I° maresciallo A.M. del Quartiere generale Comando Scuole III Regione aerea imputato di minaccia e ingiuria continuata ai danni di un maresciallo che si era opposto all'utilizzo da parte del primo di una vettura militare.
Cassazione penale, sez. I, 27/11/2013, (ud. 27/11/2013, dep.12/09/2014), n. 37566
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ZAMPETTI Umberto - Presidente -
Dott. TARDIO Angela - rel. Consigliere -
Dott. BARBARISI Maurizio - Consigliere -
Dott. BONITO Francesco M. S. - Consigliere -
Dott. MAGI Raffaello - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
M.G., nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 33/2012 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA del
05/06/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in pubblica udienza del 27/11/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. Angela Tardio;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Flamini Luigi
Maria, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito per il ricorrente l'avv. Racanelli Francesco, che ha chiesto
l'accoglimento del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell'1 dicembre 2011 il G.u.p. del Tribunale militare di Napoli, all'esito del giudizio abbreviato, ha dichiarato M.G., primo maresciallo A.M. in servizio presso il Quartiere generale Comando Scuole III Regione aerea in (OMISSIS), responsabile del reato continuato di minaccia e ingiuria a inferiore, contestato, ai sensi dell'art. 81 cpv. c.p., e art. 196 c.p., commi 1 e 2, mil. pace, perchè il (OMISSIS) verso le ore dodici, mentre era nello spogliatoio della sezione impianti del reparto di appartenenza, aveva minacciato un ingiusto danno e offeso il prestigio, l'onore e la dignità di un inferiore in grado, B. D.B., maresciallo di prima classe, proferendo, con tono elevato e adirato, frasi offensive e intimidatorie e tenendo un atteggiamento minaccioso per cause non estranee al servizio o alla disciplina, in quanto collegabili, ad avviso dell'imputato, al rifiuto, oppostogli dalla persona offesa, all'utilizzo di un'autovettura militare.
Il G.u.p., che ha ritenuto che il comportamento illecito ascritto era confermato dalle dichiarazioni della persona offesa e del maresciallo C., ha rilevato che per la consumazione del reato, assistito da dolo generico, e non da dolo specifico la cui sussistenza era contestata dalla difesa, non occorreva alcun abuso di autorità o di posizione, e che, nella specie, sussisteva il collegamento con il servizio con riferimento sia alla posizione della parte lesa sia alla condotta dell'imputato, essendosi trattato dell'utilizzo di un veicolo militare nell'ambito dell'amministrazione militare; ha ritenuto concedibili le circostanze attenuanti generiche; ha escluso l'attenuante della provocazione; ha unificato i reati per continuazione e ha determinato la pena finale in mesi tre di reclusione militare, già ridotta per il rito e condizionalmente sospesa.
2. Con sentenza del 5 giugno 2012 la Corte militare di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado.
2.1. La Corte, richiamata analiticamente la vicenda processuale e illustrate le ragioni della decisione e le censure svolte dall'appellante, riteneva infondata la questione di nullità del procedimento e della sentenza emessa in relazione alla eccepita mancata identità tra il magistrato, che aveva disposto procedersi con il giudizio abbreviato e fissato l'udienza, e quello che l'aveva svolta, essendo il fatto giuridicamente irrilevante, poichè nessuna norma processuale imponeva la dedotta identità, e in relazione alla eccepita omessa titolarità dell'ufficio del Giudice per le indagini preliminari da parte del Dott. V., invece giudice del Tribunale militare, non essendo l'assegnazione alle sezioni, costituenti articolazione del Tribunale, rilevante ai fini della validità dell'atto.
2.2. Quanto al merito, secondo la Corte, l'onere probatorio dell'accusa in ordine ai fatti contestati era stato ampiamente assolto, avuto riguardo alla relazione di servizio del 12 maggio 2010 a firma del maresciallo B., contenente la descrizione del comportamento dell'imputato, delle frasi ascritte e del contegno gestuale e corporeo tenuto; al contenuto della relazione del 17 maggio 2010 dello stesso imputato, che, pur non ammettendo esplicitamente l'addebito, aveva confermato di avere reagito eccedendo nei modi e aveva cercato di giustificarsi; alla relazione di servizio del 17 maggio 2010 del maresciallo C. e alle sommarie informazioni rese da quest'ultimo il 20 gennaio 2011 e dall'imputato il successivo 7 marzo 2011.
Le frasi pronunciate erano ritenute di contenuto offensivo, descrivendo il destinatario come inetto e incapace e riservandogli due epiteti ("chiachidd" e "infame"), indicati come coloriti e dispregiativi, oltre ad avere chiaro contenuto minatorio della sua integrità fisica, e rispecchiavano la percezione e volontà dell'agente di dirigere i gesti e le parole, conoscendone il senso, verso la persona offesa in contesto militare, poichè la questione verteva sull'utilizzo di un veicolo militare, e quindi su un tema appartenente al servizio.
La riconciliazione espressa dai due miliari con dichiarazione congiunta del 24 maggio 2010 era irrilevante sul piano delle conseguenze penali, mentre la pena era stata determinata dal primo Giudice in misura adeguata.
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione, con il ministero dell'avvocato Francesco Racanelli, l'imputato, che ne chiede l'annullamento sulla base di tre motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione del principio del Giudice naturale precostituito per legge e vizio della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), in relazione all'art. 178 cod. proc. pen., e all'art. 25 Cost., sulla base del rilievo che il giudice estensore della sentenza di primo grado era assegnato, secondo le tabelle organiche del Tribunale militare di Napoli, alla sezione del dibattimento.
3.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 196 cod. pen. mil. pace, commi 1 e 2, e vizio della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), per inesistenza del dolo specifico richiesto per la punibilità dei reati contestati e, in particolare, per inesistenza della volontà di abusare dell'autorità e del grado militare.
3.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia ulteriore violazione e falsa applicazione dell'art. 199 cod. pen. mil. pace, e vizio della motivazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), per non essere stata ritenuta l'applicabilità della esimente di cui all'art. 199 cod. pen. mil. pace.
Secondo il ricorrente, la motivazione del litigio, dipendente dal comportamento malizioso della persona offesa che aveva affermato che il mezzo militare gli era necessario, senza averlo poi usato, era estranea al servizio svolto e alla disciplina militare, anche se a essa connessa, perchè dipesa dall'indicato non corretto comportamento.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo, che attiene alla contestata incorsa violazione del principio costituzionale del giudice naturale precostituito per legge in dipendenza dello svolgimento dell'udienza del giudizio abbreviato da parte di Giudice assegnato alla sezione del dibattimento presso il Tribunale militare di Napoli, è destituito di fondamento.
1.1. E' consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio che le disposizioni relative all'assegnazione di processi a sezioni, collegi e giudici di un medesimo ufficio giudiziario non si considerano attinenti alla capacità del giudice, a norma dell'art. 33 c.p.p., comma 2, e la loro eventuale violazione non da luogo alla nullità prevista dall'art. 178 c.p.p., comma 1, lett. a), (tra le altre, Sez. 2, n. 27948 del 18/06/2008, dep. 08/07/2008, Impala, Rv.
240697; Sez. 2, n. 6505 del 14/01/2011, dep. 22/02/2011, Puzio, Rv.
249450), poichè l'assegnazione dei processi in violazione delle tabelle di organizzazione dell'ufficio costituisce solo una irregolarità amministrativa (tra le altre, Sez. 2, n. 17510 del 17/03/2004, dep. 15/04/2004 Carrabs, Rv. 229702; Sez. 3, n. 4841 del 18/07/2012, dep. 1/01/2013, Mocanu Sticlaru e altri, Rv. 254406), salvo che non si determini uno stravolgimento dei principi e dei canoni essenziali dell'ordinamento giudiziario per la violazione di norme, quali quelle riguardanti la titolarità del potere di assegnazione degli affari in capo ai dirigenti degli uffici e l'obbligo di motivazione dei provvedimenti (tra le altre, Sez. 6, n. 46244 del 15/11/2012, dep. 27/11/2012, P.G., Filippi e altri, Rv.
254284; Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, dep. 29/08/2013, Agrama e altri, Rv. 256570).
1.2. La Corte di merito, che ha osservato che l'ufficio del Giudice dell'udienza preliminare è un'articolazione del Tribunale, e non un ufficio a sè stante, ha rimarcato l'irrilevanza - ai fini della validità dell'atto - dell'assegnazione del magistrato alla sezione, in risposta alla eccezione del ricorrente, tra le altre prospettate con l'atto di appello come ragioni di nullità del procedimento e della sentenza di primo grado, in ordine allo svolgimento dell'udienza e alla pronuncia della sentenza da parte del Dott. V.C., giudice del Tribunale militare di Napoli e non titolare dell'ufficio del giudice dell'udienza preliminare.
Tale apprezzamento, concorde con i condivisi principi di diritto ed espresso, in coerenza con la doglianza difensiva, con motivazione completa e non manifestamente illogica, resiste alle deduzioni del ricorrente, che, mentre oppone in termini generici l'inesistenza e la contraddittorietà della motivazione, si limita a contestare un'affermata violazione tabellare senza specificamente dedurre profili di arbitrarietà della destinazione del magistrato giudicante, non sorretta da uno specifico provvedimento di assegnazione del presidente, titolare del relativo potere e dunque legittimato a disporre la modifica tabellare.
1.3. Il motivo va, pertanto, disatteso.
2. Del tutto generico, e pertanto inammissibile, è il secondo motivo, riferito, sotto il profilo soggettivo, alla contestata esistenza del dolo specifico, correlata al tenore letterale delle espressioni usate dal ricorrente e alla insussistenza di un vincolo di subordinazione al medesimo della persona offesa, appartenente ad altro reparto.
Tale doglianza, che ripercorre le deduzioni espresse con il gravame di merito, è, infatti, priva di specifica correlazione con le ragioni argomentate della decisione impugnata, che ha correttamente e logicamente evidenziato, in risposta alle opposte doglianze, che i reati di minaccia e ingiuria sono punibili a titolo di dolo generico e, quindi, integrati, nel caso di specie, dalla coscienza e dalla volontà del ricorrente di tenere gesti e di pronunciare parole, contestati nella imputazione e ripresi in motivazione, di chiara attitudine offensiva e intimidatoria in direzione di altro militare di diverso grado; ha sottolineato, richiamando pertinente principio di diritto (Sez. 1^, n. 40811 del 27/10/2010, dep. 18/11/2010, Mecoli, Rv. 248411), che non rileva l'assenza di rapporti gerarchici diretti tra autore e vittima dell'illecito, ma la riconducibilità del fatto a un contesto militare, e ha coerentemente rappresentato che il chiarimento intervenuto successivamente tra il ricorrente e la persona offesa non incide sulla perseguibilità del reato ascritto.
3. Il terzo motivo, afferente alla non ritenuta estraneità del fatto al servizio o alla disciplina militare, è, infine, infondato.
3.1. Si rileva in diritto che la norma incriminatrice dei reati ascritti, contenuta nell'art. 196 cod. pen. mil. pace, è inserita nel capo quarto del detto codice militare, cui si riferisce, tra le altre richiamate disposizioni, il successivo art. 199, alla cui stregua, nel testo novellato dal L. n. 689 del 1985, art. 9, "le disposizioni dei capi terzo e quarto non si applicano quando alcuno dei fatti da esse preveduto è commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave militare o di un aeromobile militare".
Questa Corte, superando un diverso precedente indirizzo (Sez. 1, n. 13214 del 12/07/1989, dep. 06/10/1989, De Tommasi, Rv. 182202), ha affermato, avendo riguardo alla ratio dei reati contro la disciplina militare, la cui oggettività giuridica va individuata nella tutela degli interessi inerenti alla disciplina militare, intesa quale "regola fondamentale dei cittadini alle armi" (art. 2 Reg. disc. mil.
approvato con D.P.R. n. 545 del 1986), che i fatti di violenza, minaccia e ingiuria commessi tra militari non integrano i reati di cui agli artt. 195 e 196 cod. pen. mil. pace, allorchè risultino collegati in modo del tutto estrinseco all'area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina militare, che ne costituiscono la ragione determinante, ponendosi con questi in rapporto di semplice occasionalità, a nulla rilevando che essi si siano svolti all'interno di una struttura militare, risolvendosi, diversamente, tale circostanza nella indebita valorizzazione di una mera coincidenza topografica, in contrasto con la sentenza n. 22 del 1991 della Corte costituzionale, dichiarativa della illegittimità costituzionale dell'art. 199 stesso codice limitatamente alle parole "o in luoghi militari" (Sez. 1, n. 41703 del 08/10/2002, dep. 12/12/2002, P.G. in proc. Murino, Rv. 223064).
Tale principio è stato ribadito, in base a una interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 199 cod. pen. mil. pace (ordinanza Corte cost. n. 367 del 2001), da questa Corte, che ha affermato in più occasione che la minaccia o l'offesa all'onore di un superiore (art. 189 cod. pen. mil. pace) e la minaccia o l'offesa all'onore di un inferiore (art. 196 cod. pen. mil. pace), rivolte dal militare appartenente alle Forze armate al di fuori dell'attività di servizio attivo e non obiettivamente correlate all'area degli interessi connessi alla tutela della disciplina, rientrano nella clausola di esclusione del reato di insubordinazione, prevista dall'art. 199 cod. pen. mil. pace ("cause estranee al servizio e alla disciplina militare") (Sez. 1, n. 16413 del 03/03/2005, dep. 02/05/2005, Andresini, Rv. 231573, in fattispecie relativa a un militare in licenza e in abiti civili che, in stato di ebbrezza alcolica, inveiva all'indirizzo di appartenenti all'Arma dei Carabinieri, intervenuti in un locale pubblico su segnalazione di alcuni avventori; Sez. 1, n. 19425 del 05/05/2008, dep. 15/05/2008, Carofalo, Rv. 240286, in fattispecie relativa a un tenente dell'Esercito Italiano che, in abiti civili, profferiva parole ingiuriose nei confronti dei militari della Guardia di Finanza che lo avevano fermato per contestargli alcune infrazioni al codice della strada; Sez. 1, n. 1429 del 17/12/2008, dep. 16/01/2009, P.C. in proc. Ciuchetti, Rv. 242481, in fattispecie nella quale l'offesa, consistita nell'aver dato l'imputato del "bugiardo" a un superiore gerarchico, era avvenuta nel corso di un'udienza davanti al tribunale militare, mentre l'offeso deponeva come testimone a suo carico ed in presenza di alcuni militari, presenti in aula in veste di ausiliari per la riproduzione fonografica e per l'assistenza al personale civile della cancelleria; Sez. 1, n. 8495 del 28/09/2012, dep. 21/02/2013, P.G. Mil. in proc. Pozzani, Rv. 254923, in fattispecie relativa a un carabiniere fuori servizio e in abiti civili che, senza qualificarsi, aveva inveito all'indirizzo di appartenenti all'Arma dei Carabinieri, intervenuti per ragioni rapportabili al servizio di viabilità e di circolazione stradale).
3.2. Alla luce di questi principi, che il Collegio condivide e riafferma, è del tutto corretta e resiste alle infondate proposte obiezioni la ritenuta integrazione dei contestati reati per la insussistenza della causa di esclusione del reato prevista dall'art. 199 stesso codice.
La Corte militare di appello, procedendo secondo linee logiche e giuridiche congruenti con la decisione di primo grado, i cui riferimenti in punto di diritto all'orientamento di questa Corte ha apprezzato come opportuni, è, infatti, pervenuta al rilievo conclusivo della esclusione della dedotta estraneità del fatto al servizio e alla disciplina rilevando, con congruo richiamo ai dati fattuali, che all'origine della vicenda vi è stata una questione relativa all'utilizzo di un veicolo dell'amministrazione militare, il cui concreto impiego dipendeva dalla persona offesa e la cui disponibilità per problematiche di servizio era stata richiesta dall'imputato, ricorso, dinanzi al rifiuto oppostole, a offesa e minaccia, e ragionevolmente evidenziando l'attinenza non occasionale del tema (utilizzo di un bene dell'amministrazione per questo o quel servizio) all'area degli interessi connessi all'espletamento del servizio militare.
Nè tale connessione con il servizio è incisa negativamente dal dedotto comportamento non corretto della persona offesa, che, peraltro, non ritenuto provocatorio dal primo Giudice con decisione non oggetto di impugnazione, non esclude all'evidenza l'obiettiva correlazione della condotta ascritta alle funzioni ed al servizio svolti da entrambi i soggetti coinvolti nella vicenda.
4. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 novembre 2013.
Depositato in Cancelleria il 12 settembre 2014
10-12-2016 18:23
Richiedi una Consulenza