Reati commessi da militari della N.A.T.O. in territorio nazionale. Guida senza patente.
Cassazione penale sez. IV 26/03/2015 ( ud. 26/03/2015 , dep.21/05/2015 ) Numero: 21269
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FOTI Giacomo - Presidente -
Dott. BLAIOTTA Rocco Marco - Consigliere -
Dott. PICCIALLI Patrizia - Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
Dott. DELL'UTRI Marco - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.A. n. il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 3342/2012 pronunciata dal Tribunale di Catania
il 22/4/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita nell'udienza pubblica del 26/3/2015 la relazione fatta dal
Cons. Dott. DELL'UTRI Marco;
udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. GIALANELLA A.,
che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 22/4/2013, il tribunale di Catania ha condannato B.A. alla pena di Euro 3.000,00 di ammenda in relazione al reato di guida senza patente (per non averla mai conseguita), commesso in (OMISSIS) (data così precisata dal pubblico ministero all'udienza del 12/11/2012 dinanzi al giudice di primo grado).
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in appello l'imputato, dolendosi, in primo luogo, della violazione di legge in cui sarebbe incorso il tribunale di Catania per aver erroneamente applicato la Convenzione tra gli Stati partecipanti al Trattato Nord Atlantico sullo statuto delle loro Forze armate, firmata a Londra il 19 giugno 1951 (L. n. 1335 del 1955) e il relativo Regolamento (D.P.R. n. 1666 del 1956).
In particolare, il ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto non accoglibile l'istanza di parte americana di rinunzia al diritto di priorità nell'esercizio della giurisdizione spettante allo Stato italiano, per non avere il Ministro della Giustizia italiano avanzato la richiesta di tale rinunzia prima della notifica all'imputato del decreto di citazione a giudizio.
Sul punto, il ricorrente evidenzia come il Ministro della Giustizia italiano non avesse potuto decidere circa la rinunzia dello Stato italiano alla priorità nell'esercizio della giurisdizione, non avendo lo stesso ricevuto il rapporto informativo previsto dal citato Regolamento; rapporto da redigere a cura della procura della Repubblica e da trasmettere all'autorità governativa tramite il procuratore generale.
Peraltro, secondo il ricorrente, con il D.P.R. n. 27 del 2013 è stato emanato un nuovo Regolamento relativo all'applicazione dell'art. 7^ della Convenzione in esame, in forza del quale la richiesta di rinuncia al diritto di giurisdizione, da parte dello Stato italiano, può essere fatta in ogni stato e grado del procedimento fino al passaggio in giudicato della sentenza.
Con il secondo motivo di ricorso, l'imputato eccepisce la nullità in cui sarebbe incorso il tribunale di Catania, per aver trascurato di adempiere alla prescrizione di cui all'art. 7^, par. 9/g della citata Convenzione di Londra, ai sensi del quale dev'essere dato tempestivo avviso della celebrazione del processo al più vicino comando Nato dal quale dipende il militare imputato.
Con il terzo motivo, il ricorrente censura la sentenza impugnata per aver omesso di rilevare, nel verbale di elezione domicilio e nomina di difensore, l'assenza di alcuna menzione dell'elezione di domicilio o della nomina di un difensore da parte dell'indagato, in palese violazione dell'art. 161 c.p.p..
Da ultimo, con il quarto motivo, il ricorrente si duole dell'eccessiva gravità del trattamento sanzionatorio inflitto all'imputato, in assenza di alcuna adeguata motivazione 3. Con ordinanza in data 28/11/2014, la Corte d'appello di Catania, sul presupposto dell'inappellabilità della sentenza, ha trasmesso gli atti a questa Corte di cassazione.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Tutti i motivi d'impugnazione proposti dal ricorrente sono privi di fondamento.
Preliminarmente, osserva la Corte come, sulla base di un risalente orientamento della giurisprudenza di legittimità (che questo collegio ribadisce e conferma nella sua interezza), in tema di reati commessi da militari della N.A.T.O., la mancata comunicazione da parte dell'autorità giudiziaria al Ministero della Giustizia delle informazioni occorrenti per l'esercizio della facoltà di rinuncia alla giurisdizione, non comporta alcuna conseguenza processuale (Sez. 3^, Sentenza n. 11392 del 12/05/1987, Rv. 176957), trattandosi di prescrizioni che non attengono al rispetto o alla maturazione di eventuali condizioni di procedibilità, nè all'eventuale tutela di qualsivoglia prerogativa propria di taluna parte processuale, ferma restando l'eventuale facoltà, propria del Ministro competente, di formulare in ogni momento, entro i termini previsti dalla legge, la richiesta di rinuncia alla giurisdizione, pur fino al termine costituito dal passaggio in giudicato della sentenza impugnata, a voler ammettere l'applicabilità, al caso di specie, del D.P.R. n. 27 del 2013 con il quale è stato emanato un nuovo Regolamento relativo all'applicazione dell'art. 7^ della Convenzione di Londra (in forza del quale la richiesta di rinuncia al diritto di giurisdizione, da parte dello Stato italiano, può essere fatta in ogni stato e grado del procedimento fino al passaggio in giudicato della sentenza).
5. Costituisce, viceversa, causa di nullità l'omessa comunicazione - da parte del giudice procedente - dell'avviso del giorno fissato per il dibattimento al comandante del reparto al quale l'imputato appartiene, o al più vicino comando o ufficio dello stato d'origine, affinchè possa presenziare al processo (D.P.R. 2 dicembre 1956, n. 1666, art. 5) (Sez. 5^, Sentenza n. 16999 del 19/01/2001, Rv.
219026).
A tale nullità, peraltro - già qualificata come assoluta e insanabile sotto il vigore del codice di rito previgente (Sez. 3^, Sentenza n. 11392 del 12/05/1987, Rv. 176957, cit.) - dev'essere attualmente riconosciuta natura intermedia (cfr. art. 180 c.p.p.), con la conseguente relativa sanabilità ove non dedotta o rilevata nei termini di cui al medesimo art. 180 c.p.p..
Al riguardo, conviene rilevare come appaia del tutto corretta la qualificazione del rappresentante dello Stato estero, non già quale semplice osservatore della vicenda processuale, bensì quale coadiutore (pur se non difensore tecnico) per la difesa più ampia ed efficiente della posizione processuale dei militari Nato, diretta a completare la normale difesa assicurata dallo Stato di soggiorno, la quale, per la normale mancanza, nel difensore locale, della conoscenza della lingua e dei costumi, è stata dalla legge evidentemente ritenuta non del tutto idonea a soddisfare in pieno l'esigenza di tutela, morale e materiale, degli interessi di quei qualificati soggetti.
Non sembra dunque potersi dubitare che l'omesso avviso di cui trattasi abbia riflesso sull'assistenza e la rappresentanza in giudizio dell'imputato, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 178 c.p.p., lett. c).
Nel caso di specie, peraltro, avendo la difesa dell'odierno imputato trascurato di eccepire il rilievo di detta nullità per tutto il corso del giudizio, deve ritenersi inammissibile la proposizione di detta eccezione per la prima volta in questa sede di legittimità (cfr. art. 180 c.p.p.), per l'intervenuta sanatoria del vizio connesso all'omissione denunciata.
6. Del tutto privo di consistenza deve infine ritenersi il motivo di doglianza sollevato dall'imputato con riguardo all'omesso rilievo, da parte del giudice a quo, della violazione dell'art. 161 c.p.p., (per l'assenza di alcuna menzione dell'elezione di domicilio o della nomina di un difensore da parte dell'indagato nel verbale di elezione domicilio e nomina di difensore), avendo il ricorrente omesso di indicare l'eventuale pregiudizio sofferto per effetto della denunciata violazione, attesa peraltro l'avvenuta formale elezione di domicilio e la disposta nomina di un proprio difensore di fiducia, da parte dell'imputato, secondo quanto risultante dalle corrispondenti dichiarazioni sottoscritte dal medesimo B. in data 11/2/2010 (cfr. il relativo documento in atti).
7. Da ultimo, infondato è il motivo di ricorso proposto dall'imputato con riguardo al trattamento sanzionatorio allo steso inflitto.
Sul punto, è appena il caso di rilevare come, secondo l'insegnamento di questa corte di legittimità, il dovere di dettare una motivazione dotata di specificità e articolata in dettaglio deve ritenersi necessaria, in ordine alla quantità di pena irrogata, soltanto se la pena concretamente inflitta sia superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti esser sufficiente, a dar conto dell'impiego dei criteri di cui all'art. 133 c.p., le espressioni del tipo "pena congrua" o "pena equa" (come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere o, in modo onnicomprensivo, ai criteri di cui all'art. 133 c.p.) (cfr. Cass., Sez. 2^, n. 36245/2009, Rv. 245596), atteso che la scelta di tali termini può ritenersi sufficiente a far ritenere che il giudice abbia tenuto conto, intuitivamente e globalmente, di tutti gli elementi previsti dall'art. 133 c.p. (Cass., Sez. 6^, n. 7251/1990, Rv. 184395).
Nella specie, il giudice di primo grado, nell'infliggere all'odierno imputato la pena di Euro 3.000,00 di ammenda - inferiore al minimo edittale -, indicando espressamente di aver tenuto conto della gravità del reato e della capacità a delinquere dell'imputato, deve ritenersi aver soddisfatto i criteri più sopra indicati, dettando una motivazione certamente sufficiente in relazione alla concreta entità della sanzione irrogata.
8. L'accertamento della totale infondatezza dell'odierno ricorso non esime tuttavia il collegio dal rilievo dell'intervenuta prescrizione del reato per il quale l'imputato è stato tratto a giudizio, trattandosi di un'ipotesi di guida senza "patente commessa in data (OMISSIS)".
Al riguardo, ritenuto che l'odierno ricorso avanzato dall'imputato non appare manifestamente infondato, nè risulta affetto da profili d'inammissibilità di altra natura, occorre sottolineare, in conformità all'insegnamento ripetutamente impartito da questa Corte, come, in presenza di una causa estintiva del reato, l'obbligo del giudice di pronunciare l'assoluzione dell'imputato per motivi attinenti al merito si riscontri nel solo caso in cui gli elementi rilevatori dell'insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale all'imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una "constatazione", che a un atto di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Cass., n. 35490/2009, Rv. 244274).
E invero il concetto di "evidenza", richiesto dell'art. 129 c.p.p., comma 2, presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in qualcosa di più di quanto la legge richiede per l'assoluzione ampia, oltre la correlazione a un accertamento immediato (cfr. Cass., n. 31463/2004, Rv. 229275).
Da ciò discende che, una volta sopraggiunta la prescrizione del reato, al fine di pervenire al proscioglimento nel merito dell'imputato occorre applicare il principio di diritto secondo cui "positivamente" deve emergere dagli atti processuali, senza necessità di ulteriore accertamento, l'estraneità dell'imputato a quanto allo stesso contestato, e ciò nel senso che si evidenzi l'assoluta assenza della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua innocenza, non rilevando l'eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della prova che richiede il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte risultanze (v.
Cass., n. 26008/2007, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui dell'art. 129 c.p.p., comma 2, attesa altresì la rilevata infondatezza di tutti i motivi di ricorso proposti in questa sede dal ricorrente.
9. Sulla base delle considerazioni che precedono, ai sensi del richiamato art. 129 c.p.p., la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per essere il reato contestato all'imputato estinto per prescrizione.
PQM
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, annulla senza rinvio la sentenza impugnata essendo il reato estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 marzo 2015.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2015
07-06-2015 15:59
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