Maresciallo dei Carabinieri condannato per acquisizione ed utilizzazione indebita di informazioni presso la banca dati delle forze di polizia, nonchè per calunnia continuata e di diffamazione commessi con denunce anonime in danno di altro Maresciallo dei Carabinieri.
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 26/02/2016) 25-03-2016, n. 12655
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PAOLONI Giacomo - Presidente -
Dott. CARCANO Domenico - Consigliere -
Dott. RICCIARELLI Massimo - Consigliere -
Dott. DI SALVO Emanuele - Consigliere -
Dott. CORBO Antonio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso proposto da:
B.A., nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 03/04/2014 della Corte di appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. CORBO Antonio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LOY Maria Francesca, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore della costituita parte civile, avvocato Gonzi Giacomo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore dell'imputato, avvocato Fioravanti Pietro, che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa il 3 aprile 2014, la Corte di appello di Firenze, in parziale riforma della decisione di primo grado, emessa all'esito di giudizio abbreviato, per quanto di interesse in questa sede, ha condannato B.A., all'epoca dei fatti Maresciallo dei Carabinieri in servizio nel territorio della Compagnia di (OMISSIS), alla pena ritenuta di giustizia per i reati di acquisizione ed utilizzazione indebita di informazioni presso la banca dati delle forze di polizia in data (OMISSIS), nonchè di calunnia continuata e di diffamazione commessi con denunce anonime dell'(OMISSIS) e dell'(OMISSIS) in danno di P.F., anch'egli Maresciallo dei Carabinieri in servizio nella Compagnia di (OMISSIS); ha, inoltre, confermato le statuizioni civili della sentenza di primo grado in favore della costituita parte civile, P.F., e condannato l'imputato a rifondere a quest'ultima le spese anche per il giudizio di appello.
2. Ha presentato ricorso per cassazione avverso la precisata sentenza, l'avvocato Fioravanti Pietro, quale difensore di fiducia del B., sviluppando sei articolati motivi.
2.1. Nel primo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 63, 64, 65, 185, 335, 362, 364 e 374 cod. proc. pen. , in relazione all'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. c), per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza.
Si deduce che la sentenza della Corte di appello avrebbe illegittimamente utilizzato dichiarazioni rese dal B. in data 20 marzo 2007 prima come sommarie informazioni e poi come spontanee dichiarazioni, nonchè quanto sottoposto a sequestro all'esito di tali dichiarazioni. Il B., infatti, nella data indicata, non poteva essere sentito a sommarie informazioni nè a spontanee dichiarazioni, ma doveva essere sin dall'inizio sentito come persona indagata, in quanto già in quel momento erano stati compiuti accertamenti per effettuate una perquisizione in tutti i luoghi posti nella sua disponibilità, come risulta da una informativa del 17 marzo 2007; del resto, il tenore del verbale di spontanee dichiarazioni conferma che tale atto si era caratterizzato per la proposizione di domande e richieste di chiarimenti all'imputato.
Posto, poi, che proprio dai verbali assunti il 20 marzo 2007 la Polizia giudiziaria era venuta a conoscenza dell'esistenza di una busta contenente una copia degli anonimi, era invalido anche il verbale di sequestro avente ad oggetto, tra l'altro, gli indicati documenti (si cita in proposito Sez. 4, n. 7173 del 28/03/1996, Moro, Rv. 205332).
2.2. Nel secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 585, 11, 36 e 52 cod. proc. pen. , nonchè degli artt. 368, 317, 319-quater cod. pen. , nonchè ancora della L. 1 aprile 1981, n. 121, art. 12, in relazione all'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche da questa richiamate.
Si deduce, in particolare, l'erroneità della valutazione solo parziale dei motivi nuovi, sebbene tempestivamente depositati, il mancato rilievo del difetto di il giurisdizione in favore dell'Autorità giudiziaria militare, e comunque del difetto di competenza funzionale degli uffici giudiziari del distretto di Firenze, il mancato rilievo della violazione dell'obbligo di astenersi da parte del magistrato che ha svolto nel giudizio di primo grado le funzioni di Pubblico ministero, l'erroneità dell'affermata sussistenza del dolo di calunnia, e comunque della indicazione del delitto di concussione come oggetto della calunnia, la non configurabilità della calunnia con riferimento agli anonimi indicati in contestazione, l'erroneità della ritenuta sussistenza del reato previsto dalla L. n. 121 del 1981, art. 12.
Quanto alla valutazione parziale dei motivi nuovi, perchè ritenuti tardivamente depositati, e quindi scrutinabili solo in relazione alle questioni rilevabili di ufficio, si osserva che il deposito è avvenuto in data 27 giugno 2012, quindi ben oltre quindici giorni prima dell'udienza del 16 luglio 2012, e che il contenuto dei medesimi consisteva nella mera prospettazione di "nuovi elementi sulla base di quelli già impugnati a seguito dei quali il giudice di appello avrebbe dovuto riformare la decisione di primo grado nel senso già richiesto".
Con riferimento all'omesso rilievo del difetto di giurisdizione in favore dell'Autorità giudiziaria militare, pur prospettato nei motivi nuovi, si rappresenta che tale deduzione costituisce questione comunque rilevabile d'ufficio, ed è inoltre sicuramente applicabile in relazione al contestato reato di diffamazione, poichè, trattandosi di fatti commessi da militari, il reato configurabile era in realtà quello di cui all'art. 227 cod. pen. mil. pace.
Relativamente all'omesso rilievo del difetto di competenza funzionale degli uffici giudiziari del distretto di Firenze, si evidenzia che persone offese delle calunnie dovevano intendersi anche magistrati in servizio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Montepulciano ed al Tribunale di Montepulciano. Questo sia perchè gli stessi magistrati procedenti hanno indicato nel processo che gli anonimi hanno diffamato una pluralità di persone, sia perchè l'accusa di inerzia o di trattamenti compiacenti rivolta agli organi giudiziari inquirenti non può essere liquidata come "una generica accusa", tanto più che risulta contenuta anche in esposti diretti al Consiglio Superiore della Magistratura al Ministro della Giustizia ed al Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, sia perchè, infine, la deroga opera pure quando il magistrato "anche soltanto appare danneggiato" e non è indicato come persona offesa dal pubblico ministero (cfr. Sez. 6, n. 7186 del 08/02/2013).
In ordine all'omesso rilievo della violazione dell'obbligo di astensione da parte del magistrato che ha esercitato le funzioni di Pubblico ministero, si sottolinea che la stessa doveva essere rilevata, poichè la relativa dichiarazione ha natura obbligatoria, anche quando ricorrono "gravi ragioni di convenienza".
Per quanto concerne il profilo del dolo della calunnia, si censura l'omessa motivazione. Si premette, infatti, che, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, l'elemento soggettivo del reato deve essere escluso anche quando l'accusa mossa è temeraria, ma non è provata l'intenzione di incolpare una persona che si sappia innocente. Si rileva, poi, che, nel caso di specie, la sentenza di appello si è limitata a rilevare: "se pure non vi è prova in termini di certezza della infondatezza per tutti i fatti ivi elencati, tuttavia dalle indagini svolte è emerso che molti di quei fatti, soprattutto i più gravi quali gli episodi concussivi, sono certamente falsi e tanto basta per concludere in ordine alla sussistenza del reato di calunnia e del correlativo elemento soggettivo di chi tali accuse ha propalato senza disporre di elemento alcuno". Si conclude, pertanto, che non sarebbe indicato "da quale indizio, elemento, prova, o circostanza fosse stata raggiunta e perciò dimostrata, al di là di ogni ragionevole dubbio, la certezza dell'innocenza del P. avuta dal B. nel propalare le accuse a suo carico".
Con riguardo ai reati oggetto della calunnia, si contesta che gli stessi possano essere individuati in fatti di concussione, e che quindi sia configurabile l'aggravante prevista dall'art. 368 c.p. , comma 2. Sarebbe stato in effetti necessario considerare che la riforma introdotta con al L. 6 novembre 2012, n. 190 , ha distinto tra concussione ed induzione indebita, incentrando la prima sulla minaccia di un danno ingiusto; sarebbe stato poi doveroso rilevare, alla luce delle circostanze del caso di specie, da un lato, che "la minaccia d'indagini non è semanticamente prospettare un male ingiusto", e dall'altro, che nessun accertamento era stato compiuto in ordine alle conseguenze derivabili per i destinatari dall'eventuale adesione alle richieste indicate nelle false denuncie, e che potevano essere qualificate in termini di vantaggio indebito per i medesimi.
In relazione alla non configurabilità della calunnia con riferimento agli anonimi indicati in contestazione, si osserva che le false accuse erano state già oggetto di precedenti anonimi nel 2003 e nel 2005. Si rileva, in proposito, che, secondo consolidata giurisprudenza, da un lato, la reiterazione della denuncia calunniosa non costituisce nuova calunnia.
Per ciò che attiene al reato previsto dalla L. n. 121 del 1981, art. 12, si rappresenta che lo stesso è configurabile solo quando si fa uso del dato conservato nell'archivio della banca dati delle Forze di Polizia e solo quando il fatto non costituisca più grave reato.
Nella specie, però, il dato esternato è di contenuto meramente negativo, perchè la banca dati non conteneva alcuna informazione sulla cessione di fabbricato indicata nell'anonimo, e comunque la relativa propalazione è da ritenersi assorbita nel fatto di calunnia.
2.3. Nel terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. c), per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza.
Si deduce, in primo luogo, in linea generale, che tutti gli atti di indagine sarebbero inutilizzabili, perchè compiuti da soggetti che avrebbero violato l'obbligo di astenersi. Non sarebbe stata valutata nemmeno la presentazione di una denuncia-querela da parte del B. nei confronti del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Montepulciano, del G.i.p. del Tribunale di Montepulciano e di due ufficiali dei carabinieri per il reato di abuso di ufficio commesso mediante lo svolgimento delle attività di indagini e di giudizio nel presente procedimento in violazione dell'obbligo di astensione, derivante dall'essere i medesimi soggetti danneggiati dalle notizie contenute negli anonimi attraverso i quali sarebbero state commesse le calunnie ascritte al ricorrente. L'accertata sussistenza della violazione dell'obbligo di astensione determina, secondo la giurisprudenza di legittimità (si cita Sez. 2, n. 15937 del 13/01/2009), l'inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti.
Si deduce, poi, in particolare, l'inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dal B. al Pubblico ministero, l'invalidità del sequestro della busta contenente il secondo esposto anonimo, l'inutilizzabilità degli anonimi precedenti a quelli attraverso i quali sarebbe stata commessa la calunnia. In particolare, per quanto attiene all'inutilizzabilità delle spontanee dichiarazioni ed alla invalidità del sequestro, si richiama quanto esposto nel primo motivo di ricorso (v. supra sub 2.1); per quanto attiene agli anonimi pregressi si contesta che questi siano stati "assunti unicamente come dato storico", poichè, anzi, la sentenza impugnata dagli stessi desume l'esistenza di una situazione di "malanimi, animosità, contrasti,... faziosità, nelle quali ben poteva originarsi il movente del contestato reato", e dal richiamo che agli stessi è effettuato negli anonimi mediante i quali si assumono commesse le calunnie e diffamazioni oggetto del presente processo, deriva la conclusione secondo cui "l'insistenza nell'accusa implica il doveroso rinnovo di accertamenti e rafforza la prova dell'elemento soggettivo del reato".
2.4. Nel quarto motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 606 c.p.p. , comma 1, per mancata assunzione di una prova decisiva, già richiesta nel corso dell'istruttoria dibattimentale ex art. 495 c.p.p. , comma 2.
Si censura, precisamente, la mancata acquisizione del documento intitolato "(OMISSIS)", pur prodotto nel corso dell'esame dell'imputato. Invero, dalla stringa in calce al documento si evincerebbe che il computer con nome utente " Ga." era nella sola disponibilità del coimputato G., poi, assolto. Inoltre, tale documento sarebbe affidabile, poichè la Procura della Repubblica di Firenze ha proposto richiesta di archiviazione del procedimento per il reato di falso in scrittura privata, aperto a seguito della denuncia sporta dal G. contro il B..
2.5. Nel quinto motivo, il ricorrente lamenta la violazione dell'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. e), per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati.
Si deduce che manifestamente illogica è l'individuazione del movente degli anonimi, e quindi, di tutti i reati contestati, nell'aspirazione dell'odierno imputato a succedere al maresciallo P., sia perchè questi non era il comandante del nucleo operativo della compagnia dei carabinieri di (OMISSIS), sia perchè il B. aveva in quel momento una posizione di impiego superiore, quale comandante di una Stazione territoriale, sia perchè egli, essendo nato a (OMISSIS), e rimasto colà residente fino all'età di diciannove anni, non avrebbe mai potuto ricoprire incarichi in quel centro.
2.6. Nel sesto motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. e art. 597 c.p.p. , comma 3, in riferimento all'art. 606 c.p.p. , comma 1, lett. b) ed e), per violazione di legge e vizio di motivazione quanto al divieto di reformatio in peius.
Si deduce, innanzitutto, che la Corte di appello di Firenze, benchè impugnante fosse il solo imputato, ha escluso le circostanze attenuanti generiche, già concesse in primo grado con giudizio di equivalenza. Si aggiunge, poi, che è in violazione dei parametri di legge il disconoscimento delle attenuanti generiche in considerazione "del comportamento processuale scarsamente lineare tenuto dal B.", enunciazione da ritenersi "generica ed indeterminata".
3. In data 11 febbraio 2016, il difensore di fiducia del ricorrente ha depositato memoria.
Nell'atto si rappresenta, in primo luogo, l'avvenuta prescrizione di tutti i reati contestati, per cui ove non fosse ritenuta possibile sentenza assolutoria ex art. 129 c.p.p. , comma 2, si imporrebbe comunque una decisione liberatoria ex art. 129 c.p.p. , comma 1.
Si ribadiscono, poi, le censure addotte nei motivi del ricorso. In particolare, si evidenzia: l'erroneità della contestazione del reato di diffamazione, invece che quello di cui all'art. 227 cod. pen. mil.
pace; l'avvenuto assorbimento di quest'ultimo delitto in quello, più gravemente sanzionato, di calunnia, attesa la clausola di sussidiarietà prevista dall'art. 227 cod. pen. mil. pace cit., il quale prevede la punizione solo "se il fatto non costituisce più grave reato"; l'intervenuta definizione del procedimento per il reato di falso in scrittura privata nei confronti del B. in relazione alla formazione dell'anonimo " (OMISSIS)" con decreto di archiviazione per l'inidoneità degli elementi raccolti a sostenere l'accusa in giudizio.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è fondato in relazione alla violazione del divieto di reformatio in peius, determinata dalla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche già concesse in primo grado. E' invece infondato o manifestamente infondato con riferimento alle altre doglianze.
La fondatezza della censura concernente la violazione del divieto di reformatio in peius è sufficiente, da sola, a determinare l'utile costituzione del rapporto processuale di impugnazione e a far rilevare l'avvenuto compimento del termine di prescrizione.
L'infondatezza di tutte le censure attinenti alla giurisdizione, alla competenza, alla validità o utilizzabilità delle prove ed alla configurabilità dei fatti contestati nei profili oggettivi e soggettivi impone la salvezza delle statuizioni civili e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di fase sostenute dalla parte civile.
2. L'esame delle doglianze, per motivi di linearità espositiva, sarà svolto raggruppando per punti omogenei i profili autonomi dei diversi motivi di ricorso, muovendo dalle censure relative alle questioni processuali attinenti alla giurisdizione e alla competenza, per poi passare a quelle incidenti sulla validità, l'utilizzabilità e l'assunzione delle prove, quindi a quelle in tema di configurabilità dei reati per i quali è stata pronunciata condanna, ed infine a quelle relative alla mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche.
E' utile premettere, inoltre, che la sentenza impugnata - al di là dell'imprecisione nell'indicare il termine per la proposizione di motivi nuovi (dieci giorni prima dell'udienza e non quindici, come invece precede la legge), peraltro avvenuta a vantaggio del ricorrente - ha espressamente tenuto conto anche delle censure dedotte con i motivi nuovi presentati rispetto alla prima udienza del giudizio di appello, celebrata il 16 luglio 2012, nonchè delle ulteriori questioni proposte nelle successive memorie, se ed in quanto rilevabili di ufficio.
3. Le questioni processuali attinenti alla giurisdizione ed alla competenza riguardano il difetto di giurisdizione in favore dell'Autorità giudiziaria militare e il difetto di competenza funzionale dell'Autorità giudiziaria del distretto di Firenze.
3.1. Quanto al primo profilo, il ricorrente assume che i fatti contestati sub specie di diffamazione, in quanto commessi da militari, doveva essere qualificati a norma dell'art. 227 cod. pen. mil. pace , con conseguente sottoposizione dei medesimi alla giurisdizione del giudice militare.
E' però semplice rilevare, sul punto, che correttamente ha proceduto per tutti i reati in contestazione l'Autorità giudiziaria ordinaria.
Invero, l'art. 13 c.p.p. , comma 2, attribuisce alla cognizione del giudice ordinario anche i reati militari, se gli stessi sono connessi e meno gravi di quelli ordinari per cui si procede. Nel caso in esame, tra i fatti contestati come calunnia e quelli qualificati come diffamazione, e che la difesa assume sussumibili nella fattispecie di cui all'art. 227 cod. pen. mil. pace , sussiste un evidente rapporto di connessione, perchè si tratta di condotte poste in essere unitariamente, attraverso le denunce anonime dell'(OMISSIS) e dell'(OMISSIS); inoltre, mentre per la calunnia è prevista la pena della reclusione da due a sei anni, per la diffamazione militare aggravata dall'attribuzione di un fatto determinato la legge contempla la sanzione massima della reclusione militare da sei mesi a tre anni.
3.2. In relazione al secondo aspetto, il ricorrente assume che il difetto di competenza funzionale dell'Autorità giudiziaria del distretto di Firenze deriva dal fatto che persone offese, o comunque danneggiate, delle calunnie dovevano intendersi anche magistrati in servizio alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Montepulciano ed al Tribunale di Montepulciano.
E' però sufficiente richiamare l'insegnamento consolidato, cui questo Collegio aderisce, secondo il quale, in tema di competenza per procedimenti riguardanti i magistrati, l'operatività dell'art. 11 cod. proc. pen. è subordinata alla condizione che il magistrato, nel procedimento penale, assuma "formalmente" la qualità di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato (cfr., tra le tantissime, Sez. F, n. 35729 del 01/08/2013, Agrama, Rv. 256569, nonchè Sez. 6, n. 13182 del 02/04/2012, Vitalone, Rv. 252592). Nè argomenti in senso contrario possono desumersi da Sez. 6, n. 7186 del 08/02/2013, Giuttari: in questa decisione, infatti, la Corte di è limitata a rilevare l'inammissibilità dell'impugnazione proposta avverso la dichiarazione di incompetenza emessa dalla Corte di appello, perchè concernente un provvedimento negativo di competenza, come tale non impugnabile (solo l'adozione di un provvedimento declinatorio di competenza anche da parte del secondo giudice implica l'elevazione del conflitto ex art. 28 cod. proc. pen.).
4. Le questioni processuali attinenti alle prove riguardano l'utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal B. in data 20 marzo 2007, l'utilizzabilità o comunque la validità del sequestro della busta contenente copia del secondo anonimo, la validità degli atti di indagine e delle prove formati da magistrati e ufficiali di polizia giudiziaria che avevano l'obbligo di astenersi, i limiti di utilizzabilità degli anonimi, la mancata acquisizione del documento intitolato "(OMISSIS)".
4.1. La prima questione, relativa alla inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee rese dal ricorrente il 20 marzo 2007, perchè fornite in assenza di difensore e sostanzialmente rispondendo a domande degli inquirenti, è infondata, posto che, come osserva la sentenza impugnata, non specificamente contestata sul punto, il B., in un successivo interrogatorio, alla presenza del difensore, confermò espressamente di aver fornito quelle dichiarazioni, sia pure per rettificarle. In ogni caso, quindi, deve ritenersi legittimamente acquisito agli atti processuali il fatto storico che il B. rese in data 20 marzo 2007 delle dichiarazioni di contenuto parzialmente diverso da quelle poi rese successivamente.
In questo senso, del resto, si pone la giurisprudenza di legittimità quando afferma che l'inutilizzabilità, per carenza di spontaneità, delle dichiarazioni rese dall'indagato alla P.G. ai sensi dell'art. 350 c.p.c. , comma 7, non si comunica al successivo interrogatorio cui il pubblico ministero, edotto di tali dichiarazioni, sottoponga l'indagato, poichè - non operando in tema di inutilizzabilità il principio della propagazione previsto, invece, per la materia delle nullità - la sanzione processuale della inutilizzabilità rimane circoscritta alle prove illegittimamente acquisite e non incide sulle altre risultanze probatorie, pur se ad esse collegate (così Sez. 1, n. 45550 del 29/09/2015, EI Gharbi, Rv. 265285, nonchè Sez. 1, n. 8632 del 10/02/2009, Pacicca, Rv. 242847).
4.2. Anche la seconda questione è infondata. Il ricorrente si duole, precisamente, della invalidità del sequestro della busta contenente copia dell'anonimo, successivamente a lui ricondotta all'esito di indagini tecniche, in quanto l'atto di indagine sarebbe stato reso possibile solo per le spontanee dichiarazioni asseritamente inutilizzabili.
L'assunto della difesa sembra effettivamente in linea con quanto affermato da Sez. 4, n. 7173 del 28/03/1996, Moro, Rv. 205332.
Tuttavia, non solo questo principio risulta distonico con quello, da tempo ampiamente consolidato, secondo cui l'invalidità del provvedimento di perquisizione non si trasmette a quello di sequestro delle cose rinvenute nel corso della sua esecuzione, nè determina l'inutilizzabilità a fini di prova delle stesse (cfr. Sez. 1, n. 23674 del 10/05/2011, Gentile, Rv. 250428, Sez. 5, n. 3287 del 26/05/1998, Brescia, Rv. 212031, Sez. 5, n. 2793 del 27/11/1995, Melillo, Rv, 203594; per l'opposta soluzione, la più recente decisione massimata è Sez. 6, n. 2289 del 12/05/1994, Perri, Rv.
200053). Soprattutto, nel caso di specie, l'anonimo sottoposto a sequestro non fu ricercato e rinvenuto in conseguenza dell'interrogatorio, ma, come rileva la sentenza impugnata, fu spontaneamente posto a disposizione dell'Autorità giudiziaria dall'imputato; in altri termini, il sequestro fu effettuato in occasione dell'interrogatorio, ma non fu conseguenza dell'interrogatorio, e quindi non può dirsi dipendente dallo stesso a norma dell'art. 185 c.p.p. , comma 1.
4.3. Infondata è poi la questione concernente la violazione dell'obbligo di astensione del Pubblico ministero e la invalidità o inutilizzabilità degli atti di indagine e delle prove formati da magistrati e ufficiali di polizia giudiziaria che avevano l'obbligo di astenersi.
Innanzitutto, l'asserita violazione dell'obbligo di astensione da parte del Pubblico ministero, come dedotta nel secondo motivo di ricorso, non ha comunque autonoma rilevanza, poichè non determina alcuna nullità degli atti del procedimento, non ricorrendo alcuna delle ipotesi previste dall'art. 178 cod. proc. pen. , nè integrando tale situazione una fattispecie di nullità specificamente prevista:
a fronte dell'esistenza di una situazione di incompatibilità della persona che esercita le funzioni di pubblico ministero, il rimedio previsto dalla legge in favore dell'indagato o dell'imputato è la richiesta di avocazione delle indagini a norma dell'art. 372 c.p.p. , comma 1, nonchè, nei casi previsti dall'art. 53 cod. proc. pen. , la richiesta di sostituzione del magistrato delegato allo svolgimento delle attività di udienza.
In secondo luogo, poi, non sono inutilizzabili gli atti di indagine e le prove formate da magistrati e ufficiali di polizia giudiziaria che avevano l'obbligo di astenersi. Premesso che la sussistenza dei presupposti da cui inferire la violazione dell'obbligo di astensione è asserita ma non dimostrata, tale situazione inciderebbe solo in tema di attendibilità delle prove, ma non anche di validità o utilizzabilità delle stesse, e, quindi, alla tenuta logica della motivazione della sentenza impugnata. In questo senso, del resto, si pone anche la sentenza citata dal ricorrente (sez. 2, n. 15937 del 13/01/2009, Fili).
4.4. Infondata, ancora, è la questione relativa all'inutilizzabilità degli anonimi nella sentenza impugnata.
Detti anonimi, infatti, sono stati impiegati come fatto storico:
precisamente, dalla presenza di una pluralità di anonimi susseguitisi nel corso degli anni in un ambiente ristretto, la Corte fiorentina si è limitata ad inferire che il medesimo ambiente era afflitto da rivalità e contrasti. In effetti, il divieto posto dall'art. 240 cod. pen. , siccome relativo non ai documenti anonimi in quanto tali, ma ai soli documenti contenenti dichiarazioni anonime (cfr., sul punto, da ultimo, Sez. 1, n. 42130 del 13/07/2012, Arculeo, Rv. 253800), non impedisce, come riconosce in parte anche la Difesa, di accertare che un anonimo sia stato formato ed abbia un determinato contenuto, ma solo di acquisire ed utilizzare il documento quale prova (rectius, fonte di prova) di quanto rappresentato nelle dichiarazioni in esso raccolte. Il problema, allora, è quello della concludenza e rilevanza di ciò che dall'esistenza degli anonimi desume la Corte fiorentina rispetto all'affermazione della responsabilità del B.; di tale aspetto, pertanto, si tratterà nella parte di sentenza relativa alle censure attinenti la ricostruzione dei fatti addebitati all'imputato.
4.5. Infondata, infine, è la questione concernente la mancata acquisizione del documento formalmente anonimo denominato " (OMISSIS)".
La Corte distrettuale, dopo aver premesso che il documento in questione non è stato acquisito dal giudice di primo grado, e che l'ordinanza di rigetto della relativa richiesta non è stata specificamente impugnata con l'atto di appello, ma solo con memoria presentata in relazione alla prima udienza, ha osservato che lo stesso costituisce prova nuova non sopravvenuta rispetto al giudizio di primo grado ed acquisibile solo ove non sia possibile assumere una decisione allo stato degli atti; ha poi escluso la necessità di acquisire il documento non solo (non tanto) per la sua discussa provenienza, ma soprattutto per la sua inidoneità ad assumere univoca significatività probatoria.
Il ricorrente, nei motivi di ricorso, ed anche nella successiva memoria, non contesta l'evoluzione dell'iter processuale come descritto dalla Corte di appello, ma lamenta che il documento costituisce prova decisiva ai fini della decisione.
Questi essendo i fatti processuali, non vi è dubbio che corretta, in linea di principio, risulta la conclusione sul punto della sentenza impugnata. Si può infatti rilevare, già in linea generale, che costituisce principio consolidato, condiviso dal Collegio, quello secondo cui, nel giudizio di appello, la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, prevista dall'art. 603 c.p.p. , comma 1, è subordinata alla verifica dell'incompletezza dell'indagine dibattimentale ed alla conseguente constatazione del giudice di non poter decidere allo stato degli atti senza una rinnovazione istruttoria; tale accertamento è rimesso alla valutazione del giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità se correttamente motivata così, da ultimo Sez. 6 n. 8936 del 13/01/2015, Leoni, Rv. 262620). Si deve aggiungere che questo principio è specificamente confermato in relazione ai procedimenti definiti con il rito abbreviato; è costante, infatti, l'affermazione secondo cui, con il ricorso per cassazione, può essere censurata la mancata assunzione in appello, in sede di giudizio abbreviato non condizionato, di prove richieste dalla parte solo qualora si dimostri l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (così tra le più recenti, Sez. 2, n. 48630 del 15/09/2015, Pircher, Rv. 265323, nonchè Sez. 6, n. 1400 del 22/10/2014, dep. 2015, PR., Rv. 261799).
Anche per questa censura, peraltro, l'apprezzamento finale è demandato alla valutazione della correttezza della motivazione della sentenza impugnata in ordine alla configurabilità dei reati da essa ritenuti: è solo in quella sede che può verificarsi, in concreto, "l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate provvedendosi all'assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello".
5. Le questioni di diritto sostanziale riguardano la riferibilità dei fatti in contestazione all'imputato, la sussistenza dell'elemento soggettivo della calunnia, l'assorbimento delle calunnie ascritte nel presente processo a quelle commesse mediante precedenti anonimi del (OMISSIS) e del (OMISSIS), la configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 368 c.p. , comma 2, la qualificazione dei fatti di diffamazione come fatti di diffamazione militare, con conseguente assorbimento degli stessi nel delitto di calunnia, la configurabilità del reato previsto dalla L. n. 121 del 1981, art. 12.
5.1. La questione relativa alla riferibilità dei fatti in contestazione all'imputato è posta nel ricorso laddove si contesta la manifesta illogicità del movente delle condotte di reato, e che si assume indicato dalla sentenza nel desiderio dell'imputato di prendere il posto del maresciallo P..
In realtà, la sentenza impugnata non pone il movente appena indicato a fondamento delle conclusioni raggiunte. Non solo, infatti, la Corte distrettuale dice che il movente "poteva" essere (non "era") determinato dai contrasti interni alla compagnia dei Carabinieri, non quindi dalle aspirazioni del B. di succedere al P. ("in ogni caso dall'intera istruttoria e dai ricorrenti esposti anonimi che si erano susseguiti negli anni, emerge come l'ambiente, pur alquanto ristretto, fosse caratterizzato da malanimi, animosità contrasti, magma di non districate faziosità, dalle quali ben poteva originarsi il movente del contestato reato"). Ma, soprattutto, la riferibilità al B. degli anonimi contenenti le accuse calunniatorie e diffamatorie oggetto del presente processo è ricostruita sulla base di altri elementi, come si evince chiaramente dalle stesse modalità di esposizione della sentenza, che, significativamente, tratta di tale tema di accertamento nelle pagine 14 e 15, e tratteggia in termini brevissimi la questione del movente, nella parte conclusiva, a pagina 20. E' evidente, allora, che il richiamo ai precedenti anonimi, contestato dalla Difesa, da un lato, è avvenuto come riferimento ad un mero fatto storico, e cioè all'esistenza di documenti di ignota provenienza aventi un determinato contenuto, e, dall'altro, non ha costituito elemento rilevante ai fini dell'accertamento della responsabilità dell'odierno ricorrente.
Resta da aggiungere che la motivazione della sentenza impugnata risulta immune da vizi logici quando indica le ragioni da cui desume l'ascrivibilità al B. della formazione e della diffusione dei due anonimi contenenti le accuse calunniatorie e diffamatorie.
Innanzitutto, infatti, si evidenzia che la presentazione del primo esposto anonimo fu preceduta da numerosi accessi alla banca dati delle Forze di Polizia effettuati con la password dell'odierno ricorrente per verificare le risultanze relative al marescialli P. ed al tenente della Guardia di Finanza Gu., conduttrice di un appartamento del P., e che, in particolare, tre accessi nei confronti del P. e diciassette accessi nei confronti della Gu. furono eseguiti il (OMISSIS), in prossimità della redazione del primo esposto, spedito per posta il 30 novembre e pervenuto al comando provinciale dei Carabinieri di Siena il 4 dicembre 2006. In secondo luogo, si rappresenta che il B., in data 20 marzo 2007, era in possesso del testo del secondo anonimo, e che questo era contenuto in una busta sigillata, indirizzata al quotidiano "(OMISSIS)", ossia ad un soggetto che, sebbene indicato nell'intestazione dell'esposto come uno destinatari, si accerterà nel prosieguo delle indagini non aveva ricevuto il documento; inoltre, sull'anonimo, contenuto nella busta sigillata, venivano individuati tre frammenti papillari riferibili alla persona del B.. In terzo luogo, ancora, si rileva che l'imputato - il quale ha affermato di aver effettuato gli accessi del (OMISSIS) alla banca dati delle Forze di Polizia su richiesta formulatagli dal capitano G. per ragioni di indagini, e di essere stato informato e documentato degli anonimi da quest'ultimo, il quale aveva fatto ciò perchè spinto da un senso di colpa - non fornisce una spiegazione attendibile della propria estraneità alla vicenda, in quanto le sue dichiarazioni sono state oggetto di "progressivi aggiustamenti": nelle spontanee dichiarazioni del 20 marzo, ha riferito che il documento gli era stato consegnato dal capitano dei Carabinieri G. nella prima metà del gennaio 2007, allorchè l'ufficiale aveva sentito la necessità di spiegargli l'uso delle notizie acquisite mediante le interrogazioni a lui fatte fare presso la banca dati delle Forze di Polizia, e gli aveva lasciato il plico aperto, indirizzato al quotidiano "(OMISSIS)", contenente l'anonimo; nell'interrogatorio del 21 marzo, ha dichiarato che il capitano G. gli aveva fatto visita la prima settimana di febbraio, gli aveva consegnato il testo non del primo, ma di un secondo esposto (quello poi risultato trasmesso con nota al comando provinciale dei Carabinieri di Siena in data 12 marzo 2007), in due copie, una in busta aperta ed una in busta sigillata;
successivamente, all'esito degli accertamenti tecnici dai quali era risultato le sue impronte papillari sull'esposto e l'assenza di impronte riferibili al capitano G., ha sostenuto che l'esposto gli era stato consegnato in busta aperta, ma che questa, stazionando nella sua valigetta, si era accidentalmente richiusa.
Il richiamo ai precisati elementi, neanche puntualmente contrastato nel ricorso, offre una motivazione non apparente, nè manifestamente illogica, nè contraddittoria, anche se esaminata nella prospettiva della colpevolezza "al di là di ogni ragionevole dubbio". Nè il risultato raggiunto può essere ritenuto confutabile alla luce delle possibili risultanze desumbili dallo scritto intitolato " (OMISSIS)", di cui la Difesa ha chiesto l'acquisizione: il documento in esame, al più, quand'anche ritenuto ascrivibile con certezza al capitano G., non si porrebbe in termini di incompatibilità con l'accertamento della responsabilità del B., posto che, secondo la sentenza impugnata, l'ipotesi della fondatezza delle accuse mosse da quest'ultimo al primo "non eliderebbe, per gli elementi sopra descritti, la prova della sua correità", non essendo le responsabilità dei due "necessariamente ricostruibili in termini di alternatività".
5.2. Infondate sono le censure riferite all'omessa motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo, e fondate sul rilievo dell'insufficienza di un'accusa temeraria per ritenere configurabile il dolo della calunnia.
In effetti, in giurisprudenza, si è condivisibilmente affermato più volte che, in tema di calunnia, la consapevolezza da parte del denunciante dell'innocenza della persona accusata è esclusa solo quando la supposta illiceità del fatto denunciato sia ragionevolmente fondata su elementi oggettivi, connotati da un riconoscibile margine di serietà e tali da ingenerare concretamente la presenza di condivisibili dubbi da parte di una persona di normale cultura e capacità di discernimento, che si trovi nella medesima situazione di conoscenza (così Sez. 6, n. 29117 del 15/06/2012, Valenti, Rv. 253254, nonchè Sez. 6, n. 3964 del 06/11/2009, dep. 2010, De Bono, Rv. 245849).
La sentenza impugnata, richiamando anche il contenuto di quella di primo grado, ha evidenziato che gli accertamenti hanno dimostrato la falsità di gran parte dei fatti denunciati, in particolare degli episodi di concussione in danno di imprenditori (gli anonimi riferivano in modo circostanziato di forniture di formaggio da un caseificio, di pranzi e cene consumati, anche con amici, presso due ristoranti, e di riparazioni della propria autovettura presso un'officina meccanica); ha inoltre aggiunto che, trattandosi di una pluralità di esposti, "l'insistenza dell'accusa implica il doveroso rinnovo di accertamenti e rafforza la prova dell'elemento soggettivo del reato".
Le motivazioni esposte in proposito nella sentenza impugnata, allora, seppur stringate, si pongono in linea con le coordinate dell'orientamento giurisprudenziale richiamato, allorchè evidenziano che gli anonimi furono formati ed inviati senza alcuna verifica sulla fondatezza di quanto denunciato. Si può osservare, anzi, in considerazione dei ripetuti accessi alla banca dati in uso alle Forze di Polizia compiuti dal B., che gli anonimi furono confezionati ed inoltrati nonostante l'assenza di riscontri derivanti dalle verifiche compiute: emblematica, in proposito, sebbene relativa ad un fatto costituente diffamazione, la denuncia della locazione "in nero" di un appartamento al tenente Gu., poi risultato regolarmente affittato, posto che la stessa fu formulata dopo un elevatissimo numero di accertamenti compiuti con riferimento non solo al P., ma anche alla Gu., e sebbene dalle interrogazioni non fosse emerso alcun dato rilevante.
5.3. Priva di pregio è anche la doglianza che postula l'assorbimento delle calunnie ascritte nel presente processo a quelle commesse mediante precedenti anonimi del 2003 e del 2005.
Invero, l'assorbimento di plurime dichiarazioni calunniatorie nella prima di esse presuppone necessariamente la mera reiterazione delle medesime accuse, senza sostanziali aggiunte o variazioni che comportino nuove o diverse incriminazioni (in questo senso, cfr. Sez. 6, n. 9961 del 28/04/1999, Nacci, Rv. 214181, nonchè, sia pure con riferimento ai rapporti tra calunnia e successive false dichiarazioni al pubblico ministero, Sez. 6, n. 163558 del 07/04/2011, M., Rv.
250059), poichè solo in questo caso le dichiarazioni posteriori sono inidonee a determinare l'apertura di un ulteriore procedimento penale.
Nel caso di specie, non solo non è stata anche solo semplicemente allegata l'identità delle accuse formulate negli anonimi del (OMISSIS) e del (OMISSIS) rispetto a quelle oggetto degli anonimi del (OMISSIS) e del (OMISSIS) di cui alle imputazioni, così determinandosi una violazione del principio di specificità dei motivi di impugnazione, ex art. 581 c.p.p. , comma 1, lett. c). C'è di più: già dalla contestazione risulta chiaramente che anche i due anonimi del (OMISSIS) e del (OMISSIS), sebbene molto simili, presentano tra loro una significativa differenza, in quanto il secondo, oltre a ribadire le accuse del primo, contiene anche l'ulteriore falsa incolpazione di porto illegale di arma comune da sparo; correttamente, quindi, la Corte fiorentina ha confermato la sentenza di primo grado laddove ha ravvisato la duplicità dei fatti di calunnia (riconoscendo tra gli stessi il vincolo della continuazione) e non, invece, l'assorbimento della condotta relativa al secondo anonimo in quella riguardante il primo.
5.4. Da respingere, ancora, è la censura concernente la configurabilità dell'aggravante prevista dall'art. 368 c.p. , comma 2, formulata sul rilievo che la sentenza impugnata avrebbe immotivatamente ritenuto le accuse mosse al P. qualificabili in termini di concussione e non, invece, di induzione indebita, fattispecie sanzionata, a differenza della prima, con una pena inferiore nel massimo a dieci anni di reclusione, per effetto della riforma normativa introdotto con la L. n. 190 del 2012 .
La Corte fiorentina motiva adducendo che i fatti sono descritti negli anonimi "come commessi dal P.U. con minaccia e non certo quindi nella forma induttiva".
Può risolutivamente aggiungersi che la conclusione accolta dai giudici di appello è corretta già solo perchè le modifiche normative in ordine al trattamento sanzionatorio del reato presupposto debbono essere ritenute irrilevanti anche se più favorevoli all'imputato. Invero, secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza, il delitto di cui all'art. 368 cod. pen. non viene meno nè per effetto di successiva abrogazione del reato presupposto, poichè questo costituisce un mero elemento di fatto della fattispecie (così: Sez. 6, n. 14352 del 08/04/2002, dep. 2003, Bassetti, Rv. 226425; Sez. 6, n. 8827 del 21/05/1999, Zini, Rv.
214674; Sez. 6, n. 13881 del 26/09/1986, Dotto, Rv. 174543), nè in conseguenza di un sopravvenuto mutamento normativo che renda il reato presupposto perseguibile a querela (cfr. Sez. 6, n. 35800 del 29/03/2007, Acefalo, Rv. 237421, nonchè Sez. 6, n. 5477 del 1/04/1985, Cerci, Rv. 169529). Le stesse considerazioni valgono anche quando, per effetto di una riforma legislativa, il trattamento sanzionatorio del reato presupposto è mitigato, ed il suo massimo è ricondotto ad una pena inferiore ai dieci anni di reclusione, ossia ad una pena inferiore al limite che determina l'applicazione dell'aggravante di cui al all'art. 368 cod. pen. , comma 2: anche a questo fine, ciò che rileva è che la falsa accusa, nel momento in cui fu indirizzata all'Autorità giudiziaria o ad altra Autorità che a questa avesse obbligo di riferire, espose la persona ingiustamente accusata al rischio di essere sottoposta a procedimento penale e di essere condannata per un reato punito con una pena superiore, nel massimo, a dieci anni di reclusione. Ciò posto, nel caso in esame, al momento della formulazione delle accuse (ma anche al momento della pronuncia della sentenza di primo grado, emessa il 27 giugno 2008), il legislatore prevedeva unitariamente le condotte di costrizione ed induzione poste in essere dal pubblico ufficiale nell'ambito della stessa fattispecie di concussione e le sanzionava con una pena superiore, nel massimo, a dieci anni di reclusione.
5.5. Inammissibile, poi, è la prospettazione che il fatto contestato come diffamazione ex art. 595 cod. pen. dovrebbe essere qualificato come diffamazione militare.
Già si è detto che, anche ad accogliere la tesi del ricorrente ed a riqualificare il fatto in contestazione nei termini da esso indicati non comporrebbe alcuna incidenza sulla giurisdizione (v. supra 3.1).
Deve poi aggiungersi che i fatti diffamatori indicati nei due anonimi non erano generici, ma determinati (si pensi, in particolare, ma non solo, all'accusa di aver locato un appartamento di proprietà "in nero"). Tenuto conto di ciò, nessun interesse alla riqualificazione sussiste in capo al B. sia perchè la diffamazione militare per un fatto determinato è punita più gravemente di quella prevista dall'art. 595 cod. pen. , sia perchè detta condotta non può ritenersi assorbita in quella di calunnia in quanto definita a norma dell'art. 227 cod. pen. mil. pace : è vero che questa disposizione prevede la clausola di sussidiarietà "se il fatto non costituisce un più grave reato", ma, nel caso di specie, la sussidiarietà non può operare con riferimento al delitto di calunnia, perchè, pur se contenute nel medesimo esposto, nettamente distinte sono le false accuse a contenuto calunniatorio, da quelle a contenuto diffamatorio (per una ipotesi di configurabilità del concorso formale tra calunnia e diffamazione commessa con un'unica dichiarazione cfr. Sez. 5, n. 49021 del 05/11/2004, Tartaglione, Rv. 231283).
5.6. Infondata, infine, è la doglianza concernente la configurabilità del reato previsto dalla L. n. 121 del 1981, art. 12.
E' necessario premettere che, secondo quanto evidenziato nella sentenza impugnata, numerosissimi sono stati gli accessi alla banca dati in uso alle Forze di Polizia eseguiti con la password del B., e che, in particolare, quelli compiuti il (OMISSIS), ossia immediatamente prima dell'inoltro del primo anonimo, sono stati ammessi dal medesimo come personalmente effettuati.
Il ricorrente lamenta che il reato di cui alla L. n. 121 del 1981, art. 12 non potrebbe essere commesso mediante l'esternazione di un dato negativo, facendo riferimento all'assenza di notizie concernenti la cessione del fabbricato a titolo di locazione dal P. alla Gu.. In realtà, la contestazione ha riguardo alla acquisizione ed utilizzazione delle informazioni contenute nella banca dati in uso alle Forze di Polizia al di fuori delle finalità previste dalla legge, e non, invece, alla esternazione delle stesse, in linea con quanto previsto dall'art. 12 cit., che, nel sanzionare penalmente "il pubblico ufficiale che comunica o fa uso di dati ed informazioni in violazione delle disposizioni della presente legge, o al di fuori dei fini previsti dalla stessa", prevede in via alternativa le condotte di comunicazione o di uso indebito dei dati presenti nel precisato sistema informativo. Nel caso di specie, l'utilizzo indebito dei dati dell'archivio informatico è resa evidente dalla contestualità della impressionante pluralità di accessi effettuati con riferimento ai nomi del P. e della Gu., avvenuti il pomeriggio del (OMISSIS), e dell'inoltro del primo anonimo, che risulta spedito il 30 novembre 2006, anch'esso riferibile, per le ragioni indicate supra, sub 5.1, al B. (del resto, anche il ricorrente ha indicato l'esistenza di un collegamento tra la consultazione dei dati e la formazione dell'esposto, sia pur attribuendo tale operazione al capitano G.): può perciò concludersi che le informazioni furono acquisite per confezionare l'esposto o comunque per decidere cosa indicare nello stesso e, quindi, per farne un "uso... in violazione delle disposizioni della presente legge, o al di fuori dei fini previsti dalla stessa".
6. Fondata, invece, è la censura relativa alla violazione del divieto di reformatio in peius mediante la esclusione delle circostanze attenuanti generiche già concesse in primo grado.
Costituisce principio ormai assolutamente consolidato in giurisprudenza, e che il Collegio condivide, quello secondo cui, nel giudizio di appello, il divieto di reformatio in peius della sentenza impugnata dal solo imputato non riguarda solo l'entità complessiva della pena, ma tutti gli elementi autonomi che concorrono alla sua determinazione, fra cui vanno ricompresi anche gli aumenti e le diminuzioni apportati alla pena-base per le circostanze (così, per tutte, Sez. U. n. 40910 del 27/09/2005, William Morales, Rv. 232066, nonchè, più di recente, Sez. 2, n. 45973 del 18/10/2013, A., Rv.
257522).
E' evidente, in applicazione del principio appena riportato, che, in assenza di impugnazione del pubblico ministero, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, già riconosciute in primo grado, integra un esempio emblematico di violazione del divieto di reformatio in peius di cui all'art. 597 cod. pen. : senza dubbio, infatti, le circostanze attenuanti generiche costituiscono un elemento autonomo che concorre alla determinazione della pena.
7. Come si è osservato supra, al 1, la fondatezza della censura concernente la violazione del divieto di reformatio in peius è sufficiente, da sola, a determinare l'utile costituzione del rapporto processuale di impugnazione e a far rilevare l'avvenuto compimento del termine di prescrizione.
Tuttavia, l'infondatezza delle censure attinenti alla giurisdizione, alla competenza, ed alla configurabilità e sussistenza dei fatti di reato contestati determina la salvezza delle statuizioni civili e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di fase sostenute dalla parte civile, che si stima equo liquidare complessivamente in Euro 3.500, oltre il quindici per cento per spese generali, I.V.A. e C.P.A.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per prescrizione, ferme restando le statuizioni civili.
Condanna il ricorrente alla refusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute dalla parte civile P.F., che liquida in Euro 3.500, oltre spese generali al quindici per cento, I.V.A. e C.P.A. Così deciso in Roma, il 26 febbraio 2016.
Depositato in Cancelleria il 25 marzo 2016
30-09-2016 14:21
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