Elettricista di navi militari dell'Arsenale della Marina militare: muore a 75 anni per un tumore cagionato dall'amianto.
Tribunale di Taranto – Sezione lavoro – Sentenza 27 ottobre 2016 n. 3488
La Sezione lavoro del Tribunale di Taranto, sentenza 27 ottobre 2016 n. 3488, ha condannato il Ministero della Difesa a pagare, a titolo di risarcimento del danno “iure hereditatis”, quasi 500mila euro a favore dei figli di un lavoratore dell'Arsenale della Marina militare della città pugliese, deceduto all'età di 75 anni a causa di un mesotelioma pleurico cagionato dall'amianto.
Il Tribunale, disposta un Ctu, ha ritenuto provato che la vittima, un elettricista di navi militari, avesse subìto esposizioni alle polveri del minerale dal 1941 al 1982 «senza che i responsabili datoriali abbiano posto a sua disposizione i necessari presidi strumentali». Ed ha così decretato la responsabilità del Ministero per «inosservanza degli obblighi di protezione espressamente previsti dalla normativa vigente a tutela dei lavoratori».
Venendo alla definizione del quantum il giudice ha rigettato la richiesta degli eredi che chiedevano il risarcimento del danno tanatologico, richiamando sul punto l'orientamento delle Sezioni Unite (n. 15350/2015) secondo cui non è trasmissibile il pregiudizio costituito, in sé per sé, dalla perdita della vita. Tuttavia, non arrestandosi acriticamente al dato delle tabelle milanesi, ha ritenuto di accordare loro il 50% di quanto sarebbe stato riconosciuto ad un soggetto di 75 anni, ancora in vita, con una invalidità permanente del 100%. Secondo il Tribunale di Taranto «la particolare complessità del caso di specie impone di non applicare, sic et simpliciter, le tabelle di liquidazione del danno biologico, essendo invece necessaria una più specifica valutazione equitativa».
In questo senso, spiega la sentenza, un elemento dirimente diventa la durata della patologia che in 180 giorni ha portato il lavoratore alla morte: un periodo né lungo né breve. «Se si facesse riferimento, all'invalidità temporanea e all'effettivo periodo di sopravvivenza del soggetto e non alla vita media in considerazione della sua età, si rischierebbe di avere un risarcimento che non terrebbe in debito conto il fatto che vi è una compromissione temporanea della salute priva di qualsiasi capacità recuperatoria e di tale intensità ed entità da condurre a morte un soggetto». Cosi facendo, infatti, si ometterebbe di considerare «la componente statica del danno biologico, che nel caso di specie deve essere stata particolarmente grave, se ha condotto alla morte del soggetto, peraltro dovendosi anche tener conto del fatto che nei primi tempi il patema d'animo è più intenso rispetto ai periodi successivi». Tuttavia, prosegue, «egualmente non accettabile sarebbe la liquidazione di una somma a titolo di invalidità permanente rapportata alla vita media, pur in presenza di una sopravvivenza limitata nel tempo: non si terrebbe, cioè, nella giusta considerazione l'aspetto dinamico del danno biologico».
Per queste ragioni il tribunale ha optato per una liquidazione «in via equitativa, con dei necessari aggiustamenti rispetto alla mera applicazione delle tabelle di liquidazione, in considerazione della morte intervenuta in un apprezzabile lasso temporale a causa delle lesioni subite». In concreto, preso atto che la sopravvivenza in vita è durata circa sei mesi, il tribunale ha rilevato che «la necessità di dover sopportare a livello psicofisico la lesione non è stata proiettata in un arco di tempo pari alla vita media ma ha avuto una durata ridotta, e tuttavia non minima, anzi perdurata per periodo certamente rilevante». In definitiva, per il giudice, la quantificazione “teorica” operata secondo i valori della Tabelle milanesi, e poi ulteriormente aumentata del 25% per via della speciale personalizzazione, va rettificata «applicando - ovviamente in via equitativa - una decurtazione del 50%, rispetto all'importo in precedenza calcolato, così pervenendosi alla somma di £ 474.422,50».
08-11-2016 23:37
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