Calunnia ed esercizio del diritto di difesa.
Cassazione penale sez. VI
Data:
28/03/2013 ( ud. 28/03/2013 , dep.05/04/2013 )
Numero:
15928
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE ROBERTO Giovanni - Presidente -
Dott. ROTUNDO Vincenzo - Consigliere -
Dott. PAOLONI Giacomo - Consigliere -
Dott. APRILE Ercole - Consigliere -
Dott. DE AMICIS Gaetano - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1. Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri;
avverso la sentenza emessa il 29.11.2012 ai sensi dell'art. 425
c.p.p. dal G.U.P. del Tribunale di Locri;
nei confronti di:
2. G.R., nato a
(OMISSIS);
letti gli atti, il ricorso il provvedimento decisorio impugnato;
udita in camera di consiglio la relazione del consigliere dott.
Giacomo Paoloni;
udito il pubblico ministero in persona del sostituto Procuratore
Generale dott. GAETA Pietro che ha concluso per l'inammissibilità
del ricorso.
Fatto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Adito dalla richiesta del procedente p.m. di rinvio a giudizio dell'imputato G.R. per reati di minaccia plurima a pubblico ufficiale e di calunnia, il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Locri, disposto con separato decreto il giudizio nei confronti dell'imputato per l'ascritto reato di cui all'art. 336 c.p., con coeva sentenza del 29.11.2012 ha dichiarato, ai sensi dell'art. 425 c.p.p., il non luogo a procedere nei confronti del G. per il connesso reato di calunnia con la formula del fatto non costituente reato perchè commesso nell'esercizio del diritto di difesa ex art. 51 c.p..
1.1. La vicenda che ha dato origine all'imputazione di calunnia è semplice ed ampiamente illustrata nella sentenza. La sera del (OMISSIS) un pattuglia automontata della locale stazione dei Carabinieri composta dai carabinieri C. e L. procede a rituale controllo di una autovettura Fiat Punto alla cui guida si trova il pregiudicato G.R. con a bordo come passeggero tale Gi.An.. Edotto della commessa violazione al codice della strada per essersi posto alla guida del veicolo senza patente, ritiratagli il (OMISSIS) perchè sorpreso alla guida in stato di ebbrezza, il G. mostra crescenti segni di nervosismo segnatamente all'indirizzo del carabiniere L.F., cui rivolge minacce, sostenendo di non essere stato alla guida od mezzo al momento del controllo. Sul posto giunge in ausilio agli operanti altra autopattuglia dell'Arma composta dal maresciallo Ca.
e dal carabiniere O.. Il G. e il Gi. sono condotti in caserma per l'espletamento delle formalità connesse alla redazione del verbale di contestazione dell'accertata violazione amministrativa a carico del G. (art. 116 C.d.S., comma 13:
guida senza patente perchè ritirata). Costui, dapprima assecondato dal Gi., continua a sostenere di non essersi trovato alla guida della vettura Fiat che sarebbe stata guidata dal Gi.. In prosieguo entrambi ammettono che il conducente era il G., che tuttavia non desiste da un contegno di scherno verso tutti i militari e in particolare il carabiniere L., cui rinnova gravi minacce.
La mattina del giorno successivo, il (OMISSIS), G. torna nella caserma della Stazione Carabinieri, chiedendo di parlare con il comandante, in assenza del quale accetta di parlare con il maresciallo Ca., riferendogli del suo malanimo verso i carabinieri per l'atteggiamento preconcetto che coltiverebbero nei suoi confronti e insistendo nel ripetere di non essere stato alla guida dell'autovettura, come accertato dal carabiniere L. e dallo stesso esposto nel verbale di contestazione dell'illecito amministrativo. Sul contegno dichiarativo assunto dal G. e sulle sue accuse al carabiniere L. (di avere attestato il falso nel ridetto verbale di contestazione amministrativa, indicandolo come effettivo conducente dell'autovettura), il maresciallo Ca. redige dettagliata relazione di servizio ("annotazione di p.g."), che è stata allegata alla comunicazione della notizia del reato di cui all'art. 336 c.p. inviata in data 15.2011 al Procuratore della Repubblica di Locri, che richiede integrativi elementi di conoscenza sui fatti.
1.2. Quelli descritti essendo i fatti e le circostanze spazio- temporali sottesi al comportamento dichiarativo dell'imputato, il decidente g.u.p. afferma in sentenza, da un lato, che l'accusa di falsa redazione del verbale di contestazione amministrativa rivolta dal G. al carabiniere L., accusa di falsità ideologica in un atto pubblico, è senz'altro idonea ad integrare la materialità del reato di calunnia contestatogli dal p.m., evidente prospettandosi la falsità di tale accusa alla luce delle verifiche svolte dai militari operanti e delle indicazioni del passeggero Gi. (ove non pure, incidentalmente, dello stesso G.) ammissive della condotta di guida autoveicolare del G.. Da un altro lato, tuttavia, il g.u.p. ritiene di escludere la punibilità soggettiva dell'imputato per il reato di calunnia, dovendo le accuse al carabiniere L. essere inquadrate nell'esercizio del suo diritto di difesa volto a confutare l'addebito amministrativo formulato nei suoi confronti ed essendo, per ciò, scriminate ai sensi dell'art. 51 c.p.. Ad avviso del decidente il G. si è limitato a negare (in uno alle gravi minacce rivolte a tutti i carabinieri partecipi dell'episodio-accertamento del (OMISSIS), oggetto del separato reato ex art. 336 c.p. per il quale egli è stato rinviato a giudizio) "l'oggettiva esistenza a suo carico del fatto amministrativo illecito, senza assumere ulteriori iniziative, se non generiche e inconcludenti farneticazioni circa un'asserita prevenzione nei suoi confronti". Di qui la dichiarata improcedibilità del fatto-reato ai sensi dell'art. 425 c.p.p. nella ritenuta superfluità di eventuali approfondimenti dibattimentali.
2. Avverso la sentenza di non luogo a procedere ha proposto rituale ricorso per cassazione (art. 428 c.p.p.) il Procuratore della Repubblica di Locri, deducendo erronea applicazione di legge (artt. 368 e 51 c.p.; art. 425 c.p.p.) e illogicità della motivazione.
Parifiche apparendo le valenze calunniose dei fatti riferiti dal G. all'ufficiale di p.g. maresciallo Ca. (sulla condotta falsificatoria del carabiniere L. nell'esercizio delle funzioni d'istituto), sorrette dalla consapevolezza o - meglio - certezza della loro falsità (la sentenza impugnata rimarca l'infondatezza e inveridicità dell'assunto dell'imputato di non essere stato alla guida del veicolo controllato dal L., smentito in caserma dal suo amico Gi. e da lui stesso), erra il giudice nell'ipotizzare la condotta del G. giustificata in virtù della causa esimente prevista dall'art. 51 c.p..
Tale condotta accusatoria trascende, infatti, l'ambito dell'esercizio del diritto di difesa, perchè - come chiarito da più decisioni di legittimità - la stessa travalica i limiti dell'esimente, atteso che l'imputato non si è limitato a contestare la sussistenza dell'illecito amministrativo attribuitogli, ma con condotta ulteriore e avulsa da una specifica sede defensionale ha mosso una autonoma e specifica accusa penale al militare operante. Accusa idonea a dar luogo ad un procedimento penale volto ad accertarne la fondatezza e, per di più, esternata in un momento successivo all'episodio fonte di contestazione dal punto di vista difensivo dell'imputato, che il giorno successivo all'episodio si reca deliberatamente presso la locale Stazione Carabinieri al solo scopo di accusare formalmente di falso il carabiniere L.. Accusa mendace e gratuita, tanto più quando si osservi che lo stesso carabiniere L., come non manca di rilevare la stessa sentenza di improcedibilità ex art. 425 c.p.p., ha già precisato nel redatto verbale di contestazione amministrativa (consegnato all'imputato) che G. contesta l'addebito, annotandovi testualmente: "il trasgressore dichiara che guidava Gi.An.".
3. Il ricorso del pubblico ministero è fondato e la sentenza impugnata va annullata con rinvio al giudice a qua per nuovo giudizio.
Palesi si profilano, sul piano logico-giuridico, le carenze della motivazione della sentenza di improcedibilità. Ne costituisce sicuro indice il semplice collegamento tra il giudizio applicativo dell'esimente di cui all'art. 51 c.p., fondato sul rilievo che l'accusa di falso mossa al carabiniere L. sia espressione dello ius defendendi del G. rispetto all'addebito contestatogli, e la dinamica sequenziale dei contegni assunti dal G. dopo l'accertamento di p.g. del (OMISSIS) (e la connessa condotta di minaccia ex art. 336 c.p.) quale illustrata nella stessa sentenza di improcedibilità. Con la conseguenza che la tesi del giudice di merito, per cui l'accusa calunniosa (definita oggettivamente tale dallo stesso giudice) espressa dal G. il giorno successivo non trascenderebbe, nel rispetto dei limiti dell'esercizio del diritto di difesa tracciati dalla giurisprudenza di legittimità, il rigoroso rapporto funzionale tra il suo contegno eteroaccusatorio (contro il militare L.) e il suo intento autodifensivo di infirmare l'addebito amministrativo rivoltogli, risulta priva nel caso di specie di un adeguato supporto dimostrativo.
Se non vi è dubbio che vada riconosciuto all'imputato o indiziato di un reato (nel caso di specie il contestato reato di minaccia a p.u.
scaturito, in rapporto di diretta causalità, dall'accertamento di p.g. dell'abusiva condotta di guida del prevenuto) il diritto di difendersi anche mentendo e riferendo fatti falsi, è altrettanto indispensabile - ai fini della eventuale operatività in simili casi della scriminante dell'esercizio del diritto di difesa - focalizzare l'analisi valutativa della condotta del soggetto agente sulle concrete modalità, di tempo e di situazione, attraverso le quali ad un tale esercizio del diritto di difesa si coniughi l'attribuzione a terzi di un fatto costituente reato (v. Cass. Sez. 6, 13,6.2008 n. 26019, Cogiiani, rv. 240930).
Un utile criterio per individuare la linea di discrimine tra la configurabilità o meno del reato di calunnia individuato dalla giurisprudenza di legittimità in simili condotte dichiarative di un imputato o indiziato è offerto appunto da modalità e tempi con cui le accuse a scopo difensivo sono esternate. Finchè il dichiarante attribuisce un determinato fatto reato ad altra persona, che pur sa essere innocente, soltanto per negare il proprio comportamento antigiuridico e ciò faccia nell'immediatezza dell'accertamento o nella sede processuale propria offertagli per contestarne il valore (interrogatorio, esame, spontanee dichiarazioni, memoriali, ecc.), è possibile sussumere la calunniosità delle accuse nella latitudine dello ius defendendi. Ma quando, invece, le accuse sono formulate al di fuori di uno specifico contesto difensivo ovvero siano sorrette da precise circostanze che le rendano virtualmente credibili o verosimili, così esponendo gli accusati al rischio anche solo potenziale di subire iniziative di segno penale, si producono effetti che oltrepassano l'autodifesa. Poichè vanificano la necessaria connessione "funzionale" tra l'addebito da cui il soggetto intende difendersi e le sue asserzioni accusatorie verso terzi, di guisa che queste ultime perdono il loro valore di strumento di contestazione di un eventuale addebito, espressione di ius defendendi, ricadendo nell'area di apprezzabilità di una colpevole volontà calunniatrice.
Tanto più se le accuse così enunciate non siano di per sè nè assurde, nè inverosimili, nè grottesche (cfr: Cass. Sez. 6, 5.11.2002 n. 9929/03, Tummarello, rv. 223946; Cass. Sez. 6, 20.11.2003 n. 13309/04, Scartane, rv. 229238; Cass. Sez. 2, 14.10.2009 n. 2740/10, Zolli, rv. 246042; Cass. Sez. 6,11.12.2012 n. 1767/13, Grasso, rv. 254041).
Della descritta e pur doverosa analisi sui coefficienti di funzionalità autodifensiva dell'accusa di falso formalizzata dall'imputato nei riguardi del carabiniere L. non si rinviene tangibile o efficace traccia nella sentenza impugnata, che appare - anzi- aver decontestualizzato lo sviluppo cronologico del delineato esercizio del diritto di difesa del G.. Esercizio che si manifesta nell'immediatezza dell'accertamento di p.g. del (OMISSIS) e che proseguirebbe il giorno successivo in virtù di una condotta che lo stesso giudice di merito qualifica come "ulteriore" rispetto a quella precedente, sì da rendere necessaria la verifica di eventuale continuità strumentale e finalistica tra le due interrotte e ben separate condotte dichiarative accusatorie del G..
Verifica che appare in concreto elusa dalla decisione liberatoria impugnata dal p.m.. E ciò benchè non possa aprioristicamente nè istituirsi, nè parimenti escludersi, un diretto automatismo logico e semantico, in relazione di diretta causalità giuridica, tra la negazione autodifensiva delle dichiarazioni rese dal G. nel quadro dell'episodio del (OMISSIS) e la sua successiva consapevole accusa di falsità ideologica mossa al carabiniere L., conversando il giorno dopo ((OMISSIS)) con il pubblico ufficiale maresciallo Ca., all'uopo recandosi in caserma con l'esplicito intento di formalizzare una vera e propria denuncia orale contro il carabiniere. Verifica valutativa che il decidente g.u.p. del Tribunale di Locri ha creduto di poter omettere. Ma che, a meno di incorrere in una indebita eterogenesi ermeneutica dei fini espressivi delle reali e concrete dichiarazioni rese dal G. nelle due segnalate diverse circostanze, è necessario compiere a cura del giudice di merito attraverso la puntuale analisi delle modalità e dei peculiari contenuti degli asserti accusatori dell'imputato.
Traendo le conclusioni, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio per nuova deliberazione (udienza preliminare) al Tribunale di Locri, che - per i fini di cui all'art. 627 c.p.p., comma 3 e art. 173 disp. att. c.p.p., comma 2 - provvedere a colmare le lacune e le discrasie segnalate in narrativa, uniformandosi alle indicazioni ermeneutiche e metodologiche dianzi illustrate ed ai canoni valutativi postulati dalle richiamate decisioni di legittimità.
PQM
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Locri per nuovo giudizio.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 5 aprile 2013
05-05-2013 00:36
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