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Sentenza

Maresciallo capo dell'esercito dice ad un tenente
Maresciallo capo dell'esercito dice ad un tenente "ti ammazzo .. chiama chi cazzo vuoi" colpendolo con una manata allo sterno. Insubordinazione con ingiuria, violenza con minaccia in continuazione pluriaggravata. 9 mesi di reclusione militare.
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    22/01/2014 ( ud. 22/01/2014 , dep.18/02/2014 ) 
Numero:
    7574

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. SIOTTO    Maria Cristina -  Presidente   -                     
    Dott. ZAMPETTI  Umberto   -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. LOCATELLI Giuseppe       -  Consigliere  -                     
    Dott. LA POSTA  Lucia          -  Consigliere  -                     
    Dott. MAGI      Raffaello      -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                L.B.G. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la sentenza n. 73/2012 CORTE MILITARE APPELLO di  ROMA,  del 
    28/11/2012; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 22/01/2014 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI; 
    Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Flamini L.M. sost. 
    PG Militare che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. 
    Udito  il  difensore  Avv. Vicoli Matteo che ha concluso  richiedendo 
    l'accoglimento del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza in data 28.11.2012 la Corte militare d'appello, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava, su gravame del P.M., L.B.G., maresciallo capo dell'Esercito, colpevole del reato di insubordinazione con ingiuria, violenza con minaccia in continuazione pluriaggravata, così condannandolo, in concorso di circostanze attenuanti generiche prevalenti, alla pena di mesi 9 di reclusione militare; pena sospesa e non menzione.

    I giudici di primo e secondo grado hanno concordemente ritenuto certo in fatto che l'imputato, il 06.12.2009 in (OMISSIS) presso la caserma (OMISSIS), avesse proferito verso il Ten. P.D. le frasi "ti ammazzo" e "chiama chi cazzo vuoi" e l'avesse colpito con una manata allo sterno. Tale condotta - ritenevano concordemente i giudici del merito - risultava dalle convergenti dichiarazioni della parte lesa e dei testi presenti L. e D.M. e dalle stesse pur parziali ammissioni dell'imputato. Parimenti condivisa, nelle sedi di merito, la considerazione che in tale complessiva condotta si dovessero evidenziare i reati di minaccia, ingiuria e percosse.

    Peraltro in primo grado il Tribunale militare di Verona riteneva insussistente nella fattispecie la condizione di procedibilità (richiesta di procedimento da parte del comandante del Corpo) considerata necessaria sul rilievo che al momento del fatto i militari non erano in servizio e la vicenda era estranea a causa di servizio, ponendosi solo in rapporto di mera occasionalità, di tal che i fatti non potevano essere qualificati insubordinazione nei termini di cui all'imputazione.

    Su tale specifico punto si differenziava il giudizio di secondo grado che invece riteneva che la condotta dell'imputato si ricollegasse al rimprovero subito da parte del Ten. P. il giorno precedente in relazione ad un'esercitazione, il che configurava motivo di disciplina e servizio; di conseguenza era ripristinato il reato nella configurazione giuridica accusatoria, con l'esito di condanna sopra riportato.

    2. Avverso tale sentenza di secondo grado proponeva ricorso per cassazione l'anzidetto imputato che motivava l'impugnazione deducendo violazione di legge, in particolare argomentando - in sintesi - nei seguenti termini : errata applicazione dell'art. 199 c.p.m.p., atteso che la condotta incriminata era in relazione solo con il diniego del P. di avere un colloquio con esso imputato, di tal che la vicenda del giorno precedente era solo un antefatto; la causa di servizio doveva essere ritenuta con interpretazione limitata a rapporto di derivazione immediata e diretta e non indiretta.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso, infondato, deve essere rigettato con ogni dovuta conseguenza di legge.

    2. Va premesso che il ricorrente, peraltro parzialmente ammissorio, non contesta in questa sede la condotta in fatto, come addebitata e riconosciuta in entrambi i gradi del giudizio di merito, che dunque deve ritenersi definitivamente accertata.

    L'unico tema proposto con l'impugnazione riguarda la ragione di servizio e disciplina, ritenuta insussistente in primo grado, sul rilievo trattarsi di un rapporto solo indiretto che induceva l'occasionalità dell'episodio, e considerata invece sussistente e rilevante in grado d'appello.

    Ebbene, su tale tema proposto dall'impugnazione, deve rilevare questa Corte di legittimità la correttezza della soluzione data dalla Corte Militare d'appello che ha ritenuto la piena procedibilità (senza necessità della richiesta di procedimento da parte del comandante del Corpo) sul rilievo che l'aggressione posta in essere dall'imputato, essendo causalmente collegata al rimprovero subito il giorno precedente ad opera del Ten. P. per ragioni di servizio e disciplina, doveva ritenersi in connessione diretta ai motivi di servizio e di disciplina.- Peraltro la tesi difensiva, che propone la mera occasionalità delle ragioni di servizio e disciplina, si fonda sul presupposto che la condotta incriminata sarebbe in rapporto causale con il rifiuto dell'ufficiale di avere il colloquio chiesto dal L.B. (peraltro proprio sul tema del rimprovero del giorno precedente) e quindi ricade comunque in una tematica direttamente coinvolgente ragioni di servizio e disciplina.

    Sul punto in questione, deve peraltro il Collegio richiamare e qui ribadire la giurisprudenza già espressa da questa Corte di legittimità che ha dato una interpretazione univoca, anche recente, decisamente favorevole alla tesi dell'accusa. Si vedano, invero, le massime che seguono:

    - Cass. Pen. Sez. 1, n. 19970 in data 30.01.2013, Rv. 256179, Sorce:

    "La configurabilità della causa di esclusione della responsabilità per il reato di insubordinazione con minaccia o ingiuria, consistente nell'aver commesso il fatto per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, prevista dall'art. 199 c.p.m.p., è esclusa dalla riconducibilità del fatto ad un contesto militare, anche se sono assenti rapporti gerarchici diretti tra reo e persona offesa" (Fattispecie in cui è stata esclusa la ricorrenza dell'esimente in costanza di frasi ingiuriose e minacciose profferite per ragioni di contrasto contro un provvedimento di trasferimento di altro militare);

    - Cass. Pen. Sez. 1, n. 40811 in data 27.10.2010, Rv. 248441, Mecoli:

    "Ai fini della configurabilità della causa di esclusione del reato di minaccia ad inferiore prevista dall'art. 199 c.p.m.p., consistente nell'aver commesso il fatto per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, non rileva l'assenza di rapporti gerarchici diretti tra autore e vittima dell'illecito, ma la riconducibilità del fatto a un contesto militare" (Nella specie è stata esclusa la ricorrenza della causa di esclusione del reato nel fatto di un maresciallo capo dell'esercito che, all'interno di uno stabilimento balneare militare, aveva apostrofato un caporale che non era alle sue dirette dipendenze con la frase: "ti spezzo, non sei nessuno, ti raddrizzo io, ne ho già raddrizzati molti come te, non avrai vita facile con me").

    Del resto, sullo specifico punto, questa Corte regolatrice ha da tempo circoscritto i limiti della clausola di esclusione a vicende non obbiettivamente correlate all'area degli interessi connessi alla tutela della disciplina, secondo il seguente principio, anche di recente ribadito; si vada Cass. Pen. Sez. 1, n. 8495 in data 28.09.2012, Rv. 254923, P.G. Mil. in proc. Pozzani : "La minaccia o l'offesa all'onore di un superiore (art. 189 c.p.m.p.), rivolta dal militare appartenente alle Forze armate al di fuori dell'attività di servizio attivo e non obiettivamente correlata all'area degli interessi connessi alla tutela della disciplina, rientra nella clausola di esclusione del reato di insubordinazione, prevista dall'art. 199 c.p.m.p. ("cause estranee al servizio e alla disciplina militare").

    Ciò posto, e dunque anche a mente del citato, univoco, orientamento giurisprudenziale, è di tutta evidenza che nella fattispecie in esame deve riconoscersi da un lato la diretta riconducibilità della condotta dell'imputato ad una causa di servizio e disciplina (sia che la si voglia collegare al rimprovero del giorno precedente, sia che trovi causa più immediata nel rifiuto del superiore di avere un colloquio con il subordinato), dall'altro la piena sussistenza di un contesto militare (oggettivo, soggettivo, ambientale e causale), a nulla a questi fini rilevando che l'episodio si sia collocato in un momento in cui i soggetti coinvolti non erano in servizio (peraltro solo per limiti di orario, non di funzione). E' comunque altrettanto evidente che la condotta incriminata non possa, secondo parametri oggettivi e di comune percezione, essere qualificata estranea all'area degli interessi connessi alla tutela della disciplina, come del tutto correttamente motivato dalla Corte di secondo grado.

    3. In definitiva il ricorso, infondato, deve essere respinto.

    Al completo rigetto dell'impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2014.

    Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2014
Avv. Antonino Sugamele

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