Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Militare Trapani

Sentenza

Maresciallo dei cc ordina ad un collega di accompagnare una prostituta in un app...
Maresciallo dei cc ordina ad un collega di accompagnare una prostituta in un appartamento sequestrato, utilizzando un'autovettura civetta in uso al Comando CC, senza informare il comandante del NORM, e, previa rimozione dei sigilli, consentirle di prelevare i suoi effetti personali.
Cassazione penale, sez. VI, 28/06/2016, (ud. 28/06/2016, dep.21/07/2016),  n. 31564 

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE SESTA PENALE                         
              Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              
Dott. ROTUNDO    Vincenzo      -  Presidente   -                     
Dott. CARCANO    Domenico      -  Consigliere  -                     
Dott. CRISCUOLO  Anna     -  rel. Consigliere  -                     
Dott. CAPOZZI    Angelo        -  Consigliere  -                     
Dott. DE AMICIS  Gaetano       -  Consigliere  -                     
ha pronunciato la seguente:                                          
                     SENTENZA                                        
sul ricorso proposto da: 
                S.P.G., nato a (OMISSIS); 
avverso la sentenza del 16 aprile 2015 della Corte di appello di 
Brescia; 
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CRISCUOLO Anna; 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore 
Generale Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso chiedendo 
l'annullamento senza rinvio per il reato di cui all'art. 314 c.p., 
comma 2, con eliminazione delle relativa pena e rigetto nel resto; 
udito il difensore, avv. Iorio Paolo, che ha concluso chiedendo 
l'accoglimento del ricorso. 
                 


Fatto
RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia, in riforma della sentenza emessa il 7 febbraio 2013 dal Tribunale di Mantova nei confronti di S.P.G., lo ha assolto dal reato di rivelazione di segreto d'ufficio-oggetto del capo I) - perchè il fatto non sussiste e ha conseguentemente ridotto la pena inflitta per le residue imputazioni di cui capi A), B) e C) ad anni due e mesi sei di reclusione, confermando nel resto la sentenza di primo grado.

Nel giudizio di merito si è accertato che il (OMISSIS), nell'ambito di una indagine diretta a contrastare il fenomeno della prostituzione, personale del NORM CC di (OMISSIS) aveva sequestrato d'iniziativa vari appartamenti, tra cui quello locato a P.S.P., non trovata nell'appartamento, occupato invece, da Pe.Ja. come indicato nel verbale di perquisizione e sequestro a firma del maresciallo S.; che il (OMISSIS) alle 10.35 la P. si era recata in caserma e nel pomeriggio aveva avuto un colloquio con il maresciallo S. all'interno del suo ufficio, al termine del quale questi aveva ordinato al maresciallo St. di accompagnare la donna nell'appartamento sequestrato, utilizzando un'autovettura civetta in uso al Comando CC di (OMISSIS), senza informare il comandante del NORM, e, previa rimozione dei sigilli, consentirle di prelevare i suoi effetti personali. Tali circostanze, confermate in dibattimento dallo St., risultavano dall'annotazione di servizio da questi redatta e sottoscritta il (OMISSIS) ovvero nella stessa data in cui l'imputato gli aveva chiesto di predisporla e di retrodatarla al (OMISSIS), cosa che egli non aveva fatto, redigendo l'atto dopo l'allontanamento del superiore dall'ufficio.

L'annotazione era stata sequestrata nell'ufficio dell'imputato ed i fatti dalla stessa risultanti, oltre ad essere confermati dal maresciallo St., che era stato sanzionato disciplinarmente e sottoposto a procedimento penale, poi archiviato, erano stati confermati dal transessuale A., amica della P., che l'aveva ospitata ed alla quale la P. aveva confidato di essere riuscita, grazie al maresciallo, a rientrare nell'appartamento sequestrato ed a recuperare i suoi effetti personali; di avere avuto una relazione con il maresciallo, con il quale era uscita a cena la sera del (OMISSIS) e sperava con il suo aiuto di riuscire a riottenere l'appartamento; le aveva anche confidato che il maresciallo le aveva pagato una bolletta dell'Enel.

I giudici di merito hanno ritenuto provata la responsabilità dell'imputato sulla scorta delle convergenti dichiarazioni del maresciallo St. e dell'amica della P., dei riscontri acquisiti e della documentazione rinvenuta nell'ufficio dell'imputato sia in ordine il reato di violazione di sigilli per la violata finalità di conservazione del bene sequestrato, sia al reato di peculato, sussistendo in capo all'imputato la disponibilità dell'autovettura civetta, appartenente al Comando CC ed utilizzabile previa autorizzazione del superiore, nella fattispecie non richiesta, tant'è che l'autovettura fu prelevata e riportata in caserma senza difficoltà e senza che alcuno lo notasse, sia al reato di corruzione, risultando provate le descritte condotte contrarie ai doveri d'ufficio nonchè i tentativi dell'imputato di tutelare la P., escludendone il coinvolgimento nell'indagine sullo sfruttamento della prostituzione, in cambio dei favori sessuali e di una relazione a sfondo sessuale, protrattasi sino al (OMISSIS).

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso il difensore dell'imputato, che ne chiede l'annullamento per i seguenti motivi:

2.1 insussistenza del reato di cui all'art. 349 c.p. e mancata correlazione tra accusa e sentenza: nel caso di specie l'accesso della P. nell'appartamento sequestrato per recuperare i propri effetti personali non concretizza la violazione del disposto dell'autorità giudiziaria, non avendo la stessa frustrato le finalità per le quali il sequestro era stato disposto nè utilizzato il bene. Si deduce la carenza, l'illogicità e la contraddittorietà della motivazione, in quanto fondata sulla inattendibile testimonianza del maresciallo St.; la sentenza non spiega in alcun modo la circostanza che la mattina del (OMISSIS) nè l'imputato nè lo St. erano incaserma perchè entrambi in servizio esterno, come da ordine di servizio prodotto, limitandosi a sostenere che non era documentata alcuna attività esterna: vi sarebbe pertanto, un travisamento della prova;

2.2 insussistenza del reato di peculato e mancata correlazione tra accusa e sentenza: anche per tale reato la sentenza incorre nel travisamento della prova e nella contraddittorietà evidente, in quanto se l'imputato era all'esterno, non poteva essere in caserma e la versione dello St. è smentita dall'assenza di riscontro di un qualsiasi movimento dell'autovettura di servizio nel registro apposito, che la Corte ha ritenuto in linea con l'ordine dell'imputato di tener riservato il fatto. Ma anche sul punto la motivazione è illogica, in quanto la Corte trascura che il registro dei movimenti dei veicoli in dotazione al comando è tenuto da altro personale e non può essere nascosto nemmeno per ordine di un superiore come l'imputato; peraltro, Io stesso St. ha dichiarato di ritenere l'ordine legittimo, il che contrasta con l'esigenza di tenere la cosa riservata. Sono inoltre, apodittiche le conclusioni della Corte in ordine al contrasto tra la versione dello St. e quella del transessuale A., che a differenza del primo, ha riferito che la P. era andata nell'appartamento con l'autovettura dell'imputato, il quale l'aveva attesa mentre sistemava l'appartamento e gettava la spazzatura. Anche la motivazione della Corte sull'assenza di astio tra lo St. e l'imputato è illogica e smentita dal teste L., che ha riferito del rancore e del desiderio di vendetta dello St. nei confronti dell'imputato, a causa del quale aveva subito un rapporto disciplinare per violata consegna. Ancor più paradossale è la tesi che gli accessi fossero stati due, uno il giorno (OMISSIS) e l'altro il giorno dopo insieme all'imputato con conseguente violazione del principio di cui all'art. 521 c.p.p.; in ogni caso non sussiste il delitto di peculato, ma il peculato d'uso in ragione dell'utilizzo momentaneo dell'autovettura di servizio per fini personali, che non ha arrecato un danno apprezzabile alla P.A.;

2.3 insussistenza del reato di corruzione nonchè mancanza, illogicità e contraddittorietà della motivazione: la Corte ritiene che la prova provenga dalle dichiarazioni dello St., riscontrate da quelle del transessuale A., trascurando che dette dichiarazioni erano inutilizzabili, in quanto teste de relato: avendo il testimone indicato la fonte di conoscenza, la stessa doveva essere chiamata a deporre, il che nel caso di specie non è avvenuto con conseguente inutilizzabilità della testimonianza de relato. Anche sotto altro profilo le dichiarazioni di A. sono inutilizzabili perchè assunte in violazione del disposto di cui all'art. 62 c.p.p., in quanto la P. era anch'ella indagata all'epoca in cui A. rese le dichiarazioni, cosicchè, se richiesto il suo esame, avrebbe potuto avvalersi della facoltà di non rispondere. Altra irregolarità fu compiuta in sede di incidente probatorio, in quanto i difensori degli imputati furono costretti ad esaminare il teste A. senza prendere cognizione della documentazione di indagine anche rispetto a soggetti la cui posizione era stata archiviata, cosicchè non vi erano esigenze investigative da tutelare. Ancor più sorprendente, a fronte della condanna del corrotto, è l'assoluzione del corruttore, giustificata dalla mancanza di prova dell'elemento psicologico del reato, in quanto il reato di corruzione è plurisoggettivo ed a struttura unitaria e la ritenuta esistenza del rapporto e del mercimonio illecito, fatto di favori sessuali in cambio di atti contrari ai doveri di ufficio è logicamente incompatibile con la tesi dell'inconsapevolezza della P. dell'antigiuridicità della condotta. Altresì illogico è ritenere che l'utilità consistesse nell'ottenere i favori sessuali della donna alla luce della relazione già esistente tra i due riferita dallo St. cosicchè l'utilità non era in alcun rapporto con l'atto contrario ai doveri d'ufficio; ugualmente contrastante con la ritenuta corruzione è la circostanza che l'imputato si fosse adoperato per predisporre l'istanza di dissequestro dell'appartamento, cosicchè non aveva motivo di consentire l'acceso illegittimo della P.;

2.4 illogicità della motivazione in relazione al regime sanzionatorio: è contraddittorio il riconoscimento delle attenuanti generiche ed il diniego di determinare la pena in misura pari al minimo edittale, specie in relazione al riconoscimento della specchiata condotta professionale dell'imputato.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e va rigettato per le ragioni di seguito illustrate.

Il ricorrente reitera censure già proposte nel giudizio di primo grado e nel giudizio di appello, motivatamente disattese dalla Corte di appello con argomentazioni logiche, puntuali e coerenti con le quali il ricorrente non si confronta, insistendo nel prospettare la propria chiave di lettura della vicenda.

1.1 Infondata è la censura relativa all'insussistenza del reato di violazione di sigilli, alla quale la Corte di appello ha risposto in modo corretto ed aderente ai principi affermati da questa Corte in ordine alla duplice finalità della norma e all'oggetto della tutela, individuabile nella conservazione del bene, ma anche nell'indisponibilità e nel rispetto del vincolo imposto.

E' infatti, pacifico che nel delitto di violazione dei sigilli la finalità di assicurare la conservazione della cosa ricomprende anche la interdizione all'uso, atteso che oggetto giuridico del reato è la tutela della intangibilità della cosa che la pubblica amministrazione e l'autorità giudiziaria vuole garantire contro ogni atto di disposizione o di manomissione (Sez. U., n. 5385 del 26 novembre 2009, dep. 10 febbraio 2010, Rv. 245584, Sez. 3, n. 2600 del 26 novembre 2003, dep. dep. 26 gennaio 2004, Rv. 227398).

E' pertanto, irrilevante che la P. si limitò a prelevare i propri effetti personali dall'appartamento in sequestro grazie all'intervento dell'imputato, in quanto l'operazione comportò la violazione del vincolo di intangibilità ed immodificabilità del bene.

Altresì, infondata è la censura di inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dallo St., correttamente respinta dalla Corte di appello sulla scorta dell'orientamento giurisprudenziale, affermato dalle Sezioni Unite, che nella sentenza n. 12067 del 17 dicembre 2009, De Simone, hanno chiarito che non sussiste incompatibilità ad assumere l'ufficio di testimone per la persona già indagata per procedimento connesso o per reato probatoriamente collegato, definito con provvedimento di archiviazione, in quanto la disciplina limitativa della capacità di testimoniale prevista dagli artt. 197, 197-bis e 210 c.p.p. si applica solo all'imputato, al quale sono equiparati dalla legge esclusivamente l'indagato o il già imputato irrevocabilmente prosciolto per cause diverse da quella costituita dal non aver commesso il fatto (da ultimo, Sez. 6, n. 12379 del 26 febbraio 2016, Picciolo, Rv. 266422 e Sez. 2, n. 4123 del 9 gennaio 2015, Sconso, Rv. 262367).

Ebbene, nella fattispecie la posizione del maresciallo St. risulta archiviata per essere scriminata la sua condotta dall'aver eseguito l'ordine del superiore nonchè per mancanza di dolo, non essendo esigibile che, a fronte di un ordine del suo superiore, verificasse il preventivo rilascio dell'autorizzazione da parte dell'A.G. a rimuovere i sigilli.

Anche la contestazione dell'attendibilità del teste è stata diffusamente ed esaustivamente affrontata e respinta dai giudici di appello, che hanno attribuito decisivo rilievo all'annotazione di servizio, redatta e sottoscritta dallo St. in data (OMISSIS), nella quale il teste ricostruiva, su richiesta dell'imputato, i fatti accaduti il (OMISSIS) e le circostanze dell'accesso nell'appartamento in modo sovrapponibile a quanto poi dichiarato in dibattimento. Nel corso dell'istruttoria dibattimentale lo St., oltre a ribadire la singolarità della richiesta di retrodatazione del verbale, alla quale non aveva aderito, aveva ribadito di essersi limitato ad obbedire all'ordine del superiore, pur rimarcando le proprie perplessità per la mancata redazione di un verbale delle operazioni del (OMISSIS) e per la mancata esibizione o almeno di un riferimento da parte del superiore ad un ordine dell'autorità giudiziaria per la rimozione dei sigilli.

Con argomentazione logica i giudici di merito hanno ritenuto attendibile lo St., che aveva ammesso di aver redatto l'annotazione postuma su richiesta dell'imputato, rifiutandosi però di retrodatarla, valorizzando la circostanza che detta annotazione era stata sequestrata nella scrivania dell'imputato, in quanto non sarebbe stata conservata ed inserita nel fascicolo degli atti di indagine se non fosse stata corrispondente al vero.

E con motivazione altrettanto logica i giudici hanno dimostrato l'inconsistenza della tesi difensiva dell'astio nutrito dal teste nei confronti dell'imputato, escludendo ogni intento vendicativo dello St., che sarebbe stato irragionevolmente autolesionista, in quanto proprio a causa di quella annotazione aveva subito un procedimento disciplinare ed un procedimento penale poi archiviato.

Parimenti con motivazione congrua e non manifestamente illogica i giudici hanno escluso la falsità del racconto dello St. e respinto la tesi secondo la quale i fatti descritti dal teste non sarebbero mai avvenuti, in quanto l'ingresso della P. in caserma risultava annotato alle ore 10.35 del (OMISSIS), a differenza dell'uscita (e ciò deponeva nel senso la P. fosse uscita dalla caserma accompagnata da un militare) e la circostanza era compatibile con la presenza dell'imputato e del teste in caserma, non risultando documentalmente riscontrato lo svolgimento di specifica attività esterna nel corso del servizio antirapina cui era assegnato dalle 11.00 alle 17.00.

1.2 Quanto alla contestata illogicità della tesi del duplice accesso nell'appartamento, contenuta nella sentenza di primo grado sulla scorta delle dichiarazioni dell'amica della P., contrariamente all'assunto difensivo, la Corte di appello l'ha ritenuta meramente ipotetica, sebbene non smentita da elementi contrari: va, infatti, precisato che, come riportato a pagina 4 della sentenza impugnata, anche il mattino successivo, alle 11,30 del (OMISSIS), la P. era ritornata incaserma a trovare l'imputato.

In ogni caso i giudici hanno chiarito che l'amica della P. poteva averne equivocato il racconto, ritenendo che fosse stato il maresciallo S. ad averla accompagnata nell'appartamento dal momento che la stava aiutando a rientrare in possesso dell'immobile.

Coerentemente i giudici hanno ritenuto che la mancata registrazione dei movimenti dell'autovettura di servizio risultava in linea con la disposizione data allo St. di mantenere riserbo sulla vicenda senza comunicare nulla ai superiori e la riprova dell'affidabilità dello St. era dimostrata dal fatto che non ne avesse parlato ad alcuno sino al momento in cui gli era stato ordinato di redigere l'annotazione retrodatata.

Pertanto, è inconferente l'obiezione difensiva sul punto, dovendo ritenersi che l'imputato aveva la disponibilità dell'autovettura e che fosse per prassi agevolmente prelevabile dagli interni previa autorizzazione del superiore, nella fattispecie ovviamente non richiesta.

In ordine alla richiesta di qualificazione del reato nella fattispecie di peculato d'uso, oltre a rilevarsi che la richiesta è formulata solo in questa sede, essendo stata in appello richiesta la riqualificazione ai sensi dell'art. 626 c.p., comma 2, va rilevato che correttamente i giudici di appello hanno ritenuto configurabile il peculato, in quanto il possesso qualificato dalla ragione di ufficio o di servizio non è solo quello che rientra nella competenza funzionale del pubblico ufficiale, ma anche quello fondato sulla prassi o sulle consuetudini invalse in un ufficio, che consente al pubblico ufficiale di inserirsi di fatto nella materiale disponibilità della cosa, come avvenuto nella fattispecie, utilizzando il bene non solo abusivamente per un fine privato, ma persino illecito.

1.3 Destituito di fondamento è il motivo relativo all'inutilizzabilità delle dichiarazioni del transessuale A. in quanto testimone de relato, atteso che la stessa ricevette le confidenze dalla P., imputata poi assolta in primo grado.

E' principio pacifico che la disciplina dettata in tema di testimonianza indiretta dall'art. 195 c.p.p. non può trovare applicazione quando la fonte di riferimento sia costituita da soggetto che rivesta la qualità di imputato, che non può essere chiamato a rendere dichiarazioni contra se, tali da pregiudicare la propria posizione (Sez. 5, n. 29821 del 25 novembre 2014, dep. 10 luglio 2015, Rv. 265298, Sez. 6, n. 49517 del 3 dicembre 2009, Rv. 245658).

Con motivazione puntuale, logica ed esaustiva i giudici di merito hanno ritenuto che l'attendibilità dello St. trovava conferma nelle dichiarazioni del transessuale A., che aveva ricevuto le confidenze della P., da lei ospitata proprio a seguito del sequestro dell'appartamento, in merito ai rapporti con il maresciallo S., grazie al quale, con un permesso dato dal giudice, era riuscita ad entrare nell'appartamento sequestrato ed a recuperare i suoi effetti personali; in merito all'uscita a cena con il maresciallo con il proposito di avere rapporti sessuali nella speranza che potesse farle riottenere l'appartamento nonchè in merito al pagamento della bolletta elettrica dell'appartamento: dichiarazioni riscontrate dall'accertamento che i due andarono effettivamente a cena insieme la sera del (OMISSIS), dalla verificata identità dell'istanza di dissequestro dell'appartamento, presentata dalla P., con quella rinvenuta nel computer dell'imputato a firma di altra istante; dal rinvenimento di una copia dell'istanza, non firmata, in possesso dell'imputato; dal pagamento della bolletta elettrica per l'importo di 150,42 Euro in data (OMISSIS), risultante dagli accertamenti bancari, e correttamente ritenuta dai giudici circostanza idonea a smentire la tesi difensiva secondo la quale la P. sarebbe stata solo una fonte confidenziale dell'imputato, attivamente impegnato nel contrasto allo sfruttamento della prostituzione.

I giudici hanno, quindi, respinto le censure difensive sulla inattendibilità del testimone, le cui dichiarazioni riscontrano quelle dello St. senza possibilità di ipotizzare un accordo tra le due fonti, specie in presenza di dati documentali, che escludono la tesi del complotto e confermano la stabile relazione tra l'imputato e la P.. I giudici hanno, infine, escluso che le dichiarazioni della A. fossero interessate, in quanto rese ben prima del rigetto dell'istanza di regolarizzazione di lavoro da parte del Tar e della eseguita espulsione dal territorio nazionale della dichiarante.

Risulta, pertanto, congruamente motivata alla luce delle dichiarazioni convergenti dello St. e della A., dei riscontri acquisiti e della protratta relazione con la P., documentata dai numerosissimi contatti telefonici e messaggi proseguiti sino al mese di settembre, l'affermazione di responsabilità dell'imputato in ordine al reato di corruzione, essendosi l'imputato posto a disposizione della P., indiziata di favoreggiamento della prostituzione nell'ambito del procedimento n. 2628/10, ricevendone favori sessuali per omettere, ritardare, com p.e e aver compiuto atti contrari ai doveri di ufficio descritti, valorizzando, in proposito, il ritardo con il quale l'imputato trasmise al P.m. le dichiarazioni rese dalla persona, che occupava l'appartamento della P., dirette ad escluderne il coinvolgimento nell'attività di prostituzione, nettamente smentite dal dichiarante, sentito il 4 agosto 2010.

1.4 Infondato è anche il motivo relativo al trattamento sanzionatorio, risultando la decisione non contraddittoria nè manifestamente illogica, in quanto i giudici hanno puntualmente giustificato il riconoscimento delle attenuanti generiche, in ragione del ridimensionamento delle accuse per l'intervenuta assoluzione per il reato di cui al capo I), ed al contempo, motivato lo scostamento dal minimo edittale in ragione della riprovevole e plurioffensiva condotta dell'imputato, sebbene bilanciata dalla valutazione della personalità dell'imputato e del pregresso curriculum professionale.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 28 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2016
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza