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Sentenza

Maresciallo capo dei Carabinieri imputato del reato di diffamazione militare co...
Maresciallo capo dei Carabinieri imputato del reato di diffamazione militare continuata pluriaggravata ai danni di un Capitano. Assolto dal Tribunale Militare di Napoli, condannato dalla Corte di Appello Militare di Roma, a mesi sei, giorni quindici di reclusione militare, pena sospesa ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile. La Cassazione annulla: processo da rifare.
Cassazione penale  sez. I  15/10/2014 ( ud. 15/10/2014 , dep.22/12/2014 ) Numero:    53167
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. CORTESE   Arturo         -  Presidente   -                     
    Dott. LOCATELLI Giuseppe       -  Consigliere  -                     
    Dott. SANDRINI  Enrico         -  Consigliere  -                     
    Dott. BONI      Monica    -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. MAGI      Raffaello      -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
               P.S. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la sentenza n. 107/2013 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA,  del 
    04/12/2013 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 15/10/2014 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. MONICA BONI; 
    Udito  il  Procuratore Generale in persona del Dott.  FODARONI  Maria 
    Giuseppina che ha concluso per il rigetto del ricorso; 
    Udito   il  difensore  Avv.  Villardita  Francesco  che  ha   chiesto 
    l'accoglimento del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza resa il 19 febbraio 2013 il Tribunale militare di Napoli assolveva perchè il fatto non costituisce reato P. S., maresciallo capo dei Carabinieri in servizio presso la stazione di (OMISSIS), dal reato di diffamazione militare continuata pluriaggravata (art. 227 c.p.m.p., commi 1 e 2 e art. 47 c.p.m.p., n. 2) contestatogli per avere, comunicando con più persone, sia mediante una richiesta scritta in data 29 aprile 2009 di conferimento col comandante della Legione Carabinieri Sicilia di (OMISSIS), sia oralmente, conferendo col col. M.M., comandante provinciale di (OMISSIS) e col cap. C., comandante della compagnia di (OMISSIS), che consentiva leggesse alla presenza di altri militari la missiva predetta, offeso la reputazione del capitano Ca.Se., comandante della compagnia di (OMISSIS), attribuendogli fatti determinati e non rispondenti al vero circa l'effettuazione del servizio di scorta da parte di personale non abilitato della predetta Compagnia ad un magistrato requirente. Il Tribunale, dopo avere premesso che il contenuto della missiva era certamente idoneo a ledere la reputazione del col.

    Ca., perchè gli attribuiva il compimento di azioni illegali, e che lo stesso era venuto a conoscenza di una pluralità di soggetti, compresi i superiori dell'imputato i quali l'avevano inoltrata per via gerarchica al destinatario, riteneva carente la prova dell'elemento soggettivo del delitto contestato, ossia della volontà di offendere il Ca. in presenza di una pluralità di persone, dal momento che il P. aveva redatto la propria richiesta di conferimento con la dicitura "personale" e l'aveva inoltrata in busta chiusa proprio per evitare la lettura indiscriminata del suo contenuto; inoltre, del suo tenore i suoi superiori avevano preso conoscenza per effetto delle norme regolamentari che impongono l'inoltro col visto del diretto superiore del mittente, procedura di cui quest'ultimo non era stato a conoscenza.

    2. Proposto appello da parte del Procuratore militare di Napoli e del Procuratore Generale presso la Corte militare di Appello, la stessa con sentenza emessa in data 4 dicembre 2013 riformava quella di primo grado ed affermava la responsabilità dell'imputato, che condannava alla pena di mesi sei, giorni quindici di reclusione militare, pena sospesa ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in sede civile ed alla refusione delle spese di costituzione.

    2.1 La sentenza di appello rilevava che l'imputato era stato a conoscenza della prescrizione dell'art. 39 regolamento di disciplina dell'arma dei Carabinieri, secondo il quale la richiesta di conferire con un superiore deve essere inoltrata per via gerarchica con il parere motivato del superiore del militare mittente quando abbia ad oggetto una questione di servizio; pertanto, avendo scelto tale forma di inoltro, egli era stato consapevole che il contenuto della segnalazione sarebbe stato letto da una pluralità di soggetti diversi dal comandante destinatario, mentre se avesse voluto evitare tale inconveniente avrebbe dovuto ritirare il plico ancora chiuso e spedirlo privatamente con il servizio postale ordinario. Inoltre, aveva ammesso di averne riferito il contenuto ad una pluralità di soggetti prima di inoltrare la segnalazione e doveva escludersi avesse agito nell'adempimento di un dovere.

    3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'interessato personalmente, il quale ha lamentato la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Secondo il ricorrente, la Corte militare aveva omesso di tenere conto dell'apposizione della dicitura personale sulla busta contenente la richiesta di conferimento e che la sua successiva apertura era un atto necessitato e preordinato al successivo inoltro per via gerarchica, non già iniziativa spontanea dell'imputato, quanto strumentale al procedimento amministrativo e decisa dal comandante di reparto senza che egli avesse potuto opporsi, come desumibile dalle deposizioni dei testi C. e M.. La sentenza era incorsa in contraddizione in quanto, da un lato aveva riconosciuto che non era intenzione del ricorrente diffondere le espressioni diffamatorie anche a soggetti diversi dal Comandante di legione, dall'altro aveva ritenuto che egli avesse consentito che altri leggessero il contenuto della sua missiva pur di farla pervenire al predetto superiore, mentre non avrebbe potuto evitare tale appresa conoscenza perchè imposta dall'art. 39 del regolamento di disciplina. Inoltre, era erronea a contraddittoria anche la ricostruzione del dolo del delitto di diffamazione per avere la Corte di merito escluso che il ricorrente avesse agito nell'adempimento di un dovere, ma per motivi di rancore personale senza motivare adeguatamente sul punto ed indicare le fonti di prova acquisite, mentre in realtà egli era convinto della veridicità delle notizie, costituenti delle notizie di reato da riferire al proprio superiore prima di informarne l'autorità giudiziaria.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    Il ricorso è fondato e merita dunque accoglimento.

    1. L'impugnazione all'odierno esame censura il percorso motivazionale della sentenza di condanna, assumendone l'illogicità, la carenza rispetto alle corrette argomentazioni della pronuncia riformata ed il contrasto con le emergenze probatorie acquisite quanto all'affermata sussistenza, sul piano oggettivo, del requisito della comunicazione dell'atto diffamatorio a più persone e, su quello soggettivo, della ricostruzione dell'elemento psicologico del delitto ascritto all'imputato.

    1.1 In ordine al primo profilo in contestazione, va detto che già la sentenza di primo grado aveva rilevato come il contenuto della missiva a firma dell'imputato e diretta al Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, - di indiscussa natura lesiva per il prestigio e l'onere della persona offesa, perchè volto a segnalare comportamenti riprovevoli ed illeciti anche sotto il profilo della rilevanza e della responsabilità penale, risultati non veritieri ai successivi accertamenti -, fosse venuto a conoscenza, non soltanto del suo destinatario, ma prima ancora di altri ufficiali a questi subordinati nella catena di comando. Tale circostanza si era verificata in ragione della necessaria osservanza della prescrizione, che impone l'inoltro di corrispondenza scritta destinata ad un superiore ed attinente a questione di servizio, mediante la via gerarchica e corredata da parere motivato del sovraordinato del militare mittente.

    Il Tribunale aveva evidenziato che, per effetto del seguito dato alla norma regolamentare, come riferito dalle fonti dichiarative escusse nel corso dell'istruttoria, una pluralità di soggetti aveva preso contezza delle accuse mosse dal m.llo P. ad un suo superiore, identificato nel cap. Ca., sulla scorta di notizie apprese da imprecisata fonte confidenziale.

    1.2 Ciò che però il primo Collegio aveva escluso era che l'imputato avesse volontariamente cagionato questa diffusione di notizie diffamatorie ed avesse inteso in tal modo pregiudicare la reputazione del cap. Ca., comunicando con più persone; aveva rilevato che, dalla compiuta istruttoria era emerso che la rivelazione del contenuto dell'esposto ed il consenso all'apertura della busta che lo conteneva, più che riconducibili ad un atto volontario dell'imputato, erano stati da questi subiti in quanto adempimenti necessitati dall'"iter" procedimentale stabilito per il suo inoltro al superiore indicato come destinatario.

    1.3 La Corte militare di Appello, sulla scorta delle medesime acquisizioni probatorie, documentali e dichiarative, è pervenuta a conclusioni opposte. Partendo dalla considerazione del disposto dell'art. 39 reg. disc. militare e dalla circostanza che l'imputato era venuto a conoscenza della necessaria rivelazione del contenuto della richiesta di conferimento col Comandante di Legione ai suoi superiori per ottenerne l'inoltro in via gerarchica, ha rilevato come egli, se intenzionato a mantenere riservate le notizie riferite, avrebbe dovuto fare ricorso alla spedizione postale da privato cittadino: il non averlo fatto dimostrava la volontà di consentire ad altri di apprendere quanto riportato nella missiva. Inoltre, ha escluso che egli avesse agito nell'adempimento di un dovere per non avere condotto alcuna verifica sul fondamento dei fatti pregiudizievoli attribuiti al cap. Ca., in realtà meri pettegolezzi, ed avere assunto tale comportamento per malanimo e per l'intento personale di danneggiare la posizione del Ca. dopo una vicenda personale, che aveva comportato la sua condanna alla pena di dieci mesi di reclusione per un arresto illegale.

    2. Giova premettere in linea teorica che, secondo consolidata lezione interpretativa, offerta dalla giurisprudenza di questa Corte (Sez. Un., n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, rv. 231679; sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, Pg in proc. Ricotta, rv. 258005; sez. 5, n. 8361 del 17/01/2013, p.c. in proc. Rastegar, rv. 254638; sez. 6, n. 8705 del 24/01/2013, Farre e altro, rv. 254113) quando la sentenza di appello riformi radicalmente il verdetto reso dal primo giudice, deve assolvere ad un onere giustificativo particolarmente pregnante, perchè, oltre a non dover incorrere nei vizi di apparenza, di manifesta illogicità e contraddittorietà, secondo quanto prescritto dall'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), deve impegnarsi nel confronto dialettico con le argomentazioni contenute nella prima sentenza e superarle con specifici e completi rilievi. Tale onere di motivazione "rafforzata", ossia rigorosa e sattisfattiva sotto ogni profilo considerato, non limitata a mere riflessioni critiche ed all'esposizione di una prospettiva valutativa alternativa, ritenuta preferibile, risulta ancor più cogente quanto si riformi una pronuncia di assoluzione per statuire la condanna dell'imputato per la prima volta con la sentenza di secondo grado; la regola di giudizio che pretende sia affermata la responsabilità penale dell'imputato "al di là di ogni ragionevole dubbio" impone che le ragioni del verdetto di colpevolezza siano dirimenti e tali da consentire di affermare con certezza la responsabilità e da superare le contrarie determinazioni assunte nel grado precedente, per essere queste frutto di carenze o incoerenze motivazionali o di deficienze nella considerazione del materiale probatorio.

    2.1 La considerazione della sentenza impugnata alla luce di tali condivisibili principi induce a ritenere che la Corte militare non abbia assolto adeguatamente all'onere di esplicitare una motivazione esaustiva e logica a supporto del verdetto contrario a quello del grado precedente.

    Invero, la Corte di secondo grado ha svalutato i rilievi del Tribunale sulla condotta tenuta dall'imputato senza però avere sottoposto a valutazione il suo complessivo comportamento. Invero, secondo le informazioni probatorie riportate nella prima sentenza di merito, non smentite da contrarie acquisizioni ottenute nel giudizio di appello, il m.llo P.:

    - aveva rivolto nel dicembre 2008 un'istanza iniziale di conferimento col Comandante di Legione, segnalando di essere animato da gravi motivi di servizio in relazione a fatti imprecisati, ma di tale gravità da richiedere un colloquio personale prima di sottoporli all'autorità giudiziaria;

    -interrogato dal cap. C., suo diretto superiore, egli non aveva rivelato le ragioni della richiesta;

    -non avendo ottenuto risposta, si era determinato a scrivere altra missiva, quella incriminata, indirizzata come "riservata personale" al predetto Comandante, dicitura persino sottolineata a segnalare l'importanza di un arrivo diretto ed esclusivo al destinatario, nella quale in chiusura aveva specificato la delicatezza del contenuto ed il suo inoltro in "busta chiusa ed indirizzata alla Sua personale attenzione";

    - era stato dunque convocato a rapporto dal Comandante della Compagnia di (OMISSIS), cap. C., il quale gli aveva chiesto di fornire chiarimenti su tale missiva e di essere autorizzato ad aprire la busta sino ad allora chiusa; in quella fase alla fine, consapevole che, diversamente il proprio scritto non avrebbe potuto pervenire a destinazione, aveva acconsentito ad assecondare entrambe le istanze rivoltegli, sicchè il plico era stato aperto ed inoltrato con parere negativo del suo diretto superiore.

    Appare di rilievo che i testi C. e M., che avevano entrambi in circostanze diverse convocato il P. per chiarire il significato della sua iniziativa ed averne contezza onde esprimere il prescritto parere, necessario per dare seguito alla procedura di inoltro al loro comune superiore, abbiano riferito al dibattimento che l'imputato era stato reso edotto di tale procedura durante il colloquio e che, interrogato sul contenuto dell'atto, aveva assunto un atteggiamento di reticenza ed anzi di chiusura. I testi hanno riferito che egli, a detta del M., era rimasto inizialmente "muto" e si era rifiutato di esplicitare quanto già scritto, quindi, alle insistenze dei superiori, aveva fornito informazioni vaghe ed imprecise ed aveva insistito che si trattava di questione di servizio da discutere direttamente col Comandante di Legione perchè riguardante la sua vecchia sede di servizio. Soltanto quando gli era stato rappresentato che, in assenza di una chiara comprensione delle circostanze esposte e delle ragioni sottese, la lettera non sarebbe stata inoltrata, aveva esposto al col. M. l'intenzione di segnalare irregolarità nell'effettuazione del servizio di scorta ad un magistrato ed al cap. C. aveva consentito l'apertura della busta, operazione resasi necessaria perchè sino a quel momento non ne aveva chiaramente rivelato il contenuto.

    2.2 In considerazione di tali emergenze di matrice testimoniale il Tribunale con corretto procedimento inferenziale ha dubitato del fatto che l'imputato avesse inteso divulgare a più persone notizie diffamatorie riguardanti l'attività del cap. Ca., in quanto tale effetto si era prodotto soltanto quando era stato messo di fronte all'evidente impossibilità di conseguire lo scopo prefissatosi per effetto di procedura che in precedenza non aveva conosciuto o compreso.

    La Corte di merito ha espresso l'opposta convinzione in termini di certezza senza avere minimamente sottoposto a valutazione la descritta sequenza di comportamenti dell'imputato e la sua insistita reticenza, gli accorgimenti adottati, la rivelazione dei fatti che aveva inteso denunciare in via graduale e progressiva soltanto quando era stato costretto nel confronto con i superiori ad assumere la responsabilità, anche morale, del proprio operato. E' significativo poi che la sentenza gravata abbia riportato soltanto alcune frasi della testimonianza del col. M., che però non restituiscono il quadro dell'atteggiamento complessivo tenuto dall'imputato, risultando dunque frutto di una lettura parziale ed incompleta delle risultanze probatorie.

    2.3 Inoltre, risulta censurabile per carenza e manifesta illogicità della motivazione la ricostruzione del dolo del delitto di diffamazione anche laddove si è escluso che il ricorrente avesse agito nell'adempimento di un dovere; seppur sia dimostrato che il m.llo P. non aveva condotto alcuna verifica sulla rispondenza a verità dei fatti segnalati ed appresi da fonte confidenziale, ritenuta affidabile in modo del tutto acritico, non si è considerato quanto emerge in punto dalla vicenda ricostruita nelle due sentenze conformi sul punto: egli non si era limitato ad un esposto anonimo, ma aveva sottoscritto il documento inoltrato, aveva espresso il convincimento della necessità di una formale iniziativa di accertamento sulle vicende riferite, si era in tal modo esposto al rischio di una smentita ed alle inevitabili conseguenze pregiudizievoli personali. Tale comportamento non è logicamente compatibile con la consapevolezza di riferire notizie false.

    Sotto diverso profilo, difetta nell'apparato argomentativo della sentenza impugnata l'indicazione delle fonti che hanno autorizzato l'espresso convincimento circa il movente che aveva ispirato l'azione, che si individua "verosimilmente" nel rancore o nella contrapposizione personale con il cap. Ca. per la condanna riportata dall'imputato poco prima in relazione ad un arresto illegale, ragione per la quale si è concluso che egli aveva inteso realizzare l'obiettivo di danneggiare deliberatamente la reputazione del superiore.

    In realtà, non si comprende da quali elementi probatori sia stata ricavata tale conclusione; se i fatti riguardanti la condanna del ricorrente possono dedursi dal certificato penale, non altrettanto può dirsi quanto ai rapporti personali dell'imputato con il diffamato ed alle finalità che si erano perseguite con l'iniziativa epistolare, per cui, per come giustificata, quella della Corte di Appello risulta una mera illazione, non supportata da concrete e specifiche risultanze dimostrative e quindi inidonea ed insufficiente ad escludere che il m.llo P. avesse inteso agire nell'adempimento di un dovere.

    Per le considerazioni svolte la sentenza non resiste alle fondate censure che le sono state mosse; è dunque necessario annullarla con rinvio per una rinnovata e complessiva rivalutazione delle fonti probatorie e per colmare le lacune sopra riscontrate.
    PQM
    P.Q.M.

    Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte Militare di Appello di Roma.

    Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2014.

    Depositato in Cancelleria il 22 dicembre 2014
Avv. Antonino Sugamele

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