Maresciallo dell'Esercito condannato a pagare al Ministero della Difesa 807.351,77 euro. Furto militare.
Sent. n. 111/2015
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE GIURISDIZIONALE PER IL VENETO
composta dai seguenti magistrati:
dott. Angelo BUSCEMA Presidente
dott. Giovanni COMITE Giudice
dott. Gennaro DI CECILIA Giudice, relatore
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità, iscritto al n°29687 del registro di Segreteria, promosso ad istanza della Procura Regionale presso la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per il Veneto nei confronti di:
A.A., non costituito, in qualità di ex maresciallo dell'E.I.;
VISTO l'atto di citazione della Procura Regionale, depositato in Sezione il 31/10/2013;
VISTI ed ESAMINATI gli atti e i documenti del processo;
CHIAMATA la causa nella pubblica udienza del 16 ottobre 2014, celebrata con l'assistenza del Segretario Sig.ra Nicoletta Niero, nella quale sono stati sentiti il relatore, Consigliere Gennaro Di Cecilia, nonché il rappresentante del Pubblico Ministero, nella persona del Vice Procuratore Generale dott. Alberto Mingarelli, mentre nessuno è comparso per il ricorrente.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione depositato nella Segreteria della Sezione il 31/10/2013 la Procura Regionale ha convenuto in giudizio il sig. A.A., ex Maresciallo dell' E.I., per sentirlo condannare al pagamento, in favore del Ministero della Difesa, della somma complessiva di € 1.847.082,21, ovvero in subordine, con riferimento a quanto si dirà in merito alla liquidazione del danno all'immagine, al pagamento dell'importo di € 807.351,77, ovvero, al diverso e maggior danno dovesse ritenere il Collegio di giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria e spese per la notifica dell'invito a dedurre, pari ad € 11,94.
Nel ricostruire i fatti rilevanti, il Requirente ha riferito che la vicenda traeva origine dalla denuncia del Comandante del Distaccamento 8° Reggimento Genio Guastatori “Folgore” Magg. Salvatore ZUCCARELLO (doc. 1), con la quale veniva segnalato un furto di materiale da ponte di lega leggera e di varie bobine di cavi elettrici, mediante effrazione di lucchetto a cancello carraio e forzatura di porte di accesso ai magazzini, avvenuto presso il Deposito Materiali sito in via Gallese n. 11, in località San Vito di Legnago (VR), nel periodo dal 31 maggio al 4 giugno 2007.
Con successiva nota del 22/6/2009 il Comandante del Distaccamento Brigata Paracadutisti “Folgore” Col. Renato PERROTTI trasmetteva alla Procura Regionale la Relazione amministrativa datata 25/11/2007 (su O.d.G. n. 4 del 18/6/2007), redatta dalla Commissione d'inchiesta incaricata (doc. 2) secondo cui, a seguito delle contestazioni mosse dall'Ufficiale Inquirente e nei confronti degli Ufficiali che avevano ricoperto gli incarichi di Comandante del Distaccamento/Reggimento e di Ufficiale preposto al servizio di sorveglianza e controllo delle infrastrutture nel periodo compreso tra il 2000 e la presunta data del furto, emergeva che l'azione del Comando era stata conforme ai principi enunciati dalla Direttiva dello Stato Maggiore dell'Esercito del 2000 sulla “Sicurezza delle installazioni militari” (doc. 3).
Pertanto, l'Ufficiale Inquirente concludeva ritenendo che nessuna responsabilità poteva essere ascritta ai Comandanti di Corpo ed all'Ufficiale preposto al servizio di sorveglianza e controllo delle infrastrutture del Distaccamento, in quanto il furto, operato da terzi ignoti, non poteva essere evitato con l'uso della diligenza media, trattandosi di “evento eccezionale, scarsamente prevedibile” che “oltre ad escludere l'elemento soggettivo spezza il nesso di causalità, non sussistendo il quale nessuna responsabilità può essere ascritta agli interessati”.
Il valore complessivo del materiale sottratto veniva determinato in € 586.795,42, come da decreto del Capo del IV Reparto della Direzione Generale degli Armamenti Terrestri del Ministero della Difesa n. 1 del 4/5/2009, con cui era stato autorizzato lo scarico dei materiali stessi (doc. 4).
In data 3/09/2007 perveniva alla Procura regionale altra denuncia di danno del predetto Comandante (doc. 5), il quale segnalava un furto avvenuto, questa volta presso il Deposito Materiali di via S. Lucia n. 2, in località di Zevio (VR), nel periodo compreso tra il 15 luglio e il 29 agosto 2007, riservandosi di fornire maggiori informazioni all'esito dell'inchiesta amministrativa disposta.
Con Nota del 23/7/2008, il Comandante della Brigata Paracadutisti “Folgore”, Gen. B. Maurizio FIORAVANTI, trasmetteva la Relazione sull'inchiesta amministrativa redatta dall'Ufficiale Inquirente, Col. Gianluigi DE MATTEIS, nominato con O.d.G. n. 7 del 6/9/2007 (doc. 6).
Da tale relazione, datata 2/6/2008, emergeva che nel corso di alcuni controlli disposti dall'allora Comandante dell'Unità, a seguito di un tentato furto verificatosi presso il Deposito di materiale da ponte di Este (PD) commesso da un Sottufficiale del Distaccamento paracadutisti “Folgore” (A. A., in servizio presso il Comando di Legnago-Verona), il 29/8/2007, era stata accertata presso il Deposito di Zevio (VR) la sottrazione di materiale militare, perpetrata attraverso la sostituzione del lucchetto a chiusura del cancello carraio. A seguito di più approfonditi controlli, era stata rilevata l'effrazione di alcuni accessi ai n. 4 padiglioni presenti nel deposito stesso ed il furto di materiali da ponte Bailey per un “valore di carico di Euro 33.447,36”.
L'Ufficiale Inquirente aveva accertato che le azioni del Comando circa le misure di sicurezza predisposte per il Deposito di Zevio erano state improntate correttamente, in applicazione della Direttiva dello Stato Maggiore dell'Esercito del 2000 sulla “Sicurezza delle installazioni militari” concludendo, pertanto, con l'affermare che l'evento criminoso era stato commesso da ignoti, che non era stato accertato il concorso di personale militare, e che i militari deputati alla gestione della cosa pubblica avevano posto in essere “con competenza e cura le possibili azioni volte alla tutela della stessa”.
Con decreto del Comandante del Reggimento n. 2 del 1/9/2008 veniva, quindi, autorizzato lo scarico dei materiali oggetto del furto per un importo pari ad € 33.446,94, successivamente rideterminato con decreto n. 8 del 13/11/2009 e corretto in € 28.898,65 (doc. 7).
Nonostante -allo stato- non fossero stati individuati gli autori dei furti, tuttavia il Comandante Zuccarello rilevava, nelle proprie dichiarazioni raccolte ai fini dell'inchiesta amministrativa, che il fermo in fragranza di reato di qualche giorno prima di soggetti del personale di Reparto intenti a trafugare dal deposito di Este materiale analogo a quello sottratto dal deposito di Zevio faceva ragionevolmente dedurre che anche l'azione criminosa di Zevio (durata più di 24 ore e concretizzatasi nel trafugamento di ben 250 tonnellate di materiale ferroso) doveva essere stata possibile “esclusivamente con l'intervento o il concorso di personale effettivo al Reparto in un unico articolato disegno criminoso”.
Infatti, con nota del 28/8/2007 (doc. 8), il Comandante dei Carabinieri della Stazione di Este (PD) aveva comunicato alla Procura Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Padova, ai sensi dell'art. 347 c.p.p., che il giorno stesso una pattuglia recatasi presso il deposito materiali Genio Guastatori “Folgore” di Este aveva accertato che erano in corso operazioni di carico di materiale ferroso stoccato in n. 2 camion “civili”, poi risultati intestati alla ditta TUROSSI Enea. Sul posto erano stati identificati n. 3 civili ed il M.llo Anzillotti Antonio, in servizio presso l'8° Reggimento Guastatori di Legnago (VR) e al momento in “Riposo medico domiciliare”.
Il Comandante dei Carabinieri di Este precisava che le operazioni descritte non erano state autorizzate e che l'episodio andava ad aggiungersi ad altro, analogo, verificatosi nella Caserma del Reggimento di Legnago.
Tale notizia di reato veniva iscritta al n. RGNR n.114/2007 della Procura Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Padova, a carico di Anzillotti Antonio contestando i reati riportati nei seguenti capi di imputazione:
a) furto militare aggravato (art. 230 c. I e II, 47 n. 2 c.p.m.p.), perché Maresciallo ordinario in servizio presso l'8° Reggimento Guastatori di Legnago (VR), il 28/8/2007, in concorso con estranei alle Forze Armate, si impossessava, al fine di trarne profitto, di un notevole quantitativo di materiale ferroso appartenente all'Amministrazione Militare, sottraendo il tutto dal deposito materiali Genio Guastatori “Folgore” in Este, ove era custodito;
b) simulazione di infermità aggravata (art. 159 e 47 n. 2 c.p.m.p.), perché Maresciallo ordinario in servizio presso l'8° Reggimento Guastatori di Legnago (VR), nell'agosto 2007, al fine di sottrarsi al servizio militare, simulava infermità in realtà insussistenti in modo tale da indurre in errore i superiori;
c) truffa militare pluriaggravata (art. 234 c. I e II e 47 n. 2 c.p.m.p.), perché Maresciallo ordinario in servizio presso l'8° Reggimento Guastatori di Legnago (VR), con artifici e raggiri consistenti nei comportamenti di cui al capo b), e sottraendosi in tal modo alla prestazione del servizio, induceva in errore i competenti organi amministrativi del proprio Reparto che con cadenza mensile nel periodo di cui al capo b) si determinavano a liquidargli gli emolumenti pur in assenza di idonea controprestazione lavorativa da parte sua, ciò facendo con danno ingiusto dell'A.M., e correlativo ingiusto profitto proprio.
Con le contestate aggravanti di essersi rivestito di grado e di aver commesso i fatti in danno dell'Amministrazione Militare.
Il Pubblico Ministero assegnatario del fascicolo, Dott. Dini, disponeva la perquisizione ed il sequestro presso l'abitazione di Anzillotti Antonio e presso quella di Turossi Enea, titolare dell'omonima ditta individuale, trovato presso il deposito di Este all'atto del tentato furto (doc. 9).
Da una successiva relazione dei Carabinieri di Este del 30/8/2007 (doc. 10) emergeva che il 28/8/2007, presso il deposito materiali Genio Guastatori “Folgore” di Este, le operazioni di carico del materiale ferroso presente in alcuni magazzini ivi situati erano avvenute sotto la direzione del Maresciallo ordinario Anzillotti, il quale interpellato sul punto, aveva riferito di essere stato autorizzato dal Maggiore del proprio Comando, Ten. Col. Zuccarello, mentre nessuna autorizzazione era stata mai rilasciata e, peraltro, il M.llo Anzillotti in quel periodo risultava in “riposo medico domiciliare” dal 12/7/2007 al 13/9/2007.
Dalle dichiarazioni rese dai “civili” coinvolti nella illecita sottrazione risultava che uno di essi, Groppi Roberto, aveva ricevuto dall'Anzillotti la richiesta di manifestare la disponibilità ad effettuare un trasporto di ferro da un magazzino militare in disuso sito ad Este sino a Manerbe, presso un magazzino in San Vito di Legnago (VR); mentre, il titolare della ditta Turossi Enea aveva dichiarato di aver conosciuto il Maresciallo solamente il giorno stesso del tentato furto. Il militare aveva dato indicazioni su dove dovevano essere sistemati i camion in modo che si notassero il meno possibile, aveva mostrato da dove doveva essere prelevato il materiale ferroso, sollecitando in continuazione affinché le operazioni si concludessero in breve tempo (dichiarazione di Fattori Ivano, dipendente della ditta Turossi Enea - cfr. doc. 10).
Il 29/8/2007 era stata escussa, in qualità di persona informata sui fatti, anche la sig.ra Stollo Nadia, moglie del Sottufficiale dell'Esercito Italiano Pini Mirko, la quale, alloggiando insieme al marito all'interno del perimetro del deposito materiali del Genio Guastatori “Folgore” di Este, aveva riferito che il 24 agosto il M.llo Anzillotti si era presentato presso il bar in cui lei lavorava chiedendole se suo marito fosse assente e quando sarebbe rientrato informandola, nella circostanza, che nei giorni successivi si sarebbe recato presso il deposito per caricare della legna.
La donna, il 28/8/2007, insospettitasi vedendo l'Anzillotti fare ingresso nel deposito con la sua auto e con due autocarri con a bordo dei civili, aveva immediatamente avvertito il marito che a sua volta aveva allertato il Comando 8° Reggimento Guastatori di Legnago ed il Comando di Este, che avevano provveduto ad inviare dei militari sul posto.
Il Procuratore Militare della Repubblica di Verona, in ragione delle comunanze evidenti nei fatti illeciti commessi ad Este con gli episodi verificatisi nei siti militari di San Vito di Legnago (VR) e di Zevio (VR), richiedeva copia degli atti delle indagini espletate dai Carabinieri di Este.
Con nota del 17/4/2009 il Sostituto Procuratore Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Verona, Dott. Dini - e successivamente con lettera del 12/5/2009 anche l'8° Reggimento Guastatori “Folgore” - comunicavano a questa Procura regionale che era stata esercitata l'azione penale per il reato di “furto militare pluriaggravato, in concorso, in continuazione” nei confronti dell'ex Maresciallo ANZILLOTTI Antonio, in relazione ai procedimenti penali (inizialmente iscritti contro ignoti ai nn. 31/07 e 63/44/07) riportati nel RGNR ai nn. 194/2007 (furto presso il deposito di San Vito di Legnago) e 195/2007 (furto presso il deposito di Zevio) (doc. 11).
In data 30/8/2007, infatti, il M.llo Santinelli Andrea, della Regione Carabinieri Veneto - Stazione di Zevio, aveva comunicato alla Procura Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Verona notizia di reato per furto aggravato a carico di ignoti, perpetrato tra il giorno 15 luglio ed il giorno 29 agosto del 2007 in Zevio (VR), presso il deposito militare del Reparto 8° Reggimento Genio Guastatori “Folgore” (doc. 12), anch'esso avvenuto con analoghe modalità.
Tale segnalazione era stata inoltrata dal M.llo Santinelli sulla base di apposita denuncia, da lui ricevuta, presentata dal Maggiore Zuccariello Salvatore, Comandante del Reparto suindicato.
Anche il furto di Zevio, avente ad oggetto materiale ferroso in acciaio destinato alla costruzione di ponteggi mobili militari, era avvenuto mediante la sostituzione dei lucchetti di chiusura dei cancelli d'ingresso al deposito e l'effrazione delle porte di ingresso ai quattro magazzini presenti all'interno dell'area militare.
Con riferimento ai procedimenti radicati presso le Procure Militari di Padova e di Verona venivano quindi svolte dai Carabinieri di Este e da quelli di Zevio indagini congiunte di polizia giudiziaria, volte anche al raffronto dei reperti probatori rinvenuti presso il deposito di Este e presso quello di Zevio. Venivano, in particolare, analizzati numerosi mozziconi di sigaretta trovati sul posto e repertati, nonché un bicchiere di plastica utilizzato dall'indagato Anzillotti, al fine di estrapolare il profilo genotipico dello stesso e confrontarlo con i mozziconi di sigaretta (docc. 13 e 14). Inoltre, i Carabinieri di Zevio svolgevano ulteriori indagini attraverso l'acquisizione di dichiarazioni rese da persone informate sui fatti e residenti in prossimità del deposito militare di Zevio (doc. 15).
Il 19/2/2008, il dott. Dini della Procura Militare presso il Tribunale Militare di Padova disponeva la duplicazione o sdoppiamento dell'originario fascicolo iscritto al n. 114/2007 RGNR a carico di Anzillotti, dei quali l'uno per furto militare aggravato (RGNR 114/2007), in quanto reato commesso in località di competenza della Procura Militare presso il Tribunale Militare di Padova, e l'altro per simulazione di infermità aggravata e truffa militare pluriaggravata (confluito poi nel procedimento RGNR n. 194/07/Verona e successivamente riunito al n. 195/07), commessi in località rientrante nella circoscrizione di competenza territoriale del Tribunale di Verona (doc. 16).
Anche in questo caso, in data 4/4/2008 il P.M. militare chiedeva l'emissione del decreto di rinvio a giudizio di Anzillotti Antonio per il reato di tentato furto militare pluriaggravato in concorso con Turossi Enea e Fattori Ivano (RGNR n. 114/2007), per i fatti avvenuti presso il deposito militare di Este; richiesta che il GIP accoglieva disponendo il rinvio a giudizio, con decreto del 3/6/2008 (doc. 17).
Il successivo 28/4/2008 il P.M. dott. Dini chiedeva l'emissione del decreto di rinvio a giudizio nei confronti dello stesso militare per il reato di appropriazione indebita e ritenzione di effetti militari, aggravata e continuata, in quanto l'Anzillotti, congedato per motivi disciplinari il 27/9/2007, con distinte azioni ma esecutive di un medesimo disegno criminoso si era appropriato di vari documenti personali a lui rilasciati dall'Amministrazione militare per esigenze di servizio -e che avrebbe diversamente dovuto riconsegnare al termine dello stesso- e perché aveva ritenuto i propri gradi militari da sottufficiale, costituenti oggetto di vestiario/equipaggiamento (RGNR n. 3/2008).
Ciò sulla scorta di comunicazione di notizia di reato del 19/12/2007 eseguita dal Comandante del Comando Brigata Paracadustisti “Folgore”-Nucleo Carabinieri Polizia Militare (doc. 18).
In ragione della soppressione, a far data dal 1° luglio 2008, di alcuni tribunali militari e di alcune procure militari (tra cui quelli di Padova), disposti dall'art. 2, comma 603, lettere a) e b) della legge 24 dicembre 2007, n. 244, veniva disposta il 27/6/2008 la trasmissione dei fascicoli RGNR 114/2007 e 3/2008 alla Procura Militare presso il Tribunale Militare di Verona per competenza territoriale (doc. 19). Ivi i procedimenti venivano iscritti ai nn. RGNR 268/08 (già 114/2007/Padova) e 279/08 (già 3/2008/Padova).
I due procedimenti n. 268/08 e n. 279/08 venivano riuniti, per ragioni di connessione soggettiva, e decisi, in contumacia dell'imputato, con sentenza del Tribunale Militare di Verona n. 29 del 26/5/2009 con cui l'Anzillotti veniva condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione militare per i reati: di tentato furto militare pluriaggravato, per aver compiuto “atti idonei e diretti in modo non equivoco all'impossessamento di un ingente quantitativo di materiale ferroso appartenente all'A.M. che lo deteneva all'interno di un deposito sito in Este via Prà”; di appropriazione indebita e ritenzione di effetti militari, perché “si appropriava indebitamente (…) di documenti personali a lui rilasciati dall'A.M. per le esigenze di servizio e che dovevano essere riconsegnati al termine dello stesso; inoltre riteneva i propri gradi militari da Sottufficiale, costituenti oggetti di vestiario/equipaggiamento” (doc. 20).
L'Anzillotti proponeva personalmente appello avverso la sentenza medesima e la Corte Militare d'Appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale Militare di Verona, con sentenza n. 32 emessa in data 5/4/2011 lo assolveva dal solo reato di ritenzione di effetti militari, per insussistenza del fatto, mentre confermava la condanna per tentato furto pluriaggravato nonché per appropriazione indebita e ritenzione di effetti militari aggravata e continuata, riducendo per l'effetto la pena complessiva ad anni due e mesi sette di reclusione militare, sostituita con la reclusione per uguale durata (doc. 20).
La Corte militare, in particolare, con riferimento alla condanna per tentato furto militare presso il deposito di Este, evidenziava anche i precedenti a carico dell'Anzillotti quali elementi idonei a denotare una “personalità non positiva valutabile ai fini della commisurazione della pena”.
Pure avverso tale sentenza l'ex Maresciallo proponeva ricorso per cassazione, che veniva rigettato con sentenza della Suprema Corte n. 22638 dell'11/6/2012 (doc. 20).
Quanto ai furti di materiale in alluminio e di materiale ferroso necessari per la costruzione di un ponte, di bobine di cavo elettrico e di materiale in acciaio necessario per la costruzione di ponteggi, furti perpetrati all'interno dei distaccamenti militari dell'8° Reggimento Genio Guastatori in San Vito di Legnago in data anteriore e prossima al 4/6/2007 ed in Zevio in data anteriore e prossima al 29/8/2007, i relativi procedimenti RGNR nn. 194/07 e 195/07, riuniti, venivano decisi dal GUP del Tribunale Militare di Verona, con sentenza di applicazione della pena su richiesta n. 96 del 6/7/2010, che condannava Anzillotti Antonio alla pena della reclusione militare di mesi 8 e giorni 10 per il reato di furto militare pluriaggravato, in concorso, in continuazione (doc. 21).
Come dianzi rilevato, il G.U.P. aveva, infatti, ritenuto che le risultanze degli atti del fascicolo processuale, in particolare le dichiarazioni spontanee rese dall'imputato, i tabulati telefonici delle utenze in uso allo stesso e gli esiti degli accertamenti biologici condotti dal RIS di Parma, non consentissero il proscioglimento dell'Anzillotti, ed aveva riconosciuto il vincolo della continuazione che legava i due episodi “posti in essere in esecuzione di un medesimo disegno criminoso desumibile dalla contiguità cronologica ed omogeneità delle condotte”.
In data 21/7/2010 l'Anzillotti presentava ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza.
Con ordinanza n. 8106 del 12/5/2011 la Corte di Cassazione dichiarava inammissibile il ricorso proposto, in quanto i vizi denunciati -relativi alle modalità con cui il PM aveva disposto gli accertamenti tecnici- non erano deducibili in caso di sentenza di patteggiamento, quale quella oggetto d'impugnazione (v. citazione, pag. 9 e doc. 21), la cui pubblicazione rendeva irrevocabile la pronuncia di condanna con applicazione della pena a richiesta dell'imputato.
Con atto del 23/9/2010, antecedente, pertanto, il passaggio in giudicato delle sentenze che tale responsabilità penale accertavano, il Comandante dell'8° Reggimento Genio Guastatori “Folgore” costituiva in mora il Maresciallo medesimo, oltre al personale militare con funzioni di comando ed agli agenti amministrativi che ricoprivano tali ruoli all'epoca dei fatti, per il danno erariale cagionato all'Amministrazione Militare, quantificato in base al valore del materiale trafugato dai depositi di San Vito di Legnago e di Zevio, pari rispettivamente ad € 586.795,42 ed a € 28.898,65, per un totale di € 615.694,07 (doc. 22).
In esito all'accertamento -divenuto definitivo- della responsabilità per i furti perpetrati a San Vito di Legnago ed a Zevio in capo ad Antonio Anzillotti, la Procura regionale archiviava le posizioni degli altri soggetti, militari e civili, destinatari degli atti di messa in mora dell'Amministrazione Militare - tenuto conto che non apparivano responsabilità evidenti per omessa vigilanza dei depositi e dei materiali militari che avessero contribuito, a livello di colpa grave, alla realizzazione del danno erariale - e provvedeva a notificare all'ex Maresciallo invito a dedurre, ex art. 5, comma 1, d.l. 453/1993 (convertito con l. 19/1994), configurando a suo carico una responsabilità dolosa per il danno determinato all'8° Reggimento Genio guastatori “Folgore”, quantificato in € 1.847.082,21, comprensivi del risarcimento per il nocumento corrispondente al valore dei materiali trafugati dai due depositi (€ 615.694,07) e per la lesione dell'immagine dell'Amministrazione determinato in € 1.231.388,14 (doc. 23).
Pertanto, la stessa Procura ha ritenuto di esercitare l'azione giudiziale di accertamento della responsabilità amministrativa in capo all'ex militare convenuto rinvenendo tutti gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa, compreso l'elemento soggettivo del dolo, e fondando tale richiesta anche sul richiamo di adesiva e copiosa giurisprudenza, attese le risultanze probatorie degli atti e degli elementi tratti dal giudizio penale relativo al soggetto coinvolto nel furto perpetrato presso il deposito di San Vito di Legnago e di Zevio, oltreché quello relativo al tentato furto presso il deposito di Este, avvalorate dalle conformi e spontanee dichiarazioni rese al Sostituto Procuratore militare già in sede di indagini preliminari dal predetto militare, in data 19/10/2007 (doc.25).
Per quanto, in particolare, riguarda il danno contestato, il Procuratore ha ritenuto sussistere nella fattispecie due tipologie di danno: quello diretto e quello all'immagine (pagg. 14 e ss. della citazione).
In disparte le considerazioni svolte in termini di perdita patrimoniale correlata alla prima voce di danno per effetto della sottrazione di beni subita dall'A.M., liquidato in € 615.694,07 (dei quali € 586.795,42 relativi al materiale sottratto presso il deposito di San Vito di Legnago, ed € 28.898,65 pari al valore del materiale sottratto dal deposito di Zevio), così come determinato dalla Direzione Generale degli Armamenti Terrestri del Ministero della Difesa (docc. 4 e 7).
Con riferimento, invece, al danno all'immagine, anche in questo caso richiamando favorevoli precedenti giurisprudenziali di diverse Sezioni regionali di questa Corte (ex multis, Sez. Liguria, n. 107 e 173 del 2013, Sez. Campania, n. 1266 del 2012; Sez. I App., n. 809/2012) ha ritenuto che nessuna preclusione possa incontrare tale richiesta fondata sull'accertamento della responsabilità penale avvenuta per fatti-reati non rientranti nell'art. 7 della L. n. 97/2001 - richiamato dall'art. 17, comma 30-ter del D.L. 78/2009 - pur non ignorando in proposito l'interpretazione dalla Corte Costituzionale (prima con sentenza n. 355 del 2010, e poi con le ordinanze 221 e 286 del 2011) nel senso che, per scelta del legislatore, la proposizione dell'azione risarcitoria per danni all'immagine dell'ente pubblico è limitata alle ipotesi di reato ascrivibile alla categoria dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (artt. da 314 a 335-bis c.p.), allo scopo di evitare un “rallentamento nell'efficacia e tempestività dell'azione amministrativa dei pubblici poteri, per effetto dello stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro ai quali, in definitiva, è demandato l'esercizio dell'attività amministrativa” (Corte cost., n. 355/2010).
E ciò, come sostenuto da recente e sempre più copiosa giurisprudenza (Corte conti, sez. Liguria, n. 107/2013; Sez. Toscana, nn. 173/2013 e 101/2012; Sez. I App., n. 809/2012; Sez. III App., n. 286/2012; Sez. Campania, n. 1266/2012; Sez. Lombardia, n. 765/2009), nella considerazione che le pronunce suindicate della Corte Costituzionale sono sentenze di rigetto, e, in quanto tali non vincolanti per il giudice successivamente chiamato ad applicare la norma sottoposta a scrutinio di costituzionalità (Cass. civ., n. 574/2007).
La Procura ha ritenuto deporre per la risarcibilità, sotto l'illustrato profilo, di ogni delitto contro la P.A. anche se non ricompreso tra quelli espressamente previsti, anche se “comune”, le recenti disposizioni del decreto “anti-corruzione”, in particolare l'art. 1, comma 62, della l. 6 novembre 2012, n. 190, che ha introdotto all'art. 1 della l. 14 gennaio 1994, n. 20 il comma 1-sexies, secondo il quale “nel giudizio di responsabilità, l'entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.
Parametro di riferimento introdotto dal legislatore costituente una presunzione semplice o iuris tantum e, in quanto tale, suscettibile di essere vinta dalla prova contraria di maggior o minor danno (Corte conti, Sez. II App., n. 489/2013).
In proposito la Procura ha ritenuto che il Legislatore, da un lato, si riferisce alla commissione di un “reato contro la pubblica amministrazione”, usando un'espressione pertanto ben diversa dall'esplicito riferimento ai reati contemplati al capo I, titolo II del libro II del codice penale di cui all'art. 7 della l. 97/2001 e, dall'altro, richiede un accertamento del reato con “sentenza passata in giudicato” (non necessariamente quindi sentenza di condanna), laddove invece il c.d. lodo “Bernardo”, ossia la normativa del 2009 riguardante il danno all'immagine, conteneva il riferimento ad una sentenza di condanna.
Ha richiamato al riguardo la statuizione della Sezione giurisdizionale d'Appello per la Sicilia nella recentissima sentenza n. 132 del 30/4/2013, non possono sfuggire le due novità introdotte dalla l. 190/2012: “1) l'espressione più generale, ivi contenuta, di , a fronte del quale può derivare un pregiudizio all'immagine pubblica dell'istituzione, è qualcosa di diverso e ulteriore rispetto ai delitti dei pubblici ufficiali contro la P.A. contemplati espressamente dalla precedente normativa; 2) è scomparso ogni riferimento ad una previa , sostituita con la formula di un accertamento definitivo di un reato contro la P.A., con sentenza passata in giudicato” (nello steso senso, Corte conti, Sez. Campania, n. 287/2013).
Pertanto, siffatta tipologia di danno, ad avviso di parte attrice, può configurarsi e perseguirsi anche in presenza di altro tipo di accertamento del giudice penale della commissione del reato (sentenza di patteggiamento o di “non doversi procedere” per prescrizione del reato), recependo in quest'ultimo modo quegli orientamenti giurisprudenziali che ammettono la risarcibilità del danno all'immagine anche in presenza di sentenza penale dichiarativa della prescrizione del reato ovvero emessa in riti speciali.
Nel caso di specie, la condotta dell'Anzillotti condannato ex artt. 444 e ss. c.p.p. con la sentenza n. 96/2010 del GUP del Tribunale Militare di Verona, per il reato di furto militare pluriaggravato, in concorso, in continuazione, divenuta irrevocabile con la pubblicazione dell'ordinanza n. 8106/2011 della Corte di cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dallo stesso e, inoltre, condannato in via definitiva per tentato furto militare pluriaggravato (sentenza Cass. civ. n. 22638/2012), avrebbe determinato un rilevante danno alla credibilità ed al prestigio dell'Amministrazione Militare.
A nulla rilevando che il reato di furto presso il deposito di Este non si sia perfezionato ma sia rimasto allo stato di reato tentato, poiché ciò non elide il disvalore e la censurabilità della condotta tenuta dal militare, né fa venir meno la lesione all'immagine dell'Amministrazione Militare che la stessa ha determinato (in questo senso, Corte conti, Sez. I App., n. 482/2010; Sez. Toscana, n. 245/2012; Sez. Lombardia, n. 598/2010).
Infine, la Procura ha precisato che può addirittura prescindersi dal clamor fori allorquando, nella commissione del reato, il pubblico dipendente abbia coinvolto terzi estranei alla P.A, come nel caso del tentato furto presso il deposito di Este e come è avvenuto anche nei furti presso i depositi veronesi (come risulta dalla testimonianze dei sigg.ri Brancaleon Franco e Quattrina Eriberta - cfr. doc. 15, e come si desume dall'ingente quantità di materiale ferroso sottratto, elementi che inducono a sostenere che senz'altro l'Anzillotti si è dovuto avvalere, anche per i furti presso i depositi veronesi, della collaborazione di soggetti terzi).
In questo senso la pronuncia della Corte conti, Sez. II App., n. 662/2001, secondo la quale qualora “le modalità di commissione degli illeciti comportano il coinvolgimento di soggetti estranei all'amministrazione, la diffusione della notizia nei mass media non ha valenza costitutiva del danno all'immagine, potendo solo comportare un effetto amplificativo della lesione già prodotta; effetto di cui il giudice deve tener conto nella valutazione della misura del danno e del conseguente risarcimento da addebitare al dipendente infedele”.
In subordine, nella denegata ipotesi di rigetto della prospettata quantificazione del danno, la Procura ne ha chiesto la liquidazione rapportando tale voce allo stipendio annuo lordo percepito dall'ex militare fino alla dispensa dal servizio per complessivi 191.657,70 euro, da sommare all'importo costituente danno diretto, concludendo con la richiesta di rifusione di diritti, spese ed onorari e riserva di ogni deduzione e integrazione.
All'odierna udienza di trattazione, assente il convenuto non costituito, il rappresentante del P.M. ha illustrato la ragioni di fatto e di diritto fondanti la domanda giurisdizionale di risarcimento dei danno, esibendo e depositando in udienza, a corredo delle tesi accusatorie sostenute, precedente giurisprudenziale del Giudice di Appello concernente il c.d. danno all'immagine, concludendo in conformità al contenuto dell'atto introduttivo del giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio deve procedere ad esaminare e risolvere le questioni processuali, sollevate dalle parti o rilevabili d'ufficio dal giudice, secondo un rigoroso ordine logico-giuridico, affrontando dapprima quelle rivestenti perspicuo carattere pregiudiziale di rito, poi quelle preliminari ed, infine, di merito (artt. 187, co. 2 e 3, 276, co. 2 e 279, co. 2, c.p.c., applicabili nel processo davanti alla Corte dei conti in virtù del c.d. rinvio dinamico contenuto nel R.D. n. 1038/1933 che lo regola).
1.1 In punto di rito, occorre dichiarare la contumacia del convenuto Sig. ANZILLOTTI Antonio, ai sensi e per gli effetti degli artt. 171 e 291 c.p.c. norme applicabili per effetto del rinvio dinamico previsto dall'art. 26, del R.D. n.1038/1933, il quale non si è costituito in giudizio sebbene ritualmente evocato mediante notificazione della citazione -e pedissequo decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di trattazione- l'adempimento della cui formalità si è perfezionato mediante consegna a mani dell'interessato nel luogo della sua residenza il giorno 20/11/2013.
Né, peraltro, è comparso, personalmente, all'udienza di discussione o ha addotto comprovato motivo di assoluto impedimento fisico che possa giustificare un'eventuale istanza di rinvio.
2. Esaurite le questioni pregiudiziali, può affrontarsi quella di merito della vicenda in esame.
Occorre evidenziare, innanzitutto, la piana e minuziosa ricostruzione dei fatti storici riportati in narrativa e specificamente risultante dai documenti in essa richiamati e, in generale, versati nel processo dalla Procura erariale, la quale ha aperto l'apposita vertenza preliminare a seguito di notitiae damni, specifiche e concrete, contenute nelle plurime e richiamate denunce presentate dai vari Comandanti del Distaccamento 8° Reggimento Genio Guastatori “Folgore” di San Vito di Legnago (VR), di Zevio (VR) e di Este (PD) relative a reati di furto militare di materiale contenuto, rispettivamente, nei Depositi Materiali sito in San Vito di Legnago (VR), nel periodo dal 31 maggio al 4 giugno 2007, in località Zevio (VR), nel periodo dal 15 luglio al 29 agosto 2007 e, in Este (PD), in data 28/8/2007, benché quest'ultimo arrestatosi alla fase del mero tentativo per effetto del fermo operato in fragranza di reato da militari di pattuglia del Comando della Stazione dei Carabinieri di Este, giunti sul posto a seguito di allertamento.
Detti fatti storici contenuti negli atti di causa -che si intendono qui riepilogati attraverso il rinvio alla loro lettura per relationem per esigenze di economia processuale e di scrittura (Cass., SS.UU. Civili, 9/8/2010, n. 18477 e artt. 132 c,p.c. e artt. 132 c.p.c. e 118 disp.att. c.p.c., artt. 45, co. 17, 52 e 58, co. 2, della L. n. 69 del 2009) hanno assunto, pertanto, nella fattispecie rilevanza illecita tale da formare oggetto di denuncia di notizia di reato, poi iscritta al n. 114/2007 RGNR della Procura Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Padova a carico dell'Anzillotti per i delitti previsti dal codice militare penale di pace di: a)furto militare aggravato (art. 230 c. I e II, 47 n. 2 c.p.m.p.); b)simulazione di infermità aggravata (art. 159 e 47 n. 2 c.p.m.p.) e c) truffa militare pluriaggravata (art. 234 c. I e II e 47 n. 2 c.p.m.p.), per i motivi specificamente indicati ed anticipati in narrativa alle pagg. 5 e 6..
Analogamente, per i fatti-reato narrati e commessi in Zevio e in San Vito di Legnago, in relazione ai quali, attesa la comunanza ed il collegamento ipotizzato per il modus operandi utilizzato nella loro perpetrazione, veniva esercitata l'azione penale per il reato di “furto militare pluriaggravato, in concorso, in continuazione” nei confronti dell'ex Maresciallo ANZILLOTTI Antonio, in relazione ai procedimenti penali (inizialmente iscritti contro ignoti ai nn. 31/07 e 63/44/07 del RGNR) riportati nel RGNR ai nn. 194/2007 (furto presso il deposito di San Vito di Legnago) e 195/2007 (furto presso il deposito di Zevio) (doc. 11).
In quest'ultimo caso, veniva altresì comunicato alla Procura regionale, con nota del 17/4/2009 dal Sostituto Procuratore Militare della Repubblica presso il Tribunale Militare di Verona, Dott. Dini e, successivamente con lettera del 12/5/2009 dell'8° Reggimento Guastatori “Folgore” – che era stata esercitata l'azione penale nei confronti del sottufficiale, ai sensi e per gli effetti degli artt. 60 e 405 c.p.p.
Per completezza espositiva va rilevato anche che i procedimenti inizialmente iscritti dalla Procura Militare presso il Tribunale Militare di Padova trasmigravano alla Procura Militare presso il Tribunale di Verona per competenza territoriale, in ragione dell'avvenuta soppressione ope legis (art.2, co. 606, lett. a) e b), L.24/12/2007,n. 244) di alcuni Uffici giudiziari militari (tra cui quello di Padova) ove detti procedimenti, nel frattempo riuniti per evidenti ragioni di connessione soggettiva, assumevano novellata iscrizione sul registro generale delle notizie di reato (cfr., in dettaglio, avanti pag. 9).
I due procedimenti penali “superstiti”, a seguito della richiesta di rinvio a giudizio effettuata dalla Procura Militare e disposta dal G.I.P., si concludevano, nella contumacia dell'imputato ed odierno convenuto, con sentenza emessa dal Tribunale Militare di Verona n. 29 del 26/5/2009 di condanna dell'Anzillotti alla pena di anni due e mesi otto di reclusione militare per i reati: 1) di tentato furto militare pluriaggravato, per aver compiuto “atti idonei e diretti in modo non equivoco all'impossessamento di un ingente quantitativo di materiale ferroso appartenente all'A.M. che lo deteneva all'interno di un deposito sito in Este via Prà”; 2) di appropriazione indebita e ritenzione di effetti militari, perché “si appropriava indebitamente (…) di documenti personali a lui rilasciati dall'A.M. per le esigenze di servizio e che dovevano essere riconsegnati al termine dello stesso, ritenendo i propri gradi militari da Sottufficiale, costituenti oggetti di vestiario/equipaggiamento” (v. doc. 20).
Avverso tale statuizione l'Anzillotti proponeva personalmente impugnazione dinanzi alla Corte Militare d'Appello di Roma, definita con sentenza n. 32 emessa in data 5/4/2011 con cui, in parziale riforma della sentenza del Tribunale Militare di Verona, lo assolveva dal solo reato di ritenzione di effetti militari contestato al capo 2 dell'imputazione (indebita ritenzione di gradi militari da sottufficiale) per insussistenza del fatto, mentre confermava la condanna per tentato furto pluriaggravato, nonché per appropriazione indebita e ritenzione di effetti militari, aggravata e continuata, riducendo per l'effetto la pena complessiva ad anni due e mesi sette di reclusione militare, sostituita con la reclusione per uguale durata (doc. 20).
Anche contro tale sentenza il convenuto spiegava rimedio impugnatorio attraverso ricorso per cassazione, rigettato con sentenza della Suprema Corte n. 22638 dell'11/6/2012 (doc. 20).
Quanto ai furti di materiale in alluminio e di materiale ferroso necessari per la costruzione di ponti, di bobine di cavo elettrico e di materiale in acciaio necessario per la costruzione di ponteggi, furti perpetrati all'interno dei distaccamenti militari dell'8° Reggimento Genio Guastatori in San Vito di Legnago in data anteriore e prossima al 4/6/2007 ed in Zevio in data anteriore e prossima al 29/8/2007, i relativi procedimenti RGNR nn. 194/07 e 195/07, riuniti, venivano decisi dal GUP del Tribunale Militare di Verona, con sentenza di applicazione della pena su richiesta n. 96 del 6/7/2010, con cui condannava Anzillotti Antonio alla pena della reclusione militare di mesi 8 e giorni 10 per il reato di furto militare pluriaggravato, in concorso, in continuazione (doc. 21).
3. La domanda proposta dalla Procura merita senz'altro accoglimento poiché fondata, in fatto ed in diritto, sebbene nei termini di seguito esplicitati.
Tanto, poiché molteplici sono gli indizi e gli argomenti di prova cc.dd. “in positivo” raccolti durante l'istruttoria che inducono a ritenere concreta e perfettamente persuasiva e condivisibile l'ipotesi accusatoria formulata dal Procuratore, poiché idonei ad integrare gli elementi tutti costitutivi della responsabilità amministrativa che, com'è noto, tradizionalmente si sostanziano in un danno patrimoniale, economicamente valutabile, arrecato alla pubblica amministrazione, in una condotta connotata da colpa grave o dolo, nel nesso di causalità tra il predetto comportamento e l'evento dannoso, oltreché nella sussistenza di un rapporto di impiego o di servizio fra coloro che lo hanno determinato e l'amministrazione o l'ente che lo ha subito.
Plurimi, univoci e convergenti risultano, infatti, gli elementi probatori-indiziari raccolti – anche in fase penale – che depongono per tale decorso dei fatti materiali, in sostanza non contestati neppure dai convenuto, e su cui si fonda la sostanziale antigiuridicità della condotta realizzata dall'odierno convenuto, foriera di responsabilità amministrativa, con conseguente sanzione risarcitoria del danno causato alle pubbliche finanze; elementi istruttori che possono riassumersi nei seguenti termini, rinviando per una più capillare ed esaustiva esposizione alla lettura ed all'esame del contenuto dei singoli atti e documenti inseriti nel fascicolo d'ufficio ad integrazione della presente motivazione (Cass., Sez. Lav., 11/2/2011, n. 3367 e Sez. 5, 27/5/2011, n. 11710).
3.1 Premesso che la responsabilità amministrativo-contabile dei dipendenti pubblici trova la propria disciplina, odiernamente e ratione-temporis, nei referenti normativi delle disposizioni in materia di responsabilità degli impiegati civili dello Stato (comb. disp. artt. 52 R.D. 12 luglio 1934, n.1214, 81 e succ. R.D. 18 novembre 1923, n. 2440, 13 e ss. del D.P.R. 10 gennaio 1957, n.3, 1 L. 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal D.L. 23 ottobre 1996, n.543, convertito nella L. n.639 del 1996), innanzitutto pacifico si appalesa il rapporto di servizio intercorrente tra il convenuto e l'Amministrazione della Difesa secondo il principio giuridico dell'immedesimazione organica (in diritto: art. 28 Cost.; in giurisprudenza, per tutte, cfr. Cass., SS.UU., 21/5/2003, n. 7946 e n. 4549/2010; Corte dei conti, SS.RR. , n. 4/1999).
In particolare, il sig. Anzillotti, all'epoca dei fatti illeciti, risultava essere in rapporto giuridico o di servizio con tale Amministrazione e rivestire il grado di Maresciallo ordinario assegnato all'8^ Reggimento Guastatori di Legnago (VR), rapporto che cessava definitivamente il 27/9/2007, allorquando veniva attinto dal grave provvedimento disciplinare della rimozione con perdita del grado (decreto n.383/3-9/2007 del Ministero della Difesa-Direzione Generale per il Personale Militare, misura irrogata a causa della condanna penale subita con sentenza n.173/2006 emessa dal G.U.P. presso il Tribunale di Rovigo per fatti-reato legati alla produzione e al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope (doc. 24 del fasc. di Procura).
3.2 Quanto al profilo dell'elemento oggettivo, altrettanto indubbia è la sussistenza del nesso causale tra il comportamento tenuto dal convenuto ed il danno causato, ponendosi la condotta attiva realizzata quale condizione imprescindibile in relazione al pregiudizio o evento dannoso derivato all'Amministrazione di appartenenza del convenuto, sia di carattere patrimoniale diretto che non patrimoniale –come sarà precisato tra breve- per lesione dell'immagine provocata a detta Amministrazione di appartenenza e datrice di lavoro.
E ciò risalendo all'applicazione del criterio ispirato da elementi di regolarità, di normalità e di adeguatezza, vale a dire la c.d. causalità umana della condotta, essendo tale rapporto regolato dagli artt. 40 e 41 cod. pen., norme secondo cui un evento è da ritenere causato da un altro se non si sarebbe verificato in mancanza di questo; nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base del quale, all'interno della serie causale, occorre dare rilievo solo a quegli eventi che non appaiano - ad una valutazione "ex ante" - del tutto inverosimili, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza (C.Conti, SS.RR., 4/3/1996, n. 96/A e dalla Corte di Cassazione, n. 7695/08 e n. 6474/2012, SS.UU., n. 577/2008; n. 6474/2012, n. 8210/2013 e n. 21715/2013).
Giova rilevare, infatti, come la condotta antigiuridica realizzata dall'Anzillotti ha sicuramente determinato un ingiusto danno o depauperamento alla finanza pubblica per l'esistente nesso di causalità tra evento - inteso in senso naturalistico - e la condotta, connotata senz'altro da dolo, sostanziatesi nel porsi volontariamente e consapevolmente nella condizione di violare o non adempiere, lealmente e con fedeltà, i rigorosi obblighi di servizio invece imposti al militare.
Invero, va sottolineato che dall'esame complessivo delle risultanze istruttorie emergono, in modo assolutamente perspicuo ed inconfutabile, indizi ed elementi di prova e di valutazione talmente perspicui, univoci e convergenti, descrittivi di un quadro di diffusa e grave irregolarità ed illegalità, riconducibili alle condotte illecite serbate dal convenuto, pressoché preordinate e premeditate con lucida freddezza.
Breviter, a confortare tale convincimento basti richiamare, in particolare, il cospicuo coacervo di elementi istruttori, confluiti nel processo penale e prodotti in causa e richiamati dal Procuratore, assistiti da importanti ed obiettivi riscontri di valutazione espunti, anche in sede investigativa, dalle concordanti dichiarazioni provenienti: sia da soggetti terzi escussi o cc.dd. eteroaccusatorie (è il caso, ad esempio, del sig. Turossi e Fattori, anche loro inizialmente coinvolti e poi scagionati ed assolti, quali i tre civili relativamente al tentato furto di materiale militare nel deposito di Este e la cui buona fede era stata vinta e sorpresa dal comportamento di estrema callidità realizzato dall'Anzillotti che, ritenendo ed adoperando la divisa ed i gradi conferitigli, convinceva costoro della legittimità dell'operazione di trasporto ordinaria eseguita per conto dell'E.I.; come pure delle testimonianze dei sigg.ri Brancaleon Franco e Quattrina Eriberta - cfr. doc. 15); sia dallo stesso convenuto – o cc.dd. autoaccusatorie (cfr. spontanee dichiarazioni rese, in qualità di persona sottoposta alle indagini preliminari, in data 19/10/2007 al S. Procuratore Militare di Verona relativamente ai procedimenti penali n. 268/2008 e n. 279/2008, già n.114/07/Padova e n. 3/2008/Padova).
Per l'affermazione di un grave quadro indiziario-probatorio di colpevolezza all'esito di una, seppur autonoma e integrale, discovery o valutazione eseguita da questo Collegio - valga, inoltre, considerare l'esplicito rinvio a quanto precisato nei provvedimenti endoprocedimentali adottati nel processo penale versati nel processo, nella specie decreti del G.I.P. del Tribunale Militare di Verona e di Padova con cui si disponeva il giudizio a suo carico.
Ma anche dal provvedimento di fermo e, soprattutto, dall'evoluzione de distinti procedimenti penali dianzi riportati, che hanno visto coinvolto il convenuto, conclusisi con sentenza di patteggiamento ormai irretrattabili poiché passate in giudicato per effetto del rigetto o inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dall'imputato, circostanza sulla quale si è già diffusamente soffermati (cfr. pagg. 10 e 11).
Come pure nella medesima direzione probatoria si colloca lo stesso decorso dei fatti storici inerenti al provvedimento di fermo, che ha superato il vaglio di legittimità della convalida, operato dal Carabinieri della Stazione di Este che coglievano il convenuto in flagranza di reato, intento ad operazioni di carico del materiale ferroso contenuto nel deposito di Este e stoccato in due camion.
Pertanto, solidi appaiono i fatti-reato accertati nella loro materialità, sebbene con sentenze irrevocabili intervenute all'esito di alternativa processuale nella quale il prevenuto aveva optato, previo consenso espresso dalla Procura Militare, per l'applicazione della pena a richiesta (art. 444 e ss. c.p.p.), anche alla luce degli accertamenti tecnico-scientifici eseguiti dal R.I.S. di Parma (accertamenti biologici del corredo cromosomico condotti sui mozziconi di sigaretta) o della Polizia giudiziaria (verifica dei tabulati del traffico telefonico dell'utenza in uso all'Anzilloti) ivi evidenziati e in termini di riscontri obiettivi circa il collegamento, anche per modus operandi, con gli altri episodi criminosi dei furti pluriaggravati, in concorso e continuati, consumati ai danni dei depositi militari di Zevio e di San Vito di Legnago.
A tale ultimo proposito giova ricordare l'efficacia che una sentenza penale emessa con applicazione delle pena a richiesta dall'imputato e concordata con il Pubblico ministero, può assumere nell'ambito di altri giudizi.
In proposito va affermato che, pur essendo essa equiparata a una pronuncia di condanna, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 445, co. 1 c.p.p., non è tuttavia ontologicamente qualificabile come tale e non spiega effetti vincolanti nel processo contabile nonostante sia passata in giudicato in virtù dei ben noti principi di assenza (rectius, del venir meno) di pregiudizialità e di primato del processo penale sugli altri celebrati dinanzi alle diverse giurisdizioni, nonché di originarietà, di parità e di reciproca indipendenza, nonostante le tassative deroghe previste dagli artt. 651 e ss. c.p.p. (per tutte, Cass., SS.UU. Civ., n. 10856/2009).
Pur tuttavia, secondo la giurisprudenza della Corte dei conti, non essendo precluso al medesimo giudice l'accertamento e la valutazione dei fatti difforme da quello contenuto nella sentenza pronunciata ai sensi dell'art. 444 c.p.p., tale pronuncia riveste un particolare valore probatorio, vincibile solo attraverso specifiche prove contrarie (Corte dei Conti, Sezione I, 7.1.2004, n. 3; Sezione giurisdizionale Abruzzo, 21.6.2004, n. 224), specialmente dopo la novellazione dell'art. 445 c.p.p. da parte dell'art. 2, L. 27 marzo 2001, n. 97, (v. Cassazione, Sezione tributaria, 30.9.2005, n. 19251), costituendo indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l'imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale avrebbe prestato fede a tale ammissione (C.d.c., I Sez. App., n. 256 del 2012).
Infatti, proprio il carattere di autonomia e di separazione dei giudizi non costituisce più alcun ostacolo o preclusione per il giudice contabile nel poter tener conto ai fini della decisione anche degli elementi di prova acquisiti in sede penale, ritenuti ammissibili nel giudizio contabile, onde valorizzarne l'autonoma rilevanza e concludenza probatoria ai fini della formazione del suo libero e prudente apprezzamento e convincimento, ai sensi dell'art. 116, co. 1, c.p.c., potendo costituire essi comunque indizi gravi, precisi e concordanti tali da concorrere ad integrare l'aspetto indiziario di profilo presuntivo ed argomentativo, secondo il paradigma degli artt. 2727 e 2729 c.c., finanche laddove in sede penale non si sia ancora formata una sentenza di merito che rivesta autorità di giudicato (C.conti, SS.RR., 2/3/1992, n. 754/A e 2/10/1997, n. 68; Sez. I Centr., 4/12/2000, n. 343 e Sez. II Centr., n. 21/11/2000, n. 365; Sez. Giur. Abruzzo, 12/10/2010, n. 461; Corte conti, Sez. Prima d'appello, n. 3 del 2011 e n. 133 del 2004; Sez. Terza d'appello n. 75 e n. 371 del 2005).
Pertanto, sulla base del coacervo degli elementi versati in atti e descritti piuttosto analiticamente in parte narrativa, che si rivelano solidi, adeguati e coerenti e che nessuna “rilettura” consentono, è possibile pervenire ad un giudizio di evidente sussistenza dell'addebito mosso dalla Procura in termini di responsabilità amministrativa a carico del convenuto, determinata dalla sprezzante volontà di violazione dei doveri di servizio imposti ad un militare e dei generali principi di legalità, trasparenza ed imparzialità che invece dovrebbero giammai essere obliterati e costantemente informare l'azione della pubblica amministrazione (artt. 97 Cost. e 1, co. 1, L. n. 241/1990 e s.m. e i. e 33, 5° comma, Cost., in termini, C. conti, Sez. II, n. 430/2010).
3.4 E ciò anche con riferimento all'elemento psicologico o soggettivo, la cui esistenza ed ascrivibilità al convenuto, con connotazione squisitamente dolosa sotto il profilo della sua qualificazione giuridica, va indiscutibilmente affermata, soprattutto in considerazione della severa antigiuridicità della condotta e in assenza di esiti processuali di segno contrario offerti dal convenuto, nemmeno costituitosi in giudizio (art. 1, L. n. 20/1994 e s.m. e i.).
Né, del resto, depone per un diverso apprezzamento il precedente penale in cui il convenuto è incappato (sentenza penale di condanna del Tribunale di Rovigo per produzione e traffico illecito di stupefacenti) e che ha comportato la sua definitiva rimozione dal servizio per perdita del grado (doc. 24).
3.5 Sempre con riferimento all'elemento oggettivo e, precipuamente, al danno erariale risarcibile contestato al convenuto dalla Procura, quest'ultima ha ritenuto sussistere nella fattispecie, contestandole, due tipologie di danno: quello diretto e quello all'immagine (pagg. 14 e ss. della citazione).
3.5.1 In proposito si rivela fondata –quanto incontestata- la domanda risarcitoria per le considerazioni svolte dalla Procura in termini di perdita patrimoniale c.d. diretta, vale a dire correlata alla prima voce di danno costituita dal valore economico della sottrazione dei beni e valori subita dall'A.M., liquidato in € 615.694,07 (dei quali € 586.795,42 relativi al materiale sottratto presso il deposito di San Vito di Legnago, ed € 28.898,65 pari al valore del materiale sottratto dal deposito di Zevio), così come determinato dalla Direzione Generale degli Armamenti Terrestri del Ministero della Difesa (docc. 4 e 7).
3.5.2 Con riferimento, invece, alla seconda voce del danno all'immagine, anche in questo caso richiamando numerosi e favorevoli precedenti giurisprudenziali di diverse Sezioni regionali di questa Corte (ex multis, Sez. Liguria, n. 107 e 173 del 2013, Sez. Campania, n. 1266 del 2012; Sez. I App., n. 809/2012) la Procura ha ritenuto che nessuna preclusione possa incontrare tale richiesta fondata sull'accertamento della responsabilità penale avvenuta per fatti-reati, nonostante non rientranti nell'art. 7 della L. n. 97/2001 - richiamato dall'art. 17, comma 30-ter del D.L. 78/2009 - pur non ignorando in proposito l'interpretazione dalla Corte Costituzionale (prima con sentenza n. 355 del 2010, e poi con le ordinanze 221 e 286 del 2011) nel senso che, per scelta del legislatore, la proposizione dell'azione risarcitoria per danni all'immagine dell'ente pubblico è limitata alle ipotesi di reato ascrivibile alla categoria dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione (artt. da 314 a 335-bis c.p.), allo scopo di evitare un “rallentamento nell'efficacia e tempestività dell'azione amministrativa dei pubblici poteri, per effetto dello stato diffuso di preoccupazione che potrebbe ingenerare in coloro ai quali, in definitiva, è demandato l'esercizio dell'attività amministrativa” (Corte Cost., n. 355/2010).
Tanto sulla scorta della risarcibilità di ogni delitto contro la P.A., anche se non ricompreso tra quelli espressamente previsti, anche se “comune”, a seguito delle recenti disposizioni del decreto “anti-corruzione” e, in particolare, dell'art. 1, comma 62, della l. 6 novembre 2012, n. 190, che ha introdotto all'art. 1 della l. 14 gennaio 1994, n. 20 il comma 1-sexies, secondo il quale “nel giudizio di responsabilità, l'entità del danno all'immagine della pubblica amministrazione derivante dalla commissione di un reato contro la stessa pubblica amministrazione accertato con sentenza passata in giudicato si presume, salva prova contraria, pari al doppio della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”.
Parametro di riferimento che rappresenta una legittima presunzione semplice o iuris tantum e, in quanto tale, suscettibile di essere vinta dalla prova contraria di maggior o minor danno offerta dal convenuto (Corte conti, Sez. II App., n. 489/2013), riferendosi, il legislatore, per un verso, alla commissione di un “reato contro la pubblica amministrazione”, usando un'espressione pertanto ben diversa dall'esplicito riferimento ai reati contemplati al capo I, titolo II del libro II del codice penale di cui all'art. 7 della L. n. 97/2001, e, per l'altro, ad un accertamento del reato eseguito con “sentenza passata in giudicato” (non necessariamente quindi di condanna), laddove invece l'art. 17, comma 30-ter, del decreto legge n. 78 del 2009, convertito con modificazioni in legge n. 102 del 3 agosto 2009, a sua volta modificato dal decreto legge 3 agosto 2009, n. 103, convertito con modificazioni dalla legge 2 ottobre 2009, n. 141, con riferimento al danno all'immagine, conteneva il riferimento ad una “sentenza di condanna”.
Pertanto, siffatta tipologia di danno può configurarsi e perseguirsi anche in presenza di altro tipo di accertamento del giudice penale della commissione del reato (sentenza di patteggiamento o di “non doversi procedere” per prescrizione del reato), recependo in quest'ultimo modo quegli orientamenti giurisprudenziali che ammettono la risarcibilità del danno all'immagine anche in presenza di sentenza penale dichiarativa della prescrizione del reato ovvero emessa in riti speciali (come rilevato la Sezione giurisdizionale d'Appello per la Sicilia nella recentissima sentenza n. 132 del 30/4/2013; nello steso senso, Corte conti, Sez. Campania, n. 287/2013).
Nel caso di specie, pertanto, la condotta dell'Anzillotti, condannato ex artt. 444 e ss. c.p.p. con la sentenza n. 96/2010 del GUP del Tribunale Militare di Verona, per il reato di furto militare pluriaggravato, in concorso, in continuazione, divenuta irrevocabile con la pubblicazione dell'ordinanza n. 8106/2011 della Corte di cassazione che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dallo stesso e condannato in via definitiva altresì per tentato furto militare pluriaggravato (sentenza, Cass. civ. n. 22638/2012), ha determinato un rilevante danno alla credibilità ed al prestigio dell'Amministrazione Militare.
A nulla rilevando che il reato di furto presso il deposito di Este non si sia perfezionato ma sia rimasto allo stato di reato tentato, poiché ciò non elide il disvalore e la censurabilità della condotta tenuta dal militare, né fa venir meno la lesione all'immagine dell'Amministrazione Militare che la stessa ha determinato (in questo senso, Corte conti, Sez. I App., n. 482/2010; Sez. Toscana, n. 245/2012; Sez. Lombardia, n. 598/2010).
Infine, la Procura ha evidenziato come possa prescindersi dal clamor fori allorquando nella commissione del reato il pubblico dipendente abbia coinvolto terzi estranei alla P.A, come nel caso del tentato furto presso il deposito di Este e come è avvenuto anche per i furti presso i depositi veronesi.
In ogni caso, nessuna nullità o inammissibilità della domanda giudiziale concernente il danno all'immagine può essere legittimamente dichiarata dal giudice alla luce del regime processuale proprio della nullità, il quale non consente la rilevabilità d'ufficio della relativa questione in difetto di specifica ed espressa eccezione proveniente dalla parte interessata.
4. Orbene, la tesi accusatoria sostenuta dalla Procura è solo in parte condivisibile.
Innanzitutto, non appare tale al Collegio l'invocata estensione della richiamata e più rigorosa disciplina giuridica – anche in relazione alla presunzione che opera ai fini della determinazione del danno, benché suscettibile di prova contraria, di cui all'art. 1, comma 62, della Legge n. 190 del 6/11/2012, anche se esso, tutt'al più, può assurgere a mero parametro di riferimento integrante il criterio equitativo previsto dall'art. 1226 del codice civile, in difetto di ulteriori e più pertinenti elementi di giudizio.
E ciò sotto il duplice ordine di motivi: 1) sia della soluzione ermeneutica relativa alla sussistenza del predetto danno all'immagine anche nelle diverse ipotesi di sentenze penali, di condanna o meno, concernenti reati diversi da quelli c.d. propri, cioè commessi dai pubblici ufficiali contro la P.A.; 2) sia della determinazione legale, o ope legis, del predetto danno, corrispondente al doppio “della somma di denaro o del valore patrimoniale di altra utilità illecitamente percepita dal dipendente”, atteso che, nel caso di specie, non può trovare applicazione ratione temporis la cd. “novella anticorruzione”, contenuta nella citata legge richiamata dalla Procura (comma 1 sexies nell'art 1 della legge n. 20/94), per la sua indubbia natura sostanziale ed innovativa dell'ordinamento giuridico e come tale, incapace di spiegare efficacia retroattiva in relazione a fatti materiali realizzati anteriormente (nel caso di specie, l'anno 2007) -sebbene oggetto di definitivo accertamento avvenuto durante il periodo della sua vigenza- secondo il fondamentale principio di irretroattività che regola l'efficacia della legge nel tempo, scolpito nell'art. 11 delle Preleggi.
In ordine alla prima delle questioni, il Collegio rileva che la responsabilità amministrativa tipica contenuta nel già richiamato art. 17, comma 30-ter, del decreto legge n. 78 del 2009, si riferisce a fatti-reato materiali accertati con sentenza penale passata in giudicato capaci di integrare quei “delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione” come affermato da precedenti arresti giurisprudenziali specifici, le cui argomentazioni giuridiche si intendono riproposte.
In quest'ottica deve evidenziarsi come tale disposizione abbia fortemente inciso sulla proponibilità dell'azione risarcitoria in esame, prevedendo che “le procure della Corte dei conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al comma 2 dell'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente comma, salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta”.
A sua volta, il rinvio all'art. 7, della legge 27 marzo 2001, n. 97 implica un'ulteriore restrizione applicativa in quanto presuppone una “sentenza irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei dipendenti … per i delitti contro la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale”, da comunicare al competente Procuratore Regionale della Corte dei conti, affinché promuova entro trenta giorni l'eventuale procedimento di responsabilità per danno erariale nei confronti del condannato.
In proposito il Collegio ritiene giovi anche ricordare le ben note nozioni giuridiche, che costituiscono ormai ius receptum, in materia di configurazione del danno all'immagine – danno di natura areddituale, come affermato dalla Corte di Cassazione (SS.UU., n. 5756, del 12 aprile 2012) - conseguente a lesione di beni-valori giuridici immateriali tutelati di cui risulta titolare il soggetto passivo, persona fisica o giuridica che sia, privata o pubblica e, quindi, anche la P.A. (diritti all'immagine, alla reputazione, all'identità storica, culturale e politica, costituzionalmente protetti e significativi), nonché in relazione alla risarcibilità di siffatto danno non patrimoniale dinanzi al giudice contabile, come recentemente positivizzato limitatamente ai modi e nei casi previsti per valenza conformativa all'art. 17, comma 30 ter, del d.l. n. 78/2009 e s.m.i., vale a dire solo ove si verifichino le condizioni del raggiungimento della soglia minima di offensività e nell'esclusivo ambito di una determinata tipologia o categoria di reati (rectius, delitti), vale a dire quelli cc.dd. propri o commessi da pubblici ufficiali contro la P.A., previsti e puniti “esclusivamente” a mente degli artt. 314-335 bis del c.p., accertati con sentenza irrevocabile di condanna (v. C. Cost., n. 355 del 2010, oltreché le recenti e sopravvenute pronunce nomofilattiche conformative contenute in C. conti, SS.RR. n. 1/QM/2011 e 13/QM/2011 e in Cass., SS.UU., n. 14831 del 2011 e n. 5756 del 2012; v., di recente, pronunce conformi di questa Sezione n. 22/2014 e n. 85/2015).
Di talché, non risulterebbero soddisfatte le condizioni di procedibilità stabilite dalla legge suscettibili di valutare la condotta del convenuto nella prospettiva dell'accertamento del predetto danno o lesione non derivante da tale tipologia di delitti, trovandoci nella fattispecie concreta al cospetto di reati previsti e puniti, come precisato, dal codice penale militare di pace anziché rientranti nel predetto alveo legislativo di carattere comune.
Circostanza che, del resto, non apparirebbe immune da profili di irragionevolezza che colliderebbero con lo stesso fondamentale principio contenuto nell'art. 3 Cost., a fronte dell'innegabile sostanziale corrispondenza e contiguità, ontologica e strutturale, apprezzabile riguardo agli elementi costitutivi che caratterizzano le distinte fattispecie criminose astratte previste dalle disposizioni precettive codicistiche, come evidenziato dalla stessa Procura, almeno in termini di modalità della condotta tipica e del soggetto danneggiato (si rifletta sull'accostamento tra il peculato militare, p.e p. dall'art.215 c.p.m.p. – che resterebbe irrilevante sotto il profilo analizzato – e l'analoga fattispecie delittuosa del peculato “comune”, p.e p. dall'art. 314 c.p.).
E ciò, a voler tacere della maggiore gravità ed odiosità, che potrebbe destare siffatto illecito penale anche e soprattutto in considerazione del delicato ed importante incarico o profilo rivestito all'interno della struttura statale dall'autore del reato, essendo esigibile dal militare un analogo se non maggior grado e sforzo di fedeltà.
Tuttavia, deve convenirsi con quanto sostenuto dalla Procura -richiamando e producendo in udienza di discussione adesiva giurisprudenza di questa Corte (SEZ. I CENTR. APP., 8/11/2013, n. 641)- dal momento che, per le ragioni suesposte, in presenza di una tale espressa qualificazione giuridica del tipo di sanzione processuale - invalidità che colpisce gli atti in questione, è necessario raccordare questa specifica ipotesi di nullità con le regole generali che ne disciplinano la rilevabilità e la sanatoria nell'ambito del processo
Il Giudice d'Appello ha ricordato che l'art. 157 c.p.c. stabilisce che l'eccezione di nullità di un atto processuale – salvo che la legge non disponga che sia pronunciata d'ufficio – deve essere dedotta dalla parte interessata nella prima istanza o difesa successiva all'atto o alla notizia di esso, specificando esplicitamente le ragioni dell'invalidità; in mancanza la nullità resta sanata e non può più essere eccepita dalla parte o rilevata dal giudice (Cass. civ. n. 21632 del 2006); disposizione che esplicita il più generale principio di cui all'art. 112 c.p.c., che impone al giudice di non pronunciarsi oltre i limiti determinati dalla domanda e sulle eccezioni che possono essere proposte soltanto dalle parti.
Si rivelerebbe erronea, quindi, la dichiarazione d'ufficio di nullità della domanda giudiziale risarcitoria proposta dalla Procura regionale in relazione a tale tipologia di danno all'immagine poiché riferita a reati che esulano dall'ambito delle fattispecie astratte previste contro la P.A., incorrendo nel vizio di ultrapetizione (art. 112 c.p.c., invalidando così l'azione dell'Organo requirente in assenza della necessaria eccezione della controparte, cui incombeva invece l'onere di proporre la relativa eccezione (art. 2907 c.c.; art. 99 c.p.c.).
Il Giudice di seconde cure –in quel caso- ha ritenuto che, applicando correttamente il descritto quadro normativo, la sentenza di primo grado avrebbe dovuto valutare nel merito la fondatezza della domanda attorea nella sua interezza, restando la nullità di cui all'art. 17, comma 30-ter, D.L. n. 78/2009 sanata dalla mancata eccezione di parte.
Su questo specifico punto, inoltre, sono recentemente intervenute le Sezioni Riunite di questa Corte che, con decisione n. 13/QM/2011, hanno offerto un inquadramento sistematico della questione evidenziando, in primo luogo, che “sebbene la nullità possa essere fatta valere da chiunque ne abbia interesse, essa non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, poiché quest'ultimo per definizione non può avere interesse nella causa” e precisando che “la lettera e la logica della disposizione in esame collegano il rilievo della nullità ad una iniziativa di parte, tanto in via d'azione che –a fortiori– di eccezione (eccezione che ha natura personale)”.
Deve, perciò, superarsi l'ostacolo della sanzione di nullità comminata tanto per gli atti processuali (come la presente citazione), quanto per quelli “istruttori” -in disparte da qualsiasi critica o considerazione sulla probabile delegittimazione o depotenziamento e compressione dell'azione del Procuratore contabile (che può ritenersi semplicemente “sospesa” in attesa dell'avveramento della condizione sospensiva della sentenza irretrattabile di condanna per delitti dei pp.uu. contro la P.A.) riguardanti l'esercizio dell'azione di responsabilità, dovendosi ritenere tale nullità essersi sanata per effetto dalla eccezione non sollevata da parte convenuta (rimasta addirittura contumace nel processo per sua libera scelta).
Ne consegue l'accoglimento della domanda relativa anche al danno all'immagine contestato; domanda che deve essere correttamente valutata dal Collegio nella sua interezza riservata alla cognizione del merito, attesa la ricordata assenza di vincolatività dell'accertamento, seppur incontrovertibile, avvenuto in sede penale ma al di fuori del dibattimento, non essendo esonerato il giudice contabile da un'autonoma e necessaria rivalutazione ed apprezzamento degli accadimenti fenomenici, come dianzi anticipato.
A tale riguardo, il Collegio ritiene sufficientemente – sebbene non dettagliatamente - integrato l'elemento costitutivo c.d. oggettivo della responsabilità amministrativa conseguente al danno da lesione all'immagine, trovando l'azione risarcitoria intrapresa dalla Procura piena giustificazione nel descritto discredito derivante dalla percezione esterna e dalla risonanza che i consociati abbiano avuto in relazione al sentimento di fastidio e di disagio avvertito ed alle negative e pregiudizievoli ripercussioni inerenti ai tradizionali compiti affidati alle Forze Armate, necessariamente improntati al rispetto dei canoni costituzionali e legislativamente posti (art. 97 Cost. e 1, L. n. 241/90 e s.m. e i.) di efficienza, efficacia, imparzialità e legalità dell'azione amministrativa, profondamente incisi dalle condotte illecite poste in essere dal convenuto.
Tanto sulla scorta dei principi dianzi affermati e dei perspicui fatti di causa si ritiene che lo sviluppo della vicenda in esame abbia senz'altro raggiunto quella “soglia minima” richiesta per configurare, anche secondo la Corte Regolatrice, il danno all'immagine rilevante giuscontabilmente, integrato, in specie, dal c.d. , per le innegabili ripercussioni “negative” che tale vicenda ha rivestito nei consociati o nell'opinione pubblica -in termini di credibilità, di prestigio e di affidamento nell'Amministrazione, valori della personalità che risulterebbero incrinati o compromessi e lesi- attraverso la sua divulgazione sugli organi di stampa (pag. 22 citazione) e tra gli intranei stessi alla P.A., pur volendo prescindere da qualsiasi apprezzamento dell'odioso fenomeno del coinvolgimento di soggetti cc.dd. “esterni” che hanno concorso, sebbene a loro insaputa nel caso di specie, agevolandola alla realizzazione del delitto, sebbene arrestatosi –per una delle fattispecie criminose contestate- alla fase del tentativo di furto (conformi, Sez. I App., n. 482/2010; Sez. II App., n.662/2001 e Sez. Lombardia, n. 132/2010).
Si tratta di elementi di giudizio di tale gravità che il Collegio, con libero apprezzamento, ravvisa idonei a fondare la responsabilità amministrativa in capo al convenuto per il danno da lesione dell'immagine inferto al Ministero della Difesa.
Né tale convincimento può essere infirmato o modificato nel caso in esame, neppure solamente in parte, dalla valutazione dei fatti-reato che costituiscono presupposti del danno all'immagine, poiché correlato a fattispecie delittuosa solamente tentata (il furto nel deposito di Este).
In proposito –aderendo alle argomentazioni svolte dal Pubblico ministero all'udienza di discussione e ricordando che ad integrare tale tipologia di danno concorrerebbero comunque i fatti-reato delle altre fattispecie criminose accertate in sede penale e che assumono indubbia rilevanza in questo giudizio- il Collegio rammenta che il riconoscimento dell'autonomia giuridica del tentativo nell'ambito del sistema penale quale titolo autonomo di reato è legato essenzialmente alla necessità di rispettare il principio costituzionale di legalità da cui discendono i corollari della riserva di legge, della tassatività e del divieto di analogia in materia penale, in base ai quali, a fronte dell'esigenza di prevenire l'esposizione a rischio dei beni giuridicamente protetti, viene garantito il favor rei.
Tuttavia, condividendo sul punto il recente indirizzo di questa Corte (Sez. I App., n. 641/2014; in senso conforme, vedi pure Sez. Giur. Campania, Ord. n. 287/2013), il Collegio ribadisce che le fattispecie delittuose “tentate” non costituiscono un minus rispetto alle fattispecie consumate, essendo ontologicamente dei reati perfetti in cui la proibizione dei fatti descritti nelle norme incriminatrici e precettive astratte di parte speciale viene estesa, in funzione anticipatoria rispetto alla consumazione, dalla norma di parte generale recata dall'art. 56 c.p.
Ebbene, la stretta correlazione che lega il delitto tentato e quello consumato deriva proprio dall'oggetto della tutela penale, poiché la norma sul delitto tentato non tutela un bene diverso da quello della norma incriminatrice primaria, ma ha per oggetto lo stesso bene: la ragione per cui si punisce il tentativo è esattamente la stessa per la quale si punisce il reato consumato.
Peraltro, anche in ambito penale, numerosi sono i casi in cui è stato ritenuto che gli effetti giuridici previsti dalla legge per le fattispecie consumate si producessero anche per quelle tentate (si pensi, ad esempio, alla procedibilità d'ufficio o a querela).
In tali casi è stata fatta applicazione del principio, enunciato dalla Cassazione, secondo cui pur costituendo il reato tentato una figura criminosa autonoma, non può ritenersi che in ogni caso, quando la legge si limita a fare riferimento all'ipotesi tipica, debba considerarsi esclusa quella tentata, dovendosi invece avere riguardo alla materia cui la legge si riferisce ed alla sua ratio, onde stabilire se sia compresa o meno l'ipotesi del tentativo (Cass. Ord. n. 201/1978).
Anche il Collegio è del parere che tale impostazione ermeneutica, conforme al principio di ragionevolezza sotteso alla stretta correlazione tra delitto tentato e consumato data dall'unità dell'oggetto della tutela, non può che valere anche nell'ambito della responsabilità amministrativa per danno all'immagine di cui all'art. 17, comma 30 ter, del D.L. n. 78/2009.
Peraltro, è appena il caso di ricordare come l'attività delittuosa solo in parte realizzata dall'Anzillotti sia stata interrotta, in flagranza di reato, proprio ad opera dei militari dell'Arma dei Carabinieri, i quali prontamente si erano recati sul posto evitando che il reato assumesse ben più gravi ed estreme conseguenze mediante integrazione della fase di consumazione.
Alla stregua delle considerazioni sopra esposte, il Collegio ritiene sussistere, nella specie, tutti gli elementi costitutivi del danno all'immagine dell'Amministrazione conseguente alla condotta tenuta dagli odierni appellati, atteso che i fatti descritti e ampiamente provati nel giudizio di primo grado hanno certamente.
5. Relativamente alla quantificazione del danno all'immagine accertato, il Collegio, in linea con l'orientamento espresso in analoghe vicende anche dal giudice di appello, osserva che, attesa la particolare configurazione del nocumento in parola, non è possibile o agevole addivenire ad una precisa determinazione del pregiudizio subito dall'erario (“dovendosi ritenere che, in tesi, qualsiasi spesa sostenuta dall'Amministrazione, in quanto funzionalizzata al buon andamento ed all'imparzialità, abbia perciò stesso concorso al mantenimento ed all'elevazione dell'immagine pubblica” - Sez. III^ Centr. App. n. 160/2012).
Diversamente, per le ragioni suesplicitate in termini di inapplicabilità della legge anticorruzione (L. n. 190/2012, art. 1, co. 62), va disattesa sul punto la domanda principale proposta dalla Procura di ricorso per la sua liquidazione alla previsione legale del criterio equitativo pari al doppio del valore costituente il danno c.d. diretto liquidato (615.694,07 euro e, quindi, 1.231.388,14,per un totale di 1.847.082,21 euro).
Per la liquidazione del danno all'immagine causato, una volta accertatane la sussistenza nei termini esplicitati, va senz'altro fatto ricorso al criterio tecnico ausiliario di liquidazione equitativa in considerazione delle allegazioni della parti ma anche dell'ontologica difficoltà di individuazione precisa del suo esatto ammontare.
In proposito, la giurisprudenza (v., per tutte SS.RR. n. 10/2003 e Sez. III Centrale, n. 220/2013) è solita valorizzare l'oggettiva gravità del fatto, le modalità di realizzazione dell'illecito, la reiterazione della condotta, l'entità dell'arricchimento, il grado di diffusività dell'episodio nell'ambito della collettività di appartenenza. Notevole rilevanza assumono, rispettivamente, anche il ruolo e la qualifica dell'autore dell'illecito (v. Cassazione, SS.UU., 25/2/2010, n. 15208, conferisce rilevanza al ruolo sociale e pubblico del soggetto agente e l'entità del discredito proiettato verso l'esterno per effetto dei mezzi di informazione).
Liquidazione del danno che non può prescindere dall'individuazione dei criteri oggettivi (somme di danaro o utilità patrimoniali conseguite, seppure di modesta entità), soggettivi (ruolo ricoperto all'interno della società statale) e sociali (risonanza e sentimento di discredito e di sfiducia delle istituzioni rappresentate, anche in relazione all'offesa recata indirettamente ad altri dipendenti e colleghi che, invece, operano con dedizione, onestà, rettitudine e diligenza).
In tal senso valutati, in particolare, gli elementi discendenti dalla qualità del soggetto agente rivestita nell'ambito della struttura amministrativa (Maresciallo ordinario) e richiamati i criteri dettati con riferimento alla personalità del reo intesa come capacità a commettere illeciti (art. 133 c.p., applicabile per analogia) desunta anche dalla particolare “odiosità” del metodo adoperato che ne ha caratterizzato la sua condotta e dalla vita anteatta in generale (compresi i precedenti di carriera e quelli disciplinari) ma anche della diffusività dell'episodio nella collettività e della negativa impressione suscitata nell'opinione pubblica, unitamente all'amplificazione del fatto da parte dei mass-media e della capacità lesiva del fatto, il Collegio reputa congruo determinare il risarcimento del relativo danno nella misura proposta, in via subordinata, dalla Procura, di 191.657,70 euro.
Ammontare che va commisurato allo stipendio annuo lordo percepito dall'ex militare allo stipendio fin tanto ché ha prestato servizio nell'Esercito (€ 31.942,95 - doc. 27), moltiplicato per il numero di episodi delittuosi (€31.942,95x3=€ 95.828,85), e raddoppiato in ragione del considerevole valore del materiale sottratto (€ 95.828,85x2), vale a dire € 191.657,70 euro.
Tale convincimento riposa anche sulla considerazione che il sinallagma intercorrente tra la prestazione lavorativa e la retribuzione, giustificandole, si può reputare integralmente interrotto a causa della violazione del rapporto fiduciario di pubblico impiego che lega indissolubilmente il dipendente alla P.A.; considerazioni pressoché analoghe è possibile rinvenire nella giurisprudenza amministrativa richiamata dalla Procura regionale (Cons. St., Sez. VI, n. 1335/2011).
Sebbene rilevante, principalmente, sotto il profilo civilistico, non va infatti trascurato che il rapporto lavorativo è inesorabilmente compromesso o incrinato per via del disdicevole e grave, quanto illecito, comportamento del dipendente infedele che rende illecita, non permettendole di funzionare (vizio funzionale), la causa stessa della prestazione resa ed oggetto di tale rapporto costituito col contratto di lavoro, rivelandosi contraria a norme imperative o all'ordine pubblico, non potendosene escludere in astratto l'improduttività degli effetti giuridici mirando a tutelare e proteggere interessi fondamentali e generali prevalenti rispetto a quelli delle parti contrattuali, secondo il regime legale riconducibile al paradigma degli artt. 1175, 1375, 1325, 1343, co. 1, 1418, co. 1 e 2, e 2126 c.c.
Conclusivamente, il convenuto va riconosciuto responsabile dell'illecito amministrativo contestatogli in relazione ad entrambe le voci di danno e, per l'effetto, condannato al risarcimento, in favore del Ministero della Difesa, del danno patrimoniale diretto di 615.694,07 euro e del danno all'immagine di 191.657,70 euro, per un totale di 807.351,77 euro, oltre ad interessi legali e/o rivalutazione monetaria da liquidarsi secondo gli indici ISTAT, attesa l'indubbia natura di debito di valore dell'obbligazione risarcitoria del danno (Cass., SS.UU., 17 febbraio 1995, n. 1712; idem, Cass., Sez. III, 10 marzo 2006, n. 5234) a decorrere dall'11/6/2012, data di deposito della sentenza n. 22686/2012 della Corte di Cassazione, ultima pronuncia, in ordine di tempo, che esaurisce il ciclo della vicenda in esame, caratterizzata e cementata dal medesimo disegno criminoso, rendendo, anche in questo caso, irretrattabile la condanna penale intervenuta a carico del convenuto e definendo, per l'effetto, l'integrale pretesa risarcitoria azionata; oltre ad interessi corrispettivi, questi ultimi a decorrere dalla data di pubblicazione della presente sentenza fino al soddisfo.
Le spese di giudizio sono soggette, naturalmente, al regime giuridico ispirato al principio della soccombenza (art. 91 c.p.c.) per cui sono poste a carico del convenuto e liquidate, in favore dello Stato, nella misura indicata nel dispositivo, ad esclusione delle spese di notifica dell'invito a dedurre, pure richiesta dal Procuratore (11,94 euro), il cui adempimento però inerisce ad attività doverosa ed istituzionale di indagine preliminare oggetto della fase preprocessuale di cui è titolare il P.M., che, sebbene possa sfociare in esso, esula dal giudizio vero e proprio e dalle spese che esso comporta, poiché introdotto solo successivamente ed eventualmente col deposito della citazione nella Sezione giurisdizionale.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale Regionale per il Veneto, definitivamente pronunciando, accoglie la domanda attorea e, per l'effetto, condanna il convenuto al pagamento, in favore dell'Amministrazione della Difesa, della somma complessiva di 807.351,77 euro (di cui 615.694,07 euro a titolo di danno diretto e 191.657,70 euro per danno all'immagine), oltre interessi legali e/o rivalutazione monetaria a decorrere dall'11/6/2012,data di deposito della sentenza n. 22686/2012 della Corte di Cassazione, e interessi legali a decorrere dalla data di pubblicazione della sentenza e sino all'integrale soddisfo.
Le spese di giudizio, che seguono la soccombenza, vengono liquidate in favore dello Stato in € 539,13 (euro cinquecentotrentanove/13)
Manda alla segreteria della Sezione per gli adempimenti di competenza.
Così deciso in Venezia, nella camera di consiglio del 16 ottobre 2014.
Il MAGISTRATO Estensore IL PRESIDENTE
F.to Dott. Gennaro Di Cecilia F.to Dott. Angelo Buscema
Depositata in Segreteria l' 08/07/2015
IL FUNZIONARIO PREPOSTO
F.to Nadia Tonolo
22-11-2015 19:28
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