Assegno perequativo in favore del personale dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, nonche' delle Forze armate.
Consiglio di Stato sez. III
Data:
23/06/2014 ( ud. 19/06/2014 , dep.23/06/2014 )
Numero:
3189
Intestazione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 4097 del 2008, proposto da:
Ministero dell'Interno, rappresentato e difeso per legge
dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei
Portoghesi, 12;
contro
Pi. Ro., rappresentato e difeso dagli avv. Goffredo Gobbi, Yvonne
Messi, con domicilio eletto presso Goffredo Gobbi in Roma, via Maria
Cristina 8;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA - SEZ. STACCATA DI BRESCIA n.
01365/2007, resa tra le parti, concernente diniego liquidazione
indennità perequativa
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 giugno 2014 il Pres.
Pier Giorgio Lignani e uditi per le parti l'avvocato Gobbi e
l'avvocato dello Stato Frigida;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
FATTO e DIRITTO
1. Il d.P.C.M. 3 gennaio 2001 ha istituito un "assegno perequativo" in favore del personale dirigente delle Forze di polizia ad ordinamento civile e militare, nonché delle Forze armate.
Il decreto individua i destinatari dei benefici nei "colonnelli e brigadieri generali [generali di brigata] " delle Forze armate, nonché nei funzionari delle qualifiche corrispondenti dei Corpi di polizia ad ordinamento militare e civile. La disposizione aggiunge che "l'indennità perequativa compete esclusivamente al personale che riveste i gradi o le qualifiche indicate...".
2. L'attuale appellata, già ricorrente in primo grado, all'epoca dei fatti prestava servizio nella Polizia di Stato con la qualifica di "vicequestore aggiunto" (corrispondente al grado di tenente colonnello nei corpi ad ordinamento militare). Nondimeno ha chiesto il riconoscimento del diritto all'indennità perequativa in questione. Dopo il diniego dell'amministrazione, ha proposto ricorso al T.A.R. Lombardia, sede di Brescia.
Il T.A.R., con sentenza n. 1365/2007, ha accolto il ricorso.
L'amministrazione ha proposto appello a questo Consiglio, chiedendo anche la sospensione della sentenza impugnata. La domanda cautelare è stata accolta.
L'appello viene ora in decisione.
3. Si può dare per incontroverso che, stando alla formulazione letterale del d.P.C.M. 3 gennaio 2001, all'epoca dei fatti l'interessata non avesse titolo all'indennità perequativa. Si è visto infatti che l'indennità è concessa al personale con i gradi di colonnello e di generale di brigata, cui corrispondono nella Polizia di Stato, rispettivamente, le qualifiche di vicequestore e di questore, mentre l'interessata rivestiva all'epoca la qualifica di vicequestore aggiunto (tenente colonnello).
Si può aggiungere che la ricorrente non ha impugnato il d.P.C.M., nella parte in cui limita il beneficio alle due qualifiche dirigenziali, senza prevedere (anzi esplicitamente escludendo) l'estensione ai titolari di altre qualifiche. Neppure ha invocato norme di rango superiore per effetto delle quali, in ipotesi, il d.P.C.M. debba essere disapplicato in parte qua.
4. In sintesi, a sostegno della propria pretesa la ricorrente aveva portato due argomenti.
4.1. Il primo argomento si basava sulla considerazione che l'interessata, pur rivestendo la qualifica di vicequestore aggiunto (subdirigenziale) aveva già da tempo conseguito il livello stipendiale della qualifica superiore (dirigenziale) in applicazione delle norme che regolano la progressione economica del personale della Polizia di Stato. Tali norme dispongono, fra l'altro, che maturata una certa anzianità nella qualifica, il dipendente consegue il livello stipendiale della qualifica superiore, ancorché questa non gli sia stata conferita.
Il T.A.R. ha respinto questa tesi con motivazione puntuale ed approfondita, osservando che per giurisprudenza consolidata l'attribuzione (per anzianità) del livello stipendiale inerente ad una qualifica superiore a quella formalmente rivestita non comporta la totale equiparazione a chi possieda formalmente quest'ultima. In buona sostanza, si tratta di un sistema nel quale la progressione economica è articolata in classi di stipendio svincolate dalla progressione giuridica; sicché, se una disposizione contempla (come nel caso in esame) chi è titolare di una certa qualifica, essa non è applicabile a chi quella qualifica non possegga, a nulla rilevando in contrario che abbia conseguito un determinato livello stipendiale (in termini: Cons. Stato, sent. n. 6452/2003).
Questo punto della sentenza non ha formato oggetto di impugnazione da parte dell'interessata e dunque non fa parte della materia del contendere in appello.
4.2. Il secondo argomento si basava sulla considerazione che l'interessata, pur rivestendo una qualifica subdirigenziale, di fatto svolgeva mansioni proprie della qualifica dirigenziale.
Questo argomento è stato condiviso dal T.A.R., che su queste basi ha fondato la sentenza di accoglimento del ricorso.
L'amministrazione appellante censura la decisione con pertinenti argomentazioni.
5. Il Collegio osserva che in questa peculiare controversia non è necessario (o se si preferisce non è consentito) approfondire la tematica dell'esercizio di fatto delle mansioni superiori, e delle conseguenze che tale eventualità comporta (o non comporta) in ordine ai diritti dell'impiegato, con particolare riferimento al trattamento economico.
Ed invero, la fonte normativa che qui deve essere applicata, e cioè il d.P.C.M. 3 gennaio 2001, è inequivoca nell'individuare come destinatari del beneficio "i colonnelli e brigadieri generali [generali di brigata] " delle Forze armate, nonché i funzionari delle qualifiche corrispondenti dei Corpi di polizia ad ordinamento militare e civile. La norma si riferisce dunque al grado rivestito, ovvero alla qualifica rivestita, e non fa alcun cenno alle funzioni esercitate.
Peraltro, il comma successivo aggiunge che "l'indennità perequativa compete esclusivamente al personale che riveste i gradi o le qualifiche indicate".
Non si può certo dire che alla norma manchi il pregio della chiarezza.
6. In questa situazione, non vi è spazio per interpretazioni estensive, o tanto meno analogiche, ovvero per invocare supposti princìpi generali. Argomenti di questo genere, semmai, avrebbero potuto essere introdotti (non si vuol dire che sarebbero stati accolti) mediante l'impugnazione del d.P.C.M., ma tale impugnazione non vi è stata.
In conclusione, l'appello deve essere accolto, con la riforma della sentenza appellata e il rigetto del ricorso di primo grado.
Le spese, nella manifesta infondatezza della pretesa dell'interessata, debbono far carico alla parte soccombente.
PQM
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza) accoglie l'appello e in riforma della sentenza impugnata rigetta il ricorso proposto in primo grado. Condanna l'appellata al pagamento delle spese legali dei due gradi in favore dell'appellante, liquidandole complessivamente in euro 1.500 oltre agli accessori dovuti per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 giugno 2014 con l'intervento dei magistrati:
Pier Giorgio Lignani, Presidente, Estensore
Salvatore Cacace, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Vittorio Stelo, Consigliere
Roberto Capuzzi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 23 GIU. 2014.
21-09-2014 23:16
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