Nocchiere in servizio presso la Capitaneria di Porto di Palermo viene condannato alla pena di anni 2 e mesi 8 di reclusione per violenza sessuale. La Dir. Generale per il Personale Militare decretava nei suoi confronti la sanzione della perdita del grado per rimozione all'esito del procedimento disciplinare.
Cons. giust. amm. Sicilia sez. giurisd.Data: 25/07/2014 ( ud. 16/01/2014 , dep.25/07/2014 ) Numero: 446
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il CONSIGLIO DI GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA PER LA REGIONE SICILIANA
in sede giurisdizionale
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 525 del 2013, proposto da:
Ar. Ma., rappresentato e difeso dagli avv. Ida Giganti, Biagio
Marotta, con domicilio eletto presso Biagio R. Marotta in Palermo,
via Tintoretto N. 4;
contro
Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge
dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliata in Palermo, via De Gasperi
81; Ministero della Difesa Direzione Generale Per il Personale
Militare;
per l'annullamento
della sentenza del T.A.R. SICILIA - PALERMO: SEZIONE I n. 01100/2013,
resa tra le parti, concernente personale militare - procedimento
disciplinare - perdita del grado per rimozione, ex art. 861 c. 1
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 16 gennaio 2014 il Cons.
Pietro Ciani e uditi per le parti gli avvocati B. Marotta e avv. di
Stato Pollara;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
Fatto
Il sig. Ma. Ar., secondo capo nocchiere in servizio presso la Capitaneria di Porto di Palermo, con sentenza n. 1072/2008 emessa dal GUP presso il Tribunale di Palermo, veniva condannato alla pena di anni quattro di reclusione per il reato di violenza sessuale.
Con sentenza della Corte di appello di Palermo del 2 dicembre 2009, confermata dalla Cassazione con sentenza n. 1715 del 4 dicembre 2010, la pena veniva ridotta ad anni due e mesi otto di reclusione per effetto della concessione delle attenuanti generiche.
Il Comandante in capo del dipartimento militare marittimo dello Ionio e del canale d'Otranto, acquisita l'11 aprile 2011 la sentenza della Corte di Cassazione, disponeva in data 17 maggio 2011 l'apertura di una inchiesta formale; quindi, in data 16 settembre 2011 il sig. Ma. Ar. veniva deferito alla commissione di disciplina.
Con verbale del 10 novembre 2011, la commissione di disciplina riteneva il predetto Ma. Ar. meritevole di conservare il grado; tuttavia, con decreto del Ministero della Difesa n. 653 del 22 dicembre 2011 veniva ordinata la convocazione di una diversa commissione di disciplina ex art. 1389, comma 1, lett. b), del codice dell'ordinamento militare.
Questa diversa commissione di disciplina, con verbale del 9 febbraio 2012, dichiarava il suddetto militare non meritevole di conservare il grado; conseguentemente, con provvedimento n. 0079/III-7/2012 del 16 febbraio 2012, la Direzione Generale per il Personale Militare decretava nei suoi confronti la sanzione della perdita del grado per rimozione all'esito del procedimento disciplinare, ai sensi dell'art. 861, comma 1, lettera d) del codice dell'ordinamento militare.
Avverso quest'ultimo provvedimento il predetto Ma. Ar. proponeva ricorso al TAR Palermo chiedendone l'annullamento, previa sospensione, per i seguenti motivi:
1) incostituzionalità del decreto legislativo n. 66 del 15 marzo 2010, per violazione dell'art. 76 della Costituzione;
2) incostituzionalità dell'art. 1389 del codice dell'ordinamento militare, approvato con d.lgs. n. 66/2010, per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione. Elusione della sentenza della Corte Costituzionale n. 62 del 25 febbraio 2009;
3) violazione dell'art. 1392 del codice dell'ordinamento militare. Decadenza dall'esercizio dell'azione disciplinare. Violazione degli artt. 1387 e 1389 del codice dell'ordinamento militare.
Si costituiva in giudizio l'Avvocatura dello Stato senza depositare alcun documento.
Con ordinanza n. 353/2012 del 6 giugno 2012 l'istanza cautelare veniva accolta.
Successivamente, la difesa erariale depositava vari documenti e, in vista della udienza, una memoria con la quale chiedeva il rigetto del ricorso, poiché infondato.
Con sentenza n. 1100/13 il TAR adito rigettava il ricorso perché infondato.
Con l'appello in epigrafe il sig. Ma. Ar. ha impugnato detta decisione rilevandone l'erroneità; quindi ha sostanzialmente ribadito le censure sollevate innanzi al TAR, chiedendo che vengano accolte le domande conclusivamente formulate.
L'Amministrazione intimata, costituitasi in giudizio, ha replicato ai motivi dedotti dal ricorrente sostenendo la correttezza della decisione ex adverso impugnata e, quindi, chiedendo il rigetto dell'appello.
Diritto
L'appello è infondato.
Con un primo motivo l'appellante ha contestato la decisione n. 1100/13 del TAR Palermo perché quel Giudice "non ha ritenuto che il provvedimento di riammissione in servizio del ricorrente, formalizzato con l'emanazione del decreto ministeriale 0146/III-7/2013 dell'11 marzo 2013, abbia sostanziato la cessazione della materia del contendere".
La censura è priva di fondamento.
Con decreto ministeriale n. 0327/III-7/2012 in data 4 luglio 2012, emesso a seguito dell'ordinanza cautelare del TAR Palermo n. 353/2012 del 6 giugno 2012, richiamata in narrativa, l'Amministrazione, in attesa della definizione nel merito del presente giudizio, ha disposto nei confronti del sig. Ma. Ar. - già sospeso dall'impiego a seguito di condanna penale per la nota vicenda e successivamente colpito dalla perdita del grado per rimozione all'esito del procedimento disciplinare - la sospensione dell'esecuzione del D.M. n. 0079/III-7/2012 con cui gli era stata inflitta la sanzione della perdita del grado per rimozione (cfr. art. 1) nonché la reviviscenza degli effetti del D.M. n. 0513/III-7/2011, di sospensione dall'impiego a seguito di condanna penale (cfr. art. 2).
Il sig. Ma., pertanto, usufruiva, per effetto della decisione cautelare, della sospensione di detta sanzione, ma continuava a trovarsi nella posizione di "sospeso dall'impiego".
Con il successivo D.M. 0146/III-7/2013 dell'11 marzo 2013, invocato dal ricorrente, la Direzione Generale per il personale militare, preso atto che la data di fine pena comminata al Ma. era stata anticipata al 4 dicembre 2012, ha disposto la revoca del suddetto art. 2 del D.M n. 0327/III-7/2012 in data 4 luglio 2012, sopra richiamato; quindi, avendo sostanzialmente revocato la sospensione dall'impiego, a suo tempo comminata a seguito di condanna penale, l'Amministrazione ha disposto la riammissione in servizio del sig. Ma..
È evidente che il predetto D.M. 0146/III-7/2013 dell'11 marzo 2013 nulla ha disposto in merito alla sanzione della "perdita del grado per rimozione", i cui effetti erano stati già sospesi con l'art. 1 del suddetto D.M. n. 0327/III-7/2012 in data 4 luglio 2012 in attesa dell'esito del presente giudizio,
Al riguardo, si può pertanto osservare che il decreto di riammissione in servizio è stato adottato dall'Amministrazione militare, nelle more del presente giudizio, soltanto perché gli effetti della sanzione della perdita del grado per rimozione risultavano sospesi in esecuzione all'ordinanza cautelare del TAR, favorevole al ricorrente.
La sua riammissione in servizio, quindi, non poteva comportare la cessazione della materia del contendere, con riferimento alla predetta sanzione della perdita del grado per rimozione, perché questa ha continuato a rimanere sospesa in attesa dell'esito del presente giudizio.
Con il secondo motivo di gravame il ricorrente ha lamentato l'erroneità della sentenza impugnata, laddove il Giudice di prime cure "ha ritenuto la infondatezza della eccezione di illegittimità costituzionale per violazione dei termini di delega del Decreto Legislativo 15 marzo 2010, n. 66".
La doglianza è infondata.
La norma di riferimento va individuata nell'art. 14, comma 22, della L. n. 246/2005.
Essa recita: "se il termine previsto per il parere della commissione cade nei trenta giorni che precedono la scadenza di uno dei termini previsti dai commi 14, 14 quater, 15, 18 e 18 bis, la scadenza è prorogata di 90 giorni".
Alla luce di detta disposizione, il Collegio non può che condividere il parere reso sullo schema di decreto dalla Commissione Speciale Difesa del Consiglio di Stato nell'adunanza del 10 febbraio 2010, ai sensi del quale il termine di scadenza della delega, fissato al 16 dicembre 2009 dall'art. 14, comma 14, della L. n. 246/2005, andava prorogato di 90 giorni ai sensi del successivo comma 22, in quanto la trasmissione dello schema alla Commissione parlamentare per la semplificazione era avvenuta nei trenta giorni precedenti la scadenza di uno dei termini previsti dai suddetti commi 14, 14 quater, 15, 18 e 18 bis.
Con il terzo motivo, l'appellante ha censurato la decisione assunta dal Giudice di prime cure "nella parte in cui ha ritenuto che l'art. 1389 del codice dell'Ordinamento Militare non abbia eluso la sentenza della Corte Costituzionale n. 62 del 2009".
La censura non può essere condivisa.
L'art. 1389 testè richiamato prevede che il Ministro "se ritiene, per gravi ragioni di opportunità, che deve essere inflitta la sanzione della perdita del grado per rimozione (....) ordina, per una sola volta, la convocazione di una diversa commissione di disciplina, ai sensi dell'art. 1387; in tale caso il procedimento disciplinare deve concludersi nel termine perentorio di 60 giorni".
Nel caso di specie, non v'è dubbio che ricorrano i presupposti delle "gravi ragioni", essendo stato il ricorrente condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per aver compiuto atti sessuali con una minore di anni quattordici.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 62 del 2009, ha dichiarato l'illegittimità dell'art. 75 della L. n. 599/1954 per violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione, perché ritenuto in contrasto con il principio di buon andamento e imparzialità dell'amministrazione.
Detta norma, infatti, riconoscendo al Ministro, nei casi analoghi a quello in trattazione, la potestà di discostarsi dal giudizio favorevolmente espresso nei confronti del giudicando dall'organo collegiale appositamente costituito, non consentiva all'interessato di usufruire delle prescritte garanzie partecipative, non essendo prevista la rinnovazione del giudizio innanzi ad una nuova commissione di disciplina.
Il citato art. 1389, invece, consente al Ministro, qualora ricorrano i suddetti presupposti delle "gravi ragioni", non già di annullare la decisione assunta dalla commissione di disciplina sostituendola con un proprio provvedimento, bensì la più limitata potestà di chiedere, per una sola volta, un nuovo giudizio ad una diversa commissione da costituire appositamente, innanzi alla quale l'interessato potrà nuovamente esercitare il proprio diritto di difesa, ed alla cui decisione lo stesso Ministro dovrà poi adeguarsi.
Infine, l'odierno ricorrente ha contestato la sentenza del primo Giudice "nella parte in cui non ha ritenuto di accogliere l'eccezione di decadenza dell'esercizio dell'azione disciplinare per violazione degli artt. 1392, 1387 e 1389 d.lgs. 5 marzo 2010, n. 266, Cod. Ord. militare".
L'appellante sostiene che, nel caso di specie, non essendosi concluso il procedimento disciplinare di stato entro il termine di 270 giorni, prescritto dall'art. 1392, comma 3, del codice dell'ordinamento militare, decorrente dalla data in cui l'Amministrazione ha ricevuto comunicazione della sentenza penale definitiva di condanna, l'Amministrazione sarebbe decaduta dall'esercizio dell'azione disciplinare non potendosi utilizzare l'ulteriore termine di 60 giorni previsto dall'art. 1389, comma 1, lett. b, del codice in argomento.
La censura è infondata.
L'Amministrazione ha dovuto fare ricorso all'ulteriore termine di 60 giorni in quanto a ciò costretta dall'intervento del Ministro che ha ordinato un nuovo giudizio da parte di una commissione, diversa dalla prima, da costituire appositamente.
L'art. 1389, comma 1, lett. b, sopra richiamato, prescrive che, a seguito di interventi della specie da parte del Ministro,"il procedimento disciplinare deve concludersi nel termine perentorio di 60 giorni".
Detto termine non può che aggiungersi a quello dei 270 giorni previsto, in assenza dell'eventuale intervento del Ministro, dal suddetto art. 1392, comma 3, del codice in argomentoper la conclusione dell'ordinario procedimento disciplinare.
L'intervento del Ministro, previsto in via del tutto eccezionale, comporta ulteriori incombenze che, ragionevolmente, non possono rientrare nell'ambito del termine prescritto per l'ordinario procedimento disciplinare.
D'altra parte, la previsione dell'ulteriore termine di 60 giorni non avrebbe alcun significato, né il ricorrente ha formulato ipotesi interpretative al riguardo, al di fuori di quella secondo cui osso è compreso nei suddetti 270 giorni,
Conclusivamente, il Collegio respinge l'appello in epigrafe perché infondato.
Ritiene che sussistano giusti motivi perché le spese del presente grado di giudizio vengano compensate.
PQM
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando, respinge l'appello in epigrafe.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'Autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 16 gennaio 2014 con l'intervento dei magistrati:
Raffaele Maria De Lipsis, Presidente
Silvia La Guardia, Consigliere
Marco Buricelli, Consigliere
Pietro Ciani, Consigliere, Estensore
Giuseppe Mineo, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 25 LUG. 2014.
30-08-2014 15:23
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