Comandante della sezione operativa gdf dice al suo capitano:vattene a fare in culo, stronzo, hai capito bastardo? Hai rotto il cazzo, hai capito che hai rotto il cazzo?...non te lo sei portato lo sceriffo?, offendendone il prestigio, l'onore e la dignità.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 15/03/2016) 23-09-2016, n. 39707
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VECCHIO Massimo - Presidente -
Dott. DI TOMASSI Maria Stefani - Consigliere -
Dott. SARACENO Rosa Ann - rel. Consigliere -
Dott. MANCUSO Luigi Fabrizi - Consigliere -
Dott. MINCHELLA Antonio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
L.N., N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 17/2015 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA del 27/05/2015;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/03/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA ANNA SARACENO;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. FLAMINI Luigi Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il difensore avv. Zumpano Giuseppe, che ha chiesto l'annullamento della sentenza impugnata.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza resa il 27 maggio 2015 la Corte militare di appello confermava la sentenza, 28 ottobre 2014, con la quale il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale militare di Napoli aveva ritenuto l'imputato L.N., comandante della sezione operativa della compagnia della Guardia di Finanza di Rossano, responsabile del delitto di insubordinazione con ingiuria aggravata di cui all'art. 189 c.p.m.p. , comma 2, art. 190 c.p.m.p. , comma 1, n. 2, art. 47 c.p.m.p, n. 2, in danno del capitano T.N. e, per l'effetto, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 48 c.p.m.p. , comma 2, stimate prevalenti sulle contestate aggravanti, con la diminuente per il rito, lo aveva condannato alla pena di mesi due di reclusione militare, con i doppi benefici di legge.
1.1 Il fatto, ritenuto pienamente provato nella sua materialità, era stato commesso in (OMISSIS), allorchè, nel corso di una perquisizione presso l'abitazione del L., eseguita ai sensi della normativa in materia di accise, l'imputato aveva contestato la legittimità e l'opportunità dell'operato dei suoi commilitoni, dapprima rivolgendo indistintamente agli operanti la frase " ora vi faccio vedere io... vi faccio vedere io...mi dispiace che qualche ragazzo ci andrà di mezzo"; successivamente pronunciando all'indirizzo del capitano T., comandante della Compagnia di (OMISSIS) e suo superiore in grado, in sua presenza, le parole "vattene a fare in culo, stronzo, hai capito bastardo? Hai rotto il cazzo, hai capito che hai rotto il cazzo?...non te lo sei portato lo sceriffo?", così offendendone il prestigio, l'onore e la dignità.
1.2 La Corte di appello, in sintonia con le conclusioni raggiunte dal primo decidente, ha ritenuto che il fatto fosse stato commesso per cause inerenti al servizio e alla disciplina militare e non estranee agli interessi istituzionali tutelati, con la conseguenza che sussisteva e risultava pienamente integrato il reato contestato come insubordinazione, ai sensi dell'art. 189 c.p.m.p. , comma 2, mentre non vi era spazio per la ricorrenza delle cause di esclusione di cui all'art. 199 c.p.m.p. , evocato dall'appellante, e per la derubricazione del fatto a reato contro la persona - e non contro la disciplina militare - previsto dall'art. 226 c.p.m.p..
1.3 Ha respinto, inoltre, la richiesta di esclusione della punibilità ai sensi dell'art. 131 bis c.p., valorizzando le connotazioni modali della condotta, contraddistinta dalla particolare grevità delle espressioni offensive e da accesa animosità.
2. Avverso la ridetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del suo difensore avvocato Giuseppe Zumpano, il quale ne ha chiesto l'annullamento, articolando due motivi.
2.1 Con il primo denunzia violazione della legge penale per erronea applicazione degli artt. 189 e 199 c.p.m.p. e vizio di motivazione per contraddittorietà e manifesta illogicità. Ad avviso del ricorrente, la Corte territoriale ha erroneamente negato la ricorrenza delle cause di esclusione del reato di insubordinazione di cui all'art. 199 c.p.m.p. , in particolare ravvisando una correlazione tra la condotta e le ragioni di disciplina militare, sebbene il L., libero dal servizio, senza qualificarsi come militare e senza far valere tale sua posizione, avesse agito da privato cittadino, fondatamente ritenendo illegittimo l'operato dei finanzieri e, di conseguenza, reagendo verbalmente nei confronti di chi dirigeva quell'operazione. La condotta tenuta non presentava alcuna correlazione funzionale con il servizio e la disciplina militare, con la conseguenza che, nella specie, non era da ritenere applicabile la speciale fattispecie preordinata alla tutela del rapporto di gerarchia militare; si trattava al più di ingiurie militari semplici, non procedibili per difetto della prescritta richiesta del comandante del corpo.
2.2 Con il secondo motivo deduce violazione della legge penale per erronea applicazione dell'art. 131 bis c.p. e vizio di motivazione, contestando la ritenuta insussistenza della causa di esclusione della punibilità, della quale ricorrevano, al contrario, i presupposti di legge: estemporaneità della condotta, esiguità del danno, modestia del fatto e del suo disvalore, positiva personalità dell'imputato, parametri valorizzati dal primo giudice in punto di dosimetria sanzionatoria, riconoscimento delle attenuanti applicate e concessione dei benefici di legge.
Motivi della decisione
Il ricorso, infondato, deve essere rigettato con ogni dovuta conseguenza di legge.
1. Va premesso che il ricorrente non ha contestato la condotta in fatto, come addebitata e riconosciuta in entrambi i giudizi di merito, che deve dunque ritenersi definitivamente accertata. Invero, come correttamente rilevato dalla Corte di appello, le frasi pronunciate nelle circostanze di tempo e di luogo descritte nell'imputazione non hanno costituito oggetto di negazione da parte dell'imputato, la cui reazione ingiuriosa nei confronti del capitano T. sarebbe stata indotta, come sostenuto e ammesso, dalla ritenuta illegittimità della perquisizione e dalle sue modalità di esecuzione " con spropositato impiego di forza militare".
2. Il tema proposto con il primo motivo di ricorso si incentra tutto sulla ritenuta insussistenza delle cause escludenti il reato di insubordinazione ai sensi dell'art. 199 c.p.m.p.. Non è condivisibile, ad avviso del ricorrente, l'analisi svolta dalla Corte militare in ordine alla portata e al tenore delle contestate violazioni di legge, poichè questa Corte e la Corte costituzionale hanno escluso la punibilità del fatto quando l'ingiuria e la minaccia sono indirizzate a un militare in servizio da un militare non in servizio, ed esso ricorrente, non in servizio e in borghese, non menzionando il grado nè facendo implicito riferimento al valore e al peso dello stesso, non ha leso i principi connessi alla disciplina militare; la condotta tenuta non è consistita in una manifestazione di disprezzo nei confronti del superiore in quanto tale, ma si è limitata ad un semplice sfogo, sia pure culminato in frasi ingiuriose, in un contesto estraneo all'area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina.
2.1 Ebbene, sul tema specificamente dedotto con l'impugnazione, non può che essere rilevata l'infondatezza del rilievo censorio e, per contro, la correttezza della soluzione adottata dai giudici di merito.
La Corte militare di appello, procedendo secondo linee logiche e giuridiche congruenti con la decisione di primo grado, i cui riferimenti in punto di diritto all'orientamento di questa Corte ha apprezzato come opportuni, ribadendoli, è, infatti, pervenuta al rilievo conclusivo della esclusione della dedotta estraneità del fatto al servizio e alla disciplina rilevando, con congruo richiamo ai dati fattuali, che: se era vero che il L. si trovava libero dal servizio e presso la propria abitazione, doveva ritenersi dato pacifico e non controvertibile che la qualità di militare del predetto, il grado e la qualifica rivestiti fossero noti ai militari operanti, suoi colleghi di reparto, così come all'imputato erano note le qualità dei suoi interlocutori, che comunque, prima dell'inizio dell'operazione di polizia giudiziaria si erano ritualmente presentati e formalmente qualificati; la discussione insorta tra l'imputato e i finanzieri, impegnati nella perquisizione, e poi proseguita con il capitano che dirigeva l'operazione, non poteva essere riduttivamente ricondotta, nell'ottica propugnata dalla difesa, all'intemperante ed offensiva reazione di "un qualsiasi cittadino", diretta a censurare la presunta illegittimità di un atto di polizia; l'intento perseguito con la sua condotta si ricollegava proprio al servizio svolto in quel momento dai militari e dalla persona offesa, contestato nei suoi presupposti fattuali e giuridici sulla base delle conoscenze ed esperienze professionali maturate nel corso del servizio prestato proprio presso la stessa sezione operativa della Compagnia della Guardia di Finanza di (OMISSIS), cui appartenevano i suoi interlocutori; con le obiezioni sollevate, dunque, il L. non solo aveva obiettivamente contestato la legittimità dell'operato del suo superiore gerarchico ma, attingendolo con le espressioni incriminate, ne aveva significativamente compromesso il prestigio, la dignità e l'ascendente morale che deve accompagnare l'esercizio dell'autorità del grado e la funzione di comando.
2.2 Ora, il dato decisivo è che entrambi i giudici di merito hanno ritenuto, procedendo ad una corretta contestualizzazione oggettiva e soggettiva della vicenda, inconferente e non perspicua l'obiezione con cui è stato inefficacemente annotato che l'imputato non si era qualificato nè aveva implicitamente fatto riferimento alla sua qualità di militare, stimandone superflua l'esternazione.
Lo status di militare di offensore e offeso, assolutamente pacifico e reciprocamente noto, la sussistenza di un nesso relazionale gerarchico, in una situazione in cui era oggettivamente certo, altresì, l'agire dell'offeso, superiore dell'imputato, per ragioni di servizio nonchè il collegamento a tali ragioni delle ingiurie, costituisce il risultato di apprezzamenti di fatto adeguati, logicamente valutati, che pienamente giustifica la qualificazione delle offese ai sensi del reato militare ritenuto in sentenza.
E' evidente, infatti, che la condotta incriminata non possa, secondo parametri oggettivi e di comune percezione, essere qualificata estranea all'area degli interessi connessi alla tutela della disciplina, come del tutto correttamente motivato dai giudici di merito. Ed invero, il L. era militare in servizio presso la sezione operativa della Guardia di Finanza di (OMISSIS); la persona offesa, comandante della compagnia di (OMISSIS) ne era il diretto superiore gerarchico, in atto impegnato nello svolgimento di attività di servizio, contrastata dall'imputato con la sua condotta dapprima intemperante e poi sfociata in esternazioni cariche di inequivoco significato penalmente rilevante; l'imputato era, dunque, soggetto alla disciplina militare, ricorrendo le condizioni per l'applicazione delle relative disposizioni, attualmente trasfuse nell'art. 1350 del Codice dell'ordinamento militare, emanato con D.Lgs. 15 marzo 2010, n. 66 : segnatamente, ricorrendo l'ipotesi contemplata (disgiuntamente) dall'art. 1350 citato, comma 2, lett. d), e cioè il caso del militare il quale "si rivolge ad altri militari in divisa o che si qualificano come tali" (in termini, Sez. 1, n. 22361 del 16/12/2013 -dep. 2014, Comune, Rv. 259606).
Va, pertanto, ribadita la correttezza giuridica dell'imputazione elevata e ritenuta.
3. Parimenti infondato è il secondo motivo di censura.
La Corte di appello, con apprezzamento in fatto, insindacabile in tale sede perchè sorretto da adeguata e logica motivazione, ha attribuito valenza ostativa alle caratteristiche della condotta oppositiva, connotata dalle pesanti esternazioni spregiative indirizzate al proprio superiore, alla non comune animosità del contegno tenuto e alla peculiarità del contesto di realizzazione del fatto, pervenendo ad un apprezzamento complessivo delle caratteristiche specifiche della vicenda che hanno giustificato l'irrogazione di una pena nient'affatto prossima al minimo edittale, essendo stata, quella base, fissata in mesi cinque di reclusione militare. Un tanto basta per escludere sia le lamentate incongruenze motivazionali sia la denunciata violazione della disposizione normativa evocata. Invero, la rispondenza ai limiti di pena rappresenta soltanto la prima delle condizioni per l'esclusione della punibilità che richiede, congiuntamente e non alternativamente, come si desume dal tenore letterale della disposizione e come già rimarcato da questa Corte, la particolare tenuità dell'offesa e la non abitualità del comportamento. E la particolare tenuità dell'offesa a sua volta si articola in due "indici-requisiti" che sono le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall'art. 133 c.p. , comma 1, (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell'azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato, intensità del dolo o grado della colpa). A tali indicazioni normative correttamente si è attenuta la Corte di merito; nè, posta la non sovrapponibilità tra i criteri direttivi di cui al primo e al secondo comma dell'art. 133 citato, appare critica conferente quella con cui si censura l'omessa considerazione della personalità dell'imputato, ininfluente ai fini della valutabilità dell'offesa in termini di particolare tenuità e, viceversa, correttamente apprezzata attraverso il riconoscimento delle attenuanti generiche e dell'attenuante dell'ottima condotta militare.
4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 marzo 2016.
Depositato in Cancelleria il 23 settembre 2016
30-09-2016 14:30
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