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Sentenza

Reati militari. Reati contro la disciplina militare. Insubordinazione...
Reati militari. Reati contro la disciplina militare. Insubordinazione
Cassazione penale  sez. I  28/09/2012 ( ud. 28/09/2012 , dep.21/02/2013 ) 
Numero:    8495
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. BARDOVAGNI Paolo         -  Presidente   -                     
    Dott. VECCHIO    Massimo       -  Consigliere  -                     
    Dott. ROMBOLA'   Marcello      -  Consigliere  -                     
    Dott. TARDIO     Angela   -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. BONITO     Francesco M.  -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
    PROCURATORE  GENERALE  MILITARE  della  REPUBBLICA  presso  la  CORTE 
    MILITARE di APPELLO - Sezione distaccata di VERONA nei confronti di: 
                P.A., nato a (OMISSIS); 
    avverso la sentenza n. 151/2005 GUP del TRIBUNALE MILITARE di VERONA, 
    del 05/10/2005; 
    sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELA TARDIO; 
    sentite  le conclusioni del Procuratore Generale Dott. FLAMINI  LUIGI 
    MARIA, che ha chiesto il rigetto del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza del 5 ottobre 2005 il G.u.p. del Tribunale militare di Verona, all'esito della udienza preliminare, ha dichiarato improcedibile, per mancanza della prescritta richiesta di procedimento, l'azione penale nei confronti del carabiniere ausiliario P.A. in ordine al reato di ingiuria aggravata in danno dell'appuntato scelto B.C. e del carabiniere scelto C.A., così modificata la qualifica giuridica del fatto rispetto a quella di insubordinazione con ingiuria aggravata in concorso formale (di cui all'art. 81 c.p., comma 1, art. 226 c.p.m.p., art. 47 c.p.m.p., n. 2 e art. 199 c.p.m.p.), sulla base del rilievo della riconducibilità del fatto a cause estranee al servizio e alla disciplina militare.

    1.1. Il Giudice, a ragione della decisione, rilevava che:

    - la modifica della qualifica giuridica del fatto operata dal Pubblico Ministero era condivisibile, poichè al momento del fatto l'imputato era in permesso e indossava abiti civili, le indicate persone offese erano intervenute quali appartenenti alla forza pubblica e non nella qualità di superiori gerarchici, l'imputato aveva pronunciato le frasi contestate al loro indirizzo per ragioni attinenti al servizio di controllo della viabilità e della circolazione stradale da essi svolto, e l'estraneità del fatto al servizio e alla disciplina militare escludeva, a norma dell'art. 199 c.p.m.p., la configurabilità della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 189 dello stesso codice;

    - la corretta qualifica del fatto come ingiuria ne aveva comportato la punibilità a richiesta del competente comandante del Corpo, che, tuttavia, appreso il fatto il 25 ottobre 2004 con segnalazione della Compagnia dei carabinieri di Verona, contenente gli elementi fondamentali dello stesso e del soggetto coinvolto, aveva avanzato richiesta di procedimento soltanto il 14 dicembre 2004.

    2. Avverso detta sentenza ha proposto appello, convertito in ricorso per cassazione dall'adita Corte militare d'appello - sezione distaccata di Verona, il Procuratore Generale Militare della Repubblica presso detta Corte militare, che, premesso il richiamo alla vicenda processuale e al contenuto della sentenza impugnata, ha chiesto disporsi:

    - in via principale, il ripristino dell'originario capo d'accusa, ritenuta l'illegittimità della modifica del titolo di reato effettuata dal Pubblico Ministero e avallata dal G.u.p., e il rinvio dell'imputato a giudizio dinanzi al Tribunale militare di Verona per rispondere del delitto di insubordinazione con ingiuria aggravata, in concorso formale, come ascrittogli in sede di richiesta ex art. 416 c.p.p.;

    - in via subordinata, ritenuta tempestiva e valida la richiesta di procedimento in atti, il rinvio dell'imputato a giudizio dinanzi al Tribunale militare di Verona per rispondere del delitto, contestatogli in udienza preliminare, di ingiuria aggravata in concorso formale.

    Il ricorrente, a ragione di tali richieste, deduce che la sentenza è viziata da erronea interpretazione/applicazione di norme di legge penale sostanziale e processuale, sotto tre profili.

    2.1. Il primo profilo attiene alla violazione del disposto dell'art. 423 c.p.p. in relazione al principio di indisponibilità/irretrattabilità dell'azione penale, di cui all'art. 50 dello stesso codice, cui deve essere rapportata la latitudine del potere di modificazione della imputazione spettante al Pubblico Ministero.

    In particolare, secondo il ricorrente, il Pubblico Ministero non può, dopo la formalizzazione del capo di imputazione con l'esercizio dell'azione penale, contestare in udienza un fatto-reato "minore", che comporti l'attribuzione all'imputato di un reato perseguibile a querela o a richiesta, a fronte dell'accusa originaria di reato perseguibile d'ufficio, alla luce della stessa previsione della Legge- Delega n. 81 del 1987 per la riforma del codice di rito, della ratio garantista del sistema delle contestazioni, che non hanno ragione d'essere in ipotesi di "derubricazione" del reato, e della indisponibilità/irretrattabilità dell'azione penale.

    Pertanto, il G.u.p., che ha il potere di adottare il provvedimento conclusivo della udienza ritenuto più giusto, ai sensi dell'art. 425 c.p.p., non avrebbe dovuto consentire, quale dominus della udienza preliminare, la formale derubricazione del reato contestato operata dal Pubblico Ministero facendo un "dietro-front" sul piano dell'esercizio dell'azione penale, e rendendo impossibile il controllo di legalità devoluto al Procuratore generale, particolarmente importante quando la modifica incide sulla perseguibilità del reato, la cui procedibilità dipende dalla iniziativa di un soggetto estraneo all'interesse leso.

    2.2. Il secondo profilo riguarda l'incorsa violazione del disposto dell'art. 199 c.p.m.p., in relazione all'art. 189, comma 2, dello stesso codice, nella parte in cui il primo, ricorrendo le altre condizioni di legge, impone di applicare la norma incriminatrice della insubordinazione con ingiuria quando il fatto sia commesso per cause non estranee al servizio e alla disciplina.

    Secondo il ricorrente, la ritenuta estraneità del fatto al servizio e alla disciplina militare è fondata solo sulla causa "immediata" del fatto, scaturito da ragioni originariamente rapportabili al servizio di ordine pubblico e di polizia stradale svolto dai componenti della pattuglia automontata, intervenuti perchè l'imputato con il motorino disturbava la quiete pubblica, mentre non si è considerato che un diverbio tra militari di grado diverso, iniziato per cause sostanzialmente estranee al servizio o alla disciplina, può riacquistare questo carattere in itinere quando sia evidente che l'offesa miri a colpire una delle parti anche nella qualità di superiore (o inferiore) appartenente alle forze armate.

    Tale evenienza, ad avviso del ricorrente, si è verificata nella specie, emergendo la non estraneità del fatto quantomeno alla disciplina militare dal contenuto delle frasi ascritte all'imputato, che, riconosciute come superiori le due parti offese in divisa, ha vantato - con un approccio discorsivo ingiurioso - presunte parentele nelle alte gerarchie delle forze armate e ha prospettato possibili ritorsioni a loro carico grazie al loro intervento, estese, secondo il contenuto della relazione di servizio e della denuncia-querela delle persone offese, allo specifico riferimento al cognome dei sedicenti parenti e alle ripercussioni sul luogo di lavoro delle stesse persone offese.

    2.3. Sotto un terzo profilo vi è violazione del disposto dell'art. 260 c.p.m.p., comma 4, che esclude la proponibilità della richiesta di procedimento unicamente quando sia "decorso un mese dal giorno in cui l'Autorità ha avuto notizia del fatto che costituisce il reato".

    Secondo il ricorrente, non è dimostrato che il comandante di Corpo dell'imputato ha avuto informazione dell'episodio, avvenuto il 24 ottobre 2004, il giorno successivo come assunto dal G.u.p., che, ritenendo noto il fatto che i comportamenti disdicevoli dei militari sono oggetto di segnalazione da parte dei comandi territoriali ai comandi competenti, ha finito con l'attribuire alla sua "scienza privata" il valore sostitutivo della prova, in assenza di alcun documento che attesti che la segnalazione sia stata fatta effettivamente il 25 ottobre 2004, e non con l'unico documento ufficiale contenente la descrizione del fatto, costituito dalla comunicazione della notizia di reato del 14 novembre 2004 del comandante del Nucleo operativo e radiomobile di Verona.

    A tali rilievi consegue, ad avviso del ricorrente, che la richiesta di procedimento è stata tempestivamente proposta il 14 dicembre 2004, entro il trentesimo giorno dalla comunicazione della notizia di reato.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è infondato in ogni sua deduzione.

    2. Quanto al primo prospettato profilo di illegittimità della ordinanza impugnata, si rileva che questa Corte ha più volte affermato - in coerenza con la linea interpretativa fissata dalle sezioni unite (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, dep. 22/10/1996, Di Francesco, Rv. 205617) - che, in applicazione del principio di legalità, al giudice è consentito sempre, e quindi anche nella udienza preliminare, attribuire la corretta qualificazione giuridica al fatto descritto nella imputazione, senza che ciò incida sull'autonomo potere di iniziativa del pubblico ministero, che rileva esclusivamente sotto il diverso profilo della immutabilità della formulazione del fatto inteso come accadimento materiale (tra le altre, Sez. 1^, n. 4864 del 14/07/1997, dep. 6/11/1997, P.G. in proc. Cavaliere, Rv. 208724; Sez. 6^, n. 3503 del 11/11/1998, dep. 27/01/1999, P.M. in proc. Manno, Rv. 212213; Sez. 6^, n. 3658 del 16/11/1998, dep. 15/12/1998, P.M. in proc. Carlutti C. e altro, Rv.

    212688; Sez. 3^, n. 1803 del 01/12/2010, dep. 20/01/2011, Alain e altri, Rv. 249334).

    Tale potere-dovere, che si esplica attraverso l'accertamento che la fattispecie astratta, sotto la quale deve essere ricondotta la fattispecie concreta, è altra da quella ipotizzata, è ritenuto, infatti, connaturale allo stesso esercizio della giurisdizione risolvendosi in una esatta applicazione della legge, espressa con norma di portata generale dall'art. 521 c.p.p., senza toccare il fatto e incidere sull'esercizio dell'azione penale.

    A tale riguardo si è, in particolare, rimarcato che, al di là della sua rubrica, che "preannuncia che la norma si interessa della modificazione della imputazione", "il testo dell'art. 423 c.p.p. si interessa del fatto, riservando al P.M. la possibilità di contestarne la modificazione, se, come prevede il comma 1, il fatto è diverso, e richiedendo l'autorizzazione del giudice perchè il P.M. possa contestarla se, ai sensi del comma 2, il fatto è nuovo, senza che il giudice abbia il potere discrezionale di negare l'autorizzazione una volta acquisito il consenso dell'imputato, intendendo per fatto un dato empirico, fenomenico, un dato della realtà, un accadimento, un episodio della vita umana, cioè la fattispecie concreta, e non la fattispecie astratta", nella quale collocare la prima. In tal modo, l'indicata norma se conferisce il potere di modificare il fatto soltanto al Pubblico Ministero, che ne è esclusivo dominus come fattispecie concreta, non incide - pur non escludendo che la iniziativa possa muovere dallo stesso Pubblico Ministero - sulla modificazione della qualificazione giuridica del fatto come fattispecie astratta operabile da parte del G.u.p. nell'esercizio di un potere che non tocca l'autonomia dei poteri del Pubblico Ministero (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, citata).

    2.1. Sotto concorrente profilo, deve anche richiamarsi il costante indirizzo interpretativo di questa Corte alla cui stregua l'identità del fatto sussiste quando vi sia corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale) e con riguardo alle circostanze di tempo, di luogo e di persona (tra le altre, Sez. U, n. 34655 del 28/06/2005, dep. 28/09/2005, P.G. in proc. Donati e altri, Rv. 231799; Sez. 1^, n. 19787 del 21/04/2006, dep. 09/06/2006, Marchesini, Rv. 234176; Sez. 2^, n. 21035 del 18/04/2008, dep. 27/05/2008, Agate e altri, Rv. 240106; Sez. 5^, n. 16703 del 11/12/2008, dep. 20/04/2009, Palanza e altri, Rv. 243330; Sez. 4^, n. 48575 del 03/12/2009, dep. 18/12/2009, Bersani, Rv. 245740; Sez. 2^, n. 26251 del 27/05/2010, dep. 09/07/2010, Rapisarda e altri, Rv.

    247849; Sez. 5^, n. 28548 del 01/07/2010, dep. 20/07/2010, Carbognani, Rv. 247895).

    2.2. Di detti principi, che il collegio condivide e riafferma, è stata fatta esatta interpretazione e corretta applicazione nell'ordinanza impugnata.

    A fronte della prospettazione da parte del Pubblico Ministero della riconducibilità del fatto, come contestato, a cause estranee al servizio e alla disciplina militare e della modifica della qualificazione giuridica del fatto in ingiuria aggravata, il G.u.p., dominus della fattispecie astratta e titolare del potere di qualificare correttamente il fatto, sul quale era stato chiamato a pronunciarsi, dandogli il nomen iuris ritenuto più puntuale anche diverso da quello indicato, ha ritenuto di condividere la proposta diversa qualificazione giuridica del fatto, che non ha modificato come fattispecie concreta esautorando i poteri del Pubblico Ministero, e ha indicato - con riferimenti non incongrui ai dati fattuali disponibili specificatamente richiamati - le ragioni della ritenuta estraneità delle frasi pronunciate dall'imputato al servizio e alla disciplina militare, e, per l'effetto, della inapplicabilità della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 189 c.p.m.p., incidente sulla improcedibilità ex officio del fatto e sulla procedibilità dello stesso, qualificato come ingiuria, a richiesta del comandante del Corpo ex art. 260 c.p.m.p., comma 2.

    2.3. A tali logiche ed esaustive valutazioni il ricorrente Procuratore oppone che la diversa qualificazione giuridica del fatto, avendo comportato una diminuzione della imputazione già formulata in sede di richiesta di rinvio a giudizio, con passaggio dall'accusa per reato perseguibile d'ufficio a reato perseguibile a querela o a richiesta, ha comportato una violazione da parte del Pubblico Ministero del principio della indisponibilità/irretrattabilità dell'azione penale di cui agli artt. 423 e 50 c.p.p. e da parte del G.u.p. della sua potestà di controllo sul corretto esercizio della operata modifica dell'accusa.

    Tale censura muove dall'erroneo presupposto che la perseguibilità del fatto in presenza di una condizione di procedibilità, dopo la sua contestazione quale reato perseguibile di ufficio, per effetto della diversa operata qualificazione giuridica, incide sul corretto esercizio dell'azione penale, che invece non è limitato nè compromesso sia perchè la modifica della qualificazione del fatto, in coerenza con i predetti principi di diritto, non è modificazione della imputazione formulata dal Pubblico Ministero, attenendo alla fattispecie astratta e non a quella concreta, sia perchè la presenza o assenza di eventuale condizione di procedibilità non riguarda il fatto contestato, inteso come accadimento umano, ricondotto a una fattispecie di reato e la stessa integrante nei suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso causale), ma la perseguibilità o meno di taluni fatti criminosi, sia perchè la dichiarazione di improcedibilità è soltanto un effetto della possibilità legittima di dare al fatto una diversa definizione giuridica, che ne escluda la perseguibilità di ufficio.

    2.4. Consegue la infondatezza della doglianza nei termini in cui è articolata.

    3. Destituita di fondamento è anche la censura che attiene, sotto il secondo profilo enunciato in ricorso, alla ritenuta estraneità del fatto al servizio o alla disciplina militare.

    Tale estraneità, fondata dal G.u.p. sul rilievo che l'imputato, che era in permesso e indossava abiti civili, ha pronunciato le frasi contestate contro i componenti della pattuglia dei Carabinieri, intervenuti quali appartenenti alla forza pubblica e non quali superiori gerarchici, per ragioni rapportabili al servizio di viabilità e di circolazione stradale dagli stessi svolto, è contestata dal ricorrente che, nel rappresentare che non può farsi riferimento alla mera natura di polizia, invece che militare in senso stretto, dell'attività svolta dal soggetto "ingiuriato", ha evidenziato che il carattere di non estraneità dell'offesa quantomeno alla disciplina militare è emerso in itinere, essendosi reso evidente, con gli operati riferimenti a presunte parentele nelle alte gerarchie militari e a possibili ritorsioni a carico delle persone offese per mezzo del loro intervento, che l'imputato mirava a offendere queste ultime anche quali superiori appartenenti alle Forze armate.

    3.1. Questa Corte ha già in altre occasioni affermato che il reato militare di insubordinazione con minaccia o ingiuria è punibile pur quando il soggetto agente commetta il fatto fuori dal servizio, ove si qualifichi come militare nei confronti dei superiori persone offese (Sez. 1^, n. 14351 del 12/03/2008, dep. 07/04/2008, Spano, Rv.

    240014).

    Il principio affermato è stato logicamente correlato all'indirizzo espresso dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 367 del 2011, che ha dichiarato la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 199 c.p.m.p., che scrimina per certi reati (tra i quali l'insubordinazione) i fatti commessi per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, osservando che la norma non deve essere interpretata (nel caso della insubordinazione) nel senso che si deve guardare solo alla condizione della persona offesa dal reato, potendo rilevare - per una lettura costituzionalmente orientata - anche la correlazione tra la situazione in cui si trovi ad agire l'autore del fatto e il servizio militare.

    Il principio è stato riferito anche a precedente intervento di questa Corte (Sez. 1^, n. 16413 del 03/03/2005, dep. 02/05/2005, Andresini, Rv. 231573), alla cui stregua (in fattispecie riguardante un militare in licenza e in abiti civili che, in stato di ebbrezza alcolica, aveva inveito all'indirizzo di appartenenti all'Arma dei carabinieri, intervenuti in un locale pubblico su segnalazione di alcuni avventori) la minaccia o l'offesa all'onore di un superiore (art. 189 c.p.m.p.), rivolta dal militare appartenente alle forze armate al di fuori dell'attività di servizio attivo e non obiettivamente correlata all'area degli interessi connessi alla tutela della disciplina, rientra nella clausola di esclusione del reato di insubordinazione, prevista dall'art. 199 c.p.m.p., coerentemente rimarcandosi che il soggetto agente nella fattispecie non si era qualificato come militare ed esulava del tutto, nella situazione creatasi, il profilo della tutela della disciplina.

    L'indicato indirizzo interpretativo è pure confortato dalla L. n. 382 del 1982, art. 5 e del D.P.R. n. 545 del 1986, n. 545, art. 8 che trovano il loro presupposto di operatività in presenza di una delle seguenti condizioni: svolgimento da parte del militare di un'attività di servizio, presenza in luoghi militari, uniforme indossata dal militare, ed esplicita indicazione della propria qualità di militare in relazione a compiti di servizio ovvero nei rapporti con altri militari in divisa o che si qualifichino come tali.

    3.2. Alla stregua di questi principi, che il Collegio condivide e riafferma, nel caso in esame, è del tutto corretta e resiste alle infondate proposte obiezioni la ritenuta esclusa applicabilità della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 189 c.p.m.p., per la sussistenza della causa di esclusione del reato prevista dall'art. 199 dello stesso codice, poichè non risulta che il ricorrente, che si trovava in permesso e indossava abiti civili, abbia esternato la propria condizione di militare; i carabinieri sono intervenuti in ragione della loro qualifica di appartenenti alla forza pubblica e non in quanto superiori gerarchici dell'imputato; l'imputato ha proferito le frasi oggetto della contestazione all'indirizzo dei militari per ragioni attinenti al servizio di ordine pubblico da essi svolto, ma per cause del tutto estranee al servizio svolto da esso stesso, o collegate in itinere in modo del tutto estrinseco e occasionale all'area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina.

    4. E infondata anche la censura relativa alla ritenuta intempestività della richiesta di procedimento, fondata sulla deduzione della sua proposizione nel rispetto del termine di un mese dalla ricezione da parte del comandante del Reggimento allievi brigadieri di Verona della comunicazione della notizia di reato del 14 novembre 2004 del Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia di Verona, e sulla contestazione della sussistenza di precedente informazione del fatto al medesimo comandante a mezzo della segnalazione del 25 ottobre 2004, indicata in sentenza.

    Tale censura è in contrasto con il dato fattale indicato dal G.u.p., tratto dagli atti del procedimento, e rappresentato dalla segnalazione del fatto a opera della Compagnia dei carabinieri di Verona al competente comandante di Corpo il 25 ottobre 2004.

    La specificità del dato, che riguarda il riferimento contenuto nella segnalazione, nel caso di specie, agli elementi fondamentali del fatto e del soggetto coinvolto, è stata ragionevolmente valorizzata al fine di ritenere provata con essa, e non con la successiva notizia di reato, la data di decorrenza del termine per la proposizione della richiesta di procedimento, e tale congrua valutazione prescinde da ogni questione, pure prospettata, in merito alla natura delle segnalazioni e alla regolamentazione della materia.

    5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso.

    Così deciso in Roma, il 28 settembre 2012.

    Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2013
Avv. Antonino Sugamele

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