Renitente, condannato nel 2003, chiede la revoca della sentenza di condanna stante la sospensione della militare obbligatoria.
Cassazione penale, sez. I, 26/11/2015, (ud. 26/11/2015, dep.08/01/2016), n. 517
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo - Presidente -
Dott. NOVIK Adet Toni - Consigliere -
Dott. TARDIO Angela - Consigliere -
Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe - Consigliere -
Dott. CENTONZE Alessandro - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) E.S., nato il (OMISSIS);
Avverso l'ordinanza n. 720/2014 emessa il 02/12/2014 dalla Corte di
appello di Bologna;
Sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. CENTONZE
Alessandro;
Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del Dott.
FIMIANI Pasquale, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa il 02/12/2014 la Corte di appello di Bologna rigettava la richiesta di revoca della sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, il 13/11/2003, divenuta irrevocabile il 16/11/2014, con la quale E.S. era stato condannato alla pena di anni uno di reclusione per la commissione del reato di renitenza alla leva militare obbligatoria.
Tale richiesta era stata presentata in conseguenza della sospensione della leva militare obbligatoria che era stata disposta dalla L. 14 novembre 2000, n. 231, art. 7, comma 1, che imponeva l'applicazione alla fattispecie in esame dell'art. 2 c.p., comma 4, in materia di successione di leggi penali in senso favorevole al reo.
Nel caso di specie, il provvedimento di rigetto veniva adottato sul presupposto che, al contrario di quanto dedotto dall' E., le modifiche normative in tema di leva militare obbligatoria non avevano comportato la totale abolizione del servizio militare di leva obbligatorio, ma solo limitato la sua operatività a situazioni specifiche e a casi eccezionali, di cui occorreva tenere conto nella valutazione delle condotte delittuose in corso di valutazione giurisdizionale.
2. Avverso tale ordinanza, il condannato ricorreva per cassazione, a mezzo del suo difensore, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta insussistenza dei presupposti per l'accoglimento della richiesta proposta in sede di esecuzione, in relazione al reato di renitenza alla leva militare obbligatoria contestato all' E., che erano stati valutati dalla Corte di appello di Bologna, con un percorso motivazionale contraddittorio e manifestamente illogico.
Si deduceva, in particolare, che le norme relative al servizio militare di leva obbligatorio, contenute nel D.P.R. 14 febbraio 1964, n. 237 e nella L. 24 dicembre 1986, n. 958, erano state abrogate dalla L. 231 del 2000, con conseguente applicazione del principio di successione di leggi penali in senso favorevole al reato previsto dall'art. 2 c.p., comma 4.
Nè valeva in senso contrario, l'argomento secondo cui l'istituto in esame era stato soppresso in maniera graduale, atteso che, essendo stata abrogata la leva militare obbligatoria, non poteva ritenersi operante la fattispecie di reato tesa a sanzionare la condotta elusiva di tale comportamento, non più imposto dalla legge.
Per queste ragioni processuali, l'ordinanza impugnata doveva essere annullata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato.
Deve, in proposito, rilevarsi che, nel caso di specie, deve farsi applicazione dell'orientamento consolidato di questa Corte, secondo cui la sospensione della chiamata obbligatoria alla leva militare, così come introdotta dalla L. n. 231 del 2000, art. 7, comma 1, non ha abolito tale servizio di leva, ma ne ha limitato l'operatività a specifiche situazioni e a ipotesi eccezionali, rilevanti sia in tempo di guerra che in tempo di pace (cfr. Sez. 1^, n. 43709 del 06/11/2007, Almavera, Rv. 238685).
Nè potrebbe essere diversamente, atteso che una simile interpretazione, oltre a formare oggetto di una posizione ermeneutica da tempo consolidata, si porrebbe in contrasto con la previsione dell'art. 52 Cost., comma 2, che risulterebbe indubbiamente violata in caso di definitiva e totale soppressione dell'obbligatorietà della leva militare. Ne consegue che la nuova disciplina sul reclutamento militare, non avendo integralmente soppresso l'istituto del servizio di leva obbligatorio, non ha comportato una abolitio criminis totale della relativa fattispecie, ma soltanto una riduzione della possibile sfera di operatività dell'illecito penale (cfr. Sez. 1^, n. 24270 del 18/05/2006, Lampedone, Rv. 234839).
Ne discende che sussiste l'ipotesi di cui all'art. 2 c.p., comma 4, per i fatti di renitenza alla leva commessi anteriormente all'intervenuta modifica legislativa, sempre che non sia stata pronunciata sentenza di condanna irrevocabile, che comporta al soggetto renitente l'inapplicabilità delle nuove e più favorevoli norme. Tale condizione ostativa sussiste certamente nel caso in esame, atteso che la richiesta formulata nell'interesse dell' E. riguarda la revoca della sentenza emessa dalla Corte di appello di Lecce, Sezione distaccata di Taranto, il 13/11/2003, divenuta irrevocabile il 16/11/2004.
Sul punto, si ritiene utile richiamare conclusivamente il principio di diritto affermato da questa Corte, che occorre ribadire, secondo cui: "La sospensione della chiamata obbligatoria alla leva, introdotta con L. n. 331 del 2000 e successive integrazioni, non ha abolito il servizio di leva militare obbligatoria, ma ne ha limitato l'operatività a specifiche situazioni e a casi eccezionali riferiti anche al tempo di pace, sicchè il reato di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza non è stato abrogato, ma è stato modificato il contenuto del precetto penale.
Sussiste, pertanto, l'ipotesi di cui all'art. 2 c.p., comma 4, con la conseguenza, che per i fatti anteriormente commessi, sempre che non sia stata pronunciata sentenza di condanna irrevocabile, deve farsi applicazione delle nuove più favorevoli disposizioni, per le quali la condotta di rifiuto del servizio militare per motivi di coscienza non è più reato" (cfr. Sez. 1^, n. 10424 del 24/02/2010, Negro, Rv.
246396).
2. Per queste ragioni, il ricorso proposto nell'interesse di E. S. deve essere rigettato, con la sua condanna al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 26 novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 8 gennaio 2016
04-10-2016 21:51
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