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Sentenza

Caporale Maggiore dell'esercito italiano impegnato in missione in Somalia, nell...
Caporale Maggiore dell'esercito italiano impegnato in missione in Somalia, nell'accendere la cucina da campo per preparare il rancio veniva investito da una violenta fiammata proveniente dal bruciatore della cucina stessa, che gli provocava ustioni al volto e agli arti, riportando danni permanenti alla persona.
Cassazione civile  sez. III   30/06/2015 ( ud. 27/04/2015 , dep.30/06/2015 ) Numero:    13356
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE TERZA CIVILE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. BERRUTI      Giuseppe Maria                   -  Presidente   -
    Dott. PETTI        Giovanni B.                      -  Consigliere  -
    Dott. VIVALDI      Roberta                          -  Consigliere  -
    Dott. AMBROSIO     Annamaria                        -  Consigliere  -
    Dott. RUBINO       Lina                        -  rel. Consigliere  -
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 17246-2012 proposto da: 
                  M.A., elettivamente domiciliato in  ROMA,  VIA  DELLA 
    GIULIANA  70, presso lo studio dell'avvocato MASSATANI MAURIZIO,  che 
    lo rappresenta e difende giusta procura a margine del ricorso; 
                                                           - ricorrente - 
                                   contro 
    MINISTERO DIFESA (OMISSIS), VITTORIA ASSICURAZIONI SPA; 
                                                             - intimati - 
    Nonchè da: 
    MINISTERO DIFESA (OMISSIS), in persona del Ministro pro  tempore, 
    elettivamente  domiciliato  in ROMA, VIA DEI  PORTOGHESI  12,  presso 
    l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e  difende  per 
    legge; 
                                               - ricorrente incidentale - 
                                   contro 
    VITTORIA  ASSICURAZIONI SPA, in persona dell'Amministratore  Delegato 
    Rag.             G.R., elettivamente domiciliata in  ROMA,  VIA  DI 
    MONTE VERDE 162, presso lo studio dell'avvocato MARCELLI Giorgio, che 
    la  rappresenta  e  difende unitamente agli  avvocati  PENCO  FELICE, 
    LUCIANA  ROBOTTI giusta procura a margine del controricorso e ricorso 
    incidentale; 
                                     - controricorrente All'incidentale - 
                                  e contro 
                 M.A.; 
                                                             - intimato - 
    avverso  la  sentenza  n. 2381/2011 della CORTE  D'APPELLO  di  ROMA, 
    depositata il 30/05/2011 R.G.N. 2941/2006; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    27/04/2015 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO; 
    udito l'Avvocato MAURIZIO MASSATANI; 
    udito l'Avvocato GIORGIO MARCELLI; 
    udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
    SERVELLO  Gianfranco  che ha concluso per il rigetto  di  entrambi  i 
    ricorsi. 
                     


    Fatto
    I FATTI

    Nel (OMISSIS), M.A., all'epoca giovane Caporale Maggiore dell'esercito italiano in ferma volontaria impegnato in missione in Somalia, nell'accendere la cucina da campo per la preparazione del rancio veniva investito da una violenta fiammata proveniente dal bruciatore della cucina stessa, che gli provocava ustioni al volto e agli arti, riportando danni permanenti alla persona.

    Il M. citava in giudizio il Ministero della Difesa, ex art. 2043 c.c., chiedendo l'integrale risarcimento dei danni riportati, comprensivi sia dei danni non patrimoniali che dei danni patrimoniali derivanti dalla perdita della capacità lavorativa. Il Ministero chiamava in causa la Vittoria Ass.ni s.p.a.

    Il Tribunale di Roma, nel 2005, condannava il Ministero a corrispondere al M. Euro 312.000,00 circa a titolo di risarcimento del danno morale e biologico, escludendo ogni risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa (sia sotto il profilo del danno patrimoniale, sia in considerazione dei riflessi di tale eventuale perdita sul danno non patrimoniale).

    Il M. proponeva appello, il Ministero proponeva appello incidentale e la Corte d'Appello di Roma, con la sentenza qui impugnata, confermava la decisione di primo grado, rigettando l'appello del M. e dichiarando inammissibile l'appello incidentale proposto dal Ministero nei confronti della Vittoria Ass.ni s.p.a.in quanto tardivo. M.A. propone ricorso per cassazione articolato in sei motivi nei confronti del Ministero della Difesa notificato anche alla Vittoria Ass.ni s.p.a. per la riforma della sentenza n. 2381 del 30.5.2011 della Corte di Appello di Roma.

    Resiste il Ministero della Difesa con controricorso contenente anche ricorso incidentale. La Vittoria Ass.ni s.p.a. si è costituita con controricorso per resistere al ricorso incidentale depositato dal Ministero della Difesa.
    Diritto
    LE RAGIONI DELLA DECISIONE

    Con il primo motivo di ricorso, il M. deduce l'insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360, n. 5, in relazione agli artt. 1223, 1226, 2056 e 2697 c.c., artt. 115 e 1126 c.p.c. denunciando l'incongruità e la incompletezza della motivazione laddove essa ha escluso l'esistenza di un danno alla sua capacità lavorativa specifica di militare in servizio di ferma prolungata.

    Il M., ora sotto il profilo del vizio di motivazione ora sotto il profilo della violazione di legge (utilizzando, anche in riferimento ai successivi motivi, la tecnica redazionale di richiamare la violazione di numerose norme di legge anche laddove il motivo è volto formalmente a contestare esclusivamente la completezza e coerenza della motivazione), critica la valutazione della corte d'appello laddove essa ha escluso che egli avesse diritto al risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa, e ne ha escluso la rilevanza sia come autonoma voce di danno patrimoniale, sia (argomento sviluppato con il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso) come rilevante fattore da tenere in considerazione ai fini della quantificazione del danno non patrimoniale, nelle sue componenti del danno morale ed esistenziale. Per molte pagine rivolge la sua critica direttamente alla sentenza di primo grado piuttosto che a quella di secondo grado. Il motivo è infondato.

    Il ricorrente non precisa bene in che cosa di preciso consista la menomazione permanente che ha riportato, se essa ha avuto ripercussioni sulla mobilità degli arti o sui sensi, precisa solo di versare da allora in uno stato depressivo che però neppure descrive con accuratezza nè riporta i passi della sentenza di primo grado ove i postumi dell'incidente erano descritti, limitandosi a dire che è stato in cura per dieci anni e che i disturbi psichici dai quali era affetto non si sono risolti. Riporta alcuni passi della consulenza, recepiti dai giudici territoriali, dai quali tuttavia si ricava, conformemente a quanto affermato dalla corte d'appello, che è il ricorrente che rifiuta ogni possibile coinvolgimento in attività lavorative: "i postumi riscontrati conseguenti al trauma tuttavia non impedirebbero lo svolgimento di una attività lavorativa qualora fosse accettata dal periziando, in relazione ad una sua difficoltà di adattamento a tenuto conto della possibilità di cure efficaci".

    Il Ministero della Difesa nel suo controricorso sottolinea che il tribunale prima e la corte d'appello poi hanno negato al M. il diritto al risarcimento del danno da perdita della capacità lavorativa specifica, in quanto la commissione medica per ben due volte lo aveva dichiarato idoneo al servizio militare, mentre era stato lo stesso M. a contestare la valutazione della commissione medica che aveva emesso il giudizio di idoneità e che lo stesso consulente tecnico d'ufficio aveva negato che il danneggiato avesse perso la capacità lavorativa generica.

    La valutazione della corte territoriale è coerente nella sua sinteticità ed esente da vizi, laddove la stessa ha considerato che in realtà il M. era stato giudicato idoneo al proseguimento dell'attività di militare dalla commissione medica del Ministero della Difesa con duplice valutazione (e avrebbe potuto quindi proseguire la ferma volontaria e poi accedere alla carriera militare), mentre era stato lui stesso, caduto in depressione dopo il grave incidente, che aveva rifiutato dapprima il verdetto della Commissione medica che lo aveva ritenuto idoneo, quindi la prosecuzione dell'attività che aveva intrapreso e successivamente la ricerca di ogni altra attività lavorativa. Il ricorrente non ne mette in luce efficacemente nè lacune tali da minarne il filo logico, nè contraddizioni della motivazione che la privino di intima coerenza. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce l'insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ex art. 360 c.p.c., n. 5 sempre in relazione agli artt. 1223, 1226, 2056 e 2697 c.c., artt. 115 e 1126 c.p.c., denunciando l'incongruità e l'insufficienza della motivazione in ordine al quantum del danno morale, liquidato al M. in misura ritenuta insufficiente per non aver considerato, quanto meno come componente atta ad aggravare anche il danno morale subito dal soldato, la sua perdita della capacità lavorativa.

    Deduce poi all'interno dello stesso motivo la violazione del diritto al lavoro costituzionalmente garantito e del principio relativo all'integrale risarcimento del danno, che avrebbero dovuto essere più appropriatamente denunciati come vizi di violazione di legge e non collocati all'interno di una denuncia di vizio di motivazione e comunque non sono autonomamente illustrati.

    Il motivo è infondato.

    La corte ha compiuto una congrua e dettagliata motivazione in relazione al danno non patrimoniale, che è stato risarcito nelle sue varie componenti in un importo congruo per arrivare al quale si è tenuto conto della penosità della vicenda e della gravita dei postumi in un giovane all'inizio delle sue prospettive di vita indipendente e di carriera. Se la corte non ha tenuto conto nella quantificazione del danno non patrimoniale della perdita della capacità lavorativa, neppure come componente atta a rendere particolarmente afflittivo il danno non patrimoniale riportato dal M. è perchè, con motivazione già esaminata in riferimento al primo motivo e ritenuta esente da vizi, ha escluso che dall'incidente subito dal M. sia derivata tale perdita. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056, 2043 e 2697 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 in ordine alla quantificazione del danno esistenziale ed ancora, la violazione dei principi sulla personalizzazione e l'integrale risarcimento del danno.

    Con il quarto motivo, deduce l'insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, citando sempre la violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2697 c.c., artt. 115 e 1126 c.p.c., in ordine all'omesso accertamento del danno esistenziale. I motivi 3 e 4 possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi e sono infondati.

    Essi ripropongono la tramontata considerazione del danno esistenziale come categoria autonoma di danno, autonomamente risarcibile rispetto alle altre categorie del danno non patrimoniale (danno morale c.d.

    puro, biologico, alla vita di relazione, estetico) laddove da alcuni anni questa Corte ha affermato che il danno non patrimoniale da lesione della salute costituisce una categoria ampia ed omnicomprensiva, nella cui liquidazione il giudice deve tenere conto di tutti i pregiudizi concretamente patiti dalla vittima, ma senza duplicare il risarcimento attraverso l'attribuzione di nomi diversi a pregiudizi identici. Ne consegue che è inammissibile, perchè costituisce una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione alla vittima di lesioni personali, ove derivanti da reato, del risarcimento sia per il danno biologico, sia per il danno morale, inteso quale sofferenza soggettiva, il quale costituisce necessariamente una componente del primo (posto che qualsiasi lesione della salute implica necessariamente una sofferenza fisica o psichica), come pure la liquidazione del danno biologico separatamente da quello c.d. estetico, da quello alla vita di relazione e da quello cosiddetto esistenziale (in questo senso Cass. S.U. n. 26972 del 2008 e numerose altre successive). Per cui, se il danno non patrimoniale riportato da un individuo in caso di sua lesione del diritto alla salute deve essere integralmente liquidato, esaminando ogni aspetto della vicenda e tenendone conto per individuare l'afflittività in concreto di essa su ogni aspetto della sfera non patrimoniale della persona, vanno del pari evitate le duplicazioni, quali la liquidazione autonoma di un pregiudizio "esistenziale".

    Con il quinto motivo, il M. deduce l'insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, citando sempre la violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2697 c.c., artt. 115 e 1126 c.p.c., per non aver dato conto più approfonditamente la corte in sentenza del motivo per cui il suo convincimento, laddove recepiva le conclusioni cui era arrivato il c.t.u., non fossero state scalfite dalle censure del consulente di parte. Il motivo infondato.

    Il giudice di merito, quando aderisce alle conclusioni del consulente tecnico che nella relazione abbia a sua volta tenuto conto dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l'obbligo della motivazione con l'indicazione delle fonti del suo convincimento, e non deve necessariamente soffermarsi anche sulle contrarie allegazioni dei consulenti tecnici di parte, che, sebbene non espressamente confutate, restano implicitamente disattese perchè incompatibili, senza che possa configurarsi vizio di motivazione (v.

    Cass. n. 1815 del 2015).

    Infine, con il sesto motivo di ricorso, il ricorrente denuncia nuovamente l'insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, indicando anche in questo caso la violazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2697 c.c., artt. 115 e 1126 c.p.c., per aver la corte territoriale dato una errata lettura dei principi di diritto dettati da Cass. S.U. n. 1712 del 2005 e da Cass. n. 2368 del 1986, laddove ha liquidato gli interessi. Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.

    La stessa corte d'appello ha rigettato un motivo di appello di identico contenuto proposto dal M. segnalando che questi critica il criterio di calcolo seguito dalla sentenza di primo grado senza neppure esplicitare un conteggio diverso che, applicando il criterio di calcolo da lui indicato avrebbe potuto portare ad un diverso importo, più cospicuo e più favorevole per il danneggiato.

    Anche in questa sede, il rilievo rimane astratto ed apodittico, perchè non riproduce il passo della sentenza di primo grado in cui è stato esplicitato il criterio di calcolo che ha permesso di raggiungere il risultato da lui criticato e condiviso dalla corte d'appello, per poter in questa sede verificare se il criterio di calcolo adottato - e ritenuto dalla corte d'appello conforme ai criteri enunciati da Cass. n. 1712 del 1995 - sia in realtà contraddittorio rispetto ad essi e neppure contrappone ad esso un diverso conteggio. Inoltre, come ulteriore profilo di inammissibilità del motivo, il ricorrente non impugna la seconda ratio decidendi della corte d'appello sul punto, che è quella appunto legata alla astrattezza della critica mossa.

    Il Ministero della Difesa nel suo controricorso propone anche un motivo di ricorso incidentale con il quale censura la sentenza impugnata laddove ha dichiarato inammissibile il suo appello incidentale (tardivo) proposto avverso il punto della decisione di primo grado che aveva rigettato la sua domanda di manleva nei confronti di Vittoria Ass.ni s.p.a, avendo la corte d'appello ritenuto che il suo interesse ad impugnare fosse sorto direttamente dalla sentenza di primo grado e non dalla proposizione dell'appello principale del danneggiato, e che pertanto l'impugnazione potesse essere proposta solo con un appello tempestivamente proposto. Il motivo di ricorso incidentale è del tutto infondato.

    La pronuncia di inammissibilità della corte d'appello in relazione all'appello incidentale tardivo proposto dal Ministero verso la sua compagnia di assicurazioni è corretta avendo fatto la corte applicazione dello stesso principio di diritto che invoca il Ministero, in base al quale l'impugnazione incidentale tardiva è sempre ammissibile, a tutela della reale utilità della parte, tutte le volte che l'impugnazione principale metta in discussione l'assetto giuridico derivante dalla sentenza cui la parte non impugnante aveva prestato acquiescenza, sorgendo l'interesse ad impugnare, anche nelle cause scindibili, come nell'ipotesi di garanzia impropria, dall'eventualità che l'accoglimento dell'impugnazione principale modifichi tale assetto giuridico (Cass. n. 5086 del 2012). Nella specie, infatti, avendo già il giudice di primo grado condannato il Ministero a versare al M. un importo di oltre 300.000,00 Euro ed escluso totalmente il diritto del Ministero ad essere manlevato dalla sua compagnia di assicurazioni, l'eventuale accoglimento della impugnazione del danneggiato sul quantum del risarcimento in nulla avrebbe potuto alterare l'assetto giuridico dei rapporti tra assicurato e assicurazione, e l'interesse ad impugnare era sorto in capo al Ministero già con il deposito della sentenza di primo grado che aveva escluso il suo diritto di essere manlevato dalla Vittoria Ass.ni. Sia il ricorso principale che il ricorso incidentale vanno pertanto rigettati. Le spese tra il M. e il Ministero della Difesa possono essere compensate in ragione della particolarità della vicenda; la liquidazione delle spese tra il Ministero e la Vittoria Ass.ni segue la soccombenza.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte:

    - rigetta il ricorso principale proposto da M.A. ed anche il ricorso incidentale proposto dal Ministero della Difesa;

    - compensa le spese di giudizio tra il M. e il Ministero della Difesa;

    - condanna il Ministero della Difesa a rifondere le spese processuali alla controricorrente Vittoria Ass.ni s.p.a., che liquida in complessivi Euro 7.000,00, di cui 200,00 per spese oltre accessori e contributo spese generali.

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, il 27 aprile 2015.

    Depositato in Cancelleria il 30 giugno 2015
Avv. Antonino Sugamele

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