Un appuntato della GDF sospeso dal lavoro per essere stato rinviato a giudizio per stalking nei confronti dell’ex moglie. La sospensione dal lavoro è illeggittima non avendo destato scandalo e non avendo leso l’immagine della PA.
Tar Lazio, sez. II, sentenza 5 giugno - 4 settembre 2013, n. 8076
Presidente Tosti - Estensore Quiligotti
Fatto
Il ricorrente Antonio Bellomo, appuntato della Guardia di Finanza, , con il ricorso in trattazione ha impugnato il provvedimento del Comando Generale della Guardia di finanza, di cui al prot. n. 0228037/12/1393/4 del 27.7.2012, con il quale è stata disposta la sua sospensione precauzionale dall'impiego a titolo discrezionale, a far data dal precedente 26.7.2012, ai sensi dell'articolo 14 della legge n. 833 del 1961, in quanto imputato in un procedimento penale per reati dai quali può derivare la perdita del grado e avuto riguardo alla condotta contestata, consistente nell'avere minacciato di morte e aggredito fisicamente la ex coniuge.
Ne ha dedotto l'illegittimità per i seguenti motivi di censura:
1- Violazione e falsa applicazione degli articoli 52 e 97 della Costituzione, degli articoli 1, 3 e 10 della legge n. 241 del 1990, dell'articolo 14 della legge n. 833 del 1961 e degli articoli 861, 866 e 916 del d.lgs. n. 66 del 2010 nonché eccesso di potere per violazione della circolare n. 38000/109/4, per insufficienza, incongruità, inadeguatezza e apoditticità della motivazione, per carenza dei presupposti, per ingiustizia manifesta, per sviamento.
2- Violazione e falsa applicazione dell'articolo 97 della Costituzione, degli articoli 1 e 21 bis della legge n. 241 del 1990 nonché eccesso di potere per violazione della circolare n. 38000/109/4 del 2004, per ingiustizia manifesta e perplessità del provvedimento.
Il provvedimento sarebbe illegittimo in quanto carente dei relativi presupposti atteso che il ricorrente, incensurato, non sarebbe colpevole dei fatti contestatigli; inoltre la querela è stata presentata da parte della ex moglie a distanza di oltre un anno dai fatti e l'ipotesi contestata dal P.M. è quella di cui all'articolo 612 bis c.p. e, come emergerebbe dalla relazione del diretto superiore del ricorrente, comunque, i fatti contestati non apparirebbero chiari nei loro esatti contorni.
Inoltre l'ipotesi di reato contestata, in considerazione delle pene edittali indicate, non comporterebbe necessariamente la perdita del grado.
Inoltre i fatti contestati non avrebbero alcuna attinenza con il servizio ed il ruolo ricoperto dal ricorrente, riguardando esclusivamente il suo ambito personale, non essendo emersi e indicati specifici elementi sulla base dei quali ritenere che lo stesso non potesse ulteriormente svolgere le funzioni assegnategli con pienezza di autorità e con la serenità necessaria.
L'amministrazione avrebbe dovuto svolgere un'analisi più approfondita ed una valutazione più attenta dei fatti, atteso che non si tratta di un provvedimento sanzionatorio ma bensì di un provvedimento di natura esclusivamente cautelare; in particolare, avrebbe dovuto diffusamente ed articolatamente argomentare il giudizio sfavorevole rispetto alla sua permanenza in servizio.
L'amministrazione non avrebbe, peraltro, nemmeno rispettato le indicazioni fornite nella richiamata circolare, nella parte in cui, in particolare, richiede l'esposizione puntuale dei motivi che rendono incompatibile o comunque inopportuna la permanenza in servizio del dipendente. Né avrebbe tenuto nella debita considerazione quanto illustrato al riguardo nella relazione del diretto superiore del ricorrente, il quale concludeva nel senso di ritenere opportuno il trattenimento in servizio dello stesso, alla luce di tutte le puntuali e articolate argomentazioni ivi svolte.
Infine il provvedimento impugnato contiene una clausola relativa alla sua efficacia che è contraddittoria e comunque priva dell'indicazione di un'adeguata sottostante motivazione, nella parte in cui indica una data di decorrenza, ossia il 26.7.2012, anteriore rispetto alla data della sua adozione, ossia il 27.7.2012, tenuto, altresì, in considerazione che lo stesso è stato notificato soltanto in data 30.7.2012.
Le amministrazioni intimate si sono costituite in giudizio in data 3.12.2012, depositando memoria difensiva con la quale hanno dedotto l'infondatezza nel merito del ricorso e chiedendone il rigetto.
Con l'ordinanza n. 4417/2012 del 6.12.2012 - riformata in appello con l'ordinanza del Consiglio di Stato, sez, IV. n. 960/2013 del 19.3.2013 - è stata respinta l'istanza di sospensione dell'esecutività del provvedimento impugnato.
Con la memoria depositata in vista dell'udienza il ricorrente, richiamata l'ordinanza di riforma del giudice di appello e l'articolata motivazione ivi esposta, ha ribadito le proprie difese, insistendo ai fini dell'accoglimento nel merito del ricorso.
Con la memoria difensiva le amministrazioni hanno richiamato le difese già svolte nella precedente memoria ed hanno ulteriormente argomentato l'infondatezza nel merito del ricorso, anche alla luce della motivazione di cui alla richiamata ordinanza del giudice di appello, insistendo ai fini della reiezione del ricorso.
Con memoria di replica il ricorrente ha controdedotto alla memoria avversaria, al fine di puntualizzare alcuni passaggi rilevanti ai fini della decisione nel merito.
Alla pubblica udienza del 5.6.2013 il ricorso è stato trattenuto per la decisione alla presenza degli avvocati delle parti come da separato verbale di causa.
Diritto
Con il provvedimento impugnato è stata disposta la sospensione precauzionale del ricorrente dal servizio, a titolo discrezionale, ai sensi dell'articolo 14 della legge n. 833 del 1961, in quanto “la condotta ascritta all'interessato- consistita nell'avere minacciato di morte e aggredito fisicamente la ex coniuge, procurandole un perdurante e grave stato di ansia, nonché di averle distrutto il mobilio casalingo e parte dell'abitazione - risulta connotata da estrema gravità, specie se correlata alla status di militare, ai doveri di correttezza e lealtà assunti con il giuramento e alle rivestite qualifiche di polizia giudiziaria, tributaria e di p.s.”, attesa la “consistenza degli elementi di prova, desumibile, per relationem, dagli atti emessi dalla competente A.G. …” e considerato “il grave pregiudizio all'interesse pubblico scaturente dall'ulteriore impiego in servizio del militare”, cosicchè “il necessario bilanciamento, operato tra gli interessi della Pubblica Amministrazione e quelli personali ed economici del militare in parola, per la gravità della vicenda, allo stato, propende maggiormente per la tutela dell'interesse pubblico, costituzionalmente garantita”.
Nelle premesse del detto provvedimento è dato atto che sono stati presi in considerazione e valutati, ai fini della decisione in ordine alla sospensione a titolo discrezionale dal servizio del ricorrente, sia il decreto di citazione in giudizio relativo al procedimento penale n. 45952/11 del 7.4.2012 della procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli relativamente alla fattispecie delittuosa di cui all'articolo 612 bis, co. 2, c.p. che la proposta al riguardo formulata da parte dell'Ufficiale addetto del Ministero dell'economia e delle finanze di cui al foglio n. 158/USALS/2012 del 2.7.2012.
Con l'ordinanza del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 960/2013 del 19.3.2013 è stata riformata in appello l'ordinanza di reiezione della misura cautelare di questa sezione, con una diffusa e dettagliata motivazione che prende in considerazione i diversi aspetti della vicenda che interessa.
In particolare è stato rilevato che “ … se la finalità del provvedimento di sospensione cautelativa dal servizio non assolve a funzioni sanzionatorie ma è deputata ad allontanare il dipendente dal servizio in modo da evitare un pregiudizio per il buon andamento ed il prestigio dell'Amministrazione …, nel caso di specie non va obliterata la circostanza che la vicenda personale in cui l'attuale appellante è coinvolto non assume alcun riflesso nel disimpegno delle mansioni da lui svolte e che la vicenda medesima non ha sin qui avuto pubblica risonanza; né va sottaciuto che il corretto esercizio del potere di sospensione del dipendente non è di per sé sempre e necessariamente definito dalla maggiore o minore gravità del reato a lui contestato, attesa la diversa finalità della valutazione dei fatti ai fini della tutela del pubblico interesse … e che i diretti superiori dell'interessato hanno espresso parere contrario alla sospensione dal servizio, avuto riguardo agli elementi fattuali testè riferiti…va comunque precisato che la cautela accordata per effetto del presente provvedimento non comporta la restituzione dell'arma in dotazione all'interessato, già del resto spontaneamente da lui riconsegnata al Comando di appartenenza unitamente al munizionamento …”.
La sezione ritiene pertanto - alla luce della diffusa e articolata motivazione esposta nell'ordinanza di appello che mostra come il detto collegio abbia approfonditamente valutato, ai fini del decidere, nel merito tutti i motivi di censura di cui al ricorso introduttivo - opportuno di dovere, conseguentemente, rivedere la posizione in precedenza assunta in sede cautelare al riguardo.
E allora il ricorso è da ritenersi fondato nel merito sotto l'assorbente profilo del difetto di una idonea motivazione ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 241 del 1990 per le considerazioni che seguono.
In sostanza, alla luce della documentazione acquisita al procedimento amministrativo l'amministrazione non si sarebbe potuta limitare ad adottare, ai fini della sospensione discrezionale dal servizio, una motivazione del tenore di quella in precedenza testualmente riportata, che appare, pertanto, sostanzialmente stereotipata.
Si deve premettere che, effettivamente, il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio non assolve a finalità prettamente sanzionatorie, in quanto deputato, invece, essenzialmente ad allontanare il dipendente dal servizio proprio all'esclusivo fine di evitare un pregiudizio per il buon andamento ed il prestigio dell'amministrazione. E, allora, grava, in capo all'amministrazione procedente, di conseguenza, un obbligo motivazionale particolarmente pregnante, proprio in considerazione della delicatezza dei rilevanti e contrapposti interessi pubblici e privati coinvolti, ossia, da un lato, l'interesse dell'amministrazione a tutelare, all'interno, la propria efficienza, e, all'esterno, la propria immagine e, dall'altro, invece, l'interesse del dipendente pubblico, diretto interessato, a permanere in servizio sia ai fini prettamente economici che ai fini della propria immagine professionale e personale.
Nel caso di specie la gravità della condotta asseritamente (soltanto in quanto il giudizio penale instaurato con l'ordinanza di rinvio a giudizio risulta allo stato pendente) tenuta dal ricorrente nella vicenda di cui trattasi - concretizzatasi, come si evince dalla lettura della predetta ordinanza nell'avere minacciato di morte “di continuo, a voce e per telefono, anche avanti a terzi ed in luoghi pubblici”e nell'avere aggredito fisicamente la propria ex moglie “in più occasioni” nonché nell'averle distrutto il mobilio casalingo e parte della stessa abitazione, “non fermandosi né in ragione delle denunce presentate né in ragione della presenza dei testimoni, così procurando … un perdurante e grave stato di ansia ed il fondato timore di aggressioni gravi alla sua incolumità”- non può essere messa in discussione in questa sede, concretizzando la fattispecie delittuosa del reato di stalking di cui al richiamato articolo 612 bis, comma 2, c.p. .
Atteso che, tuttavia, si tratta, all'evidenza, di una vicenda che interessa in modo diretto ed immediato essenzialmente la vita privata del ricorrente, essendosi, peraltro, tutti gli episodi contestati al ricorrente svoltisi, per le relative modalità temporali e di luogo, indubbiamente al di fuori dell'esercizio delle funzioni attribuitegli dall'amministrazione, ne consegue che l'onere motivazionale si presentava, nel caso di specie, per quest'ultima, ancora più gravoso; e ciò, a maggior ragione, anche in considerazione della circostanza, confermata dalla documentazione in atti, e ribadita dalla stessa ordinanza cautelare di appello, che il ricorrente aveva provveduto alla riconsegna spontanea dell'arma di servizio in dotazione, con ciò escludendosi in radice la possibilità che questi potesse fare ricorso alla predetta arma al fine di eventualmente portare oltre la propria condotta penalmente rilevante e che, quindi, potesse essere in futuro ravvisato un eventuale legame diretto tra la condotta nel proseguo tenuta e la permanenza in servizio dell'interessato.
In definitiva l'amministrazione, ai fini dell'adozione del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio, tenuto conto degli interessi coinvolti nella vicenda, e, in particolare, dell'interesse di cui è portatore il ricorrente, in quanto destinatario diretto dello stesso e sul quale conseguentemente in modo immediato si producono i relativi effetti lesivi, si sarebbe dovuta fare carico di motivare in modo approfondito e puntuale in ordine all'effettiva sussistenza dei relativi presupposti applicativi, con particolare riguardo al riflesso che la predetta condotta asseritamente tenuta dal ricorrente ha finito per avere, in concreto, da un lato, sullo svolgimento delle mansioni e del servizio svolto dal ricorrente presso l'amministrazione di appartenenza e, dall'altro, sull'immagine esterna dell'amministrazione stessa.
E, ai predetti fini, merita attenzione la relazione del diretto superiore del ricorrente, in precedenza richiamata; si tratta della proposta al riguardo formulata da parte dell'Ufficiale addetto del Ministero dell'economia e delle finanze, di cui al foglio n. 158/USALS/2012 del 2.7.2012, assunta al protocollo del Comando Generale con il n. 0202746/12 del 5.7.2012, il quale, facendo salvo il diverso avviso della gerarchia superiore, concludeva nel senso di ritenere che non dovesse procedersi, in quel momento e alla luce della documentazione in atti, alla sospensione cautelare dal servizio del ricorrente, tuttavia contestualmente “segnalando la possibilità di rinviare eventualmente l'adozione del medesimo provvedimento ad una fase processuale successiva”, avuto riguardo alla circostanza che “la prima udienza del dibattimento è stata fissata in data 17 luglio 2012 innanzi al Giudice Monocratico presso il tribunale di Napoli – Sezione distaccata di Pozzuoli”.
Ciò che colpisce nella predetta relazione è non solo la sua particolare lunghezza, consistendo in 17 fitte pagine, ma anche, e soprattutto, il suo peculiare contenuto; la relazione si caratterizza, infatti, in quanto il redattore ha ritenuto di doversi fare carico di un esame particolarmente dettagliato dei fatti in concreto contestati al ricorrente come emergenti dalle denunce presentate da parte dell'ex moglie dello stesso nonché dalle indagini effettuate al riguardo da parte dei competenti organi. Il predetto esame scende in particolare profondità, essendo state valutate in modo approfondito ed illustrate in modo particolarmente puntuale e diffuso tutte le eventuali possibili contraddittorietà emergenti dall'esame delle carte processuali a disposizione.
Inoltre viene di seguito dato atto della circostanza che, da un lato, il ricorrente ha la propria sede di servizio, in qualità di addetto all'Ufficio studi e analisi legislativa e statistica, in Roma presso il Ministero dell'economia e delle finanze e, quindi, a distanza notevole rispetto al luogo di residenza della ex moglie e dei due figli minori con questa conviventi, in provincia di Napoli e, dall'altro, l'attuale impiego ne determina un'occupazione in servizio con un turno giornaliero pianificato 8.00/15.12 dal lunedì al venerdì, con conseguente compromissione della possibilità di disporre di eccessivo tempo libero. Viene, infine, considerata e valutata la possibilità che la disposta sospensione cautelare dal servizio possa, in qualche modo, incidere sullo stato mentale, sia nervoso che psicologico, del ricorrente, anche in considerazione dell'ulteriore peso derivante dalla riduzione della retribuzione fissa nonché degli emolumenti corrisposti a titolo di lavoro straordinario, che si rifletterebbe con particolare pregnanza sulla situazione economica attuale del ricorrente il quale è tenuto al versamento, in favore dell'ex moglie, a titolo di alimenti, di una somma mensile di euro 500,00; conclusivamente, per quanto attiene alla situazione familiare del ricorrente, è dato, altresì atto, della circostanza che il contesto da cui scaturisce l'intera vicenda è quello di una separazione giudiziale.
Non sono trascurati nemmeno i profili relativi alla professionalità del ricorrente, evidenziandosi che “durante tutto il periodo … di distacco … ha mostrato e mostra un elevato senso del dovere e della disciplina, garantendo un rendimento elevato, come riportato dalla documentazione caratteristica … redatta” e che lo stesso ha sempre “manifestato disponibilità, serietà professionale e attaccamento al lavoro”.
Si tratta, all'evidenza, di una relazione che, come si è già rilevato in precedenza, e come emerge ulteriormente dall'esposizione in fatto che precede, si caratterizza per la completezza dei temi trattati e la profondità delle valutazioni svolte, della quale l'amministrazione non avrebbe non dovuto adeguatamente tenere conto ai fini dell'adozione del provvedimento di sospensione cautelare dal servizio impugnato.
E, invece, dalla lettura testuale del detto provvedimento, sebbene emerga che la gerarchia abbia acquisito all'istruttoria la predetta relazione, atteso il puntuale richiamo alla stessa ivi contenuto, tuttavia, non emerge, altresì, contestualmente, nello specifico, dal suo corpo motivazionale, estremamente stringato ed appiattito sostanzialmente sulle motivazione esposte nell'ordinanza di rinvio a giudizio, che la predetta gerarchia abbia tenuto in effettiva considerazione, al fine del decidere, le considerazioni e le argomentazioni articolate al riguardo.
E, sebbene effettivamente il Comando Generale non potesse essere ritenuto in alcun modo vincolato in via assoluta dalle conclusioni cui era giunto il superiore gerarchico del ricorrente, tuttavia, l'acquisizione all'istruttoria della richiamata relazione ha finito per connotare di ulteriore pregnanza la motivazione che il Comando avrebbe dovuto rendere a supporto del provvedimento di sospensione cautelare, avuto riguardo a tutti i diversi aspetti rinvenibili nella vicenda di cui trattasi e ivi diffusamente evidenziati.
In particolare, pertanto, il Comando si sarebbe dovuto soffermare, in modo adeguatamente approfondito, sul riflesso che la condotta contestata al ricorrente avrebbe potuto avere ed ha effettivamente in concreto avuto nel disimpegno delle mansioni attualmente attribuitegli nonché sull'immagine all'esterno dell'amministrazione stessa, in considerazione dell'ulteriore circostanza che non risulta che la vicenda abbia avuto alcuna rilevanza mediatica all'esterno.
Per quanto attiene alla questione concernente l'arma in dotazione al ricorrente, invece, anche in considerazione della circostanza che il presente ricorso è accolto per l'assorbente motivo avente ad oggetto il difetto di un'idonea motivazione addotta a supporto del provvedimento stesso, si ritiene di dovere pienamente condividere quanto rilevata nell'ordinanza cautelare del giudice di appello al riguardo. L'atteggiarsi in punto di fatto della situazione di cui trattasi nei contorni in precedenza rilevati non può se non imporre un'assoluta cautela sul punto, avuto riguardo ai non inverosimili ed astrattamente prospettabili scenari futuri; la circostanza che, pertanto, il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio sia stato annullato in questa sede, contestualmente alla circostanza che la consegna dell'arma in dotazione da parte del ricorrente sia stato il frutto di una scelta autonoma e dell'iniziativa personale del ricorrente, non può indurre a ritenere che, conseguentemente, questi possa legittimamente richiederla in restituzione all'amministrazione nel momento in cui sia stato riammesso in servizio.
Il ricorso deve, dunque, essere accolto nei limiti ed ai sensi indicati e le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo che segue.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie nei limiti ed ai sensi di cui motivazione e, per l'effetto, annulla nei medesimi limiti e ai medesimi sensi, il provvedimento impugnato, salvi gli ulteriori provvedimenti dell'amministrazione.
Condanna le amministrazioni resistenti, in solido tra di loro, al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del presente giudizio che si liquidano in complessivi euro 1.000,00, oltre accessori di legge.
Contributo unificato refuso.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
11-09-2013 14:31
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