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Sentenza

1° rgt bersaglieri Cosenza: condannato caporalmaggiore per insubordinazione con ...
1° rgt bersaglieri Cosenza: condannato caporalmaggiore per insubordinazione con ingiuria, in appello, ma per la Cassazione il processo è da rifare.
Cassazione penale, sez. I, 03/03/2015, (ud. 03/03/2015, dep.08/06/2015),  n. 24384
    

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE PRIMA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. DI TOMASSI Maria Stefani -  Presidente   -                     
Dott. CASSANO    Margherita    -  Consigliere  -                     
Dott. SANDRINI   Enrico G -  rel. Consigliere  -                     
Dott. LA POSTA   Lucia         -  Consigliere  -                     
Dott. CASA       Filippo       -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
             M.A. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la sentenza n. 38/2014 CORTE MILITARE APPELLO di  ROMA,  del 
02/07/2014; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 03/03/2015 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. SANDRINI ENRICO GIUSEPPE; 
Udito  il  Procuratore Generale in persona del  Dott.  FLAMINI  Luigi 
Maria, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso. 
Udito  il  difensore Avv. AREDDU Aldo, che ha chiesto  l'accoglimento 
del ricorso. 
                 


Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 2.07.2014 la Corte Militare di Appello, in parziale riforma della sentenza pronunciata il 9.10.2013 dal Tribunale Militare di Napoli:

- condannava M.A. alla pena (sospesa) di mesi 2 di reclusione militare, previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti contestate, per il reato di insubordinazione con ingiuria di cui all'art. 189 c.p.m.p., (dal quale l'imputato era stato assolto in primo grado perchè il fatto non sussiste), commesso l'11.01.2013 e consistito nell'essersi, in qualità di caporal maggiore capo dell'esercito italiano in servizio presso il 1 reggimento bersaglieri di Cosenza, rifiutato di obbedire all'ordine impartitogli dal suo superiore, sergente C.F., nel corso dell'adunata per la cerimonia di alzabandiera, di posizionarsi più avanti tra le prime file della compagnia schierata, pronunciando in tale contesto le parole offensive dell'onore e della dignità del superiore gerarchico riportate nel capo d'imputazione,rivolgendosi sia a lui direttamente che al comandante di squadra G.S.;

- confermava nel resto la sentenza di prima cura con riguardo all'assoluzione perchè il fatto non sussiste, sia pure per motivi in parte diversi, pronunciata dal Tribunale per il concorrente reato di insubordinazione con minaccia.

La sentenza d'appello dava atto che l'assoluzione dal reato di insubordinazione con ingiuria era stata motivata dal Tribunale sul presupposto dell'esistenza di due versioni contrastanti sul reale contenuto delle esternazioni dell'imputato, emerse dall'istruttoria dibattimentale, rappresentate da un lato dalle dichiarazioni della persona offesa e dei testi G. e D., confermative della tesi accusatoria, e dall'altro dalle dichiarazioni dei testi S. e V., che avevano invece escluso che il M. avesse proferito le frasi ingiuriose riportate nell'imputazione, così da non consentire raggiunta la prova oltre ogni ragionevole dubbio della sussistenza del fatto.

La Corte territoriale riteneva peraltro fondato, sul punto, l'appello proposto sia dal procuratore militare della Repubblica presso il Tribunale militare di Napoli che dal procuratore generale militare della Repubblica presso la Corte militare di appello, in quanto l'esame delle complessive deposizioni testimoniali non evidenziava tanto l'esistenza di due versioni diverse e inconciliabili dell'episodio incriminato, quanto una diversa percezione delle parole proferite dall'imputato in ragione del diverso posizionamento dei testi e del diverso grado d'attenzione dagli stessi prestato a quanto stava avvenendo; in particolare il C. e il G., direttamente investiti dalle espressioni ingiuriose del M., si trovavano nelle immediate vicinanze dell'imputato, a differenza del S. e del V., posizionati più distanti e autori di contributi dichiarativi meno precisi su quanto da loro percepito; la Corte riteneva pertanto provato e integrato il reato, in relazione alla natura lesiva del prestigio del superiore gerarchico delle modalità e delle circostanze secondo cui il M. aveva replicato all'ordine del C., alla presenza dei militari schierati per l'alzabandiera.

2. Ricorre per cassazione M.A., a mezzo del difensore, deducendo tre motivi di gravame, coi quali lamenta:

- vizio di motivazione della sentenza impugnata, consistito nell'aver illogicamente ritenuto che il grado di attenzione dei destinatari diretti, e perciò maggiormente coinvolti emotivamente (con conseguente plausibile alterazione del relativo ricordo), delle espressioni ingiuriose dovesse essere superiore a quello di chi vi aveva invece assistito in veste di teste disinteressato, nonchè nell'aver attribuito ai singoli testi una posizione differenziata rispetto a quella dell'imputato, che non trovava riscontro nelle risultanze processuali; il ricorrente critica il diverso e immotivato grado di attendibilità attribuito dalla Corte territoriale al C., al G. e al D. rispetto al S. e al V., senza sottoporre a penetrante vaglio critico le dichiarazioni della persona offesa, e rileva che proprio il S. e il V., lungi dal rendere deposizioni vaghe e incerte, avevano escluso con sicurezza di aver sentito l'imputato pronunciare le parole incriminate, riferendone altre prive di significato offensivo;

- violazione di legge con riguardo all'art. 189 c.p.m.p., deducendo l'assenza di natura ingiuriosa dell'espressione "non mi devi rompere i coglioni" attribuita all'imputato, costituente mero sfogo di volgarità priva di carica dispregiativa e lesiva del decoro del destinatario, non connotata da un'aggressione diretta alla persona del superiore;

- violazione di legge con riguardo agli artt. 51 e 54 c.p., alla stregua della causa di giustificazione della condotta del M. rappresentata dalla sua inidoneità, documentata da certificazione medica, alle prove di efficienza operativa, tale da legittimare l'inottemperanza all'ordine del superiore a scalare di posto, a tutela del diritto alla salute e della necessità dell'imputato di evitare il pericolo di un grave nocumento alla propria incolumità fisica.

3. Con successiva memoria depositata il 3.02.2015, il difensore dell'imputato ribadisce le ragioni di gravame, lamentando l'assenza nella motivazione della sentenza di secondo grado del rigore ricostruttivo che deve supportare il ribaltamento della decisione assolutoria di primo grado.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso dell'imputato è fondato, nei termini e per le ragioni che seguono.

2. Dal testo della sentenza impugnata risulta evidente che la Corte d'appello ha riformato la sentenza assolutoria di primo grado sulla scorta esclusiva di una rivalutazione nel merito, operata su base meramente cartolare (mediante lettura dei verbali delle relative deposizioni), dell'attendibilità dei contenuti degli esami rispettivamente resi, nel corso del dibattimento di prime cure, dalla persona offesa e dai militari G. e D., da un lato, e dai militari S. e V., dall'altro, tutti presenti all'episodio di cui hanno fornito versioni diverse e contrastanti tra loro, con specifico riguardo al tema decisivo dell'effettivo proferimento da parte dell'imputato, in tale contesto, di frasi, di ritenuta valenza insubordinatoria, offensive dell'onore e della dignità del superiore gerarchico che aveva ordinato al M. di modificare la sua posizione nelle file della compagnia schierata per la cerimonia dell'alzabandiera.

Dalla motivazione della sentenza del Tribunale emerge che il S. e il V. non si sono limitati a escludere di aver udito l'imputato pronunciare frasi del tenore di quelle riportate nel capo d'imputazione, ma hanno riferito, diversamente dagli altri testi escussi, di aver sentito il M. esprimersi e rivolgersi al sergente C., a seguito dell'ordine ricevuto, in termini molto più blandi, del tipo "Non posso andare avanti, poi ti spiego" ovvero "Guarda poi ti spiego" (pagina 4), così che tra i rispettivi gruppi di dichiarazioni è ravvisabile un oggettivo contrasto, che postula per la sua soluzione un giudizio dialettico di valutazione di attendibilità delle fonti, i cui esiti hanno condotto il Tribunale a ritenere insuperabile la persistenza di un ragionevole dubbio sul proferimento delle frasi incriminate (così determinando l'assoluzione dell'imputato perchè il fatto non sussiste), e che è stato invece riformulato dalla Corte territoriale nel senso di privilegiare l'attendibilità dei testi d'accusa sulla base sia di una ritenuta migliore percezione uditiva dovuta alla loro posizione di prossimità all'imputato (rispetto a quella, più distante, degli altri testi), sia della maggiore attenzione che i diretti destinatari delle parole del M., e in particolare il sergente C., dovevano aver prestato alla vicenda.

La Corte d'appello ha dunque proceduto a rivalutare i risultati della prova testimoniale, sotto il profilo del diverso grado di attendibilità attribuito ai testi escussi, pervenendo a esiti opposti a quelli del giudice che aveva proceduto all'assunzione diretta della prova nelle forme di immediatezza percettiva assicurate dall'oralità del dibattimento, senza ascoltare nuovamente le persone esaminate, e ha quindi riformato in peius la sentenza assolutoria di prime cure seguendo un percorso decisionale che viola il principio discendente dall'art. 6 della CEDU, così come interpretato dalla sentenza del 5 luglio 2011 della Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Dan c/ Moldavia, che deve ritenersi acquisito nell'ordinamento interno alla stregua dell'orientamento più volte ribadito da questa Corte suprema, che obbliga - nell'ipotesi di reformatio in peius della sentenza di assoluzione - il giudice d'appello a rinnovare l'istruzione dibattimentale per escutere, nel contraddittorio con l'imputato, le prove orali, aventi carattere di decisività, di cui avverta la necessità di valutare diversamente l'attendibilità rispetto a quanto ritenuto dal giudice di primo grado (da ultime, vedi Sez. 5^ n. 52208 del 30/09/2014, Rv. 262115, e Sez. 5 n. 6403 del 16/09/2014, Rv. 262674).

La relativa violazione di diritto - che riveste natura assorbente nell'ambito della censura complessivamente rivolta dal ricorrente alla tenuta motivazionale della sentenza impugnata sotto il profilo dell'illogica rivalutazione da essa operata dei risultati della prova testimoniale e dell'attendibilità dei testi escussi, di cui il motivo di gravame lamenta espressamente l'assenza del rigore critico necessario a supportare il capovolgimento della pronuncia assolutoria di primo grado - è rilevabile anche d'ufficio in sede di giudizio di legittimità, posto che le decisioni della Corte EDU, quando evidenziano una situazione di oggettivo contrasto della normativa interna con la Convenzione europea, assumono rilevanza anche nei processi diversi da quello nell'ambito del quale sono state pronunciate (Sez. 2^ n. 677 del 10/10/2014, Rv. 261555; Sez. 3 n. 11648 del 12/11/2014, Rv. 262978).

3. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata, con rinvio alla Corte militare d'appello (in altra composizione) per nuovo giudizio da celebrarsi in conformità al principio discendente dall'art. 6 della CEDU nei termini statuiti da questa Corte, restando assorbite le ulteriori ragioni di doglianza del ricorrente, con le quali il giudice di merito provvederà comunque confrontarsi.
PQM
P.Q.M.

Annulla la sentenza Impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte militare d'appello.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2015.

Depositato in Cancelleria il 8 giugno 2015
Avv. Antonino Sugamele

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