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Sentenza

Equa riparazione del danno sofferto a causa dell'irragionevole durata del proces...
Equa riparazione del danno sofferto a causa dell'irragionevole durata del processo instaurato dinnanzi al Tar del Lazio.
Cassazione civile  sez. VI   08/05/2015 ( ud. 28/01/2015 , dep.08/05/2015 ) Numero:    9421
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE SESTA CIVILE                         
                               SOTTOSEZIONE 2                            
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. PETITTI  Stefano                              -  Presidente   -
    Dott. MANNA    Felice                               -  Consigliere  -
    Dott. CORRENTI Vincenzo                             -  Consigliere  -
    Dott. FALASCHI Milena                               -  Consigliere  -
    Dott. SCALISI  Antonino                        -  rel. Consigliere  -
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 8722-2014 proposto da: 
                 C.C.,   + ALTRI OMESSI 
    elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ACQUEDOTTO PAOLO 22, presso il 
    Sig.  MARINELLI BIAGIO, rappresentati e difesi dall'avvocato MOSCIONI 
    ANNA RITA giusta procure speciali in calce al ricorso; 
                                                           - ricorrenti - 
                                   contro 
    MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del 
    Ministro  pro  tempore, elettivamente domiciliato in  ROMA,  VIA  DEI 
    PORTOGHESI  12,  presso l'AVVOCATURA GENERALE  DELLO  STATO,  che  lo 
    rappresenta e difende ope legis; 
                                                     - controricorrente - 
                                               - ricorrenti incidentali - 
    avverso  il  decreto  n. 1859/2013 della CORTE D'APPELLO  di  PERUGIA 
    dell'11/03/2013 depositato il 02/10/2013; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    28/01/2015 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONINO SCALISI. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    C.M., + ALTRI OMESSI con separati ricorsi, successivamente riuniti dalla Corte di Appello di Perugia, chiedevano la declaratoria di condanna del Ministero dell'Economia e delle Finanze ai sensi della L. n. 89 del 2001, art. 2 e segg. all'equa riparazione del danno sofferto a causa dell'irragionevole durata del processo instaurato dinnanzi al Tar del Lazio il 3 marzo 1994 per il riconoscimento del proprio diritto ad ottenere la corresponsione delle differenze retributive a titolo di arretrati maturati ai sensi della L. n. 23 del 1993, art. 1 oltre interessi e rivalutazione monetaria.

    Precisavano i ricorrenti che il procedimento era stato definito con sentenza del Tar n. 13365/09 comportante il rigetto del ricorso. Che il processo aveva avuto una durata di anni 15 e mesi 9.

    Si costituiva il Ministero dell'Economia e delle Finanze e chiedeva la declaratoria di incompetenza e il rigetto della domanda trattandosi di un ricorso collettivo in cui la parte tentava di lucrare un qualche vantaggio, senza avere una peculiare e personale ansia in ordine alla sorte dello stesso giudizio ed, in ogni caso, chiedeva la determinazione dell'indennizzo richiesta in via equitativa.

    La Corte di Appello di Perugia con decreto n. 1853 del 2013 ER. accertava l'ammissibilità dei ricorsi e la durata irragionevole del processo presupposto, riduceva, però, l'eccedenza di durata del giudizio presupposto a soli due anni e undici mesi di ritardo in ragione della sentenza del Consiglio di Stato n. 973 del 24 febbraio 2000, che aveva riconosciuto in caso analogo la spettanza delle differenze retributive soltanto dal 1 gennaio 1992, e attribuendo il pagamento delle competenze arretrate solo a coloro che alla data di entrata in vigore del D.L. 7 gennaio 1992, n. 5 avessero avuto favorevoli sentenze di merito. Insomma, nel caso concreto l'irragionevole durata del processo presupposto andava calcolata dalla presentazione del ricorso al Tar alla data del 24 febbraio 2000, con la quale veniva meno qualsivoglia situazione di danno in concreto indennizzabile, stante la completa assenza di chances di successo e correlato patema in attesa della decisione. La liquidazione del danno, a sua volta, veniva fissata per ciascun ricorrente nella misura di Euro 1,458,00 in ragione di Euro 500 per ogni anno di ritardo tenuto conto delle ulteriori circostanze desumibili dagli atti del ricorso ovvero la presentazione del ricorso in forma collettiva suscettibile di indurre una minore personalizzazione della controversia.

    La cassazione di questo decreto è stato chiesto da N.G., + ALTRI OMESSI con ricorso affidato a tre motivi. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Il Collegio ha disposto che la motivazione della sentenza sia redatta in forma semplificata.

    1.- Con il primo motivo del ricorso in esame N.G., + ALTRI OMESSI lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 e 3 e dell'art. 6 par. 1 della CEDU in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè vizio di motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5. Secondo i ricorrenti, avrebbe errato la Corte di Perugia nel ridurre il periodo di ritardo del processo presupposto a due anni e undici mesi, ritenendo che il consolidarsi nel senso contrario agli auspici dei ricorrenti dell'orientamento della Corte costituzionale con l'ordinanza n. 331 del 1999 e con la pronuncia del Consiglio di Stato del 24 febbraio 2000 avrebbe segnato il discrimen rispetto al quale era individuabile il venir meno di qualsivoglia situazione di danno in concreto indennizzabile, stante la completa assenza di chances di successo e correlato patema d'animo in attesa della decisione, avrebbe errato si diceva, perchè l'ordinanza della Corte costituzionale non avrebbe affatto condizionato l'esito del giudizio presupposto, considerato che i ricorrenti non appartenevano alla categoria indicata dalla Corte costituzionale, essendo tutti sottoufficiali delle Forze armate (Esercito, Marina ed Aeronautica).

    1.1.- Il motivo è infondato.

    Questa Corte ha avuto modo di affermare (Cass. n. 19478 del 2014) che in caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all'equa riparazione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2 spetta a tutte le parti del processo, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, costituendo l'ansia e la sofferenza per l'eccessiva durata i riflessi psicologici del perdurare dell'incertezza in ordine alle posizioni coinvolte nel processo, ad eccezione del caso in cui il soccombente abbia promosso una lite temeraria, o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire proprio il perfezionamento della fattispecie di cui al richiamato art. 2, e, dunque, in difetto di una condizione soggettiva di incertezza. Ora, nella specie, la Corte d'appello di Perugia ha correttamente chiarito che, considerate l'ordinanza n. 331 del 1999 della Corte costituzionale e la sentenza n. 973 del 2000 del Consiglio di Stato, che avevano riconosciuto in casi analoghi a quello oggetto del giudizio presupposto, la spettanza delle differenze retributive, soltanto, a partire del 1 gennaio 1992, la domanda dei ricorrenti, a far data, quantomeno dalla sentenza del Consiglio di Stato che dava attuazione alla decisione della Corte costituzionale, risultava coltivata nel consapevole assunto che la prospettata questione di costituzionalità, già oggetto di pronuncia, era destinata a non essere accolta con conseguente esclusione di ogni possibilità di successo dell'iniziativa giudiziaria. Con la conseguenza che il consolidarsi, nel senso contrario agli auspici dei ricorrenti, dell'orientamento della Corte costituzionale e la stessa pronuncia del Consiglio di Stato del 24 febbraio 2000, non potevano che segnare il discrimine rispetto al quale era individuabile il venir meno di qualsivoglia situazione di danno in concreto indennizzabile.

    1.1. a) Tale valutazione, per altro, si sottrae alle censure dei ricorrenti, sia sul piano della denunciata violazione di legge, sia su quello della motivazione perchè se una domanda viene proposta prospettando l'illegittimità costituzionale della disciplina applicabile e se tale prospettazione viene disattesa da parte del giudice delle leggi, la valutazione del giudice di merito, secondo cui la protrazione del giudizio presupposto successivamente alla detta pronuncia non ha determinato un patema d'animo suscettibile di indennizzo, appare del tutto plausibile e ragionevole, e non contrastante con gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine alla consapevolezza, da parte di chi agisce in equa riparazione, della infondatezza della propria pretesa nel giudizio presupposto.

    Pertanto, correttamente, nella specie, la Corte distrettuale, nel calcolare un'eccessiva durata del processo presupposto ha tenuto conto del periodo che va dalla data di presentazione del ricorso (3 marzo 1994) sino all'epoca della sentenza del Consiglio di Stato del 24 febbraio 2000, riconoscendo un'eccedenza pari a due anni e 11 mesi, escludendo il periodo successivo alla sentenza di cui si è appena detto.

    2.- Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 1 e 3 e dell'art. 6 par. 1 della CEDU nonchè degli artt. 1226 e 2056 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè vizio di motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5.

    Secondo i ricorrenti, erroneamente la Corte distrettuale avrebbe ridotto al minimo l'indennizzo liquidando Euro 500 per ogni anno discostandosi senza ragione dai parametri comunemente applicati e riconosciuti dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria.

    2.1.- Il motivo è infondato.

    Premesso che, nel caso di specie, la rilevanza dello svolgimento di attività sollecitatoria quale sintomo dell'esistenza di un interesse alla definizione del giudizio di merito deve ritenersi limitata al profilo dell'individuazione del criterio di liquidazione del pregiudizio non patrimoniale accertato, deve osservarsi che la Corte d'appello si è attenuta al criterio di liquidazione che viene solitamente adottato con riferimento alle controversie amministrative di lunga durata, pari a 500,00 Euro per anno di ritardo, e che tale scelta è stata dalla Corte d'appello motivata essenzialmente nella considerazione nella mancanza di un margine di aspettativa di accoglimento della domanda nel giudizio presupposto; profilo, quest'ultimo, di per sè idoneo a giustificare una riduzione dell'indennizzo rispetto ai criteri ordinari di liquidazione (750,00 Euro per i primi tre anni di ritardo e 1.000,00 Euro per ciascuno degli anni successivi), ed immune da critiche specifiche, e, comunque, ragionevolmente valorizzato dalla Corte di appello in considerazione dell'oggetto della domanda e del contesto normativo e giurisprudenziale nel quale la stessa è stata proposta.

    3.- Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., comma 1 e art. 92 c.p.c., comma 2, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5.

    Avrebbe errato la Corte di Perugia, secondo i ricorrenti, nell'aver compensato per la metà le spese del giudizio, posto che quella compensazione supera in percentuale il divario tra la misura dell'indennizzo domandata dai ricorrenti e quello liquidato pari ad Euro 500 per anno di ritardo.

    3.1. - Anche questo motivo è infondato atteso che in sede di legittimità, per quanto riguarda il regolamento e la liquidazione delle spese, possono denunciarsi solo violazioni del criterio della soccombenza (divieto di condanna alle spese della parte che risulti totalmente vittoriosa) o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali (con obbligo in tal caso di indicare le singole voci contestate in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini), mentre rientra nel potere discrezionale del giudice di merito la valutazione dell'opportunità della compensazione totale o parziale delle spese stesse. Nel caso specifico La Corte distrettuale ha compensato le spese processuali in considerazione della parziale soccombenza dei ricorrenti senza violare, quindi, il principio di cui all'art. 91 c.p.c..

    In definitiva, il ricorso va rigettato e i ricorrenti, in ragione del principio della soccombenza ex art. 91 c.p.c., condannati in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che verranno liquidate con il dispositivo.

    Il Collegio dà atto che, ai sensi del D.P.R. n. 113 del 2002, art. 13, comma 1, non sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 500,00 oltre alle spese prenotate a debito.

    Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 - 2 Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 28 giugno 2015.

    Depositato in Cancelleria il 8 maggio 2015
Avv. Antonino Sugamele

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