Militare della Guardia di Finanza, condannato in primo grado per concorso nella cessione di 250 grammi di cocaina, per peculato (avendo ceduto 10 grammi di sostanza stupefacente, prelevandola da quella regolarmente in sequestro presso il comando) e per omessa denuncia di reato. Seguono due assoluzioni e due annullamenti con rinvio da parte della Corte Suprema.
A seguito di indagini, che avevano riguardato il comportamento di diversi sottoufficiali della Guardia di Finanza nell'ambito di operazioni antidroga,
era emerso che, alcuni componenti del Nucleo Provinciale della Polizia Tributaria di Venezia, allo scopo di identificare ed arrestare gli spacciatori ed acquisire le
sostanze stupefacenti, avevano agito sotto copertura al di fuori dei casi previsti dall'art. 97 del d.P.R. n. 309/1990 (e cioè senza essere addetti specificatamente
ad una unità specializzata antidroga e senza che le operazioni fossero state disposte dal Servizio Centrale Antidroga o d'intesa tra questo servizio ed il
Comandante della Guardia di Finanza o del Nucleo di Polizia Tributaria). In particolare, C.S., quale militare della Guardia di Finanza, veniva condannato dal Tribunale di Venezia con sentenza 7/5/2010 per concorso nella cessione di 250 grammi di cocaina (avendo fatto in modo che l'informatore S. A. si procurasse la sostanza e la facesse pervenire a tale G., per peculato (avendo ceduto allo S.10 grammi di sostanza stupefacente, prelevandola da quella regolarmente in sequestro presso il
comando) e per omessa denuncia di reato (avendo omesso di riferire in ordine alla responsabilità di coloro che avevano provveduto a procacciare la sostanza
poi ceduta al G.). La Corte di appello di Venezia, su appello dell'imputato, assolveva quest'ultimo: dal delitto di peculato, per difetto di prova del fatto; dal reato di
omessa denuncia, perché commesso per proteggere l'informatore; dal concorso in spaccio, perché il fatto, pur sussistente, era scriminato ai sensi dell'art. 51
c.p., avendo l'imputato agito nell'adempimento di un dovere, consistente nell'assicurare la prova e nel ricercare l'autore del reato.
Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Venezia, osservando che nella specie
l'imputato non poteva affatto invocare la scriminante di cui all'art. 51 c.p., erroneamente applicata dalla Corte territoriale.
La Terza Sezione Penale di questa Corte con sentenza 9 maggio 2012 annullava (con rinvio) la sentenza impugnata rilevando che la scriminante dell'adempimento di un dovere trova applicazione quando la condotta dell'agente provocatore non si inserisca con rilevanza causale nell'iter criminis, ma si concretizzi in una attività di osservazione, di controllo e di contenimento delle azioni illecite altrui (mentre nel caso di specie lo specifico episodio sembrava nascere solo dall'iniziativa dell'imputato, senza la quale il reato non sarebbe mai stato commesso).
A seguito della sentenza di annullamento della Sezione Terza di questa Corte, la Corte di appello di Venezia, quale giudice di rinvio, con la sentenza impugnata, pervenendo a giudizio assolutorio, ha riformato la sentenza 7/5/2010 con la quale il Tribunale di Venezia aveva dichiarato C.S., militare della Guardia di Finanza, responsabile a titolo di concorso nella illecita transazione di 250 grammi di sostanza stupefacente del tipo cocaina, transazione concretizzatasi in località non meglio identificata sita tra le province di Padova e Venezia, il 29 luglio 2006.
Avverso la suddetta sentenza ricorre il Procuratore generale della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, deducendo vizio di motivazione in quanto la Corte sarebbe contraddittoriamente pervenuta al giudizio assolutorio, valorizzando alcune telefonate dal contenuto neutro ed omettendo di considerare le prove a carico valutate sia dal primo che dal secondo giudice.
30-11-2016 22:13
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