Ritenzione aggravata di oggetti di munizionamento. Furto militare pluriaggravato.
Cassazione penale, sez. I, 08/07/2015, (ud. 08/07/2015, dep.15/09/2015), n. 37297
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente -
Dott. TARDIO Angela - Consigliere -
Dott. CASSANO Margherita - rel. Consigliere -
Dott. MAZZEI Antonella P. - Consigliere -
Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 74/2014 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del
11/02/2015;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/07/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. CASSANO MARGHERITA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FLAMINI Luigi
Maria che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
1. Il 29 gennaio 2014 il Tribunale militare di Roma dichiarava C.A. colpevole dei reati di ritenzione aggravata di oggetti di munizionamento (art. 47, n. 2, artt. 164 e 166 c.p.m.p.), furto militare pluriaggravato e, riconosciute le circostanze attenuanti genetiche, dichiarate prevalenti sulla contestata aggravante, lo condannava alla pena di quattro mesi e quindici giorni di reclusione militare, disponendo la pena accessoria della rimozione dal grado. Dichiarava il proprio difetto di giurisdizione in ordine al reato di violazione di corrispondenza (art. 616 c.p.), così diversamente qualificato il fatto di cui al capo e), originariamente rubricato ai sensi dell'art. 47 c.p.m.p., n. 2, art. 129 c.p.m.p., commi 1 e 3).
2.L'11 febbraio 2015 la Corte militare d'appello, in parziale riforma della decisione di primo grado, qualificato il reato di cui al capo b (furto militare aggravato) come ritenzione di effetti militari aggravata (artt. 47 c.p.m.p., n. 2, artt. 163 e 166 c.p.m.p.), dichiarava non doversi procedere in ordine a tale reato, perchè l'azione penale non poteva essere iniziata per mancanza della richiesta di procedimento del comandante del corpo e, per l'effetto, riduceva la pena per il reato di cui al capo a (ritenzione aggravata di oggetti di munizionamento) in tre mesi di reclusione militare ed escludeva la pena accessoria della rimozione dal grado. Confermava nel resto la decisione di primo grado.
3. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore di fiducia, C., il quale formula le seguenti censure.
Lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alle ragioni poste a base decisione adottata, attesa l'assenza di segnalazioni o denunce di sottrazioni, l'abbandono delle cartucce sul terreno del poligono dopo le esercitazioni.
Deduce erronea applicazione degli artt. 164, 165 e 166 c.p.m.p., mancanza della motivazione in ordine alla ritenuta configurabilità del reato, in quanto le cartucce distribuite in occasione di esercitazioni non sono ab origine destinate a costituire l'armamento militare del soggetto e ad essere da lui impiegate nel servizio.
Detto materiale può essere iscritto nel novero dei materiali di "consumo" necessari per l'addestramento e rientra nella nozione di "altre cose destinate ad uso militare" di cui all'art. 166 c.p.m.p..
I giudici di merito non hanno, inoltre, rilevato l'insussistenza della condizione di procedibilità.
Eccepisce, infine, violazione di legge e vizio della motivazione con riferimento alla dosimetria della pena e al mancato riconoscimento del fatto di lieve entità.
Diritto
OSSERVA IN DIRITTO
Il ricorso non è fondato.
1. Il bene giuridico tutelato dall'art. 166 c.p.m.p. deve essere identificato non nel patrimonio, bensì nell'interesse generale al regolare svolgimento del servizio militare, inteso come complesso di attività preordinate all'assolvimento del compito fondamentale della difesa del territorio nazionale (Sez. 1, 3 aprile 1995, n. 5208; Sez. 1, 16 marzo 2000, n. 5982).
La norma punisce la condotta di ritenzione di munizionamento militare non munito del marchio di rifiuto e/o palesemente dismesso.
Ai fini della configurabilità del reato è sufficiente il dolo generico, ossia la consapevolezza, da parte del militare, che il munizionamento non ha legittimamente cessato di appartenere al servizio militare.
2. Nel caso di specie la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di questi principi, laddove, con motivazione immune da vizi logici e giuridici, ha richiamato le risultanze delle attività di perquisizione che consentivano di rinvenire e sequestrare, presso l'abitazione dell'imputato, munizionamento militare privo del marchio di rifiuto o palesemente dismesso, nonchè l'omessa acquisizione di elementi obiettivi indicativi della cessazione dell' appartenenza di C. al servizio militare: Nè, d'altra parte, contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa, può assumere rilievo, ai fini dell'esclusione del reato, un elemento estraneo alla fattispecie criminosa quale la mancata dimostrazione della sottrazione delle munizioni alle Forze Armate italiane. Si tratta di un dato irrilevante ai fini della configurabilità del reato contestato che, tutt'al più, avrebbe potuto essere significativo ove l'imputazione avesse avuto ad oggetto i diversi delitti di furto e di ricettazione.
Le restanti censure difensive, pur denunziando formalmente una violazione di legge anche in riferimento ai principi di valutazione della prova di cui all'art. 192 c.p.p., comma 2, non criticano in realtà la violazione di specifiche regole inferenziali preposte alla formazione del convincimento del giudice, bensì, postulando un preteso travisamento del fatto, chiedono la rilettura del quadro probatorio e, con esso, il sostanziale riesame nel merito, inammissibile invece in sede d'indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione, allorquando la struttura razionale della sentenza impugnata abbia - come nella specie - una sua chiara e puntuale coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica, alle risultanze del quadro probatorio, indicative univocamente della coscienza e volontà del ricorrente di detenere presso la propria abitazione munizionamento militare privo del marchio o del segno del rifiuto.
2. Anche il secondo motivo di ricorso è privo di pregio.
Nel caso in esame i giudici di merito hanno correttamente escluso, sulla base della lettura logico-sistematica degli artt. 166, 165 e 164 c.p.m.p. che, in relazione al reato contestato al capo a), fosse necessaria la condizione di procedibilità della richiesta del Comandante del corpo. L'art. 166 opera, infatti, un rinvio alla misura della sanzione prevista dall'art. 165 c.p.m.p. per la ritenzione di oggetti diversi da quelli di cui all'art. 164 c.p.m.p..
Nel caso di specie l'oggetto della condotta illecita riguarda munizionamento militare non munito del marchio di rifiuto e/o palesemente dismesso che, tenuto conto delle sue intrinseche caratteristiche obiettive e della sua funzione, non è suscettibile di inquadramento nella categoria delle "altre cose destinate ad uso militare", come sostenuto dalla difesa.
3. Anche l'ultimo motivo di ricorso non è fondato.
La sentenza impugnata, con argomentazione rispettosa dei principi costantemente enunciati dalla giurisprudenza di legittimità, ha valorizzato, ai fini della dosimetria della pena, la qualità del reato commesso, ritenendolo contraddistinto da obiettiva gravità.
Non sussistono i presupposti per il riconoscimento del fatto di lieve entità, avuto riguardo alla motivazione della sentenza impugnata circa le connotazioni del fatto e la tipologia del munizionamento miliare rinvenuto in possesso dell'imputato, nonchè alla dosimetria della pena, non contenuta nel minimo edittale.
4. Al rigetto del ricorso consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 8 luglio 2015.
Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2015
06-09-2016 19:35
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