Sottufficiale dei Carabinieri viene aggredito durante un controllo. Deve essere risarcito.
Tribunale Savona
Data:
09/04/2013 ( ud. 07/04/2013 , dep.09/04/2013 )
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale di Savona, Sezione civile, in composizione monocratica
in persona del dr. Alberto Princiotta in funzione di giudice unico,
ha pronunciato la presente
s e n t e n z a
nella causa civile iscritta al n. 918 affari contenziosi R.G. anno
2011, promossa da:
A.M., assistito dall' avvocato Gianfranco Nasuti,
nei confronti di:
D.C., assistito dall' avvocato Stefania Gandini,
avente ad oggetto: risarcimento danni
conclusioni dell' attore:
"Piaccia al Tribunale di Savona, reiectis contrariis, in
accoglimento di quanto affermato in narrativa dall'attore: 1)
accertare e dichiarare che il sinistro per cui è causa si è
verificato per fatto e colpa addebitabili in via esclusiva al Sig.
D.C.; 2) condannare, per i motivi di cui in premessa, il Sig. D.C.
al risarcimento dei danni tutti patiti e patiendi dal Ma. Ca. A.M.
nella misura emergenda in corso di causa, oltre interessi e
rivalutazione monetaria; 3 )condannare, ai sensi dell'art. 96
c.p.c., il sig. D.C. per aver agito in giudizio temerariamente;
4)protestate spese, diritti ed onorari ".
Conclusioni del convenuto:
"preso atto che il G.l. non ha ammesso le istanze istruttorie,
ritenendo che l'an della domanda attorea fosse già provato dalla
sentenza di applicazione pena, intervenuta a definizione del
processo penale n. 455/10 r.g.n.r. - pendente sì tra le stesse
parti, ma per fatti parzialmente diversi - intende ribadire quanto
segue. A norma di legge, la sentenza di patteggiamento non può avere
efficacia alcuna nel giudizio civile, in particolare, nel caso di
specie, tale sentenza benché intervenuta in un processo penale che
vedeva coinvolte le stesse parti, definiva fatti solo parzialmente
conferenti con la presente causa e pertanto non può costituire prova
alcuna della responsabilità del sig. C. nell'ambito del presente
giudizio. Con la pronuncia del 31 luglio 2006 n. 17289, la Corte di
Cassazione, a Sezioni Unite, ha poi definitivamente chiarito che la
sentenza di patteggiamento non può essere assunta al rango di prova,
bensì tuttalpiù a quello di mero indizio di prova, indizio che come
tale non può essere utilizzato tout court dal Giudice ma deve essere
valutato nell'ambito di altri ulteriori indizi, che solo ove precisi
e concordanti possono formare una prova. Ne deriva che, solo
all'esito dell'assunzione delle testimonianze indicate da parte
convenuta (nelle memorie ex art. 183 co. 6 n.2 e 3 c.p.c. ) - ed
eventualmente di quelle di parte attrice - Codesto III.mo Giudice
avrebbe potuto avere un quadro completo della vicenda e
conseguentemente decidere in ordine all'attribuibilità o meno al C.
delle lesioni subite dal M..
Si insiste pertanto nell'accoglimento delle istanze istruttorie come
già formulate nelle memorie ex art. 183 co. 6 n.2 e 3 c.p.c.
chiedendo la rimessione della causa in istruttoria per
l'espletamento delle prove medesime.
In subordine, nella denegata ipotesi in cui il G.l. non intenda
rimettere la causa in istruttoria, si precisano le conclusioni come
indicate nella comparsa di costituzione e risposta".
Conclusioni indicate nella comparsa di costituzione e risposta:
"in via principale: respingere l'istanza di risarcimento ex adverso
formulata perché infondata in fatto ed in diritto e dichiarare che
nulla è dovuto al maresciallo M. a titolo di risarcimento del danno
derivante dal fatto accaduto in data 5 aprile 2010 in Celle Ligure;
in via subordinata e riconvenzionale condannare l'attore al
risarcimento dei danni -da liquidarsi in via equitativa-per lite
temeraria ai sensi dell'articolo 96 c.p.c. per avere rifiutato
ingiustificatamente l'offerta risarcitoria proposta dal C. ante
giudizio ed aver poi agito in giudizio con domanda sproporzionata
all'entità del danno; in via istruttoria: nella delegate ipotesi in
cui codesto illustrissimo giudicante voglia accogliere la domanda di
parte attorea, disporre c.t.u. medico-legale diretta ad accertare la
corretta entità dei danni fisici derivati al maresciallo M.
dall'evento in data 5 aprile 2010 in Celle Ligure. Con riserva di
nominare un proprio consulente tecnico. Con riserva di ogni
ulteriore eccezione, è stato deduzione. Con riserva di indicare
teste formulare capitoli di prova. Con vittoria di spese, diritti ed
onorari di causa. "
Fatto
IN FATTO ED IN DIRITTO
I.- A.M. ha convenuto in giudizio D.C. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dei danni riportati nell' aggressione subita durante un controllo effettuato nell'esercizio delle sue funzioni di sottufficiale dell' Arma dei Carabinieri in Celle Ligure il 5\4\2010.
A sostegno della domanda, evidenziava, in particolare, di essersi costituito parte civile nel processo penale a carico del C. che si era tenuto il 6 aprile 2010 e che si era concluso con la sentenza numero 471 depositata il 6 aprile 2010 di applicazione della pena su richiesta ai sensi dell'articolo 444 cpp.
Instauratosi regolarmente il contraddittorio, il convenuto contestava la domanda assumendo sia una diversa versione dei fatti sia l' entità della richiesta di risarcimento che definiva del tutto sproporzionata; "senza nulla riconoscere" in punto responsabilità, tuttavia, richiamava l' "offerta reale pari ad euro 2.500,00 [già] inoltrata dal legale scrivente in data 6 ottobre 2010" .
Il giudizio veniva istruito con l' acquisizione di documenti e l'esecuzione di una c.t.u. medico-legale che veniva affidata al dottor D.M..
Il 30 novembre u.s. le parti precisavano le conclusioni come sopraindicato.
II.- La domanda è fondata.
In relazione alle lesioni oggetto di causa, invero, risulta provata la responsabilità del convenuto che ha posto in essere la condotta descritta nel capo di imputazione indicato nella sentenza in data 6\4\2010 di applicazione della pena - condizionalmente sospesa- di mesi tre e giorni dieci di reclusione.
Come si legge dal testo della sentenza prodotta dall' attore, nel processo, D.C. era stato giudicato in quanto risultava "imputato:
a.- del reato di cui all'articolo 337 c.p. perché scagliandosi contro il maresciallo A.M., in servizio presso la stazione carabinieri di Celle Ligure -il quale stava cercando di identificare lo stesso C. e C.L. al fine di contestare loro la violazione amministrativa di cui all'articolo 75 DPR 309\90 - spingendolo a terra e colpendolo ripetutamente con calci e pugni, usava violenza nei confronti del predetto pubblico ufficiale al fine di impedire allo stesso il compimento di un atto dell'ufficio. In Celle Ligure, il 5.4.2010-
b.- del reato di cui agli articoli 582, 585, 576, 61 n. 2 c.p. perché, con la condotta descritta al capo precedente, cagionava a M. Antonio lesioni personali (frattura lievemente scomposta mignolo sinistro, abrasione al quarto dito mano destra e ginocchio sinistro) dalle quali derivava una malattia giudicata guaribile in giorni 30. Celle ligure, il 5.2.2010".
Nel presente processo rileva, in particolare, che il giudice penale tra i motivi della decisione aveva considerato che: "non sussistono le condizioni per una pronunzia di proscioglimento ai sensi dell' art. 129 cpp (è stato acquisito il fascicolo del P.M-, dal quale emerge che i fatti di resistenza e lesioni sono avvenuti alla presenza e nei confronti del pubblico ufficiale operante; la certificazione medica dà ulteriore conferma di tali fatti").
Tale sentenza, quindi, costituisce un significativo elemento di prova in quanto C. non ha, di fatto, neppure indicato (e, tantomeno, provato) le concrete ragioni per cui, a suo tempo, aveva ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale aveva prestato fede a tale ammissione ( cfr. Cassazione, Sez. U, sentenza n. 17289 del 31/07/2006, nonché Sez. 5 civile, sentenza n. 10280 del 21/04/2008: "La sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. costituisce un importante elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Pertanto la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presupponendo pur sempre una ammissione di colpevolezza, esonera la controparte dall'onere della prova.- Nella specie, relativa a responsabilità disciplinare di un avvocato, la S.C. ha confermato la condanna resa dal Consiglio nazionale forense, non avendo il ricorrente indicato quali elementi probatori a suo favore avesse sottoposto al giudice di merito al fine di spiegare perché avesse - pur innocente - accettato una pena patteggiata per il reato di concussione continuata-". Condivisibilmente, nella sentenza a sezioni unite, la Suprema Corte considera: "È del resto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che la sentenza penale emessa a seguito di patteggiamento ai sensi dell'art. 444 c.p.p., costituisce un importante elemento di prova nel processo civile (la richiesta di patteggiamento dell'imputato implica pur sempre il riconoscimento del fatto-reato); il giudice, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua responsabilità non sussistente e il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (cfr. le sentenze di questa Corte n. 2213 del 1 febbraio 2006 e n. 19251 30 settembre 2005). Infatti, la sentenza di applicazione di pena patteggiata "pur non potendosi tecnicamente configurare come sentenza di condanna, anche se è a questa equiparabile a determinati fini, presuppone "pur sempre una ammissione di colpevolezza che esonera la controparte dall'onere della prova" (Cass. 5 maggio 2005, n. 9358). Era infatti onere del ricorrente indicare quali elementi probatori a suo favore avesse sottoposto al giudice di merito al fine di spiegare perché avesse - pur innocente - accettato una pena patteggiata". Cfr. , in termini, anche la giurisprudenza di questo ufficio, Tribunale Savona, in data 9 maggio 2007, edita su Banca Dati Giuffrè: " La sentenza di applicazione pena ex art. 444 c.p.p. costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall'efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice nel giudizio per risarcimento del danno").
Con riferimento, alle motivazioni che l'avevano indotto a richiedere l'applicazione della pena, invero, il convenuto, nella comparsa di costituzione risposta, ha esclusivamente fatto riferimento ad un timore nel permanere nelle aule di giustizia ("l'accordo per l'applicazione della pena, adottato dalla difesa con il pubblico ministero in sede di giudizio è derivato non da una ammissione di responsabilità da parte dell'odierno convenuto, bensì dal timore per le aule di giustizia, in cui il C., stante la sua limpida esistenza e la conseguente incensuratezza, non si era mai trovato e dal desiderio di voler uscire da quell'ambiente il prima possibile. Probabilmente, con una fase dibattimentale sarebbero stati analizzati più compiutamente i fatti e la posizione del C. avrebbe assunto una connotazione differente. ").
Il convenuto, inoltre, ha sostenuto una versione dei fatti che appare all' evidenza incompatibile con la richiesta di applicazione di pena a suo tempo ottenuta in sede penale.
Si consideri al riguardo, la descrizione del fatto quale è stata indicata nella comparsa di costituzione e risposta: "- in data 05\04\2010, ovvero nel giorno di celebrazione della Pasquetta, il C. si trovava a pasteggiare in quel di Celle Ligure, in occasione di una gita fuori porta insieme alla di lui compagna signora V.T. ed altri loro amici, signori G.S., D.L.M., S.G. e L.C.; .- Verso le 15:00 mentre si trovava fuori dal ristorante, nell'atto di fumare una sigaretta del tipo spinello insieme all'amico L.C., il C. veniva fermato da un sedicente maresciallo dei carabinieri in borghese, il M. appunto, che, dopo aver esibito frettolosamente un distintivo (che i ragazzi non riuscivano a leggere ) intimava loro di consegnargli i documenti di identità . I due ragazzi al momento privi di documenti -avevano infatti lasciato gli effetti personali nel locale - da un lato stupiti per la grottesca situazione e dall'altro intimoriti dalla tracotanza mostrata da quell'uomo (di cui non avevano inteso la qualifica ), si allontanavano in direzione del ristorante ; .- A quel punto, l'uomo, abbandonando moglie figlio di cui era in compagnia, iniziava a correre loro dietro con fare minaccioso, assaliva il C., spingendolo violentemente a terra e lo schiacciava con il peso del proprio corpo; .- Il C. prono sull'asfalto e sovrastato dal peso dell'uomo non riusciva più né a muoversi né a respirare, chiamava così in aiuto il C. affinché lo aiutasse a liberarsi da quell'agguato; .- Il convenuto terrorizzato nel vedere un simile gesto, preoccupato per quanto stava accadendo all'amico, accorreva immediatamente il suo aiuto, tentando di liberarlo; .- Successivamente, vedendo in lontananza due carabinieri (in divisa), il C. correva verso di loro per chiedere aiuto, ma improvvisamente si sentiva aggredire da tergo da qualcuno che con un calcio alla gamba lo faceva cadere a terra e poi lo ammanettava, il sedicente carabiniere appunto .- Condotto in caserma, il convenuto si trovava coinvolto in una situazione assurda: ammanettato, veniva percosso ed ammonito per il suo comportamento. Veniva altresì contattata la sua compagna signora V.T., affinché portasse i suoi documenti").
L' anzicennata versione dei fatti, tuttavia, contrasta, oltre che con l' ammissione di colpevolezza manifestata con la richiesta di applicazione della pena, con le risultanze contenute nel verbale di arresto dei Carabinieri della Stazione di Celle Ligure in data 5\4\2010, atto sottoscritto oltre che dal maresciallo M. dall' appuntato Antonio De Cicco.
Tale documento costituisce di per sé un decisivo elemento di prova in quanto è stato tempestivamente prodotto dall' attore con l' atto di citazione e non è stato oggetto di contestazione dal convenuto in alcuno dei suoi scritti difensivi (cfr. Cassazione civile sez. III, 9 settembre 2008, n. 22662: "Il rapporto di polizia fa piena prova fino a querela di falso, solo delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesti come avvenuti in sua presenza mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell'indagine, per averle apprese da terzi o in seguito ad altri accertamenti, il verbale , per la sua natura di atto pubblico, ha pur sempre un'attendibilità intrinseca che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza impugnata rilevando che l'asserzione dei ricorrenti, secondo cui la circostanza che le luci del ciclomotore sarebbero state spente al momento del sinistro costituiva una mera illazione, risultava confutata dai rilievi effettuati dalla Polizia Stradale sul luogo del sinistro, così come emergenti dal relativo rapporto e riportati nella sentenza impugnata, i quali facevano riferimento ad un dispositivo di illuminazione del ciclomotore trovato spento).
Sulla scorta del verbale di arresto risulta, in particolare: " il 5 aprile 2010 alle 16.00 negli uffici del comando stazione carabinieri di Celle Ligure. I sottoscritti ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria mar. ca. M. Antonio, app. sc. De Cicco Antonio del comando in intestazione, riferiscono a chi di dovere di procedere all'arresto del sedicente C. D., nato ad Alessandria il 23. 03.1981, ivi residente in via L.C. 38, per i motivi di cui segue: " alle ore 15. 05 a Celle Ligure il Mar. ca M. A., libero dal servizio, in abiti civili, in transito in questa via B. , giunto all'altezza della locale casa di riposo Nostra Signora della Misericordia, notava la presenza di due giovani seduti sul muretto di cinta della sopra citata sede stradale, i quali furtivamente stavano fumando una sigaretta di tipo spinello. Il sottufficiale rilevata l'attività in essere avvicinatosi ai due, previa esibizione della propria tessera personale di servizio, qualificatosi come appartenente alla arma dei carabinieri, all'atto di rivolgere la parola al ragazzo di carnagione chiara, poi identificato in C. Luca, nato ad Alessandria il 16. 07. 1981, ivi residente in via S.G. 15, questi gettava a terra il mozzicone della sigaretta nel tentativo di occultarla alla vista dell'operante. Recuperato ciò che restava della sigaretta, l'operante chiesti in esibizione di documenti d'identità dei due ragazzi, poteva rilevare che uno di questi, precisamente l'altro quindi il soggetto dalla carnagione scura poi successivamente identificato in C. D., il quale non curandosi di quanto oggetto di esternazione da parte del maresciallo capo M., si incamminava in direzione della vicina via Sant'A. dichiarando che aveva i propri familiari che lo attendevano al ristorante e pertanto non aveva tempo da perdere visto che non stava facendo nulla di male, in quanto consumava la sostanza stupefacente per uso personale. Preso atto di quanto addotto, nuovamente invitato fino a quel momento lo sconosciuto giovane a non allontanarsi, questi incurante dell'invito e poi, accompagnato nell'azione anche dal suo amico, tentava di allontanarsi dal posto. Rilevato che il sottufficiale non desisteva dal proposito di seguirli, i due iniziavano a correre separandosi ma comunque entrambi diretti verso la vicina strada provinciale 1 Aurelia. Giunti all'altezza della menzionata arteria provinciale, C. D. si fermava al fine di appurare se il sottufficiale era sempre al loro seguito pertanto si dirigeva verso l'esercizio pubblico denominato panificio Basso sito nella medesima via B.. A questo punto il sottufficiale nuovamente rinnovato l'invito a desistere dal proposito di allontanarsi dal posto, avuto ulteriore nuovo diniego accompagnato dal tentativo di raggiungere il vicino vicolo C., nel fare ritorno indietro, C. D. tornava indietro decidendo di affondare [sic, verosimilmente affrontare, N. di. R.] il militare nell'intento di superarlo e quindi allontanarsi sempre in direzione della vicina strada provinciale 1 Aurelia. In tale frangente assisteva alla dinamica dei fatti anche il titolare dell'attività panificio Basso il quale, rilevata la presenza del maresciallo, questi gli si rivolgeva chiedendogli aiuto in ausilio a cui l'interloquito esercente non poteva dare seguito, poiché impegnato nello svolgimento delle proprie mansioni. Rilevato che C. D. raggiunta la Aurelia s'incontrava con l'amico C. Luca, questi rilevato che il sottufficiale si poneva al loro inseguimento, si dileguavano precipitosamente in direzione della via Poggi svoltando per via S.B. e diretti verso il piazzale della stazione ferroviaria. Dedotto che la direzione intrapresa poteva essere quella dell'area di sosta antistante la suddetta stazione, il maresciallo capo M. A., percorso la via Colla, svoltato in direzione di largo Giolitti, incrociava i due all'altezza dell'agenzia assicurativa Unipol ubicata nella medesima località. C. immediatamente attraversava la sede stradale allontanandosi, mentre il suo amico C. veniva fermato sul posto dell'inseguitore. Avuto ulteriore diniego circa possesso di documenti da parte del fermato C. questi senza contrastare l'opposizione ferma del militare a cui si contrapponeva fisicamente al tentativo di allontanarsi dal posto, fermato dal sottufficiale il quale gli intimava oralmente di seguirlo, C. D., assistendo alla dinamica dei fatti dall'altra parte della strada, interveniva in supporto dell'amico aggredendo fisicamente sottufficiale dell'arma trascinandolo a terra e quindi ripetutamente colpendolo con pugni al corpo e sulla testa e provocandogli, l'immediata lesione al dito mignolo della mano sinistra, abrasione cutanea a quella destra ed al ginocchio destro. Lesioni che il sottufficiale provvederà quanto prima refertare in sede medica ospedaliera e della cui diagnosi si allegherà la certificazione dell'informativa di reato. I due riusciti nell'intento di sopraffare il militare, si allontanavano precipitosamente dal posto di cui solo la direzione intrapresa dal C. D., veniva individuata dal sottufficiale in direzione della via Gioia. Il maresciallo richiedeva telefonicamente supporto nell'intervento da parte di pattuglia del medesimo comando di appartenenza, postosi all'inseguimento del fuggitivo, indirizzato l'appuntato D.C. A. ai piedi lungo la via Gioia con direzione stazione ferroviaria, altresì a bordo dell'auto militare, si portava appresso la medesima località di cui sopra, versante opposto, ritenendo che C. D., venisse in questo modo chiuso da entrambi gli accessi alla stazione ferroviaria. Giunto nella suddetta pubblica struttura, individuato C. D. , questo tentava di sfuggire nuovamente e percorso il tunnel sotterraneo, giunto in prossimità dell'ingresso principale, rilevata la presenza del sottufficiale inseguitore, opposta prima resistenza a fermarsi, desisteva dal prosieguo del proposito in quanto a supporto del sottufficiale ivi giungevano altri militari. Operazione che si concludeva alle ore 15 .30 ed a cui temporaneamente , venivano nel contesto interrotte le ricerche dell'altro fuggitivo. Accompagnato presso la sede di questo comando, C. D. veniva dichiarato in stato di arresto in ordine alle violazioni di cui agli articoli 336 e 337 del codice penale aggravata dall'ipotesi di cui all'articolo 590 e segnalato all' Autorità amministrativa di Savona per la violazione di cui all'articolo 75 DPR 309\1990 ed è ferito. Di quanto posto in essere della dinamica dei fatti per cui si procede, telefonicamente alle ore 15.55 veniva informato il pubblico ministero di turno presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Savona Dott.ssa Coccoli la quale disponeva l'accompagnamento per la giornata di domani 06.04.2010 nelle aule giudiziarie dell'arrestato per il rito processuale direttissimo ...".
Significativamente, le lesioni oggetto di causa sono state refertate dai medici del Pronto soccorso dell' Ospedale savonese di guisa che ogni ulteriore accertamento istruttorio, oltre che inammissibile in ragione dei fatti quali attestati come avvenuti in sua presenza dal pubblico ufficiale operante, non poteva che ritenersi ininfluente ai fini del decidere risultando compiutamente provata la condotta -relativamente al fatto per cui è causa- quale indicata nei capi di imputazione indicati nella sentenza di applicazione pena .
Con riferimento ai postumi subiti, il dr. D.M., con argomentazione logica, congruamente motivata e non oggetto di contestazione (come risulta dagli atti della consulenza), ha appurato che l' attore ha riportato in seguito al fatto: "lesioni traumatiche, identificate in frattura della seconda falange del quinto dito della mano sinistra, escoriazioni a carico della mano e del ginocchio di destra" ; il C.T.U. ha, quindi, riconosciuto in favore dell' attore per il fatto oggetto di causa 48 giorni di incapacità totale ad attendere alla propria attività lavorativa", un giorno di invalidità temporanea totale, 32 giorni di invalidità temporanea parziale al 75%, 15 giorni di ITP al 50%, 45 giorni di ITP al 25%, postumi permanenti pari al 3% e spese mediche sostenute per un importo pari ad euro 542,50.
Applicandosi in conformità della giurisprudenza dell' ufficio le tabelle in uso presso il Tribunale di Milano, non trattandosi di danno prodotto in relazione alla circolazione di veicoli, e disposto l' aumento del 10% in ragione dell' illecito penale subito, va riconosciuto all' attore l' importo complessivo di euro 9.299,96 in base al seguente prospetto:
III.- Le spese processuali seguono il criterio della soccombenza e vanno liquidate come indicato in dispositivo.
IV.- Le spese di consulenza già liquidate nel corso del giudizio con separato provvedimento, vanno poste definitivamente a carico del convenuto.
V.- Sussistono gli estremi per l' applicazione della responsabilità aggravata stante, quantomeno, la evidente colpa grave del convenuto.
Quest' ultimo, infatti, ha resistito nel giudizio dopo che, per la stessa condotta oggetto di causa, aveva in precedenza richiesto l' applicazione della pena in sede penale; prima della instaurazione del procedimento civile, inoltre, si era formalmente dichiarato disponibile al risarcimento del danno che nel corso del presente giudizio ha, invece, anche contestato nell' an debeatur avanzando tutta una serie di richieste istruttorie manifestamente irrilevanti al fine del decidere (cfr. lettera avvocato S.G. in data 8\4\2010, in cui si riferiva: "il mio assistito, sig. C. D., si è dichiarato assolutamente disponibile ad una soluzione bonaria della vicenda, anche al fine di evitare inutili lungaggini ed ulteriori esborsi giudiziari. Non appena il Suo cliente terminerà il periodo di malattia, sarà, quindi cura del mio di avanzare una congrua offerta di risarcimento a titolo satisfattivo. All' uopo, resto in attesa di essere informata circa il prosieguo della malattia del sig. M., auspicando al contempo di poter comunque definire a breve la vertenza, anche in considerazione della modestia del danno de quo....").
In relazione ai parametri di liquidazione della somma prevista dal terzo comma dell' art. 96 cpc occorre far riferimento all' aggravio determinato al sistema giudiziario nel suo complesso dalla condotta processuale tenuta dal litigante temerario, odierno convenuto ( che non può non essere sanzionato per tale aggravio, in quanto particolarmente significativo anche in ragione del precedente giudizio penale definito con la citata sentenza di applicazione pena).
In difetto di specifiche indicazioni legislative non fornite dall' art. 96 cpc, pare corretto fare ricorso ai parametri previsti dall' art. 2 bis della legge n. 89\2001 nonostante che tale normativa, incongruamente, ha previsto che beneficiario della condanna sia la controparte processuale e non lo Stato, quale titolare dell'interesse leso (cfr., recentemente, Tribunale Modena, 6 dicembre 2012, edito anche su Banca Dati Giuffrè: " Per l' inutile aggravio che il processo ingiusto determina sul sistema giudiziario, la parte che abbia agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, può essere condannata al pagamento, a favore di controparte, di una somma equitativamente determinata (art. 96, comma 3, c.p.c.). In difetto di esplicite indicazioni legislative, detta somma può essere ragionevolmente liquidata ricorrendo al parametro fissato dall'art. 2 bis l. n. 89 del 2001, che all'uopo stabilisce quale criterio applicativo di equa riparazione quello di un importo pecuniario compreso nel range tra 500 ed 1500 per ogni anno di durata eccedente il termine di ragionevole durata processuale, tenendo all'uopo conto del comportamento assunto dalle parti, nonché della natura degli interessi coinvolti ed il valore, oltre che della rilevanza della causa").
Conseguentemente, tenuto conto della data di notifica della domanda ed applicato il parametro minimo, il convenuto va condannato all' ulteriore versamento di euro 1000.
PQM
P.Q.M.
Il Tribunale, in persona del giudice istruttore in funzione di giudice unico, definitivamente pronunciando nel contraddittorio delle parti, respinta ogni diversa e contraria istanza eccezione o deduzione, per le ragioni indicate in motivazione, così provvede:
1.- in relazione al sinistro per cui è causa, condanna il convenuto D.C. al pagamento in favore dell' attore di euro 9.299,96 (novemiladuecentonovantanove, novantasei) con interessi legali decorrenti da oggi e sino all' effettivo pagamento;
2.- condanna il convenuto al pagamento delle spese processuali che liquida in favore dell' attore in euro 197,28 per spese esenti, euro 3.250 per compensi al difensore oltre all' Iva e cpa come per legge;
3.- pone le spese di consulenza, già liquidate nel corso del giudizio con separati provvedimento, definitivamente a carico del convenuto;
4.- dichiara tenuto e condanna il convenuto al versamento a favore di controparte della somma di euro 1.000 a norma dell'art. 96, 3 comma, c.p.c.
Così deciso il 7 aprile 2013.
Il giudice
Alberto Princiotta
sentenza depositata il 9 aprile 2013.
09-06-2013 13:16
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