Maresciallo dei Carabinieri viene arrestato su ordine del Gip del Tribunale di Napoli. Il riesame annulla e la Cassazione conferma annullamento. Risarcimento da ingiusta detenzione. non hanno alcun significato indiziario
Corte appello sez. VIII Napoli
Data:
01/10/2012 ( ud. 13/12/2011 , dep.01/10/2012 )
Numero:
Intestazione
CORTE DI APPELLO DI NAPOLI
VIII sezione penale
Riparazione per l'ingiusta detenzione
ORDINANZA
La Corte di Appello di Napoli, ottava sezione penale, riunita in
camera di consiglio e composta dai seguenti magistrati:
dott. Giuseppe De Carolis di Prossedi Presidente
dott. Angelo Di Salvo Consigliere rel.
dott.ssa Silvana Clemente Consigliere
vista la domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione presentata
in data 27.04.2011 da C. A., nato a Caserta il ..., residente in
Casagiove (CE), via E., rappresentato e difeso dall'avv. Gianluca
Casella, presso il cui studio in Casolla (Caserta), alla via M. R.
elettivamente domiciliato, con la quale è stato richiesto il
pagamento di un equo indennizzo per la custodia cautelare in carcere
patita dal 01.07.2003 al 16.07.2003;
- letta la memoria di costituzione del Ministero dell'Economia e
delle Finanze;
- letta la memoria depositata dalla difesa di C. A. in data
9.12.2011;
- sentite all'udienza camerale del 13 dicembre 2011 le conclusioni
delle parti presenti;
- a scioglimento della riserva formulata all'udienza camerale odierna.
OSSERVA
Fatto
In data 01.07.2003, in esecuzione dell'ordinanza di custodia cautelare emessa in data 30.06.2003 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, C. A., Maresciallo ordinario dell'Arma dei Carabinieri in servizio presso la Stazione CC di Caivano (NA), veniva tratto in arresto per rispondere, in concorso con tale C. F., dei reati di cui ai capi U) e V).
Queste le imputazioni:
Capo U) delitto di cui agli artt. 319, 321 c.p. perché il primo nella qualità di carabiniere e, pertanto, quale pubblico ufficiale, riceveva somme di denaro ed altre utilità dal secondo, al fine di compiere atti contrari ai propri doveri di ufficio, in particolare:
- promettendo di acquisire informazioni in ordine alle iniziative investigative dei Carabinieri presenti il 7.12.2001 nei pressi dell'abitazione di C. F.;
- promettendo di intervenire presso il maresciallo A. R., comandante della Stazione di Poggiomarino, per ritardare la registrazione di una denuncia presentata nei confronti del C.;
- omettendo di denunziare l'esistenza di rapporti di soggezione estorsiva gestiti dal C.;
- nonché, in definitiva, assicurando, in maniera continuativa, i propri servigi al C., al fine di assisterlo in ogni rapporto con le forze dell'ordine.
In Poggiomarino, dal dicembre 2001 al maggio 2012
Capo V) delitto di cui agli artt. 110, 629 c.p., perché, in concorso Ira loro e con altra persona non identificata, mediante minacce portate da più persone riunite, fra cui lo stesso C., costringevano persone in corso di identificazione a corrispondere una somma di denaro, allo stato non quantificabile, così procurandosi un ingiusto profitto con altrui danno In località limitrofe a Poggiomarino, il 22 e 23 dicembre 2001
Con ordinanza emessa in data 16.07.2003 il Tribunale del riesame di Napoli annullava l'ordinanza di custodia cautelare per difetto dei gravi indizi di colpevolezza disponendo, in pari data, l'immediata scarcerazione di C. A..
Avverso la predetta ordinanza il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli proponeva ricorso per Cassazione, che veniva rigettato dalla Corte Suprema – 6^ sezione penale, con sentenza n. 18039 dell'8.02.2005, depositata il 13.05.2005.
La Corte Suprema di Cassazione, con la predetta sentenza n. 18039/05 sottolineava che "contrariamente a quanto dedotto, dal testo del provvedimento impugnato risulta che il Tribunale ha specificamente analizzato la rispondenza dei presupposti di legge con riferimento a ciascuno dei decreti (autorizzativi o esecutivi) interessanti le posizioni degli indagati, partendo dal primo decreto esecutivo del 16 giugno 2001, passando poi al decreto autorizzativo del 6 novembre 2001, a quello di proroga del 6 dicembre 2001 nonché successivi decreti di autorizzazione a intercettazioni telefoniche ambientali (pp. 5 e 6 dell'ordinanza).
Appare al contrario che è il ricorso a difettare di specificità, non essendosi in esso evidenziato quali tra le posizioni coinvolte non fossero in ipotesi toccate dai vizi rilevati dal giudice. Il G.i.p. ha ritenuto l'inutilizzabilità degli ultimi decreti autorizzativi in quanto fondati sui risultati di operazioni di intercettazione a loro volta viziate da inutilizzabilità. Il ricorrente assume che tali decreti traevano fondamento anche da ulteriori emergenze investigative. Ma, a prescindere dalla considerazione che nella ordinanza impugnata si collegano gli ultimi decreti autorizzativi esclusivamente alle risultanze di precedenti operazioni di intercettazione, anche in questo caso la censura appare generica, non essendosi evidenziato se tali ulteriori emergenze investigative avessero qualche pregnanza indiziaria, a fronte di una valutazione del G.i.p. di segno contrario.
Infine, quanto al rilievo secondo cui le ragioni di urgenza erano desumibili dalla necessità di evitare la dispersione delle fonti di prova, trattandosi di attività criminose in corso, il ricorrente non considera che secondo l'ordinanza impugnata tale presupposto non è ricavabile neppure per relationem dal decreto autorizzativo; e le note informative sono d'altro canto richiamate dal ricorrente in via complessiva, senza alcuna analisi del loro specifico significato ai fini della sussistenza del presupposto dell'urgenza. P.Q.M. Rigetta il ricorso" (cfr. sentenza cit.; pagg. 4-5).
In data 15.01.2008 il Pubblico Ministero formulava richiesta di archiviazione che il G.i.p. rigettava con ordinanza resa in camera di consiglio, ordinando l'imputazione nei confronti di C. A. (e di tale S. A.).
Con sentenza n. 2752/08 del 28.11.2008, depositata il 27.02.2009 il G.u.p. del Tribunale di Napoli dichiarava non doversi procedere nei confronti, tra gli altri, di C. A., in ordine ai reati ascrittigli.
In particolare, nella sentenza di assoluzione, il G.i.p. sottolineava che "gli elementi di prova si basano quasi esclusivamente su intercettazioni telefoniche ed ambientali, dichiarate in massima parte inutilizzabili del Tribunale della libertà con l'ordinanza sopra richiamata, confermata dalla Corte di Cassazione, alla cui lettura si rinvia, onde evitare inutili ripetizioni, ritenendone pienamente condivisibili le argomentazioni. Gli elementi che ne residuano, e che avevano determinato l'annullamento dell'o.c.c. per assenza di gravi indizi di colpevolezza, non possono certo considerarsi sufficienti a sostenere l'accusa in giudizio, con una prognosi di condanna degli imputati... Peraltro, nelle more, nessun nuovo elemento è stato portato al vaglio del Giudicante, che possa far ritenere utile il vaglio dibattimentale" (cfr. sent. cit, pag. 3).
La sentenza di assoluzione diveniva irrevocabile in data 27.04.2009.
Con istanza in data 27.04.2011 C. A. ha presentato domanda di riparazione per l'ingiusta detenzione in carcere patita dall'1.07.2003 al 16.07.2003 (gg. 16 di detenzione in carcere).
Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha depositato memoria scritta, con la quale ha precisato di non opporsi alla liquidazione dell'indennizzo, richiedendo la determinazione del quantum a norma di legge e secondo equità, con integrale compensazione delle spese.
La difesa di C. A. in data 9.12.2011 ha depositato memoria.
All'odierna udienza camerale il Procuratore Generale si è rimesso alla Corte, mentre l'istante ha chiesto accogliersi l'istanza di cui in premessa.
L'istante deduce:
- che non ha dato luogo con comportamento doloso o colposo alla sua detenzione;
- che l'ingiusta detenzione patita gli ha cagionato "notevoli danni alla proprio immagine sia dal punto di vista economico-sociale, oltre che ad un crollo psicologico dovuto alle indicibili sofferenze patite in regime di carcerazione.
In particolare, già in data 2 luglio 2003, il sottoscritto veniva precauzionalmente sospeso dall'impiego (cfr. alleg. n. 7), con conseguente perdita della propria capacità reddituale;
- che in data 1 agosto 2003, il Ministero della Difesa - Direzione Generale per il Personale Militare emetteva, nei confronti dello scrivente, Decreto di sospensione precauzionale dall'impiego ai sensi dell'art. 20, secondo comma, della Legge 31 luglio 1954, n. 599, a decorrere dal 1 luglio 2003 (cfr. allegato n. 8).
Solo in data 2 settembre 2003, al termine di una estenuante battaglia legale, il sottoscritto veniva riammesso in servizio con Decreto Ministeriale n. 262/111-7/2003 (cfr. allegato n. 9).
Orbene, come è facile intuire, una situazione siffatta oltre ad arrecare allo scrivente un notevole nocumento economico dovuto non solo alla mancata percezione dello stipendio, ma anche al blocco della propria carriera militare (avanzamenti, promozioni ecc. ), gettava sull'istante l'ombra del sospetto e il conseguente discredito fra i propri colleghi ed amici.
Inoltre, risiedendo il sottoscritto in un piccolo centro ed avendo avuto la vicenda de qua una notevole eco a causa del risalto dato alla stessa dai locali mass-media, la di lui famiglia si è trovata ad affrontare un'insostenibile situazione scaturita dal sistematico allontanamento di parenti ed amici che, purtroppo, hanno preferito credere ai giornali, piuttosto che alle parole dell'istante.
Invero, vanno, altresì considerati gli enormi problemi e sacrifici economici affrontati dal sottoscritto durante l'anzidetto periodo di detenzione, nel corso del quale la propria famiglia, senza il fondamentale supporto dello stesso, ha dovuto patire innumerevoli sofferenze ed umiliazioni.
Che anche dopo che veniva fatta luce sulla presente vicenda giudiziaria, il sottoscritto continuava ad essere oggetto di sospetti, malevole insinuazioni ed umiliazioni, che hanno condizionato la di lui esistenza e quella della propria famiglia" (vds. istanza in atti).
Con memoria depositata in data 9.12.2011 C. A., a mezzo del difensore fiduciario, deduceva, altresì, che "in relazione alla valutazione del richiesto indennizzo, si evidenzia che per il M.llo C., dopo il periodo di carcerazione, è iniziato quello che senza mezzi termini può essere definito un vero e proprio "Calvario"personale, familiare e lavorativo.
Ed invero, oltre agli insanabili disguidi sorti all'interno della di lui vita coniugale che hanno avuto come risultato ultimo la separazione con la moglie (distrutta ed angosciata dalle conseguenze nefaste sulla immagine propria e su quella dei propri figli causate dalla notizia dell'arresto del marito - cfr. ali. n. 1), l'istante ha dovuto subire una serie di peripezie in ambito lavorativo che hanno di fatto stroncato una carriera pur brillantemente intrapresa.
Ed invero, il C., arruolato a far data dal 28/01/1981, nonostante avesse ricevuto diversi encomi e avesse bruciato le tappe del "cursus honorum", in conseguenza dell'ingiusto arresto è stato, suo malgrado, il bersaglio umano dei seguenti provvedimenti disciplinari:
1) Trasferimento "per servizio" dalla Tenenza di Coivano alla Stazione dei CC di Piedimonte Matese a seguito di provvedimento del 19/11/03 a firma del Comandante del Comando Regione Carabinieri Campania —SM Ufficio Personale- Gen. D. L. G.. Il trasferimento (disposto "senza alloggio di servizio ") diverrà effettivo, dopo un periodo di servizio provvisorio presso lo Stazione CC di Casoria, in data 3/12/2003 (cfr. ali n. 2);
2) Rigetto della "richiesta di avanzamento per la promozione al grado superiore" del 26/10/04. In particolare, nel provvedimento a firma del Capo Ufficio della Commissione di Valutazione e Avanzamento – Col. G. B. - è dato leggere: "...l'interessato non offre garanzie di ben esercitare le funzioni di grado superiore" (cfr. ali. n. 3);
3) "Rigetto dello richiesta di trasferimento" del 14/10/05" (cfr. ali. n. 4). In particolare, in data 30/05/05, il C. depositava istanza di trasferimento nella quale evidenziava che la necessità di prestare servizio presso altra sede con "alloggio di servizio" era dettata dalle seguenti incombenze:
- la grave malattia da cui era affetta la moglie (cd. "Porpora Idiopatica Trombocitopenica") rendeva necessaria la quotidiana presenza del prefato presso l'abitazione coniugale, dato che i 2 figli C. e D. frequentavano all'epoca la scuola superiore e non erano patentati e, pertanto, non solo non erano in grado di accudire la madre senza compromettere irrimediabilmente il loro profitto scolastico, ma non potevano neppure offrire un tempestivo aiuto in caso di emergenza. Ed invero, l'enorme distanza tra il luogo dove abitava la famiglia C. (Casagiove in Caserta) rispetto al luogo in cui prestava servizio (Piedimonte Matese), pari a ben 44 KM da percorrere per 2 volte al giorno, rendeva di fatto impossibile per l'uomo prestare la necessaria assistenza alla adorata consorte. Tra l'altro, la circostanza che il padre fosse stato trasferito a causa dell'arresto, faceva insorgere nei figli un forte sentimento di astio e di disprezzo nei confronti del genitore, ritenuto l'unico vero responsabile delle peripezie della famiglia;
- l'enorme aggravio economico sulle finanze della famiglia conseguente al trasferimento in un luogo di lavoro lontano dalla proprio abitazione. A tal riguardo si evidenzia che l'odierno istante all'epoca doveva percorrere 88 KM al giorno per recarsi presso la Stazione CC di Piedimonte e far ritorno a casa e ciò comportava una spesa mensile pari a circa 200,00 euro. Ebbene, tale cifra era assolutamente insostenibile se sommata ai 200,00 euro mensili necessari per le cure sanitarie e l'acquisto dei medicinali per la signora C. ed ai 350,00 euro sborsati, ogni 30 giorni, per l'affitto dell'appartamento in cui abitava la famiglia C..
Tuttavia, la richiesta di trasferimento del M.llo, fondata su evidenti ragioni di "sopravvivenza", veniva rigettata dall'Arma sulla base, tra le altre, della seguente argomentazione:
"tuttora risulta sottoposto a procedimento penale presso l'A. G. di Napoli e, pertanto, non è opportuno reimpiegarla quale vicecomandante" (cfr. ali. n. 4);
4) "Trasferimento d'autorità" dalla Stazione CC di Piedimonte Matese (CE) al 10° Battaglione Carabinieri Campania in Napoli del 22/05/06 (cfr. all. n. 5);
5) instaurazione di un'"inchiesta Formale per l'applicazione di una sanzione di stato" nei confronti del M.llo C. A. (cfr. all. n. 6). Nonostante tale proposta, fondata esclusivamente sulla circostanza che l'odierno istante era stato sottoposto a procedimento penale per i reati di cui agli artt. 319 c.p., 321 c.p. e art. 7 Ig 203/91 -senza minimamente prendere in considerazione, nel merito, che nelle more il C. era stato assolto con sentenza passata in cosa giudicata dalle contestazioni imputategli-, veniva poi rigettata con provvedimento del Direttore Generale del personale militare del Ministero della Difesa del 27/07/2009 (nella cui parte motiva si dava notevole rilievo alle argomentazioni sviluppate dalla difesa nelle proprie Memorie), l'onta derivante dalla sottoposizione ad un'inchiesta formale finalizzata alla emissione di una "sanzione di stato" ingenerava nel C. un forte senso di ansia e di sfiducia nella Giustizia che irrimediabilmente si riverberavano nella vita privata e nei rapporti con il prossimo in generale e con i colleghi in particolare. Ed in effetti, la sola possibilità di vedersi irrogare una simile sanzione, pur essendo stato assolto all'esito di udienza preliminare, non poteva non avere ripercussioni in un ambiente di lavoro fondato sulla lealtà e sul rispetto della legge;
6) Instaurazione di un'inchiesta Formale per l'eventuale irrogazione della sanzione della consegna di rigore (cfr. all. n. 7). Ultima, ma non per questo meno devastante, "beffa" che l'odierno istante subiva a causa della ingiusta detenzione nell'ambito del procedimento penale per i reati di cui agli arti 319 c.p., 321 c.p. e art. 7 lg 203/91 scaturiva dall'apertura di un procedimento disciplinare a suo carico per l'applicazione di una sanzione ed "di rigore". Sentendosi comprensibilmente perseguitato da un'infinita serie di umiliazioni patite a seguito di una vicenda penale dalla quale era stato considerato completamente innocente e stremato per una battaglia destinata a non avere mai fine, il C. nell'occasione rinunciava a far valere le proprie ragioni, accettando passivamente l'irrogazione della sanzione che gli veniva comminata con provvedimento del 28/01/2010 a firma del Comandante del 10A Battaglione Carabinieri Campania - Ten. Col. F. G. - (cfr. ali. n. 8).
- che quelle appena elencate sono solo le tappe più eclatanti del Calvario che il C. ha dovuto percorrere dal giorno dell'arresto. La continua ed incalzante mortificazione professionale di un militare che -così come inconfutabilmente attestato dalle numerose "Lettere di Apprezzamento" e dai "Giudizi Complessivi Finali" presenti nelle "Schede Valutative "che solo in parte si allegano alla presente (cfr. ali. xi. 9)- ha sempre dimostrato di essere in possesso di spiccate qualità morali improntate all'obbedienza, alla disciplina, al senso dell'onore, della lealtà e del dovere, ha provocato dei danni ingentissimi che si chiede alle SS VV di valutare con la consueta equità al di là del mero dato temporale rappresentato dal numero dei giorni (apparentemente non eccesivo) trascorsi in stato detentivo...
- che non ci si può esimere dall'evidenziare che, al di là ed oltre il mero dato temporale rappresentato da una detenzione ingiustamente patita che, a prima vista potrebbe sembrare di durata non eccessiva, la applicazione della misura custodiate ha avuto effetti devastanti sulla vita familiare, sulla carriera sul senso di autostima e sulla fiducia nella Giustizia dell'odierno istante.
- che il C., a seguito dei 16 giorni trascorsi ingiustamente in carcere ha dovuto:
1) Patire (suo malgrado) il progressivo deterioramento dei rapporti con la moglie, che ha condotto inevitabilmente i 2 coniugi alla separazione;
2) Vedere l'immenso ed incondizionato amore per il padre dei propri figli trasformarsi improvvisamente in un mai celato astio nei confronti di colui che era senza mezzi termini ritenuto l'unico responsabile delle disgrazie familiari;
3) Assistere da spettatore passivo alla distruzione di una carriera che, seppure brillantemente avviata, è stata senza ragione stroncata;
4) Sopportare l'astio ed il disprezzo dei colleghi. Non si dimentichi, sul punto, che in qualità di appartenente alle Forze dell'Ordine, il C. ha più di qualsiasi altro soggetto dovuto subire l'onta conseguente ad un arresto a proprio carico;
5) Vedere sfumare, a seguito della lunghissima "Via Crucis" dei procedimenti e dei provvedimenti disciplinari, quel senso di fiducia nella Giustizia, nelle Istituzioni ma soprattutto nel Corpo di appartenenza che fin dal momento dell'arruolamento avevano accompagnato step by step la propria carriera nell'Arma" (vds. memoria cit.);
- chiede un equo indennizzo per la ingiusta detenzione patita, commisurato nell'importo che sarà ritenuto equo da questa Corte di Appello.
La memoria del Ministero dell'Economia e delle Finanze - Con la memoria di costituzione in atti, il prefato Ministero si è costituito, "rimettendosi all'Eccma Corte adita, per la valutazione della sussistenza delle condizioni di ammissibilità al rimborso" e chiedendo che "il quantum sia determinato a norma di legge e secondo equità", con "l'integrale compensazione delle spese di lite".
Ritiene questa Corte:
IN RITO: preliminarmente la domanda di riparazione deve ritenersi ammissibile, essendo stata presentata in data 27.04.2011, allorquando non erano ancora decorsi due anni dal 27.04.2009, data di passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione del G.u.p. del Tribunale di Napoli.
NEL MERITO:
Ritiene questa Corte che, nella fattispecie, debba escludersi che C. A. abbia concorso o dato causa, con dolo o colpa grave, alla ingiusta detenzione patita.
Ed invero, ai sensi dell'art. 314 c.p.p., il dolo o la colpa "grave" (connotata, cioè, da macroscopica, evidente negligenza, imprudenza, trascuratezza) sono
cause ostative al riconoscimento dell'equo indennizzo solo quando costituiscono comportamenti specifici che abbiano "dato causa" o abbiano "concorso" a dare causa all'instaurazione dello stato privativo della libertà.
Pertanto è ineludibile l'accertamento del rapporto eziologico, tra tali condotte ed il provvedimento restrittivo della libertà personale, al fine di escludere la sussistenza del diritto all'indennità.
Tale valutazione deve essere effettuata sulla base di dati certi e la valutazione del giudice della riparazione deve svolgersi su un piano diverso ed autonomo, rispetto a quello del giudice del processo penale, pur dovendo eventualmente operare sullo stesso materiale.
Infatti, mentre il giudice del processo penale deve valutare la sussistenza o meno di una ipotesi di reato ed eventualmente la sua riconducibilità all'imputato, il giudice della riparazione non deve valutare se determinate condotte costituiscano o meno reato, ma soltanto se esse si posero come fattore condizionante (anche nel concorso dell'altrui errore) alla produzione dell'evento "detenzione".
Nella fattispecie in esame, prescindendo dal principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite della Corte Suprema, secondo cui "l'inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, accertata nel giudizio penale di cognizione, ha effetti anche nel giudizio promosso per ottenere la riparazione per ingiusta detenzione" (Cass. Pen., SS.UU., n. 1153, CC. 30.10.2008, dep. 13.01.2009, rv. 241667), nella fattispecie qui scrutinata, l'ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli del 16.07.2003, oltre a dichiarare l'inutilizzabilità di tutte le intercettazioni telefoniche su cui il Gip del Tribunale di Napoli aveva esclusivamente fondato la ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa in data 30.06.2003 a carico del Maresciallo capo dei CC C. A., ha anche accertato che "dal punto di vista probatorio, le conversazioni intercorse sull'utenza in discorso, non hanno alcun significato indiziario in ordine alle imputazioni del presente procedimento, essendo state registrate telefonate aventi contenuti del tutto neutro, o comunque avulso dal traffico di sostanze stupefacenti per cui si procede" (cfr, ordinanza Trib. Riesame Napoli del 16.07.2003).
Tale (perentoria) statuizione del Tribunale del riesame di Napoli è divenuta irrevocabile a seguito della sentenza n. 18039/05 dell'8.02.2005 (dep. 13.05.2005) della Corte Suprema di Cassazione - VI sezione penale che ha rigettato il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli avverso la su richiamata ordinanza, dando atto proprio della compiuta analisi di tutti gli elementi di prova effettuata dal predetto Tribunale.
Sul punto specifico, le Sezioni Unite della Corte Suprema hanno statuito proprio che la "coincidenza" tra il materiale probatorio utilizzato dal Giudice della misura cautelare e quello utilizzato dal Giudice di merito, comporta la sussistenza del diritto alla riparazione per l'ingiusta detenzione patita, anche prescindendo dalla condotta posta in essere dall'istante, in quanto il Gip che emise la misura cautelare personale ebbe a disposizione, fin dall'inizio, i medesimi elementi di prova necessari per potere escludere la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (Cass. Pen., SS.UU., n. 32383, CC. 27.5.2010, dep. 30.8.2010).
Tanto premesso, deve concludersi che C. A. non ha dato causa, né concorso a dare causa alla vicenda che ne determinò l'ingiusta detenzione.
La quantificazione dell'indennizzo - Secondo la maggioritaria e consolidata giurisprudenza di legittimità, anche a Sezioni Unite -dalla quale questa Corte non reputa di doversi discostare- la riparazione dell'ingiusta detenzione si deve fondare su una valutazione equitativa che tenga conto non solo della durata della custodia cautelare, ma anche, e non marginalmente, delle conseguenze personali e familiari scaturite dalla privazione della libertà, e ciò per effetto dell'applicabilità, in tale materia, della disposizione di cui all'art. 643 comma 1 c.p.p., che commisura la riparazione dell'errore giudiziario alla durata dell'eventuale espiazione della pena ed alle conseguenze personali e familiari derivanti dall'ingiusta detenzione patita, in considerazione del valore "dinamico" attribuito dall'ordinamento costituzionale alla libertà personale, che impone una valutazione equitativamente differenziata, caso per caso, degli effetti dell'ingiusta detenzione (Cass. S.U. n° 1 del 31.5.1995, Castellani, RV 201035). Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno ribadito il principio che il parametro matematico al quale riferire la liquidazione dell'indennizzo è costituito dal rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'art. 315 comma 2 c.p.p. (euro 516.456,90), ed il termine massimo della custodia cautelare, di cui all'art. 304, espresso in giorni (6 anni = giorni 2.190), moltiplicato per il periodo, anch'esso espresso in giorni, di ingiusta detenzione subita; la somma che deriva da tale computo (euro 235,82 per ciascun giorno di detenzione in carcere) può essere ragionevolmente dimezzata (euro 117,91) nel caso di detenzione agli arresti domiciliari, attesa la sua minore afflittività.
La giurisprudenza (Cass. IV 6/12/2005, depositata il 17/2/2006) ha ulteriormente specificato che il parametro matematico non è vincolante in assoluto, ma tuttavia costituisce il criterio base della valutazione del giudice della riparazione, al quale potrà derogarsi in senso ampliativo (purché nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge) oppure restrittivo, a condizione però che, in entrambi i casi, sia fornita congrua e logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento (conseguenze personali e familiari, condizioni socio economiche del soggetto, ecc.).
Tanto premesso in ordine ai criteri da applicarsi al caso concreto, va precisato che, nel caso di specie, l'istante Maresciallo capo dei CC C. A. ha subito ingiusta detenzione in carcere dal 01.07.2003 al 16.07.2003 (gg. 16 di detenzione in carcere); il calcolo aritmetico del relativo indennizzo è, pertanto, pari ad euro 3.773.12 (235,82 x gg. 16 di detenzione in carcere), che costituisce il mero calcolo aritmetico del relativo indennizzo.
La giurisprudenza di legittimità (Cass. Pen., IV sez., n. 21493/09, CC. 23.4.2009, Tafciu) ha specificato che il parametro ed. "matematico" non è vincolante in assoluto, ma costituisce il criterio base della valutazione del giudice della riparazione, il quale potrà derogarvi in senso ampliativo (purché nei limiti del tetto massimo fissato dalla legge) oppure restrittivo, a condizione pero che, in entrambi i casi, fornisca congrua e logica motivazione della valutazione dei relativi parametri di riferimento (conseguenze personali e familiari, condizioni socio economiche del soggetto, ecc.).
Ed è proprio la fattispecie di deroga "in senso ampliativo" al parametro "aritmetico" che si attaglia al caso portato all'esame di questa Corte di Appello, non essendo seriamente contestabile che l'istante C. A., Maresciallo capo dei Carabinieri in attività di servizio, in conseguenza della ingiusta detenzione qui scrutinata, abbia patito ingenti danni morali, con notevoli conseguenze personali e familiari, trattandosi della detenzione di un incensurato innocente, appartenente alle Forze dell'Ordine, con il conseguente strepitus della divulgazione della notizia del suo arresto, nonché ingenti danni patrimoniali, costituiti dalla sua sospensione precauzionale dal servizio (con conseguente consistente riduzione dello stipendio), cui poi fece seguito la riammissione in servizio.
Le principali voci di danno, tutte diligentemente evidenziate e documentate dalla difesa dell'istante, sono:
1) Trasferimento "per servizio" dalla Tenenza di Caivano alla Stazione dei CC di Piedimonte Matese a seguito di provvedimento del 19/11/03 a firma del Comandante del Comando Regione Carabinieri Campania —SM Ufficio Personale- Gen. Div. L. G.. Il trasferimento (disposto "senza alloggio di servizio") diverrà effettivo, dopo un periodo di servizio provvisorio presso la Stazione CC di Casoria, in data 3/12/2003 (cfr. ali. n. 2 della memoria dep. il 9.12.2011);
2) Rigetto della "richiesta di avanzamento per la promozione al grado superiore" del 26/10/04. In particolare, nel provvedimento a firma del Capo Ufficio della Commissione di Valutazione e Avanzamento - Col. G. B. - è dato leggere: "...l'interessato non offre garanzie di ben esercitare le funzioni di grado superiore" (cfr. ali. n. 3 della memoria dep. il 9.12.2011);
3) "Rigetto della richiesta di trasferimento" del 14/10/05" (cfr. ali. n. 4 della memoria dep. il 9.12.2011). In particolare, in data 30/05/05, il C. depositava istanza di trasferimento nella quale evidenziava che la necessità di prestare servizio presso altra sede con "alloggio di servizio" era dettata dalle seguenti incombenze:
- la grave malattia da cui era affetta la moglie (cd. "Porpora Idiopatica Trombocitopenica"), che rendeva necessaria la quotidiana presenza del C. presso l'abitazione coniugale, dato che i 2 figli C. e D. frequentavano all'epoca la scuola superiore e non erano patentati e, pertanto, non solo non erano in grado di accudire la madre senza compromettere irrimediabilmente il loro profitto scolastico, ma non potevano neppure offrire un tempestivo aiuto in caso di emergenza. Ed invero, la notevole distanza tra il luogo dove abitava la famiglia C. (Casagiove in Caserta) rispetto al luogo era stato trasferito il Maresciallo C. per prestare servizio (Piedimonte Matese), pari a ben 44 KM da percorrere per 2 volte al giorno, rendeva di fatto impossibile per l'istante prestare la necessaria assistenza alla propria consorte. Tra l'altro, la circostanza che il padre fosse stato trasferito a causa dell'arresto, creò notevoli disagi, a livello familiare nel rapporto con i figli del C., che all'evidenza- individuarono nel genitore l'unico vero responsabile delle peripezie della famiglia;
- l'aggravio economico sulle finanze della famiglia, conseguente al trasferimento in un luogo di lavoro lontano dalla propria abitazione. A tal riguardo, la difesa ha fondatamente eccepito che l'odierno istante all'epoca doveva percorrere 88 KM al giorno per recarsi presso la Stazione CC di Piedimonte e far ritorno a casa e ciò comportava una spesa mensile pari a circa 200,00 curo. Ebbene, tale cifra era assolutamente insostenibile se sommata ai 200,00 euro mensili necessari per le cure sanitarie e l'acquisto dei medicinali per la signora C. ed ai 350,00 euro sborsati, ogni 30 giorni, per l'affitto dell'appartamento in cui abitava la famiglia C..
Tuttavia, la richiesta di trasferimento del M.llo C. A., fondata su evidenti ragioni di "sopravvivenza economica", veniva rigettata dall'Arma sulla base, tra le altre, della seguente argomentazione: "tuttora risulta sottoposto a procedimento penale presso l'A G. di Napoli e, pertanto, non è opportuno reimpiegarla quale vicecomandante" (cfr. all. n. 4 della memoria dep. il 9.12.2011);
4) "Trasferimento d'autorità" dalla Stazione CC di Piedimonte Matese (CE) al 10° Battaglione Carabinieri Campania in Napoli del 22/05/06 (cfr. ali. n. 5 della memoria dep. il 9.12.2011);
5) instaurazione di un'"inchiesta Formale per l'applicazione di una sanzione di stato" nei confronti del M.llo C. A. (cfr. ali. n. 6 della memoria dep. il 9.12.2011). Tale inchiesta, fondata esclusivamente sulla circostanza che l'odierno istante era stato sottoposto a procedimento penale per i reati di cui agli artt. 319 c.p., 321 c.p. e art. 7 Ig 203/91 -senza prendere in considerazione, nel merito, la decisiva circostanza che, nelle more, il Maresciallo C. era stato assolto con sentenza del Gup del Tribunale di Napoli del 28.11.2008, divenuta irrevocabile il 27.04.2009, da tutte le contestazioni mossegli, veniva definita senza l'adozione di alcuna sanzione, con provvedimento del Direttore Generale del personale militare del Ministero della Difesa del 27.07.2009;
6) orbene, nonostante l'articolo 4 del VII Protocollo addizionale della Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo stabilisca il divieto del "bis in idem" ed il terzo comma della medesima disposizione sovranazionale ribadisca che "non è autorizzata alcuna deroga al presente articolo ai sensi dell'articolo 15 della Convenzione", il Maresciallo C., dopo l'archiviazione della prima "inchiesta formale", venne sottoposto, per la seconda volta, ad una nuova "inchiesta formale" per l'eventuale irrogazione della sanzione della consegna di rigore (cfr. ali. n. 7 della memoria depositata il 09.12.2011).
Il difensore fiduciario ha rappresentato che il Maresciallo C., sentendosi comprensibilmente perseguitato da un'infinita serie di umiliazioni patite a seguito di una vicenda penale dalla quale era stato considerato completamente innocente e stremato per una battaglia destinata a non avere mai fine, nell'occasione rinunciava a far valere le proprie ragioni, accettando passivamente l'irrogazione della sanzione che gli veniva comminata con provvedimento del 28/01/2010 a firma del Comandante del 10A Battaglione Carabinieri Campania —Ten. Col. F. G." (cfr. all. n. 8 della memoria depositata il 09.12.2011).
È di palmare evidenza, quindi, come l'ingiusta detenzione qui scrutinata abbia avuto effetti devastanti sulla vita familiare, sulla carriera e sul senso di autostima del Maresciallo capo C. che, come documentato in atti, "ha ricoperto gli incarichi affidatigli con impegno e serietà, evidenziando una buona preparazione professionale, che gli ha permesso di collaborare fattivamente con colleghi e superiori e di fornire un rendimento in servizio di buon livello" (cfr. scheda valutativa del Comandante della Compagnia CC di Casoria dell'1.3.2004 -all. 9 della memoria depositata il 09.12.2011); con l'ulteriore precisazione che è un "sottufficiale di positivi requisiti di fondo, che ha evidenziato una concreta preparazione professionale, rinnovato impegno e desiderio di ben figurare. Sempre disponibile, ha offerto buona collaborazione ai superiori diretti ed ha fornito rendimento soddisfacente" (cfr. scheda valutativa del Comandante della Compagnia CC di Piedimonte Matese del 31.12.2004 - cfr. all. 9 della memoria depositata il 09.12.2011).
Ed ancora: "sottufficiale di ottimi requisiti complessivi, nel periodo in esame ha svolto il proprio incarico con competenza e professionalità, dedizione ed entusiasmo, conseguendo risultati di elevato livello, meritevole della superiore qualifica - QUALIFICA FINALE: ECCELLENTE" (cfr. scheda valutativa del Comandante della 1^ Compagnia del 10° Battaglione Campania del 04.02.2008 - cfr. all. 9 della memoria depositata il 09.12.2011).
In definitiva, come ampiamente dimostrato dalle schede valutative acquisite agli atti, il Maresciallo Capo CC C. A. ha sempre dimostrato di essere in possesso di spiccate qualità morali improntate all'obbedienza, alla disciplina, al senso dell'onore, della lealtà e del dovere.
Tutto ciò comporta un ampliamento -non certo formale- del parametro "aritmetico", per il calcolo dell'indennizzo, in applicazione del principio di diritto secondo cui "l'incensuratezza del soggetto ingiustamente privato della libertà personale (il quale, proprio perché incensurato, ricava da detta privazione, secondo l'"id quod plerumque accidit", una afflizione generalmente maggiore di quella di chi, per i propri precedenti penali, sia in una qualche misura assuefatto a trovarsi in analoghe situazioni), come pure lo "strepitus fori", nella misura in cui questo sia determinato, come frequentemente avviene, dal fatto stesso della intervenuta adozione di provvedimenti cautelari, specie quando ciò avvenga a carico di soggetti generalmente considerati come alieni dalla perpetrazione di illeciti penali, costituiscono elementi atti ad essere legittimamente valutati ai fini della quantificazione del diritto alla riparazione previsto dall'art. 314 c.p.p." (Cass. Pen., 4^ sez., n. 215, CC. 20.01.1992, dep. 28.02.1992, rv. 189351, rigetta rie. Min. Tesoro in proc. Chirollo; in senso conf.: Cass. Pen., 4^ sez., n. 451 CC. 8.04.1994, dep. 08.06.1994, rv. 198090, rigetta rie. Min. Tesoro in proc. Maggiolaro).
Le principali sofferenze morali e materiali sono state acutamente riepilogate dal difensore fiduciario del Maresciallo C., il quale ha evidenziato che l'istante, in conseguenza dell'ingiusta detenzione qui scrutinata, oltre alle voci di danno su elencate, ha dovuto:
1) patire il progressivo deterioramento dei rapporti con la moglie, che ha condotto inevitabilmente i due coniugi alla separazione;
2) assistere alla distruzione di una carriera che, seppure brillantemente avviata, è stata inquinata dalla ingiusta detenzione patita;
3) sopportare gli odiosi sospetti dei colleghi, proprio in conseguenza delle gravissime accuse erroneamente mossegli con l'ordinanza di custodia cautelare che ha dato luogo all'ingiusta detenzione patita.
Ne consegue, in altri termini, che la privazione della libertà personale per il Maresciallo Capo dei CC C. A., appartenente alle Forze dell'Ordine, il cui comportamento in servizio è stato sempre ineccepibile, procurandogli la stima e l'apprezzamento dei propri superiori, ha costituito, per il solo fatto di essere stata posta in essere, ed a prescindere dalla sua durata, un evento traumatico e di rilevante incisività sulla psiche del sottufficiale, sulle sue relazioni sociali e familiari, sulla considerazione e sulla reputazione personale e professionale da lui in precedenza godute.
Le conseguenze personali e familiari sono in parte irreversibili.
Tutto ciò acquista particolare significato per chi -come l'istante- è incensurato, svolge una peculiare attività professionale (Maresciallo dei Carabinieri) a contatto con il pubblico e di particolare rilievo nella realtà del paese di espletamento del servizio, dove sovente il risalto giornalistico viene dato soltanto alla notizia dell'arresto (ma non anche a quella dell'assoluzione).
Si ritiene, pertanto, di poter derogare in senso ampliativo rispetto all'applicazione del criterio matematico - che rimane però imprescindibile base di calcolo- in relazione alle ripercussioni personali e familiari correlate all'eco della notizia dell'arresto ed alla successiva devastazione dell'attività professionale.
Nella fattispecie, tenuto complessivamente conto di tutti gli ingenti predetti disagi personali, familiari e lavorativi e patiti dall'istante, e della sua qualità di appartenente alle Forze dell'Ordine, reputa questa Corte che, in via equitativa, si debba procedere ad una integrazione dell'importo di cui al calcolo aritmetico, determinando cumulativamente la riparazione in euro 35.000,00 (trenta-cinquemila//00): misura questa che appare congrua in relazione alle finalità dell'istituto in esame, dovendosi escludere la liquidazione di ulteriori "voci di danno" indicate dall'istante, tenuto conto che "la riparazione per l'ingiusta detenzione non va confusa con il risarcimento del danno da fatto illecito, essendo una semplice indennità o indennizzo in base a principi di solidarietà sociale, per chi sia stato privato della libertà personale" (v., ex plurimis, Cass. Pen., IV sez., n. 43978, Ce. 5.11.2009).
Nulla va liquidato a titolo di spese ed onorari, poiché l'Amministrazione dell'Economia e delle Finanze non ha contestato la domanda di riparazione, onde il procedimento è rimasto nell'ambito della volontaria giurisdizione e non può applicarsi nei confronti dello Stato il disposto di cui all'art. 91 c.p.c.
PQM
P.Q.M.
Visti gli artt. 314-315 cod. proc. pen.,
liquida in favore di C. A., nato a Caserta il …, residente in Casagiove (CE), via E., rappresentato e difeso dall'avv. Gianluca Casella, presso il cui studio in Casolla (Caserta), alla via M. R. è elettivamente domiciliato, la somma di euro 35.000,00 (trentacinquemila//) a titolo di riparazione per la ingiusta detenzione.
Nulla per le spese di questo giudizio.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti.
Così deciso in Napoli, il 13 dicembre 2011
Il Presidente
dott. Giuseppe De Carolis di Prossedi
Il Consigliere estensore
dott. Angelo Di Salvo
Depositata in Cancelleria il 01/10/2012
01-05-2013 22:13
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