Detenzione di munizioni da guerra.
Cassazione penale sez. I 14/01/2015 ( ud. 14/01/2015 , dep.12/02/2015 )
Numero: 6266
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente -
Dott. ZAMPETTI Umberto - rel. Consigliere -
Dott. CAIAZZO Luigi - Consigliere -
Dott. LOCATELLI Giuseppe - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3772/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
22/11/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 14/01/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. UMBERTO ZAMPETTI;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FODARONI
Giuseppina che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore avv. Sessa Francesco che ha concluso per
l'accoglimento del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 22.11.2013 la Corte d'appello di Milano integralmente confermava la pronuncia di primo grado, resa in esito a rito abbreviato, che aveva dichiarato B.A. colpevole del reato di detenzione di munizioni da guerra, fatto qualificato L. n. 895 del 1967, ex art. 2 e successive modificazioni, così condannandolo, in concorso di circostanze attenuanti generiche, alla pena di mesi 6 di reclusione ed Euro 600 di multa quale pena complessiva comprendente quella portata dalla sentenza 05.07.2012 del Tribunale Militare di Verona, ritenuto vincolo di continuazione con i fatti di cui a tale ultima sentenza.
In fatto è pacifico che l'anzidetto imputato sia stato trovato in possesso, in (OMISSIS), di 7 proiettili parabellum 9x21 in dotazione alle forze di polizia e di un proiettile 7,62 NATO. La Corte territoriale confermava dapprima la natura di munizioni da guerra dei proiettili sequestrati all'imputato; di poi rigettava la prospettazione di bis in idem, con riferimento alla condanna del Tribunale Militare di Verona per ritenzione di materiali di armamento (art. 166 c.p.m.p.), assumendo trattarsi di reati che concorrono, tutelando beni giuridici diversi; infine rigettava anche il motivo di gravame che richiedeva l'applicazione della speciale attenuante L. n. 895 del 1967, ex art. 5, perchè proposto in modo generico.
2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l'anzidetto imputato che motivava l'impugnazione deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in particolare argomentando - in sintesi - nei seguenti termini: a) le munizioni 9x21 dovevano essere qualificate non da guerra, ma civili; b) il proiettile 7,62 NATO è da guerra, ma in concreto era scarico e dunque da considerare materia inerte; c) comunque, quale carabiniere in servizio, esso imputato non aveva obbligo di denuncia; d) il reato giudicato dal Tribunale Militare di Verona avrebbe dovuto essere di competenza del giudice ordinario per connessione; e) trattandosi degli stessi oggetti, vi era violazione del principio del ne bis in idem; f) mancata concessione dell'attenuante di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso, infondato in tutti i proposti motivi, deve essere rigettato.
2. Il primo motivo di ricorso, inerente la qualifica delle munizioni cal. 9x21 parabellum, dimentica che si tratta, nel caso concreto, di materiale proveniente direttamente dall'armamento militare, cui era stato sottratto, il che rende irrilevante la questione proposta, peraltro con affermazioni in fatto, contrarie alle risultanze in atti, del tutto indimostrate; è stato, peraltro, ritenuto dai giudici del merito - del tutto correttamente - reato unico l'illegale detenzione di tutte le munizioni sequestrate, tra le quali una cartuccia cal. 7,62 NATO che lo stesso ricorrente riconosce essere pacificamente qualificabile da guerra (in tal senso cfr. Cass. Pen. Sez. 1, n. 23613 in data 09.04.2014, Rv. 259619, Palumbo), a tal fine irrilevante essendo che la stessa sia stata scarica (secondo motivo di ricorso), come da giurisprudenza di questa Corte di legittimità (v. Cass. Pen. Sez. 1, n. 22655 in data 21.02.2008, Rv. 240402, Martini).
Non è fondato neppure il terzo motivo di ricorso, atteso che l'esenzione dall'obbligo di denuncia di armi e munizioni, per chi a ragione della permanente qualifica sia autorizzato, è limitata, per dettato testuale della norma, all'armamento in dotazione, e cioè formalmente assegnato dai superiori, mentre pacificamente tale non era il materiale sequestrato al B..
Il quarto motivo di ricorso è palesemente inammissibile (ed al limite della pertinenza), atteso che non ha senso assumere, in questo processo, che il reato militare, autonomamente già giudicato dal Tribunale Militare di Verona, avrebbe dovuto essere attratto per connessione da quello qui in valutazione; si tratta - con tutta evidenza - di eccezione che avrebbe dovuto essere sollevata davanti alla giurisdizione militare e che comunque non ha ragion d'essere a fronte di giudicato militare ormai definitivamente formatosi.
Peraltro il B. ha ottenuto riconoscimento del vincolo della continuazione tra i due reati, così in concreto pervenendo ad esito analogo a quello che avrebbe ottenuto in caso di riunione delle due procedure.
Anche il connesso motivo di ricorso (il quinto) che reitera la questione del ne bis in idem, già correttamente respinta dalla Corte territoriale, è palesemente infondato. Le condotte di sottrarre beni militari e di detenere illegalmente munizioni sono strutturalmente differenti ed i relativi reati proteggono beni diversi (il patrimonio militare l'uno, la pubblica sicurezza l'altro) di tal che i due reati concorrono; sul punto, peraltro, si è già espressa questa Corte di legittimità con affermazione che va condivisa e qui ribadita (cfr.
Cass. Pen. Sez. 1, n. 36418 in data 21.05.2002, Rv. 222526, Vito:
"L'illegale detenzione di cartucce cal. 9 "parabellum" sottratte da militare al corpo militare di appartenenza integra sia il reato di ritenzione di materiali di armamento previsto dall'art. 166 c.p.m.p., sia quello di illegale detenzione di munizioni da guerra di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 2, i quali possono concorrere, tutelando le rispettive norme incriminatici beni giuridici diversi, e cioè l'integrità del patrimonio delle Forze Armate il primo e la prevenzione dei delitti contro la vita e l'incolumità personale il secondo".
Inammissibile è, infine, l'ultimo motivo dell'impugnazione che lamenta la mancata applicazione dell'attenuante del fatto di lieve entità di cui alla L. n. 895 del 1967, art. 5 trattandosi di punto della decisione già precluso in quanto del tutto correttamente valutato dalla Corte territoriale inammissibile per genericità del motivo d'appello che tale attenuante richiedeva. Anche in questa sede, peraltro, la richiesta viene formulata in termini del tutto generici, comunque senza che il ricorrente abbia specificamente censurato l'analoga valutazione del giudice di secondo grado.
3. In definitiva il ricorso, infondato in ogni sua deduzione, deve essere respinto. Al completo rigetto dell'impugnazione consegue ex lege, in forza del disposto dell'art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 14 gennaio 2015.
Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2015
12-04-2015 21:08
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