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Sentenza

Poliziotta impugna il decreto del Capo della Polizia con il quale veniva dispost...
Poliziotta impugna il decreto del Capo della Polizia con il quale veniva disposta la sua destituzione in quanto aveva frequentato assiduamente al di fuori delle esigenze di servizio... persona dedita ad attività criminosa dalla quale riceveva regali, alcuni dei quali trovati presso la propria abitazione in sede di perquisizione domiciliare.
Consiglio di Stato  sez. III   
Data:
    21/06/2012 ( ud. 18/05/2012 , dep.21/06/2012 ) 
Numero:
    3681

 

    Intestazione

                             REPUBBLICA ITALIANA                         
                         IN NOME DEL POPOLO ITALIANO                     
                            Il Consiglio di Stato                        
    in sede giurisdizionale (Sezione Terza)                              
    ha pronunciato la presente                                           
                                   SENTENZA                              
    sul ricorso numero di registro generale 4447 del 2010, proposto da:  
    Ir. Tu., rappresentata e difesa dagli avv. Raffaele Cananzi, Pasquale
    Cananzi  e Giovan Vincenzo Placco, con domicilio eletto presso Giovan
    Vincenzo Placco in Roma, via Basento n. 37;                          
                                    contro                               
    Ministero  dell'Interno  in  persona  del  legale  rappresentante pro
    tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato,
    domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;               
    per la revocazione                                                   
    della sentenza del CONSIGLIO DI STATO - SEZ. VI n. 05016/2008        
    Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;                   
    Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;  
    Viste le memorie difensive;                                          
    Visti tutti gli atti della causa;                                    
    Relatore  nell'udienza  pubblica  del  giorno 18 maggio 2012 il Cons.
    Roberto  Capuzzi  e uditi per le parti gli avvocati Placco, Cananzi e
    dello Stato Vitale;                                                  
    Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.              


    Fatto
    FATTO e DIRITTO

    1. Con ricorso dinanzi al Tar per la Lombardia, la sig.ra Ir. Tu., agente della Polizia di Stato in servizio presso la Questura di Milano, impugnava, unitamente a tutti gli atti comunque connessi, il decreto del Capo della Polizia 4.11.1993 n.333 - D/27579, con il quale veniva disposta la sua destituzione, motivata in relazione alla delibera del Consiglio provinciale di disciplina in data 10.9.1993, da cui risultava che la medesima aveva frequentato assiduamente "al di fuori delle esigenze di servizio... persona dedita ad attività criminosa dalla quale riceveva regali, alcuni dei quali trovati presso la propria abitazione in sede di perquisizione domiciliare", evidenziando "nel complesso un comportamento immorale ed in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento".

    E ciò in quanto, da intercettazioni telefoniche e da successiva perquisizione domiciliare, era emerso che la sig.ra Tucci, coinvolta con l'agente Lodi e con il proprio marito, anch'egli agente di P.S., in un'indagine relativa a spaccio e traffico di stupefacenti e poi sottoposta a procedimento penale, conclusosi tuttavia con decreto di archiviazione della notizia di reato, aveva ricevuto dal pluripregiudicato Roccia Giorgio, elemento di spicco nell'indagine stessa, i regali suddetti in cambio di favori ricevuti e regali poi sequestrati per la ritenuta provenienza illecita.

    A sostegno del gravame, la ricorrente deduceva censure di eccesso di potere sotto i profili del difetto di motivazione del decreto impugnato, del travisamento dei fatti e dell'illogicità manifesta, nonché di violazione dei termini di cui agli artt. 19 e 20 del D.P.R. n.737 del 1981, osservando, in particolare, che dalla deposizione del collega Lodi era risultato che la ricorrente stessa, collaborando con lui, aveva mantenuto contatti, anche in via strettamente confidenziale, con il pregiudicato anzidetto in quanto "informatore" della Polizia, e che di tale collaborazione sarebbe stato comunque a conoscenza anche l'ispettore Favale, superiore dell'interessata e del proprio marito.

    Nel giudizio si costituiva l'Amministrazione intimata, che controdeduceva al ricorso, concludendo per la sua reiezione.

    2. Con la sentenza n.252/2005 il Tar accoglieva il proposto gravame, ritenendo fondata l'assorbente censura di eccesso di potere per travisamento dei fatti ed illogicità manifesta come sopra formulata.

    3. Avverso tale pronuncia, ritenuta ingiusta e gravemente lesiva degli interessi dell'Amministrazione, veniva interposto appello, con il quale il Ministero dell'Interno deduceva l'erroneità della ricostruzione dei fatti effettuata dal Tar e della ritenuta compatibilità delle condotte contestate alla ricorrente con l'obiettivo di mantenere e rafforzare i rapporti confidenziali con il menzionato pregiudicato, rilevando, inoltre, che i primi giudici avrebbero sovrapposto, all'apprezzamento delle risultanze istruttorie effettuato dall'Amministrazione procedente, una propria autonoma valutazione degli elementi acquisiti in sede istruttoria, con ciò "travalicando i limiti fissati alla cognizione del giudice amministrativo".

    La parte appellata contestava le argomentazioni svolte dal Ministero dell'Interno chiedendo la reiezione dell'appello.

    4. Nella pubblica udienza del 17 giugno 2008 la Sezione Sesta del Consiglio di Stato, con sentenza depositata il 16 ottobre 2008, accoglieva l'appello del Ministero e per l'effetto respingeva il ricorso in primo grado ritenendo che i fatti addebitati alla sig.ra Tucci dalla amministrazione in sede di procedimento disciplinare erano corrispondenti al vero e tali da giustificare la sanzione disciplinare della destituzione disposta con il provvedimento impugnato, provvedimento che, pertanto, non poteva ritenersi inficiato dai vizi di eccesso di potere denunciati dall'interessata.

    Ed invero, in ordine alla ricostruzione dei fatti relativi alla vicenda che aveva interessato la signora Tucci, per il giudice di appello assumeva valore determinante innanzitutto il decreto di archiviazione dal quale risultava come la condotta della sig.ra Tucci lasciava "ampi spazi di riflessione sotto il profilo deontologico e quindi disciplinare, non essendo per nulla in linea con quello che si dovrebbe aspettare da un pubblico ufficiale", provocando anzi, nello stesso Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano, "non poca inquietudine, da un lato, per la disinvoltura con cui si intrecciavano approfonditi legami certamente ed evidentemente disdicevoli" e, dall'altro, per l'apparente "scarsa percezione della gravità della condotta in relazione alla funzione ricoperta".

    D'altra parte, dal procedimento disciplinare svolto emergeva con chiarezza che:

    l'agente sig.ra Tucci era rimasta coinvolta nell'indagine effettuata, essenzialmente attraverso intercettazioni telefoniche, sul conto di una organizzazione criminale finalizzata al traffico di stupefacenti, per avere avuto "rapporti confidenziali con tale Roccia Giorgio, membro della organizzazione, abituale assuntore di sostanze stupefacenti e pluripregiudicato" e che la medesima aveva ricevuto "numerosi e costosi regali dal predetto in cambio favori ricevuti", regali poi rinvenuti e sequestrati, perché di illecita provenienza, a seguito di perquisizione domiciliare disposta da parte della Procura presso il Tribunale di Bergamo (atto di contestazione di addebiti in data 26.3.2003).

    La stessa sig.ra Tucci aveva confermato l'assidua frequentazione del Roccia, non ignorando, come emerso da apposita intercettazione telefonica, che il predetto era elemento importante di un'organizzazione malavitosa (peraltro pregiudicato per numerosi reati, quali: associazione a delinquere, stupefacenti, armi, rapina, furto e ricettazione) e dedito ad attività illecite (v. relazione del funzionario istruttore del 6.5.1992).

    La interessata aveva ammesso di avere avuto dal Roccia gli oggetti rinvenuti in sede di perquisizione domiciliare, parte in regalo e parte dietro pagamento di somme, peraltro sproporzionate, in difetto, al valore dei beni stessi, somme che denotavano l'illecita provenienza dei beni e di avere ricevuto anche una somma di L. 500.000, poi restituita, ed altre somme di denaro, appositamente richieste, e tenute nell'armadio del proprio figlio senza informarne il proprio marito (verbale del Consiglio di disciplina del 10.9.1993);

    Nella sostanza per la sentenza di appello la sig.ra Tucci non aveva dimostrato che i suoi rapporti con il pregiudicato suddetto erano connessi ad esigenze di servizio, per avere collaborato, con l'assenso dei suoi superiori, con l'agente Lodi nella propria attività di polizia, né era risultato che l'ispettore Favale fosse comunque al corrente di detti rapporti, giacché quanto riferito dal Lodi circa la conoscenza da parte del detto ispettore, in via ufficiosa, della collaborazione prestata dalla Tucci era stato smentito dall'ispettore medesimo (v. verbale del Consiglio di disciplina del 10.9.1993), il quale aveva ripetutamente affermato che non era a conoscenza della collaborazione anzidetta.

    In definitiva, concludeva la sentenza del Consiglio di Stato, sulla base degli elementi dell'istruttoria svolta, che non poteva ritenersi che il provvedimento impugnato in prime cure fosse inficiato dai vizi di eccesso di potere per travisamento dei fatti ed illogicità manifesta, mentre la argomentazione essenziale del Tar, in base alla quale l'ispettore di polizia Favale sarebbe stato reticente e non avrebbe confutato le dichiarazioni rese dal Lodi in ordine alla collaborazione offerta dalla odierna ricorrente e da suo marito nella propria attività di indagine, doveva essere considerata destituita di fondamento.

    5.Con ricorso in revocazione ex art. 395 n.3 c.p.c. la signora Tucci fa valere le risultanze di due documenti reperiti successivamente al passaggio in giudicato della revocanda sentenza che assume non prodotti nel giudizio in primo e secondo grado per cause alla stessa non imputabili.

    Nel giudizio revocatorio si è costituito il Ministero dell'Interno chiedendo una pronunzia di inammissibilità del ricorso per revocazione.

    6. Il ricorso in revocazione è inammissibile.

    Ai sensi dell'articolo 395, comma 1 n.3 l'ammissibilità della impugnazione per revocazione di una sentenza pronunziata in grado di appello è subordinata al reperimento, successivamente al passaggio in giudicato della sentenza, di documenti decisivi che la parte impugnante non aveva potuto produrre in giudizio per causa di forza maggiore ovvero per fatto dell'avversario.

    Come rilevato da costante giurisprudenza, la ignoranza dell'esistenza di documenti nel giudizio che si è concluso con la sentenza revocanda non è sufficiente, ove essa sia conseguenza della colpa o negligenza dell'interessato.

    E" necessario infatti che la parte si sia trovata nell'impossibilità di produrre il documento asseritamente decisivo nel giudizio di merito, incombendo sulla stessa parte, in quanto attrice nel relativo giudizio, l'onere di dimostrare che l'ignoranza dell'esistenza del documento, fino al momento dell'assegnazione della causa a sentenza, non era dipeso da colpa o negligenza, ma dal fatto dell'avversario o da causa di forza maggiore.

    7. Nel caso di specie deve considerarsi che la dichiarazione autocertificata resa dal commissario Antonicelli, che si assume essere stato al corrente del fatto che il pluripregiudicato Roccia fosse confidente del Lodi, del Leonardo e della Tucci nell'ambito dei propri doveri istituzionali esistendo nel Commissariato "...squadre altamente competitive tanto da lavorare a compartimenti stagni ovvero ciascuno relazionava e si rapportava solo ai propri capi squadra ignorando gli altri superiori gerarchici...", proviene da un soggetto che aveva prestato attività nel periodo 1987/1994 presso lo stesso Commissariato di Porta Genova di Milano dove aveva prestato servizio la signora Tucci all'epoca dei fatti contestati.

    E" evidente che la mancata acquisizione di tale documento nel corso del giudizio di primo o di secondo grado, ove anche rilevante ai fini del decidere, circostanza da escludere per quanto subito si dirà, dipendeva proprio da fatto imputabile alla signora Tucci e in specie da una sua negligenza, non evincendosi il motivo per cui la ricorrente non potesse raccogliere le dichiarazioni dell'Antonicelli nel corso dei due gradi di giudizio e non successivamente al passaggio in giudicato della sentenza di appello.

    8. Del resto le dichiarazioni dell'Antonicelli, in quanto vaghe e generiche, nulla aggiungono al materiale probatorio già acquisito in primo e secondo grado.

    Alla specifica domanda se il Roccia avesse rapporti con i tre agenti in questione e specificatamente con la signora Tucci, l'Antonicelli rispondeva: "Non so che tipo di rapporti avesse Roccia con i tre. Correva voce che era il loro confidente". E poi il signor Antonicelli continua: "Non so che apporto abbia dato la Tucci alle investigazioni del Lodi"... "Credo che i tre agenti dipendessero dall'Ispettrice Corvaglia, che a sua volta si rapportava all'ispettore Favale. Il Lodi, in speciale modo, non prendeva ordini da nessuno, parlava solo con il Favale; i tre spesso erano insieme ma cosa facessero lo sapevano loro e i loro responsabili".

    In sostanza le risposte dell'Antonicelli nulla aggiungono alla posizione della signora Tucci al di là di generiche affermazioni in ordine alla organizzazioni delle varie squadre alle quali venivano assegnate le investigazioni.

    9. Considerazioni analoghe valgono con riferimento alla sentenza penale n.101925 del 30.6.2000 di cui la signora Tucci avrebbe preso cognizione solo grazie alla dichiarazione autocertificata dell'Antonicelli.

    Si sostiene che poiché il Pubblico Ministero, titolare del procedimento n.3569/93 RGNR era lo stesso che aveva indagato sui fatti contestati al Lodi, al Leonardi e alla Tucci, doveva ritenersi che "...qualora si fossero rinvenuti elementi utili a fare supporre una condotta illecita dei predetti agenti non si avrebbe avuta una archiviazione, ovvero laddove dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia -tra cui vi è lo stesso Roccia- fossero emersi nuovi indizi di reità, di certo, il titolare dell'azione penale, in quel caso la medesima dottoressa Luisa Zanetti, avrebbe richiesto la riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.c.".

    Quindi per la ricorrente in revocazione "..è da escludere tanto l'esistenza di qualsivoglia servigio reso dalla Tucci al Roccia sfruttando la propria posizione lavorativa, quanto un rapporto intessuto al fuori delle esigenze di servizio".

    Tuttavia a tale sentenza, così come alle dichiarazioni dell'Antonicelli, non può riconoscersi alcun profilo determinante ai fini del decidere nel giudizio a suo tempo instaurato dalla signora Tucci avverso gli esiti del procedimento disciplinare.

    10. Deve infatti tenersi conto che il provvedimento di destituzione non si fondava su un profilo di responsabilità penale della medesima, che anzi, come ampiamente rilevato dalla sentenza d'appello, aveva beneficiato di un provvedimento di archiviazione, ma sull'accertamento disciplinare del fatto che la stessa, come risultava da intercettazioni telefoniche, al di fuori delle esigenze di servizio frequentava assiduamente persona dedita ad attività criminosa dalla quale riceveva regali, alcuni dei quali trovati presso la propria abitazione, evidenziando nel complesso un comportamento immorale in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento.

    Il punto nodale era che la sig.ra Tucci non aveva dimostrato che i suoi rapporti con il pregiudicato Roccia erano connessi ad esigenze di servizio, per avere collaborato, con l'assenso dei suoi superiori, con l'agente Lodi nella propria attività di polizia, né era risultato che l'ispettore Favale, superiore della Tucci, fosse comunque al corrente di detti rapporti, giacché quanto riferito dal Lodi circa la conoscenza, da parte del detto ispettore, in via ufficiosa, della collaborazione prestata dalla Tucci, era stato smentito dall'ispettore medesimo, il quale aveva ripetutamente affermato che non era a conoscenza della collaborazione anzidetta.

    E" evidente che nessun rilievo poteva quindi avere la sentenza penale n.101925/2000, che in alcun modo aggiungeva fatti nuovi, utili ai fini disciplinari, sui rapporti personali intercorsi tra il Roccia e la ricorrente.

    Con l'effetto che le risultanze su cui si fonda il ricorso in revocazione, relative alla dichiarazione dell'Antonicelli e alla sentenza penale di cui sopra, ove anche acquisite nel corso del giudizio di secondo grado, non sarebbero state astrattamente idonee a formare un convincimento del giudice diverso da quello posto a fondamento della sentenza.

    10. In conclusione il ricorso in revocazione è inammissibile.

    11. Spese ed onorari seguono la soccombenza come in dispositivo.
    PQM
    P.Q.M.

    Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

    definitivamente pronunciando sul ricorso in revocazione, come in epigrafe proposto,

    lo dichiara inammissibile.

    Condanna la ricorrente alle spese del giudizio nella misura di euro 4.000,00 (quattromila) nei confronti del Ministero dell'Interno.

    Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

    Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 maggio 2012 con l'intervento dei magistrati:

    Gianpiero Paolo Cirillo, Presidente

    Bruno Rosario Polito, Consigliere

    Angelica Dell'Utri, Consigliere

    Roberto Capuzzi, Consigliere, Estensore

    Hadrian Simonetti, Consigliere

    DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 21 GIU. 2012
Avv. Antonino Sugamele

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