Insegnante chiede di essere trasferita in Belgio ove il marito, Ufficiale delle Forze Armate, era impegnato. Chiede 200.000 Euro di danni.
Consiglio di Stato sez. IV
Data:
19/01/2012 ( ud. 08/11/2011 , dep.19/01/2012 )
Numero:
239
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 581 del 2008, proposto da:
Se. Ma. Gr., rappresentato e difeso dall'avv. Aurelio Leone, con
domicilio eletto presso Aurelio Leone in Roma, viale Angelico, 97;
contro
Ministero degli Affari Esteri, in persona del Ministro pro tempore,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato,
domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LAZIO - ROMA: SEZIONE I n. 01186/2007, resa
tra le parti, concernente richiesta di risarcimento del danno in
relazione all'avvenuto rigetto di domanda di trasferimento
all'estero.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero degli Affari
Esteri;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 8 novembre 2011 il Cons.
Andrea Migliozzi e uditi per le parti gli avvocati Aurelio Leone e
l'avvocato dello Stato Angelo Venturini.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
La prof. Se. Ma. Gr., insegnante di ruolo di scuola media chiedeva ai sensi dell'art.1 comma 5 legge n.100 del 1987 il trasferimento presso una istituzione scolastica o altro ufficio italiano in Belgio in coincidenza on l'assegnazione del proprio coniuge, ufficiale delle Forze Armate presso un reparto sito nella predetta nazione, a far data dal 17/6/1992.
Il Ministero degli affari Esteri con provvedimento prot. n. 115/7359 del 10/11/1992 respingeva l'istanza di ricongiungimento nella sede del coniuge e l'interessata impugnava tale diniego innanzi al Tar per il Lazio che, con sentenza n.1648/95, accoglieva il relativo ricorso.
La prof. Se. conveniva innanzi al Tribunale civile di Roma il Ministero degli affari esteri per ottenere il risarcimento dei danni patiti in ragione della determinazione dell'istanza de qua illegittimamente assunta, ma l'adito giudice declinava la propria giurisdizione.
L'interessata quindi proponeva ricorso al Tar per il Lazio volto ad ottenere l'accertamento del diritto al risarcimento del danno derivante dal provvedimento poi annullato e stimabile in via equitativa in euro 200.000,00.
Il Tribunale Amministrativo per il Lazio con sentenza n.1186/07, dopo aver sancito la propria giurisdizione a pronunciarsi sul petitum, rigettava il ricorso, ritenendolo infondato.
Avverso tale sentenza è insorta la Se. che ha affidato al proposto appello le seguenti censure:
Violazione e falsa applicazione di legge e dell'art.2043 codice civile. Contraddittorietà e illogicità della decisione impugnata e violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento, quali quello di corretta e buona amministrazione;
Nullità della sentenza ex art.112 c.p.c. per avere il giudice statuito oltre i limiti della domanda e per aver sollevato eccezioni nella esclusiva disponibilità delle parti (extra petita). Contraddittorietà ed illogicità della decisione impugnata. Violazione del giudicato.
Si è costituito in giudizio il Ministero degli Affari Esteri che ha contestato la fondatezza del gravame di cui chiesto la reiezione.
All'odierna udienza pubblica la causa è stata spedita in decisione.
Diritto
L'appello si appalesa infondato, con conferma di quanto deciso in primo grado.
Con i due motivi d'impugnazione (che per ragioni di logica connessione fra loro esistenti, possono essere congiuntamente trattati) parte appellante assume la fondatezza dell'avanzata richiesta risarcitoria sulla scorta di due ordini di ragioni così riassumibili:
sussistono nella vicenda per cui è causa gli elementi richiesti per farsi luogo alla fattispecie risarcitoria, lì dove, in particolare, il diniego di trasferimento opposto alla prof.ssa Se. è il frutto di una errata, arbitraria interpretazione della normativa e in tale illegittimo comportamento dell'Amministrazione è senz'altro da rinvenirsi la sussistenza dell'elemento psicologico della colpa;
l'impugnata sentenza è da ritenersi nulla, avendo il Tar messo contraddittoriamente in discussione l'illegittimità del comportamento amministrativo e ciò in evidente contrasto con le precedenti statuizioni di merito espresse in relazione all'avvenuta impugnazione del provvedimento di reiezione del trasferimento ed aventi valore di cosa giudicata.
Le argomentazioni difensive sopra illustrate sono prive di fondamento giuridico.
Il Tar con la decisione 1648/95 ha disposto l'annullamento del gravato atto di diniego di trasferimento in ragione della ritenuta fondatezza della dedotta censura di violazione dell'art.1 comma 5 della legge n.100/97, norma che riconosce il diritto del coniuge del militare di ottenere in caso di trasferimento d'autorità del marito di essere assegnato presso le rispettive amministrazioni site nella sede di servizio del coniuge stesso o in una sede più vicina.
Per il vero il giudice di primo grado nella predetta circostanza ha avuto modo di richiamare l'art.4, comma 4 della legge n.498 del 23/12/1992 (recante disposizioni in tema di contenimento della spesa pubblica) che prevede che la disposizione di cui all'art.1 comma 5 della legge n.100 del 1987 si applichi solo in caso di trasferimento nell'ambito del territorio nazionale, precisando nel contempo che il citato art.4 costituisce norma innovativa non applicabile alle situazioni antecedenti come quella della ricorrente e discostandosi così da un pur esistente orientamento interpretativo di valenza retroattiva della norma introdotta con la citata legge n.498/92.
Ora dal tenore letterale delle osservazioni formulate dal giudice di prime cure, come sopra riportate, è da escludere che nel caso de quo ricorrano le condizioni di fatto e di diritto costitutive di una condotta dell'Amministrazione produttiva di danno risarcibile.
In primo luogo occorre, invero, rilevare che ai fini dell'ammissibilità (ed eventuale fondatezza) della domanda risarcitoria conseguente, come nella specie, all'annullamento di un provvedimento amministrativo, non è sufficiente la sola rimozione dal mondo giuridico dell'atto stesso, dovendosi valutare la sussistenza dell'elemento psicologico quanto meno della colpa, in quanto la responsabilità patrimoniale della pubblica amministrazione va inserita nel sistema delineato dall'art.2043 del codice civile (Cons. Stato Sez. IV 29 settembre 2005 n.5204; idem 11 ottobre 2006 n.6059) e in tali sensi va condotta nella vicenda che ci occupa una specifica indagine.
Ora nel caso de quo non sussiste alcuna colpa a carico dell'intimato Ministero, se è vero che il diniego è stato opposto alla stregua di una interpretazione di tipo restrittivo abbastanza ragionevole e resa in buona fede, tant'è che lo stesso giudice che ha proceduto ad annullare la determinazione negativamente assunta ha dato atto delle incertezze interpretative della norma di favore (art.1 comma 5 della legge n.100/87).
Se così è, se cioè il diniego opposto non è cervellotico e/o irrazionale o ingiustificatamente penalizzante, risultando agganciato ad un assunto interpretativo di tipo restrittivo, appare allora agevole ritenere che non è ravvisabile un comportamento negligente o superficiale e/o comunque colpevole, né, tanto meno, può presumersi l'elemento della colpa dalla illegittimità in sé dell'atto, come poi accertata in sede giurisdizionale.
Neppure appare configurabile nella specie a carico dell'intimato Ministero una colpa c.d. di apparato sia perché non sono imputabili a detta amministrazione gravi violazioni sia perché l'atto di diniego si rivela coerente con il potere discrezionale concretamente esercitato dalla P.A. (in tal senso, Cons. Stato Sez. IV 12 gennaio 2005 n.43).
Ne deriva che, non potendosi riscontare nella vicenda de qua la sussistenza dell'elemento della colpa non è configurabile una responsabilità a carico dell'amministrazione che sia produttiva di danno risarcibile.
Quanto alle doglianze con cui parte appellante invoca una sorta di contraddittorietà a carico della sentenza qui impugnata, il Collegio rileva la correttezza delle statuizioni assunte dal Tar: il giudice non ha affatto negato la pregressa dichiarata illegittimità del provvedimento di diniego, ha solo statuito, in maniera ineccepibile, che l'accertata invalidità del diniego di trasferimento non vale da sola a legittimare la sussistenza di un danno risarcibile, risultando, a tali fini assente almeno una delle condiciones iuris previste per il riconoscimento di un siffatto diritto.
In forza delle suestese considerazioni, l'appello si appalesa infondato e va perciò, respinto.
Le spese e competenze del presente grado del giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.
PQM
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)
definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, lo Rigetta.
Condanna la parte appellante al pagamento delle spese e competenze del presente grado del giudizio che si liquidano complessivamente in euro 2.000,00 (duemila) oltre IVA e CPA.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 8 novembre 2011 con l'intervento dei magistrati:
Anna Leoni, Presidente FF
Diego Sabatino, Consigliere
Raffaele Potenza, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere, Estensore
Umberto Realfonzo, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 19 GEN. 2012
23-03-2013 15:51
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