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Sentenza

Tribunali militari I guerra mondiale. La rivolta della Brigata Catanzaro. I regg...
Tribunali militari I guerra mondiale. La rivolta della Brigata Catanzaro. I reggimenti coinvolti il 141° e il 142°.Condanne a morte con fucilazione nel petto.
La rivolta della Catanzaro

C. F., della provincia di Chieti, anni 20, celibe, incensurato; L. P., della provincia di Bari, anni 27, ammogliato con prole; P. L., della provincia di Bari, anni 21, fornaio, celibe, analfabeta, incensurato; S. O., della provincia di Macerata, 21 anni, celibe, incensurato; tutti soldati nel 141° e nel 142° fanteria; condannati alla pena di morte mediante fucilazione nel petto per rivolta, come agenti principali; C. L., della provincia di Firenze, 22 anni, operaio, celibe, incensurato, e F. A., della provincia di Foggia, 21 anni, carrettiere, celibe, incensurato; soldati negli stessi reggimenti, condannati a 15 anni e 10 mesi di reclusione militare per complicità nella rivolta.
Tribunale militare di guerra del VII corpo d'armata. Zona di guerra, 1 agosto 1917. Sentenze di morte eseguite nel settembre dello stesso anno.

La notte tra il 15 e il 16 luglio, una gravissima rivolta sorse nei reggimenti 141° e 142° di fanteria costituenti la brigata Catanzaro, i quali avevano avuto l'ordine di partire da S. Maria la Longa per la linea.
I primi colpi di fucile e le agitazioni incomposte dei soldati partirono dai baraccamenti del 141°, ma quasi subito il movimento si estese anche a quelli del 142°; la rivolta perciò si manifestò in modo impressionante e raggiunse il suo culmine verso la mezzanotte essendo stata in azione dai ribelli anche qualche mitragliatrice contro le truppe d'ordine, che giusta le previdenti disposizioni deisuperiori comandi erano state dislocate opportunamente per impedire che i rivoltosi dilagassero nei vicini abitati, come sembrava fosse loro obbiettivo.
Ne sorsero conflitti per i quali rimasero uccisi, vittime del loro dovere, il tenente P. R. e il carabiniere B. F., e feriti diversi ufficiali e uomini di truppa.
La rivolta fu totalmente domata verso le ore quattro. Risulta dalla relazione in atti e dalle deposizioni dei testi assunti in giudizio che la rivolta era stata concertata in precedenza fra gli elementi facinorosi dei due reggimenti.
I militari comparsi oggi in giudizio debbono rispondere del reato di rivolta, ed essendo stata la loro reità chiarita più rapidamente per maggiori elementi di accusa da loro stessi e dai denuncianti forniti, fu ritenuto opportuno portarli senza indugio al dibattimento senza attendere la definizione dell'istruttoria necessariamente più lunga. riflettente i numerosissimi altri indiziati, dei quali alcuni anche  latitanti. Passando ad esaminare partitamente la posizione dei singoli imputati, si osserva in ordine al C. F., come mentre il tenente P. si sforzava di tenere a bada un gruppo di una quarantina di uomini l'accusato piombasse tra di essi gridando “fuoco! fuoco!”; l'ufficiale lo afferrò per il collo, e gli strinse il fucile, che dovette tosto lasciare perché ancora scottante; di ciò approfittò il soldato per sottrarsi alla stretta dell'ufficiale, il quale però fu sollecito a strappargli il piastrino di riconoscimento, che appariva attraverso la giubba sbottonata per modo che si poté senza alcun dubbio identificare il colpevole nella persona dell'odierno accusato.
Per quanto riguarda L. P., la prova della sua partecipazione alla rivolta si sussume da una lettera da lui scritta alla propria moglie ed intercettata dalla censura, nella quale egli confessa di aver preso parte attiva alla rivolta, e si vanta di aver ucciso un carabiniere, dopo averlo maltrattato ripetutamente col calcio del fucile; onde per questa sua confessione è stata a lui addebitata oltre la partecipazione alla rivolta anche l'uccisione del carabiniere.
Il C. L., lo S. O. e il F. A. hanno in lettere da loro spedite, e dalla censura sequestrate, descritta la rivolta con frasi tali da non lasciare dubbio sulla partecipazione alla rivolta stessa (“Si è fatta la rivoluzione”; “abbiamo fatto sciopero … da qualunque parte noi facevamo fuoco”; “alla Brigata Catanzaro abbiamo fatto una rivolta” e manifestano poi, tutti propositi di diserzione al nemico).
Infine il P. L. è indiziato perché quando, la mattina dopo, il reggimento iniziò la marcia di trasferimento, egli si rivolse contro i conducenti delle automitragliatrici, che accompagnavano il reparto, per mantenere la disciplina e prevenire nuovi disordini, gridando quasi in preda a morboso furore “Vigliacchi, ci avete traditi!”.
Il L. P. asserisce che quando scrisse la lettera era in istato di ubriachezza: ma ciò devesi escludere pel tenore della lettera stessa la quale dà una descrizione precisa dei dolorosi avvenimenti di quella sera, sebbene per quanto riguarda l'uccisione del carabiniere sorga il dubbio al Tribunale che l'imputato, abbia voluto attribuire a se stesso l'infame uccisione del povero milite per un sentimento perverso di vanagloria. Risulta invero dalla deposizione del capitano deiRR. CC. (Regi Carabinieri) T. che il carabiniere B. è stato ucciso in condizioni di fatto del tutto diverse da quelle accennate dall'accusato nella lettera.
Ma se è da porsi in dubbio che egli abbia ucciso il carabiniere, è certo invece per il tenore della lettera e per la malvagità di cui ha dato prova anche semplicemente vantandosi di un sì nefando delitto non suo, che egli prese parte cosciente e attiva alla rivolta, di cui l'uccisione del carabiniere fu un episodio.Il naufragio dell'alibi tentato dai predetti accusati, le varie loro contraddizioni ed infine il tenore delle loro lettere convincono il Tribunale che essi attivamente parteciparono alla rivolta, sia pure in grado e con responsabilità diversa.

(Ibidem, p.236-238)
Avv. Antonino Sugamele

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