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Sentenza

Resistenza a pubblico ufficiale....
Resistenza a pubblico ufficiale.
Cassazione penale  sez. VI   
Data:
    12/04/2013 ( ud. 12/04/2013 , dep.18/04/2013 ) 
Numero:
    17921
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE SESTA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. DI VIRGINIO  Adolfo      -  Presidente   -                     
    Dott. SERPICO      Francesco   -  Consigliere  -                     
    Dott. ROTUNDO      Vincenzo    -  Consigliere  -                     
    Dott. DI SALVO     Emanuele    -  Consigliere  -                     
    Dott. APRILE       Ercole -  rel. Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
    1.               E.F., nato a (OMISSIS); 
    2.              G.V., nata a (OMISSIS); 
    avverso la sentenza del 17/05/2011 della Corte di appello di Napoli; 
    visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; 
    udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Ercole Aprile; 
    udito  il  Pubblico  Ministero, in persona del Sostituto  Procuratore 
    generale  Dott. VIOLA Alfredo Pompeo, che ha chiesto il  rigetto  dei 
    ricorsi. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Napoli confermava la pronuncia di primo grado del 04/02/2008 con la quale il Tribunale di Nola aveva condannato E.F. e G. V. alla pena di giustizia in relazione al reato di cui agli artt. 110 e 337 c.p., commesso a (OMISSIS).

    Rilevava la Corte di appello come le emergenze processuali avessero dimostrato la colpevolezza dei prevenuti in ordine al reato loro contestato, atteso che era stato provato che, quel giorno, i carabinieri avevano effettuato un appostamento sul pianerottolo dell'edificio dove si trovava l'abitazione dei due imputati e che il carabiniere C. - notato un giovane, con dei soldi in mano, fermo davanti all'uscio della casa dell' E. e della G., che, alla vista del militare, si era dato alla fuga - si era precipitato verso l'ingresso dell'immobile, riuscendo ad osservare la presenza su di un tavolo di erba essiccata, di alcune bustine e di vari arnesi, ed aveva cercato di impedire la chiusura della porta di legno, infilando le braccia attraverso il cancello di ferro che era rimasto chiuso, che aveva dovuto ritrarre per evitare di essere colpito dal battente chiuso con violenza dalla donna in esecuzione dell'ordine impartitogli dal compagno.

    2. Avverso tale sentenza hanno presentato ricorso gli imputati, con atto sottoscritto dal loro difensore avv. Giuseppe Guida, i quali hanno dedotto la violazione di legge, in relazione all'art. 337 c.p., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che la condotta posta in essere dai prevenuti avesse integrato gli estremi del reato di resistenza a pubblico ufficiale, tenuto conto che gli stessi non avevano affatto impedito il compimento di un atto dell'ufficio, essendosi limitati a chiudere la porta in legno della loro abitazione e che l'ingresso del militare sarebbe stato comunque impedito dalla presenza di un cancello in ferro, chiuso a chiave, che gli interessati avevano in seguito aperto.

    3. Ritiene la Corte che il motivo proposto sia manifestamente infondato. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, per la configurabilità del delitto di resistenza, previsto dall'art. 337 c.p., per violenza deve intendersi qualsiasi condotta che ponga in pericolo l'integrità fisica del pubblico ufficiale, anche esercitata indirettamente o con corpi non destinati, per loro natura, all'offesa (Sez. 6^, n. 7858 del 11/03/1981, Treccani, Rv. 150090).

    Di tale regula iuris la Corte di appello di Napoli ha fatto buon governo correttamente evidenziando come l'iniziativa doverosa dell'agente di polizia giudiziaria, che aveva osservato una sospetta operazione di spaccio di sostanza stupefacente, era intervenuta per bloccare la chiusura dell'uscio in legno della casa dei due odierni ricorrenti, allo scopo di poter rilevare con più precisione la natura dei beni presenti sul tavolo dell'abitazione, fosse stata frustrata dalla condotta violenta dell' E. e della G. che, chiudendo con veemenza la porta di legno e così costringendo il carabiniere intervenuto a ritirare le braccia per evitare di subire una lesione, erano riusciti ad impedire o, comunque, a condizionare ed a turbare l'attività del pubblico ufficiale, nel contempo ponendo in pericolo la sua incolumità fisica: e ciò senza che rilevi che l'ingresso nell'abitazione del militare sarebbe stato, in ogni caso, impedito dalla presenza di un cancelletto in metallo chiuso a chiave, in quanto, come si è visto, l'operazione del pubblico ufficiale non era, in quel momento, quella di entrare nell'immobile, bensì quella di proseguire l'osservazione di quanto presente all'interno della casa (oggetti dei quali significativamente i carabinieri non avevano trovato traccia quando, dopo circa dieci minuti, dagli interessati era stata aperta loro l'abitazione e consentito l'ingresso).

    4. Alla inammissibilità dei ricorsi consegue, a norma dell'art. 616 c.p.p., la condanna dei ricorrenti al pagamento in favore dell'erario delle spese del presente procedimento e ciascuno a quello in favore della cassa delle ammende di una somma, che si stima equo fissare nell'importo che segue.
    PQM
    P.Q.M.

    Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno a quello della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

    Così deciso in Roma, il 12 aprile 2013.

    Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2013
Avv. Antonino Sugamele

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