La Corte di Appello di Roma dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 226 codice penale militare di pace , per contrasto con gli articoli 3 e 52 della Costituzione , nella parte in cui sottopone a sanzione penale condotte del tutto estranee al servizio o alla disciplina militare o, comunque, non afferenti a interessi delle Forze Armate dello Stato, che, ove poste in essere da soggetti non appartenenti alle Forze Armate, non sono piu' previste dalla legge come reato.
Trib. Roma,Ordinanza di remissione 26/04/2016
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE MILITARE DI APPELLO
Prima sezione
Composta dai signori:
1. dott. Francesco Ufilugelli - Presidente;
2. dott. Gioacchino Tornatore - giudice estensore;
3. dott.ssa Maria Michela T. Mazzili - giudice;
4. T. Col. A.M. Fabio Genovese - giudice;
5. T. Col. E.I. Cosimo Lorusso - giudice.
Ha pronunciato in camera di consiglio la seguente ordinanza nel procedimento a carico di P.R., nato il (...) a S.; residente a M., piazza M. n. 2; Ten. Col. E.I. in servizio presso il Comando Brigata Meccanizzata "Aosta"; assistito dal difensore di fiducia avv. Filippo Alessi del Foro di Messina, presso il quale ha eletto domicilio;
Parte civile costituita: Ten. Col. E.I. S.D.B., nato a M. il (...); assistito e rappresentato dall'avv. Sebastiano Ghirlanda del Foro di Messina.
Imputato di "a) Ingiuria aggravata ( articoli 226 codice penale militare di pace , 47 n. 2 codice penale militare di pace); b) Minaccia aggravata ( articoli 229 comma 1 codice penale militare di pace , 47 n. 2 codice penale militare di pace); c) Minaccia aggravata ( articoli 229 codice penale militare di pace , 47 n. 2 codice penale militare di pace".
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
I. All'odierna udienza il Procuratore Generale Militare ha chiesto, in via preliminare, che la Corte voglia sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 226 codice penale militare di pace , con contrasto con gli articoli 3 e 52 della Costituzione , nella parte in cui sottopone a sanzione penale comportamenti posti in essere al di fuori delle condizioni previste dall'art. 199 codice penale militare di pace ; nonche' dell' art. 1, lettera c), del D.Lgs. n. 7 del 2016, nella parte in cui non ha previsto l'abrogazione del reato di cui all'art. 226 codice penale militare di pace qualora il fatto sia commesso al di fuori delle condizioni previste dall'art. 199 codice penale militare di pace La parte civile costituita si e' rimessa alle valutazioni della Corte. Il difensore dell'imputato si e' associato alla richiesta del Procuratore generale.
II. Il D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 recante: "Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell' art. 2, comma 3, della L. 28 aprile 2014, n. 67" al Capo I, "Abrogazione di reati e modifiche al codice penale", con l'art. 1 "Abrogazione di reati", ha proceduto alla abrogazione, tra gli altri, del reato di "ingiuria", previsto dall'art. 594 codice penale.
Con il successivo art. 2, il citato D.Lgs. ha poi introdotto una serie di modifiche al codice penale e, per quel che ha rilievo nel presente procedimento, in particolare al comma 1, lettera g), ha stabilito che all'art. 596 codice penale , concernente l'esclusione della prova liberatoria:
"1) al comma primo, le parole "dei delitti preveduti dai due articoli precedenti" sono sostituite dalle seguenti: "dal delitto previsto dall'articolo precedente";
2) al comma quarto, le parole "applicabili le disposizioni dell'art. 594, primo comma, ovvero dell'art. 595, primo comma" sono sostituite dalle seguenti: "applicabile la disposizione dell'art. 595, primo comma":
al comma 1, lettera h), ha disposto che "all'art. 597, comma primo, le parole "I delitti preveduti dagli articoli 594 e 595 sono punibili" sono sostituite dalle seguenti: "Il delitto previsto dall'art. 595 e' punibile"";
al comma 1, lettera i) ha stabilito che "all'art. 599: 1) la rubrica e' sostituita dalla seguente: "Provocazione."; 2) i commi primo e terzo sono abrogati;
3) nel secondo comma, le parole "dagli articoli 594 e" sono sostituite dalle seguenti: "dall'articolo"".
Il Capo II del D.Lgs. n. 7 del 2016 , denominato "Illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie civili", nel prevedere all'art. 3 la "Responsabilita' civile per gli illeciti sottoposti a sanzioni pecuniarie", ha, poi, disposto che:
"1. I fatti previsti dall'articolo seguente, se dolosi, obbligano oltre che alle restituzioni e al risarcimento del danno secondo le leggi civili, anche al pagamento della sanzione pecuniaria civile ivi stabilita.
2. Si osserva la disposizione di cui all'art. 2947, primo comma, del codice civile".
Con il successivo art. 4 del decreto si sono, quindi, individuati gli "Illeciti civili sottoposti a sanzioni pecuniarie" e si e' stabilito che:
"1. Soggiace alla sanzione pecuniaria civile da Euro cento a Euro ottomila:
a) chi offende l'onore o il decoro di una persona presente, ovvero mediante comunicazione telegrafica, telefonica, informatica o telematica, o con scritti o disegni, diretti alla persona offesa;
b), c), d), e), f) omissis;
2. Nel caso di cui alla lettera a) del primo comma, se le offese sono reciproche, il giudice puo' non applicare la sanzione pecuniaria civile ad uno o ad entrambi gli offensori.
3. Non e' sanzionabile chi ha commesso il fatto previsto dal primo comma, lettera a), del presente articolo, nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso".
Con l'art. 5 il decreto ha, inoltre, stabilito i "Criteri di commisurazione delle sanzioni pecuniarie", mentre nel successivo art. 6 si e' provveduto a fissare i criteri temporali relativi alla "Reiterazione dell'illecito".
Quando al procedimento, l' art. 8 del D.Lgs. n. 7 del 2016 ha disposto che le sanzioni pecuniarie civili sono applicate dal giudice competente a conoscere dell'azione di risarcimento del danno e che il giudice decide sull'applicazione della sanzione civile pecuniaria al termine del giudizio, qualora accolga la domanda di risarcimento proposta dalla persona offesa; infine, si e' previsto che anche ai fini dell'irrogazione della sanzione pecuniaria civile, si applicano le disposizioni del codice di procedura civile, in quanto compatibili con le norme del capo II.
Modalita' di pagamento della sanzione e di devoluzione del provento della stessa a favore della Cassa delle ammende, Registro informatizzato dei provvedimenti in materia di sanzioni pecuniarie, seguono negli articoli finali (art. 9-11) del testo del decreto in esame, che si conclude con l'art. 12 che reca le disposizioni transitorie, in pratica attuative dei principi vigenti in tema di successione di leggi penali, specificatamente di quello del favor rei, in quanto stabilisce che: "1. Le disposizioni relative alle sanzioni pecuniarie civili del presente decreto si applicano anche ai fatti commessi anteriormente alla data di entrata in vigore dello stesso, salvo che il procedimento penale sia stato definito con sentenza o con decreto divenuti irrevocabili.
2. Se i procedimenti penali per i reati abrogati dal presente decreto sono stati definiti, prima della sua entrata in vigore, con sentenza di condanna o decreto irrevocabili, il giudice dell'esecuzione revoca la sentenza o il decreto, dichiarando che il fatto non e' previsto dalla legge come reato e adotta i provvedimenti conseguenti. Il giudice dell'esecuzione provvede con l'osservanza delle disposizioni dell'art. 667, comma 4, del codice di procedura penale".
Seguono, all' art. 13 del D.Lgs. n. 7 del 2016, le disposizioni finanziarie.
III. Dunque, con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 17 del 22 gennaio 2016 del D.Lgs. n. 7 del 2016 , e' entrato in vigore, a decorrere dal 6 febbraio 2016, l'intervento di depenalizzazione e di abrogazione di reati oggetto della legge delega n. 67/2014 (art. 2). Sempre in attuazione della legge delega n. 67/2014 , inoltre, con il successivo D.Lgs. n. 8/2016 si e' completata la depenalizzazione con la trasformazione di numerose fattispecie di reati minori (per i quali e' prevista la sola pena della multa o dell'ammenda oppure puniti con pene detentive, sole congiunte o alternative a pene pecuniarie) in illeciti amministrativi.
Appare di tutta evidenza - ed e' stato esplicitamente evidenziato nelle relazioni governative di accompagnamento agli schemi dei due decreti legislativi in questione - che il legislatore ha inteso perseguire una scelta politica ben precisa, volta a deflazionare il sistema penale, sia sostanziale che processuale, in omaggio ai principi di frammentarieta', offensivita' e sussidiarieta' della sanzione criminale, partendo dal presupposto che seppure una penalizzazione generalizzata formalmente corrisponda a esigenze di maggiore repressivita', tuttavia in concreto finisce con il risolversi in un abbassamento del livello di tutela degli interessi coinvolti, dovendosi scontrare con il dato obiettivo che la macchina repressiva penale non e' attualmente in grado di sanzionare un numero elevato di fatti, per cui appare doveroso valutare l'opportunita' di rinunciare alle sanzione penale quantomeno per i reati che presentino un minor grado di offensivita'.
Il legislatore, con l'ultimo intervento di depenalizzazione, ha fatto ricorso a un duplice strumento, da un lato quello della trasformazione di taluni reati in illecito amministrativo, con conseguente affidamento esclusivo all'autorita' amministrativa del compito di punire determinate condotte di minore gravita'; dall'altro lato, quello di abrogare alcune fattispecie di reato previste dal codice penale, con contemporanea sottoposizione dei corrispondenti fatti a "sanzioni pecuniarie civili", che vanno ad aggiungersi al risarcimento del danno conseguente alla condotta presa in esame.
Questo e' avvenuto, per quanto qui di specifico interesse, con riferimento al reato comune di ingiuria previsto dall'art. 594 del codice penale , che ha, quindi, assunto la veste di illecito sanzionato solo civilmente, oltre che con il risarcimento del danno - di natura tipicamente privatistica e che si connota per un profilo squisitamente ristoratorio del pregiudizio cagionato alla parte offesa - anche con una sanzione pecuniaria civile, che appare rifarsi ai punitive damages di matrice anglosassone, in uso sopratutto nel sistema statunitense di common law, che mantiene una funzione principalmente repressiva e afflittiva, e che viene irrogata, per specifica scelta del legislatore, dal giudice civile e devoluta alla cassa delle ammende. A tale ultima sanzione, inoltre, si applica il termine quinquennale di prescrizione della pretesa relativa alla inflizione della sanzione pecuniaria, come expressis verbis previsto dall'art. 3, comma 2, del D.Lgs. citato, che richiama, infatti, il primo comma dell'art. 2947 del codice civile.
I reati oggetto di abrogazione - e tra questi quello di ingiuria di cui all'art. 594 codice penale - vengono, dunque, trasformati in illeciti sottoposti a una sanzione pecuniaria civile, inedita per il nostro sistema giuridico, che, come gia' detto, si connota per una finalita' squisitamente preventiva e repressiva tipica delle sanzioni di natura punitiva. Tale funzione risulta testimoniata dai principi e dai criteri direttivi previsti per la commissurazione della entita' della suddetta sanzione, indicati alla successiva lettera e), ove si prevede, infatti, che le sanzioni civili siano proporzionate non all'entita' del danno conseguito dalla condotta, quanto "alla gravita' della violazione, alla reiterazione dell'illecito, all'arricchimento del soggetto responsabile, all'opera svolta dall'agente per l'eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze nonche' alla personalita' dello stesso e alle sue condizioni economiche".
Appare di tutta evidenza, quindi, che le novita' introdotte dall'intervento normativa in esame determinano una rivalutazione del principio di offensivita' da considerarsi immanente nel nostro sistema penale, coerentemente con quanto gia' operato dal D.Lgs. n. 28 del 16 marzo 2015 , che ha introdotto l'istituto della particolare tenuita' del fatto come causa di esclusione della punibilita' e che, come pacificamente ritenuto anche della giurisprudenza della Corte suprema di cassazione, trova applicazione anche con riferimento ai reati militari, trattandosi di una clausola di esiguita' che determina una improcedibilita' di natura sostanziale e processuale nei casi di concreta inoffensivita' di un fatto che pur astrattamente mantiene la sua rilevanza penale.
I due interventi normativi in questione sul piano teorico si distinguono nettamente fra loro, dal momento che la depenalizzazione determina, a monte, l'espunzione di determinate condotte dal panorama delle fattispecie penalmente rilevanti, a prescindere dalle concrete modalita' attraverso le quali le stesse vengono realizzate; con l'istituto della tenuita' del fatto, invece non sono considerati punibili quei reati sanzionati, nel massimo, con la pena di cinque anni di reclusione o con la pena pecuniaria, solo ove in concreto si siano rivelati di scarsa offensivita'. Nel primo caso, quindi e' il legislatore a stabilire a priori quali condotte non costituiscono piu' reato; mentre, nella seconda ipotesi, il legislatore affida alla sensibilita' e alla discrezionalita' del giudice, quale interprete del diritto, il compito di valutare il concreto se il fatto sottoposto al suo esame non meriti di essere sanzionato, verificando se, per le concrete modalita' esecutive, per la occasionalita' dello stesso, per la tenuita' del pregiudizio o del pericolo cagionato, appunto, abbia arrecato un'offesa troppo lieve per meritare una risposta sanzionatoria penale. Come e' stato osservato, emtrambi gli istituti corrispondono all'esigenza di operare una scrematura dell'area penale dai reati cosiddetti bagatellari, con la differenza che mentre un intervento di depenalizzazione e di abrogazione mira a colpire i cosiddetti reati bagatellari propri, valutati cioe' dello stesso legislatore come ormai privi di offensivita', la tenuita' del fatto ha come obbiettivo, invece, i reati bagatellari impropri, cioe' quelle condotte che astrattamente presentano profili di rilevanza penale e di offensivita', ma che in concreto hanno arrecato un'offesa esigua, tale da far venir meno l'interesse statuale a una loro repressione penale, tramite il meccanismo deflattivo della diversion.
IV. Come gia' anticipato, il legislatore delegato, con l' art. 1, lettera c), del D.Lgs. n. 7 del 2016 ha abrogato, tra gli altri, anche il reato comune di ingiuria, in ossequio a quanto prescritto dall'art. 2, comma 3, lettera a), numero 2, della L. n. 67 del 2014 , che prescriveva l'abrogazione del delitto di cui all'art. 594 del codice penale.
La tecnica utilizzata dalle legislatore nell'operare l'intervento abrogativo, mediante richiamo espresso e tassativo dell'articolo specifico del codice penale che prevede la singola fattispecie di reato sulla quale egli ha inteso intervenire, senza alcuna menzione del relativo nomen iuris, consente di sgombrare definitivamente il campo - per quanto qui di specifico interesse - da qualsiasi possibilita' di considerare coinvolta e travolta da tale intervento di depenalizzazione anche la corrispondente fattispecie di reato di ingiuria prevista dal codice penale militare di pace all'art. 226. Non appare, infatti, possibile estendere la depenalizzazione operata dal legislatore con la novella anche a tale reato militare, attraverso un'attivita' di interpretazione costituzionalmente orientata, in particolare di applicazione analogica in bonam partem della normativa abrogata, proprio in considerazione del carattere tassativo dei delitti specificamente indicata dal D.Lgs. in esame, dal quale obiettivamente emerge la volonta' del legislatore di riferirsi alla fattispecie di reato comune contemplata dall'art. 594 del codice penale e non anche all'omologo e omonimo reato di ingiuria militare previsto all'art. 226 del codice penale militare di pace.
Del resto, secondo l'insegnamento costante del Giudice delle leggi, "le valutazioni di politica criminale competono esclusivamente al legislatore", mentre le "sperequazioni" normative tra figure omogenee di reato determinano necessariamente l'intervento della Corte costituzionale solo se assumono aspetti e dimensioni tali da non potersi considerare come sorrette da alcuna ragionevole giustificazione (ex multis, sentenza 25 luglio 1997 n. 272).
Peraltro, al giudice di merito non e' richiesto di spingersi fino alla valutazione della incostituzionalita' della norma da applicarsi, compito da riservarsi evidentemente al Giudice delle leggi, e neanche esprimere un positivo e diffuso convincimento nel senso della fondatezza della questione prospettata, essendo sufficiente il sorgere anche di un mero dubbio sulla costituzionalita' della norma impugnata, in termini di non manifesta infondatezza. Ne' lo stesso giudice di merito, a fronte di una tale delibazione, potrebbe optare per disapplicazione della norma sospettata di incostituzionalita', poiche' una tale soluzione si profilerebbe, per un verso, come provvedimento abnorme in considerazione della gia' evidenziata tassativita' della elencazione legislativa, come gia' stigmatizzato dalla Consulta, secondo la quale di giudici devono limitarsi a esercitare il loro potere di verificare quale legge si debba applicare nel caso concreto e ad interpretare la legge stessa, ma non possono "espressamente disapplicare le leggi ..., con violazione degli articoli 101, 117 e 134 della Costituzione " (sentenza Corte costituzionale n. 285 dell'11-14 giugno 1990); e lascerebbe, per altro aspetto, irrisolti anche i problemi connessi ai giudicati pregressi (che per quanto concerne la abrogazione del reato comune di ingiuria, il legislatore ha espressamente disciplinato all' art. 12, comma 2, del D.Lgs. n. 7 del 2016).
Nel caso di specie, questa Corte ritiene che il presente giudizio non possa essere definito prescindendo dalla questione di legittimita' costituzionale riguardante l'art. 226 codice penale militare di pace , palesandosi la stessa come "rilevante" e "non manifestamente infondata".
Peraltro, la circostanza che i contestati reati di ingiuria e minaccia di cui ai primi due capi di imputazione si siano consumati in un medesimo ambito spazio-temporale e nell'evolversi della accesa discussione intercorsa tra l'imputato e la persona offesa in quel contesto; e che anche l'ulteriore condotta minatoria descritta al capo c) dell'imputazione si colloca nell'ambito degli stessi deteriorati rapporti personali intercorrenti tra i protagonisti della vicenda e trova origine, quale causa immediata e recondita, nei precedenti screzi intercorsi tra i due soggetti in questione con riferimento a vicende di natura condominiale; determina la necessita', ad avviso di questa Corte, di una valutazione unitaria delle condotte poste in essere dall'imputato, per cui appare opportuno non procedere a norma dell'art. 18 lettera c) codice di procedura penale, pronunciando ordinanza di separazione del processo mediante stralcio dell'imputazione di minaccia, ritenendo la riunione assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti di causa.
V. In ordine all'aspetto della rilevanza deve osservarsi che, sulla della descrizione della condotta contenuta nel capo imputazione e di quanto emerge dal materiale probatorio documentale e testimoniale acquisito nel giudizio di primo grado, appare astrattamente corretta e condivisibile la qualificazione giuridica del fatto di cui al capo a) quale reato militare di ingiuria e il conseguente inquadramento dello stesso sotto la fattispecie di cui all'art. 226 del codice penale militare di pace. In particolare, pur ricorrendo una diversita' di grado tra il soggetto indicato come autore della condotta e la persona offesa attinta dalla stessa, non appare sussistente alcuno degli elementi negativamente indicati dall'art. 199 codice penale militare di pace , con conseguente esclusione della applicabilita', nel caso in esame, della fattispecie di reato di ingiuria ad inferiore, inquadrata dal legislatore sotto i reati contro la disciplina militare. In particolare, risulta evidente che il fatto e' stato commesso da un militare non impegnato nello svolgimento di uno specifico servizio, ne' alla presenza di piu' militari riuniti per servizio, ne', evidentemente, a bordo di una nave o di un aeromobile militare. E ancora, che lo stesso fatto, per le modalita' di estrinsecazione della condotta e per gli immediati antecedenti causali e occasionali che hanno caratterizzato la stessa, non presenta alcun profilo di connessione con il servizio e la disciplina militare.
Dall'imputazione risulta, infatti, che l'imputato avrebbe rivolto la frase offensiva nei confronti del maggiore, in occasione di un acceso scambio di battute intervenuto mentre il primo si trovava nel cortile condominiale con la sua cagnolina, e la persona offesa era affacciata alla finestra del bagno del proprio appartamento, posto al primo piano di uno dei fabbricati prospicienti al cortile. Appare, inoltre, evidente che la causa scatenante la discussione in questione sia da individuarsi nell'ambito dei rapporti di vicinato e di condivisione condominiale, sia pure relativa ad alloggi militari, intercorrenti tra i due protagonisti della vicenda. Lo stesso Tribunale riteneva, preliminarmente, doveroso precisare che i rapporti tra i due militari "... pur abitando gli stessi in due appartamenti attigui, erano "freddi" e che nel periodo immediatamente precedente ai fatti in contestazione erano peggiorati a causa delle lamentele del maggiore al responsabile del condominio circa la gestione del cane da parte del tenente colonnello". Appare evidente, quindi, che il fatto contestato risulta inquadrabile e riconducibile a un contesto squisitamente personale e privato che non trova alcun addentellato con questioni attinenti al servizio e alla disciplina militare. Se cio', come gia' detto, consente di escludere l'applicabilita' dei reati militari contro la disciplina militare, non priva, tuttavia, il fatto in questione di una sua rilevanza penale militare che, per quanto riguarda specificamente la condotta ingiuriosa qui oggetto di interesse, e' da ricondursi proprio alla previsione normativa di cui all'art. 226 del codice penale militare di pace , sotto il quale, per la inequivoca formulazione della fattispecie ad opera del legislatore, sicuramente possono rientrare anche condotte di natura ingiuriosa del tutto esulanti dalla sfera del servizio e della disciplina militare, alla sola condizione che siano tenute da un soggetto che rivesta la qualita' di militare, ai danni di un appartenente al medesimo consorzio, in cio' potendosi esaurire, in definitiva, la connotazione di militarita' della fattispecie in esame. In tal senso depone l'interpretazione della norma univocamente affermatasi presso la giurisprudenza di legittimita', ove si e' ripetutamente affermato che "... i fatti di violenza, minaccia e ingiuria commessi tra militari non integrano i reati di cui agli articoli 195 e 196 codice penale militare di pace , allorche' risultino collegati in modo del tutto estrinseco all'area degli interessi connessi alla tutela del servizio e della disciplina, ponendosi con questi in rapporto di semplice occassionalita', a nulla rilevando che essi si siano svolti all'interno di una struttura militare, risolvendosi, diversamente, tale circostanza nella indebita valorizzazione di una mera coincidenza topografica, in contrasto con la sentenza 17 gennaio 1991 n. 22 della Corte costituzionale, dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 199 stesso codice limitatamente alle parole "o in luoghi militari". (Fattispecie relativa a percosse e minacce commesse, nell'ufficio di una scuola di fanteria dell'esercito, da un ufficiale in danno di un fante, a conclusione di una conversazione privata" (Cass. Sez. I, n. 41703 dell'8 ottobre 2002); ed ancora che "l'offesa all'onore di un inferiore ( art. 196 codice penale militare di pace ), rivolta dal militare appartenente alle Forze armate al di fuori dell'attivita' di servizio attivo e non obiettivamente correlata all'area degli interessi connessi alla tutela della disciplina, rientra nella clausola di esclusione del reato di ingiuria ad inferiore, prevista dall'art. 199 codice penale militare di pace ("cause estranee al servizio e alla disciplina militare"). (Fattispecie relativa ad un tenente dell'Esercito italiano che, in abiti civili, profferiva parole ingiuriose nei confronti dei militari della Guardia di finanza che lo avevano fermato per contestargli alcune infrazioni al Codice della strada)" (Cass. Sez. I, n. 19425 del 5 maggio 2008; e, in senso conforme, Cass. Sez. I, n. 8495 del 28 settembre 2012).
Non appare, quindi, possibile procedere a una interpretazione della norma che - avuto presente il nuovo quadro normativo conseguente all'abrogazione dell'art. 594 codice penale - consenta di conformare la fattispecie dell'ingiuria militare al rispetto dei precetti costituzionali, in particolare restringendo il campo di applicazione di tale previsione ai soli fatti che presentino profili di attinenza con il servizio e la disciplina militare o, piu' in generale, con interessi militari, e con esclusione, invece, di tutte le condotte ingiuriose che, pur essendo intervenute tra soggetti che rivestono lo status di militare, si caratterizzano per una connotazione di natura squisitamente personale e privata. Solo una tale interpretazione adeguatrice, che pero' - si ribadisce - non e' consentita dal tenore letterale della norma incriminatrice, consentirebbe di eliminare quella disparita' di trattamento giuridico che, all'indomani dell'abrogazione del reato comune di ingiuria ad opera del legislatore, si e' venuta a determinare - ad avviso di questo giudice - tra i soggetti in armi e quelli estranei al consorzio militare. Non appare quindi, possibile, nel caso in esame, accogliere l'invito a percorrere la strada dell'interpretazione conforme a Costituzione, in numerose pronunce rivolto dal Giudice delle leggi ai giudici di merito, affinche' gli stessi, nell'operare la ricognizione del contenuto normativo della disposizione da applicarsi, siano costantemente ispirati dall'esigenza di rispetto dei precetti costituzionali e quindi, ove un'interpretazione appaia confliggente con alcuno di essi, si risolvano ad adottare letture alternative maggiormente aderenti al parametro costituzionale altrimenti vulnerato (vds., al riguardo Corte cost., sent. n. 149 del 1994).
In definitiva, come gia' in precedenza si e' evidenziato, dallo stesso capo di imputazione elevato nei confronti dell'imputato, nonche' dall'esame del complessivo materiale probatorio, emerge per tabulas che la fattispecie denunciata debba essere applicata necessariamente ai fini della decisione, non trattandosi, pertanto, di una prospettazione meramente ipotetica e astratta.
La pregiudizialita' necessaria di tale questione di legittimita' costituzionale rispetto alla decisione del giudizio a quo appare evidente, investendo il dubbio di conformita' alla Costituzione una disposizione penale che questo Giudice e' chiamato ad applicare per la prosecuzione e/o la definizione del giudizio.
Emergendo chiaramente, per quanto sopra descritto, la rilevanza nel caso di specie della questione di legittimita' costituzionale, alla stessa deve accordarsi, peraltro, precedenza, non risultando altre questioni, prospettate nell'atto di appello proposto dal difensore dell'imputato o rilevabili ex officio da questo giudice, che presentino un carattere di preordinazione o pari ordinazione rispetto alla stessa.
Infine, come gia' evidenziato al paragrafo precedente, la sospensione del procedimento per la imputazione di ingiuria non viene nella specie a costituire causa di separazione relativamente alle ulteriori contestazioni di minaccia.
VI. L'intervento abrogativo del delitto di ingiuria comune operato dal legislatore ha indubbiamente determinato, quale ulteriore e indiretta conseguenza, l'inquadramento della residua fattispecie di reato militare di ingiuria tra i reati "esclusivamente militari", dal momento che esso risulta attualmente costituito, secondo la definizione fornita dall'art. 37, comma 2, codice penale militare di pace "da un fatto che nei suoi elementi materiali costituitivi, non e', in tutto in parte, preveduto come reato dalla legge penale comune".
Se e' vero, come e' stato riconosciuto da autorevole dottrina, che la nozione di reato militare presenta una connotazione squisitamente formale, dovendosi considerare reato militare, secondo quanto previsto dall'art. 37, comma 1, codice penale militare di pace , "qualunque violazione della legge penale militare", tuttavia, alla luce delle pronunce del Giudice delle leggi e di quello di legittimita', non puo' revocarsi in dubbio che "perche' si abbia reato militare occorre che si tratti di un fatto che sia offensivo di un interesse militare e che sia previsto dalla legge penale militare" (Cass. Pen, Sez. I, 22 settembre 2009, n. 759; sul punto anche Corte costituzionale, 6 luglio 1995, n. 298, che ha definito inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 37 codice penale militare di pace , confermando l'adozione da parte del legislatore di un criterio meramente formale per definire la nozione di reato militare).
In conseguenza della depenalizzazione del reato comune di ingiuria, determinata dall' art. 1, lettera c), del D.Lgs. n. 7 del 2016, l'omologa fattispecie di reato militare, ricomprendendo fatti potenzialmente estranei alla tutela degli interessi militari, difettando per il reato in questione una norma equivalente a quella contenuta nell'art. 199 codice penale militare di pace , introduce una disparita' di trattamento dei cittadini in armi imputati di ingiuria, rispetto ai soggetti non appartenenti alle Forze Armate che si rendano protagonisti delle medesime condotte ingiuriose ma che, d'ora innanzi, saranno soggetti esclusivamente a una sanzione pecuniaria civile. Tale disparita' si palesa in contrasto col principio di ragionevolezza, risultando del tutto ingiustificata perche' finisce con il riservare al militare soggetto a un reato esclusivamente militare un trattamento immotivatamente ben piu' gravatorio rispetto a quello previsto per gli estranei alle Forze armate. La stessa, peraltro, non puo' trovare giustificazione neanche in base alla ratio ravvisata dalla Corte costituzionale, la quale, nel pronunciarsi in ordine al giudizio di legittimita' costituzionale degli articoli 226 e 229 codice penale militare di pace , in relazione all'art. 260 dello stesso codice, ebbe ad affermare che la questione sollevata non poteva ritenersi in contrasto "con il principio informatore dell'ordinamento delle forze armate - identificato dall'art. 52, terzo comma, della Costituzione nello spirito democratico della Repubblica - trattandosi di scelta che mira ad adeguare al caso concreto la risposta dell'ordinamento militare", non essendo, secondo la stessa Corte, neppure "ravvisabile una lesione del principio di uguaglianza, in quanto la diversita' di trattamento rilevata dal giudice a quo trova giustificazione nella peculiare posizione del cittadino inserito nell'ordinamento militare - caratterizzato da specifiche regole di natura cogente - rispetto a quella della generalita' dei cittadini" (Corte Cost., ordinanza n. 186 del 4 giugno 2001). L'ordinanza in questione e' stata, infatti, successivamente precisata dalla stessa Consulta, sostanzialmente nell'esercizio di una attivita' di interpretazione autentica, allorquando, con la sentenza numero 273 del 19-29 ottobre 2009, con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 227 del codice penale militare di pace nella parte in cui non prevedeva l'applicabilita' della prova liberatoria prevista dall'art. 596 del codice penale , ebbe modo di affermare, a giustificazione della ravvisata legittimita' dell'esclusione della procedibilita' a querela della persona offesa per i delitti di ingiuria e diffamazione militare e della loro esclusiva subordinazione alla richiesta di procedimento da parte del comandante di corpo, che "... nei reati militari e' sempre insita "un'offesa alla disciplina e al servizio, una lesione quindi di un interesse eminentemente pubblico che non tollera subordinazione all'interesse privato caratteristico della querela": presupposto sulla base del quale "si e' preferito attribuire al comandante del corpo, con l'istituto della richiesta" una facolta' di scelta tra l'adozione di provvedimenti di natura disciplinare ed il ricorso all'ordinaria azione penale". Il principio in questione veniva in quella ipotesi, pero', riferito dalla Corte alla previsione di due differenti condizioni di procedibilita' penale, che distinguevano la particolare posizione del cittadino sub signis, con riferimento, tuttavia, a fatti da considerarsi, in entrambi i casi, penalmente rilevanti. A seguito, invece, della depenalizzazione del reato comune di ingiuria, si e' venuta a determinare una disparita' di trattamento tra il cittadino in armi e quello comune, in base alla quale soltanto il primo viene a ricevere un trattamento sanzionatorio di natura penale nei casi di condotte ingiuriose tenute nei confronti di altro militare che non presentino alcuna connessione con interessi di natura militare. Ne' a giustificazione di tale deteriore risposta da parte dell'ordinamento giuridico puo' farsi richiamo a un preteso maggiore disvalore caratterizzante la condotta in tali casi, dal momento che la pena edittale prevista per il reato militare di ingiuria si presentava meno grave (reclusione militare fino a quattro mesi) rispetto alla sanzione del corrispondente reato comune ormai abrogato (reclusione nel massimo fino a sei mesi, oltre alla multa fino a Euro 516,00). Nella stessa relazione definitiva ai codici penali militari, a proposito del raffronto delle "gravita'" delle due fattispecie di reato in esame, si diceva che "gli articoli 226, 227, 228 del codice concernono i reati di ingiuria e di diffamazione. Sono state tenute presenti, nella formulazione degli articoli le corrispondenti norme della legge penale comune, stabilendosi peraltro una diminuzione delle pene giustificata dalle particolari condizioni con cui si svolge la convivenza militare, per cui taluni episodi possono considerarsi come manifestazioni di esuberanza giovanile anziche' di pravi sentimenti".
In definitiva, appare indiscutibile, in considerazione del tenore letterale delle rispettive fattispecie incriminatici, e alla luce dei parametri interpretativi al riguardo forniti dalla giurisprudenza di merito e di legittimita', che il reato militare di ingiuria abbia mutuato il nucleo essenziale della condotta che intende prevedere e reprimere, dall'ormai abrogato delitto comune di ingiuria, del quale costituiva fino ad oggi una sostanziale duplicazione, sia per quanto riguarda il profilo oggettivo, sia per quello psicologico del dolo generico richiesto, salvo diversificarsene esclusivamente per il requisito della qualita' di militare dei soggetti attivo e passivo del reato. Ne derivava la sussistenza di un rapporto di specialita' tra le due fattispecie incriminatici, del tutto analogo a quello affermato dalla stessa Corte costituzionale con la sentenza n. 273/2009, con riferimento al reato militare di diffamazione rispetto a quello comune di cui all'art. 595 codice penale , per cui "... le due fattispecie poste a raffronto, diffamazione militare ( art. 227 codice penale militare di pace ) e diffamazione "comune" ( art. 595 codice penale ), presentavano una piena equivalenza sul terreno sia della condotta tipica, sia dell'oggettivita' giuridica del reato. La diffamazione militare si poneva in rapporto di specialita' con il corrispondente delitto previsto dal codice penale, distinguendosi unicamente per la qualita' del soggetto attivo e della persona offesa, che devono essere entrambi militari, restando invece identica, sotto il profilo testuale, la descrizione della fattispecie base delle due norme incriminatrici, vale a dire l'offesa della altrui reputazione nella comunicazione con piu' persone" (Corte Cost., sentenza del 19-29 ottobre 2009, n. 273).
Deve, quindi, concludersi, data la assoluta equivalenza tra le due fattispecie, sia sul piano della condotta tipica che su quello del bene giuridico oggetto di tutela, che l'attuale disparita' di trattamento venutasi a determinare con riferimento alle condotta di ingiuria, quando posta in essere da un cittadino comune, con conseguente risposta sanzionatoria solo di natura civile da parte dell'ordinamento, rispetto a quando commessa da un militare ai danni di altro commilitone, con trattamento sanzionatorio penale, privativo della liberta' personale, appare del tatto ingiustificata sotto il profilo della ragionevolezza e si pone in insanabile contrasto con il principio di eguaglianza di tutti i cittadini, proclamato dall'art. 3 della Carta costituzionale, nei casi in cui la condotta posta in essere non presenti alcun profilo di attinenza con interessi di natura militare, se non per il solo fatto dell'appartenenza alle Forze Armate dei soggetti attivo e passivo della condotta stessa.
Come gia' sopra evidenziato, attesa l'impossibilita' per il giudice di operare una distinzione, nell'ambito della previsione generale di cui all'art. 226 del codice penale militare di pace , tra le condotte di ingiuria che presentano profili di attinenza al servizio o alla disciplina militare o, piu' in generale, di connessione con interessi di natura militare, rispetto a condotte che non presentino una tale colorazione, si palesa, nell'attuale assetto normativo, uno stridente trattamento discriminatorio tra i comuni cittadini e quelli in armi, essendo questi ultimi attualmente gli unici chiamati a dover rispondere penalmente di condotte di valenza ingiuriosa poste in essere nei confronti di propri commilitoni. Tale evidente contrasto appare ingiustificato e induce a ravvisare un vizio di costituzionalita' della norma penale militare che prevede il delitto di ingiuria, nelle ipotesi in cui la condotta, come nel caso in esame, non presenti alcun profilo di connessione con interessi militari, se non per la mera appartenenza al consorzio militare dei, protagonisti attivo e passivo della vicenda. In tali ipotesi, infatti, non e' possibile cogliere alcun tratto differenziale con la fattispecie che la novella ha inteso escludere dall'ambito della rilevanza penale, per affidarla a una tutela da svolgersi ed esaurirsi tutta in ambito civilistico.
Siffatta situazione, come gia' detto, ricorre nel caso che costituisce oggetto del presente giudizio, dato che la condotta ingiuriosa che viene ascritta all'imputato, secondo la descrizione fornitane dalla pubblica accusa, non presenta alcun profilo di connessione con interessi militari, ne' di riconducibilita' al servizio o alla disciplina militare, essendo stato il protagonista attivo della vicenda libero dal servizio, non risultando aver assistito all'episodio in questione altri militari oltre alla persona offesa ed essendo evidentemente riconducibile il fatto a discussioni di natura esclusivamente personale e privata; di talche', appare evidente e inaccettabile la disparita' di trattamento rispetto a un comune soggetto al quale venisse ascritta la stessa condotta addebitata all'imputato, in palese contrasto con il principio di uguaglianza tra cittadini.
Non pare, invece, potersi accogliere la prospettazione effettuata dal P.G.M. nel sollevare la questione di legittimita' costituzionale, secondo la quale quest'ultima investirebbe non solo l'art. 226 codice penale militare di pace , per contrasto con gli articoli 3 e 52 della Costituzione , nella parte in cui sottopone a sanzione penale comportamenti posti in essere al di fuori delle condizioni previste dall'art. 199 codice penale militare di pace , ma anche l' art. 1, lettera c), del D.Lgs. n. 7 del 2016, nella parte in cui non ha previsto l'abrogazione del reato di cui all'art. 226 codice penale militare di pace qualora il fatto sia commesso al di fuori delle condizioni previste dall'art. 199 codice penale militare di pace
Al riguardo deve, infatti, osservarsi che la norma con la quale il legislatore ha disposto la abrogazione del reato di cui all'art. 594 codice penale non presenta, in se' considerata, profili di contrasto con i dettami della Carta costituzionale e non costituisce oggetto di applicazione diretta e immediata da parte di questa Corte nel presente giudizio. Tale norma, piuttosto, si pone quale causa primigenia dell'introduzione nell'ordinamento penale complessivamente considerato di un ingiustificato trattamento discriminatorio tra il cittadino comune e quello in anni che si rendano responsabili di una condotta ingiuriosa nei termini gia' precisati da questa Corte; con conseguente evidenziazione di profili di illegittimita' costituzionale della fattispecie che attualmente prevede e punisce il reato militare di ingiuria e che costituisce, questa si', oggetto di concreta e diretta applicazione, nel caso di specie, da parte di questo Giudice e che con la presente ordinanza si intende denunciare.
In conclusione, ai fini della corretta individuazione del thema decidendum da offrirsi alla valutazione del Giudice delle leggi, questa Corte ritiene di dover indicare l'art. 226 del codice penale militare di pace - che, per le ragioni in precedenza espresse, deve trovare applicazione nel presente giudizio - come norma che si pone in contrasto, alla luce del criterio di ragionevolezza, con gli articoli 3 e 52 della Carta costituzionale, i quali sono da assumersi, quindi, quali parametro di costituzionalita'; violazione determinatasi a seguito dell'entrata in vigore dell' art. 1, lettera c), del D.Lgs. n. 7 del 2016 - costituente, quindi, il tertium comparationis - che ha disposto la abrogazione del reato comune di ingiuria di cui all'art. 594 del codice penale , non prevedendo, ingiustificatamente, analoga abrogazione anche dell'omonimo reato militare di ingiuria, contemplato dall'art. 226 codice penale militare di pace , nelle distinte ipotesi come sopra delineate e, in particolare, nei casi in cui la condotta ivi descritta non presenti alcun profilo di attinenza con il servizio e/o la disciplina militare o, pii in generale, con interessi di natura militare. Si invoca, pertanto, la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 226 codice penale militare di pace , nella parte in cui se ne prevede l'applicabilita' anche quando il fatto dalla stessa preveduto risulta commesso per cause estranee al servizio e alla disciplina militare o, comunque, non afferenti a interessi delle Forze Armate, che, ad avviso di questo giudice, avrebbe come risultante un quadro normativo coerente con la scelta operata dal legislatore relativamente ai reati di insubordinazione e abuso di autorita', per i quali e' stato effettuato il ridimensionamento dell'ambito applicativo con l'individuazione delle specifiche situazioni di fatto descritte nell'art. 199 del codice penale militare di pace (fatti avvenuti per cause estranee al servizio e alla disciplina, fuori dalla presenza di militari riuniti per servizio e da militare che non si trovi in servizio o a bordo di una nave o di un aeromobile militare). Tale intervento consentirebbe, infatti, ricorrendo taluna di tali circostanze negativamente indicate, di escludere in radice la rilevanza penale delle condotte integranti ingiuria, anziche' comportare, come attualmente avviene in base a quanto espressamente previsto dall'art. 199 codice penale militare di pace , la sola inapplicabilita' delle norme che contemplano e puniscono la condotta ingiuriosa, sia in senso ascendente che discendente, nell'ambito dei reati di insubordinazione ( articoli 189, comma 2, codice penale militare di pace ) e di abuso di autorita' (196, comma 2, codice penale militare di pace), inquadrati sotto il Titolo III "Dei reati contro la disciplina militare", con conseguente riconducibilita' degli stessi nell'alveo della fattispecie incriminatrice di cui all'art. 226 codice penale militare di pace.
Conclusivamente, verrebbe ripristinata la piena equiparazione del trattamento riservato al cittadino in armi che si renda protagonista di una condotta ingiuriosa nei confronti di altro militare, per ragioni di natura esclusivamente personale e privata che non presentino alcuna attinenza con interessi di natura militare, rispetto al cittadino comune che tenga un comportamento analogo nei confronti di un altro soggetto.
P.Q.M.
Visti gli articoli 1 della L.Cost. 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della L. 11 marzo 1953, n. 87 ;
Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 226 codice penale militare di pace , per contrasto con gli articoli 3 e 52 della Costituzione , nella parte in cui sottopone a sanzione penale condotte del tutto estranee al servizio o alla disciplina militare o, comunque, non afferenti a interessi delle Forze Armate dello Stato, che, ove poste in essere da soggetti non appartenenti alle Forze Armate, non sono piu' previste dalla legge come reato, per effetto del disposto dell' art. 1, lettera c), del D.Lgs. n. 7 del 15 gennaio 2016, che ha abrogato l'art. 594 codice penale ;
Dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
Ordina la sospensione del giudizio incorso;
Ordina che la presente ordinanza, a cura della cancelleria, sia notificata al Presidente dei Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
Cosi' deciso in Roma, il 20 aprile 2016
Il Presidente: Ufilugelli
Il giudice estensore: Tornatore
30-09-2016 14:45
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