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Sentenza

Appuntato della G.d.F. offende un Maresciallo Capo squadra. Per telefono gli dic...
Appuntato della G.d.F. offende un Maresciallo Capo squadra. Per telefono gli dice .. ti graffio la macchina, cornuto.
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    15/10/2014 ( ud. 15/10/2014 , dep.05/11/2014 ) 
Numero:
    45862

                         LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. CORTESE   Arturo          -  Presidente   -                    
    Dott. LOCATELLI Giuseppe   -  rel. Consigliere  -                    
    Dott. SANDRINI  Enrico Giuseppe -  Consigliere  -                    
    Dott. BONI      Monica          -  Consigliere  -                    
    Dott. MAGI      Raffaello       -  Consigliere  -                    
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
               C.A. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la  sentenza n. 4/2013 CORTE MILITARE APPELLO di  ROMA,  del 
    27/03/2013; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 15/10/2014 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI; 
    Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FLAMINI Luigi, che 
    ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. 
    Udito il difensore Avv. VIGLIONE Fabio, che ha chiesto l'accoglimento 
    del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    C.A. era rinviato a giudizio per rispondere del reato di insubordinazione con minaccia ed ingiuria aggravata e continuata perchè, quale appuntato della Guardia di Finanza in servizio presso il Comando generale di Roma, per cause non estranee al servizio e alla disciplina militare, offendeva reiteratamente il prestigio, l'onore e la dignità del Capo Squadra Maresciallo Cu.Le.

    e minacciava allo stesso un ingiusto danno mediante una prima telefonata in cui ripeteva più volte la seguente frase " Cu.Le.

    ti graffio la macchina, cornuto", con successiva telefonata eseguiva più volte delle pernacchie, infine con una telefonata all'utenza privata del maresciallo Cu., alterando la voce profferiva la frase "sono una finanziera vecchio rincoglionito perchè non te ne vai in pensione tanto i servizi li gestiamo noi e facciamo come ci pare, adesso cominciamo a romperti i coglioni anche di notte".

    All'esito del richiesto giudizio abbreviato il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Roma dichiara non doversi procedere nei confronti dell'imputato in ordine al reato di ingiurie e minacce aggravate, così derubricata l'originaria impugnazione, perchè l'azione non poteva essere iniziata per mancanza di richiesta da parte del Comandante di corpo.

    Con sentenza del 27.3.2013 la Corte militare di appello, in riforma della sentenza impugnata dal Procuratore generale, dichiarava l'imputato colpevole del reato di insubordinazione con minaccia ed ingiurie aggravate e continuate, come originariamente qualificato il fatto in imputazione, e concesse attenuanti generiche equivalenti lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione militare con i benefici della sospensione condizionale della pena e della non menzione.

    Avverso la sentenza il difensore ricorre per i seguenti motivi: 1) violazione di legge in relazione al mancato riconoscimento della causa di esclusione del reato prevista dall'art. 199 c.p. mil. pace;

    contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in relazione alla asserita riconducibilità del fatto a cause inerenti al servizio militare, considerato che C. ha agito nel completo anonimato,al di fuori dell'ambito militare e senza qualificarsi al Cu. quale appartenente alle Forze armate o addirittura quale suo sottoposto; omessa motivazione in ordine al giudizio di equivalenza delle attenuanti sulle aggravanti.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    Il ricorso è infondato.

    1. La Corte militare di appello, premesso che l'imputato era l'autore certo delle telefonate ingiuriose e minacciose rivolte al superiore, in difformità dalle valutazioni del giudice di primo grado, ha ritenuto provato che il fatto fosse stato commesso per cause non estranee al servizio e alla disciplina militare in quanto: lo stesso imputato in una delle telefonate anonime richiamava esplicitamente ragioni di servizio quale causale degli insulti e delle minacce rivolte al superiore; pochi giorni prima del fatto contestato era intervenuta una discussione per ragioni di servizio tra l'imputato ed il maresciallo Cu. poichè quest'ultimo si era motivatamente rifiutato di aiutare il primo nella redazione di una istanza di riconoscimento di causa di servizio presentata all'ultimo giorno utile; la dichiarazione spontanea resa nel giudizio di appello dall'imputato, che sosteneva di aver fatto le telefonate anonime al superiore per motivi non inerenti al servizio ed alla disciplina militare, era di carattere generico e non credibile, non essendo accompagnata da alcuna indicazione circa ipotetiche cause di tale comportamento diverse da quelle connesse al servizio.

    Le motivazioni del giudice di appello sono giuridicamente corrette in relazione al disposto dell'art. 199 c.p., e non contengono alcuno dei vizi logici denunciati.

    2. La Corte di appello ha esposto le ragioni per cui ha ritenuto di riconoscere all'imputato generiche circostanze attenuanti con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti. In proposito si deve considerare che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora (come nel caso in esame) non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).

    A norma dell'art. 616 c.p.p., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2014.

    Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2014
Avv. Antonino Sugamele

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