alle questioni sollevate in sede di impugnazione.
Per la difesa del ricorrente infatti la Corte di Appello di Campobasso si è limitata a rispondere, seppure con motivazione contraddittoria ed illogica, soltanto sulla questione relativa alle armi e sul delitto di peculato, non motivando affatto su tutte le altre questioni proposte dalla difesa quali: a) la non qualità di arma comune da sparo della "carabina Diana cal, 4, 5; b) la non qualità di arma del moschetto, in quanto non funzionante perchè privo delle parti metalliche; c - d - e - f) l'assenza della soggettività e dell'azione esecutiva dei delitti ritenuti; g) la mancata valorizzazione della circostanza che il ricorrente nello spostare le armi dalla caserma all'abitazione aveva ciò fatto in previsione della imminente loro distruzione; h) l'omessa considerazione della specchiata vita professionale del m.llo G. agli effetti della determinazione della sanzione, una volta esclusa dalla Corte di appello la finalità di immissione delle armi stesse nel mercato clandestino.
Con motivi aggiunti si evidenziano circostanze di fatto che si ritengono non valutate dalla Corte di appello, ai fini della esclusione della responsabilità dell'imputato.
Le doglianze sub a) e sub b) sono inammissibili in quanto esigono dalla Corte di legittimità un giudizio di fatto sulle caratteristiche delle armi, in un contesto di rito abbreviato, e considerato che la corte distrettuale ha comunque sul punto (cfr.
pag.12) fornito una spiegazione corretta in fatto e in diritto, incensurabile in questa sede.
Le altre critiche (sub e, d, e, f, g) non superano la soglia dell'ammissibilità.
E' infatti risaputo che, nella verifica della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte di secondo grado, tale decisione non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, ogni qualvolta, come nella specie, entrambe le decisioni risultano sviluppate e condotte secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti.
In buona sostanza, nella vicenda, ci si trova di fronte a due pronunce, di primo e secondo grado, che concordano nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che si salda perfettamente con quella precedente sì da costituire un unico complessivo corpo argomentativo, privo di lacune, considerato che la sentenza impugnata, ha dato comunque congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di colpevolezza.
Ne consegue che l'esito del giudizio di responsabilità, così ottenuto ed argomentato, non può essere invalidato dalle prospettazioni alternative del ricorrente le quali si risolvono nel delineare una "mirata rilettura" di quegli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione, nonchè nella autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè maggiormente plausibili, oppure perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta si è in concreto esplicata.
Nè miglior sorte hanno "motivi aggiunti" nella parte in cui, oltre che ribadire le critiche dianzi esaminate, propone "i tratti personali" "di eccellenza" del militare , al fine di avvalorare una sorta di incompatibilità con il formulato giudizio di responsabilità penale.
Trattasi infatti di profili che attengono alla personalità del ricorrente, ma che non escludono l'illiceità della contingente condotta accertata.
Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2012.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2012
08-12-2012 10:22
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