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Sentenza

Insubordinazione con ingiuria e minaccia. Vice brig. della Guardia di Finanza si...
Insubordinazione con ingiuria e minaccia. Vice brig. della Guardia di Finanza si rivolge al luogotenente, superiore gerarchico, definendolo pezzo di merda in dialetto napoletano.
Cassazione penale, sez. I, 15/05/2015, (ud. 15/05/2015, dep.06/08/2015),  n. 34471 

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE PRIMA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. GIORDANO  Umberto        -  Presidente   -                     
Dott. LOCATELLI Giuseppe       -  Consigliere  -                     
Dott. LA POSTA  Lucia          -  Consigliere  -                     
Dott. CASA      Filippo        -  Consigliere  -                     
Dott. BONI      Monica         -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
          M.N. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la sentenza n. 112/2014 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA,  del 
03/12/2014; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 15/05/2015 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. MONICA BONI; 
Udito  il  Procuratore Generale in persona del  Dott.  FLAMINI  Luigi 
Maria che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso; 
udito  il  difensore  avv. Tartaglia Angelo Fiore  che  conclude  per 
l'accoglimento del ricorso. 
                 


Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza resa il 3 dicembre 2014 la Corte militare di Appello confermava la sentenza del 7 maggio 2014, con la quale il Tribunale militare di Roma aveva ritenuto l'imputato M.N. responsabile del delitto di insubordinazione con ingiuria e minaccia continuate e pluriaggravate (art. 189 c.p.m.p., commi 1 e 2, art. 190 c.p.m.p., comma 1, n. 2, art. 47 c.p.m.p., n. 2, art. 81 cpv c.p.) per avere, nella qualità di Vice Brigadiere della Guardia di Finanza, effettivo alla Sezione Volante del 1 Nucleo Operativo - Gruppo G.d.F. in Formia, rivolto un'espressione offensiva al superiore Luogotenente D.P.G.B., fatto ritenuto attenuato dai modi sconvenienti tenuti dal superiore gerarchico e, per l'effetto, riconosciute le circostanze attenuanti generiche e quella di cui all'art. 48 c.p.m.p., n. 3 stimate prevalenti sulle contestate aggravanti, lo aveva condannato alla pena di un mese e dieci giorni di reclusione militare con i doppi benefici di legge.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso l'imputato a mezzo del suo difensore, il quale ha dedotto i seguenti motivi: a) mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, violazione dell'art. 189 c.p.m.p., commi 1 e 2, art. 190 c.p.m.p., comma 1, n. 2, art. 47 c.p.m.p., n. 2, art. 81 cpv. cod. pen., nonchè violazione degli artt. 226 e 228 c.p.m.p. in relazione all'omessa applicazione della scriminante di cui all'art. 228 c.p.m.p. alla condotta attribuita al ricorrente.

La sentenza impugnata ha confermato il giudizio di responsabilità, basandosi su quanto riferito dai testi M. e L'e., i quali però non avevano riferito in termini certi di avere percepito l'insulto "uomo di merda", proferita dall'imputato nei confronti del superiore e non udita nemmeno dal teste C., si erano contraddetti ed avevano precisato che il M. si era espresso in dialetto napoletano stretto, che nessuno di essi conosceva. Inoltre, pur essendo stata esclusa la responsabilità in ordine ad altre espressioni ingiuriose, perchè non chiaramente avvertite dai testi, si era ritenuto dimostrata la pronuncia soltanto di quella frase, il che non risolveva il ragionevole dubbio che quanto riferito dai testi in realtà non fosse stato detto e compreso, il che priva il processo della prova dell'elemento, sia soggettivo, che oggettivo dell'ipotizzato reato.

Qualora poi si fosse ritenuta acquisita la prova del fatto, erroneamente era stata esclusa l'applicazione dell'esimente di cui all'art. 228 c.p.m.p., nonostante fosse emersa la precedente commissione da parte del D.P. di una condotta ingiuriosa e minacciosa, riferita dal ten. C. ed offensiva della dignità di militare e di cattolico del ricorrente, che questi aveva inteso denunciare al ten. Q., restandone impedito dalla sua assenza e dal rifiuto dello stesso D.P. di protocollare la sua dichiarazione sui fatti al fine di impedirne l'accertamento nel loro reale svolgimento.

Inoltre, non si era considerato che quel giorno il ricorrente non era alle dipendenze della parte lesa, ma del M. quale suo capo pattuglia e del ten. Q., la quale aveva sottoscritto il foglio di servizio, sicchè non poteva aver commesso il delitto di insubordinazione con ingiuria, nè egli si era rifiutato di eseguire gli ordini impartitigli; pertanto, nella condotta avrebbero potuto essere ravvisati soltanto gli estremi del meno grave delitto di ingiuria previsto dall'art. 226 c.p.m.p..
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato e va dunque respinto.

1. Il ricorrente denuncia vizi di illegittimità e d'incongruenze motivazionali in realtà insussistenti e ripropone tematiche fattuali e giuridiche che la sentenza impugnata ha già disatteso con ricchezza e plausibilità di argomenti esplicativi.

1.1 In particolare, quanto alla ricostruzione probatoria della condotta addebitata al M., i giudici di appello hanno esaminato con attenzione le prove dichiarative acquisite, avendo evidenziato come, dalla circostanza che i testi M. e L'erario, presenti all'episodio dal quale sono scaturite le accuse, non avessero percepito o compreso alcune locuzioni di tenore minaccioso, rivolte dall'imputato al D.P., non fosse possibile arguire la mancata pronuncia e la mancata percezione da parte di costoro anche delle espressioni offensive riportate nell'imputazione, sulle quali costoro hanno reso testimonianza e specificato di averne inteso il significato, ancorchè pronunciate in dialetto napoletano, ben compreso dal M., originario della stessa zona e da L'Erario, di estrazione geografica basso laziale. Nessun profilo di contraddittorietà è dunque dato rinvenire nella valutazione dei dati probatori acquisiti, univocamente indicativi della commissione del delitto ascritto al ricorrente, il quale con l'impugnazione ha proposto una lettura diversa dell'episodio, incentrata su una possibile interpretazione alternativa delle parole asseritamente pronunciate, che non trova riscontro negli atti e non può essere, pertanto, nemmeno apprezzata direttamente da questa Corte, cui è inibita la considerazione dei dati fattuali offerti dal materiale probatorio.

1.2 Quanto alla configurazione giuridica del delitto di insubordinazione con ingiuria, le conformi sentenze di merito hanno evidenziato come il rapporto gerarchico tra l'imputato ed il luogotenente D.P. derivasse dall'organizzazione interna dell'amministrazione di appartenenza e dal fatto che quel giorno il primo fosse stato assegnato dal secondo a svolgere attività d'istituto con il teste M.; pertanto, la qualità rivestita da quest'ultimo quale capo-pattuglia non esclude la dipendenza gerarchica del M. dal soggetto offeso, come del resto riconosciuto anche in ricorso, laddove si ammette che "formalmente" egli era subordinato al D.P., che in virtù della propria posizione e delle mansioni espletate lo aveva destinato allo svolgimento di quel servizio.

I rilievi in tal senso esposti in sentenza sono giuridicamente corretti, dovendosi considerare la peculiare oggettività giuridica della fattispecie di insubordinazione prevista dall'art. 189 c.p.m.p., comma 2, la quale tutela, non solo la dignità e l'onore del "superiore", ma anche l'integrità e l'effettività del rapporto gerarchico, che è funzionale al mantenimento della disciplina e della compattezza delle forze armate. Inoltre, il particolare rigore cui sono improntati i rapporti nella disciplina militare, conduce a considerare offensivi dell'onore e del prestigio ogni atto o parola di disprezzo verso il superiore ed anche il tono arrogante, perchè contrari alle esigenze della disciplina militare per la quale il superiore deve essere tutelato non solo nell'espressione della sua personalità umana, bensì anche nell'ascendente morale che deve accompagnare l'esercizio dell'autorità del grado e la funzione di comando (Cass., sez. 1, n. 3971 del 28/11/2013 ,De Chiara, rv.

259013; sez. 1, n. 7957 del 20/12/2006, Frantuma, rv. 236355; sez. 1, n. 1172 del 12/07/1989, Pesola, rv. 183159).

1.3 Per tali ragioni non può accogliersi nemmeno la richiesta di derubricazione del delitto contestato in quello di minore gravita di "ingiuria", punito dall'art. 226 c.p.m.p., dal momento che, per quanto già detto, la condotta posta in essere, nella ricostruzione fattuale esposta nella sentenza in esame, è stata lesiva dell'onore, della reputazione e del prestigio del superiore gerarchico.

1.4 Infine, non merita censura la ritenuta esclusione dell'esimente di cui all'art. 228 c.p.m.p.: come chiaramente statuito dalla Corte militare appello, in coerenza con la ravvisata sussistenza del delitto contestato pur sussistendo i presupposti per il riconoscimento della circostanza attenuante dei modi non convenienti tenuti dal superiore, il ricorrente non può giovarsi della scriminante invocata, non riferibile al delitto di insubordinazione, ma solamente a quelli di minore gravità di ingiuria e diffamazione, artt. 226 e 227 c.p.m.p., commessi in danno di altro militare non superiore in grado. Va soltanto aggiunto che, come affermato autorevolmente dalle Sezioni Unite di questa Corte, "Per i reati militari l'attenuante della provocazione ha carattere speciale e non è al contrario della analoga attenuante prevista dal codice penale di applicazione generale, essendo dalla legge limitata ai soli reati per i quali essa è espressamente prevista" (Sez. u, n. 7523 del 21/05/1983 Andreis, rv. 160244).

Per le considerazioni svolte il ricorso va respinto con la conseguente condanna del proponente al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2015.

Depositato in Cancelleria il 6 agosto 2015
Avv. Antonino Sugamele

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