Truffa militare. Direttore della mensa costringe un inferiore di grado a compiere un atto contrario ai propri doveri.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente -
Dott. NOVIK Adet Ton - rel. Consigliere -
Dott. DI TOMASSI Mariastefania - Consigliere -
Dott. MAZZEI Antonella P. - Consigliere -
Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S. - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.C. N. IL (OMISSIS);
A.S. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 62/2014 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del 29/05/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 02/12/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Flamini L.M., che ha concluso per annullamento senza rinvio per prescrizione dei reati (Ndr: testo originale non comprensibile).
udito il difensore avv. Pafani R..
Svolgimento del processo
1. Con sentenza emessa il 17 dicembre 2013 il Tribunale Militare di Roma, che procedeva nei confronti di S.C., 1^ Maresciallo Luogotenente M.M. effettivo al circolo sottufficiali M.M in (OMISSIS) quale "direttore della vinicola/bar", e A.S., 1 Maresciallo Luogotenente M.M. effettivo al circolo sottufficiali M.M in (OMISSIS) quale "direttore della mensa", per plurimi episodi in concorso di truffa militare pluriaggravata continuata (contestati rispettivamente ai capi A e C: art. 234 c.p.m.p. , comma 1 e 2, art. 146, art. 47 c.p.m.p., n. 2, art. 81 cpv c.p.), e nei confronti del primo anche per truffa militare e minaccia a inferiore per costringere a fare un atto contrario ai propri doveri, continuate ed aggravate continuata (capo B: art. 234 c.p.m.p. , comma 1 e 2, art. 47 c.p.m.p. , n. 2, artt. 81 cpv e 110 c.p.), condannava S. alla pena di mesi nove di reclusione militare per i reati di cui al capo A e di mesi sei per quello di cui al capo B, ed A. alla pena di mesi nove di reclusione militare. Concedeva ad entrambi le circostanze attenuanti generiche prevalenti ed i benefici di legge.
Dichiarava prescritti i fatti commessi entro il (OMISSIS).
2. Per quanto attiene l'addebito di truffa, il Tribunale Militare riteneva provato che gli imputati, nella loro veste rispettiva avevano apposto false firme sul registro delle presenze ai pasti (colazione, pranzo e/o cena) al fine di far risultare un numero di più elevati fruitori del servizio, procurandosi un ingiusto profitto nella somma indicata in contestazione, con danno per l'Amministrazione Militare. In particolare, all'esito delle indagini compiute e dell'istruttoria dibattimentale, che aveva comportato l'assunzione di numerosi testimoni, era emerso che sui registri, sui quali i militari interessati dovevano apporre le firme ogni qualvolta consumavano un pasto o la colazione, erano state apposte firme appartenenti allo stesso soggetto nello stesso giorno, con grafia differente (erano stati sentiti i testi che avevano disconosciuto la propria firma).
2.1. Per quanto attiene la gestione del bar era stato il gestore che aveva sostituito S., ad accorgersi della notevole sproporzione esistente tra coloro che avevano consumato i pasti durante la precedente gestione e quelli che li avevano consumati successivamente. Il danno all'amministrazione militare si ricollegava all'esistenza di una convenzione tra la Capitaneria di porto di Ancona ed il circolo, in base alla quale per contingenze temporanee (lavori di sistemazione della cucina dell'ente) era consentito al personale del porto di consumare i pasti presso il circolo, previa apposizione di una firma da parte di coloro che erano autorizzati ad usufruirne. Sulla base della rilevazione delle presenze, la capitaneria di porto versava per ciascun dipendente l'importo corrispondente al pasto consumato (un euro per la colazione, sei euro rispettivamente per pranzo e cena). Il Tribunale dava atto che alcuni testi avevano riferito che a volte il singolo dipendente prelevava anche un cestino da portare in ufficio a colleghi, ma riteneva che il numero di coloro che avevano disconosciuto la firma era di gran lunga superiore ai casi di occasionali prelevamenti.
2.2. Responsabili della tenuta dei registri, in base allo Statuto Ente Circoli della M.M., erano rispettivamente il direttore della mensa ed il direttore della vinicola, cioè gli odierni ricorrenti, unici a poter materialmente, in assenza di un controllo superiore, alterare i dati in esso contenuti.
3. Relativamente all'imputazione di cui al capo B) ascritto a S., l'organo giudicante riportava le deposizioni dei testi che avevano prestato servizio al bar in merito alle specifiche disposizioni date da questi al personale dipendente, di riempire le bottiglie di acqua minerale con acqua di rubinetto, di diluire con acqua le bottiglie di vino, di non superare un certo limite con la battitura degli scontrini e di accantonare le somme in nero così realizzate, che venivano poi utilizzate dal medesimo, di travasare liquori meno pregiati in bottiglia di liquore più pregiato. I testi avevano dichiarato di essersi adeguati a queste disposizioni per non essere vessati dal punto di vista disciplinare e per non avere ripercussioni sulla carriera.
4. A fronte dell'impugnazione del difensore dei condannati (i motivi presentati dal Procuratore militare con ricorso per cassazione convertito in appello venivano respinti), la Corte Militare di appello in riforma della decisione di primo grado così provvedeva:
- quanto a S.C., riduceva la pena per il reato di cui al capo A), per i fatti commessi dal (OMISSIS), a mesi otto e giorni 10 di reclusione militare; riduceva altresì la pena a mesi quattro e giorni 20 di reclusione militare, per il reato di cui al capo B) per i fatti relativi all'omissione della scrittura di scontrini di cassa, qualificati come peculato militare aggravato continuato (art. 215, art. 47 c.p.m.p., n. 2, art. 81 cpv c.p.). Dichiarava non doversi procedere per i reati di cui al capo A), per i fatti commessi dal (OMISSIS), perchè estinti per intervenuta prescrizione. Per le condotte in danno di militari e per le minacce ad inferiore di cui al capo B) dichiarava non doversi procedere per intervenuta prescrizione per i periodi dal (OMISSIS), e pronunciava la assoluzione per i fatti commessi nel periodo dal (OMISSIS) perchè il fatto non sussiste. Condannava l'imputato alla pena accessoria della rimozione dal grado, confermando la concessione dei benefici di legge;
- quanto ad A.S., dichiarava l'intervenuta prescrizione dei reati per il periodo dal (OMISSIS) e confermava la sentenza per i fatti commessi dal (OMISSIS), riducendo la pena a mesi otto e giorni 10 di reclusione militare, sostituita con la reclusione per uguale durata. Confermava la concessione dei benefici di legge.
5. Prendendo in esame il primo motivo di appello, che censurava il mancato accoglimento dell'eccezione di inutilizzabilità degli atti acquisiti successivamente alla scadenza del termine previsto per la fase delle indagini preliminari (inutilmente sollevata anche in primo grado), la Corte, conformandosi alla giurisprudenza di legittimità, riteneva che l'eventuale invalidità derivante dal superamento del termine prefissato non era rilevabile d'ufficio, e la mancata deduzione nel termine previsto dall'art. 181 aveva comportato acquiescenza. Rilevava sotto altro profilo che essendo stato il procedimento originariamente instaurato presso l'autorità giudiziaria ordinaria, per il decorso del termine delle indagini preliminari doveva farsi riferimento al momento in cui l'autorità giudiziaria militare aveva ricevuto gli atti.
6. Rispondendo ai motivi di merito, la Corte territoriale rilevava:
- il reato di truffa contestato ad entrambi gli imputati era risultato provato sulla base delle prove testimoniali, irrilevante apparendo che non fosse stato eseguito un accertamento tecnico;
- la molteplicità degli episodi accertati non era compensata dalla corresponsione di cestini, dimostrando il contrario il disconoscimento delle firme, pari quasi alla totalità delle firme apposte, e come dimostrato dalle risultanze del supporto informatico acquisito agli atti;
- gli imputati, i quali come responsabili delle rispettive strutture erano direttamente interessati ai dati risultanti dal registro presenze, erano gli unici a poter ricevere beneficio dall'alterazione del numero delle presenze. Ove, come dedotto, fossero stati all'oscuro della maggiorazione delle presenze per tutto il lasso di tempo in contestazione, si sarebbero dovuti accorgere della sproporzione tra i soggetti effettivamente fruitori del servizio e quelli risultanti dai dati fittizi. Il fatto che non fosse stata mai evidenziata dimostrava che non vi era nessun altro soggetto che aveva interesse a tale manipolazione. Inoltre, il maggior flusso di denaro riversato nelle casse del circolo giovava ad essi come soci ma anche, e soprattutto, quali amministratori dello stesso. Rispondendo ad un'obiezione di S., secondo cui egli non aveva utilizzato per scopi personali i maggiori proventi derivanti dall'incasso in nero delle consumazioni, la Corte riteneva che in tal modo egli disponeva di somme maggiori per il funzionamento dei servizi. Anche se non vi era prova che fossero stati essi ad apporre le false firme e che vi fossero disposizioni specifiche in ordine alle modalità di custodia dei registri medesimi, i dati fattuali consentivano di giungere alla conclusione che essi avessero partecipato all'alterazione dei dati ed all'utilizzo per conseguire illeciti profitti;
- agli imputati non era stato contestato una condotta di contraffazione dei dati contabili, ma soltanto la preordinazione ed il successivo utilizzo degli stessi. Come già esposto in precedenza essi nelle loro funzioni di sovraordinazione, specificamente attribuita dalle norme, dovevano accorgersi dell'anomalia, ove tale;
- irrilevante, ad avviso della Corte, era anche la giustificazione addotta del limitato tempo a disposizione per il disbrigo di questi incarichi secondari, dal momento che le funzioni direttive consentivano loro di avvalersi della collaborazione dei relativi dipendenti, così che l'illecito non era stato scoperto a causa della loro partecipazione. Al contrario, le prove avevano dimostrato che S. si recava quotidianamente al bar per ricevere i compensi non registrati;
- irrilevante anche che, come addotto, le truffe fossero continuate anche dopo che gli imputati avevano cessato dai loro incarichi, perchè ciò dimostrava soltanto che vi era una cerchia di soggetti più ampia interessata al fenomeno illecito, ma non escludeva il loro ruolo.
7. Sotto il profilo qualificatorio, la Corte distrettuale riteneva sussistente il reato di truffa aggravata, allargando peraltro il raggio della prescrizione pronunciata in primo grado. A fronte della richiesta degli imputati di dichiarare prescritto l'intero reato contestato al capo A), indicando sul punto quale data di decorrenza della prescrizione il 1 gennaio 2006 in applicazione del favor rei, il giudicante rilevava che le alterazioni erano avvenute anche nella fine del mese di settembre e nei successivi ottobre, novembre, dicembre, per cui non era decorso il termine prescrizionale, dovendosi anche considerare l'adesione del difensore all'astensione delle udienze proclamata per il 30 maggio, data già fissata per il prosieguo del dibattimento. Il termine di sette anni e sei mesi doveva quindi essere aumentato di 60 giorni. La prescrizione era maturata quindi per tutte le condotte poste in essere prima del 29 settembre 2006.
8. Per quanto atteneva la contestazione mossa a S. al capo B), la Corte di appello militare operava una distinzione tra le condotte poste in essere in danno dei militari (annacquamento del vino e simili) e quella di mancata emissione di scontrini fiscali: le prime, che in base alla contestazione erano state commesse in data antecedente al (OMISSIS), dovevano essere dichiarate prescritte, mentre per il periodo successivo non vi era prova che tale prassi fosse proseguita; la mancata emissione degli scontrini fiscali, ottenuta con minacce e seguita dal prelevamento del denaro conservato in un cassetto da parte di S., andava qualificato come peculato, essendo stati integrati tutti gli elementi costitutivi di detto reato. Senza che potesse avere valore discriminatorio la circostanza, peraltro riferita da una sola teste, che le somme venivano impiegate per l'acquisto di generi alimentari da destinare alla colazione, laddove gli altri addetti avevano deposto circa un costante e quotidiano prelievo di denaro.
9. In base allo stesso percorso argomentativo seguito per valutare il decorso del termine di prescrizione per il reato di truffa, la Corte militare dichiarava estinti i reati di minaccia ad inferiore contestati al capo B commessi dal (OMISSIS), mentre confermava il giudizio di responsabilità per gli episodi posti in essere dal (OMISSIS), connessi con i fatti di mancata emissione degli scontrini di cassa.
Richiamava in proposito le deposizioni dei testi V. e D. L. che avevano affermato di aver posto in essere le condotte contestate per il timore derivante da ripercussioni negative sulla carriera prospettate dall'imputato, e quelle di B. e C. che avevano percepito le richieste come ordini. Dette condotte andavano interpretate come prospettazione di un male ingiusto, apparendo irrilevante, e comunque superata dalla dipendenza funzionale degli addetti al bar, la mancanza di una titolarità formale in capo all'imputato della predisposizione delle note caratteristiche attinenti ai militari in questione.
10. Come conseguenza di diritto delle condanne per truffa e peculato militare veniva inflitta a S. la pena accessoria della rimozione del grado.
11. Avverso la sentenza di appello hanno proposto un unico ricorso per cassazione S.C. e A.S., per mezzo del difensore di fiducia, articolando cinque motivi di ricorso, qui sinteticamente enunciati, chiedendo l'annullamento della sentenza.
11.1. Con il primo deducono violazione di legge in relazione alla mancata dichiarazione di inutilizzabilità delle prove acquisite dopo il termine di sei mesi fissato dalla legge per le indagini preliminari, ed in assenza di proroga. Il difensore, sia in primo grado che in appello aveva eccepito l'inutilizzabilità delle prove documentali specificamente indicate (pagine 3 e 4 del ricorso).
La Corte di appello aveva trasformato la parola "prova" in atti d'indagine ed aveva utilizzato ai fini della formazione del giudizio prove vietate ex lege, con pregiudizio per gli imputati. Errata era anche l'affermazione secondo cui il termine per le indagini decorresse da quando gli atti erano stati ricevuti dall'autorità militare.
11.2. Con un secondo motivo i ricorrenti deducono violazione di legge in ordine alla data di inizio del termine di prescrizione. Dal momento che agli imputati era stata contestata la consumazione del reato continuato per l'anno 2006, non essendo mai stata accertata la data di apposizione della falsa firma, essa per il principio del favor rei doveva essere fatta decorrere dal 1 gennaio 2006, primo giorno di consumazione del reato. Analoghe considerazioni valevano anche per il capo B), per cui la prescrizione doveva essere fatta decorrere dal 1 luglio 2006.
11.3. Con il terzo motivo, in relazione alla posizione di S., viene dedotta violazione di legge in relazione al divieto della reformatio in peius ed all'aggravamento della sanzione conseguita.
Anche se accompagnata da una riduzione della pena detentiva, la diversa qualificazione giuridica del fatto comportava sanzioni accessorie gravissime per un militare. La pena comminata nella sua globalità era più onerosa di quella inflitta in primo grado.
11.4. Con il quarto motivo viene dedotta violazione di legge e mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione risultante dagli atti, relativa alla qualificazione come peculato militare aggravato del reato contestato a S. al capo B). I militari addetti al bar non avevano rapporto di dipendenza con l'imputato, nè egli aveva su di essi potere disciplinare. S. non aveva il possesso o la disponibilità del denaro perchè, in base alla normativa sulla contabilità dei circoli ufficiali e sottufficiali, era il segretario economo che svolgeva il servizio di cassa, sotto la sorveglianza del questore. Il denaro quindi una volta incassato dai militari rimaneva nella loro disponibilità e, successivamente, nella competenza del segretario economo. La circostanza che S. si fosse fatto consegnare parte dell'incasso del bar era frutto di artifizi diretti a convincere gli addetti che lo stesso serviva per acquistare merce ulteriore, e dava luogo al reato di truffa. Era carente quindi l'elemento materiale del reato, non essendo state eseguite le verifiche necessarie ad accertare i doveri dei militari preposti alle operazioni di cassa.
11.5. Per ultimo, le parti deducono violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla contestazione di cui al capo A), in cui agli imputati era stata addebitata una condotta consistita "nell'apporre" firme false. I giudici di appello avevano specificato che con tale termine non si intendeva una contraffazione diretta del registro, cercando di sostenere l'esistenza di una falsificazione operata da terzi soggetti sconosciuti. Detta teoria era illogica e contraddittoria e non era mai stata contestata nel capo d'imputazione. Inoltre, illogicamente si era ritenuto che gli imputati erano gli unici a poter materialmente alterare i dati del registro, mancando un controllo superiore. Tuttavia, a conferma dell'assenza di un interesse degli imputati ad incrementare il numero dei pasti ed al fatto che essi non avessero alcun incarico o dovere di tenuta e controllo del registro in questione, si richiamava la deposizione del teste C., che detta responsabilità aveva escluso. Infine, si ritiene parimenti illogica l'affermazione della Corte secondo cui la circostanza che le falsificazioni erano continuate anche dopo che gli imputati avevano lasciato i loro incarichi lasciava intendere l'esistenza di un sistema truffaldino, di cui non era emerso riscontro nel corso del processo.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile. Si ritiene di trattare per ultimo il motivo relativo alla prescrizione dei reati, il cui esito presuppone l'accertamento della responsabilità.
2. In ordine al primo motivo, questo Collegio condivide l'orientamento costante, (Cass. sez. 6, n. 16986 del 24/02/2009, Abis, rv. 243257; sez. 5, n. 1586 del 22/12/2009, Belli, rv. 245818;
sez. 6, n. 40791 del 10/10/2007, P.M. in proc. Genovese, Rv. 238040;
sez. 6, n. 21265 del 15/12/2011, P.G., Bianco e altri, rv. 252853), applicato dai giudici di merito, secondo il quale l'inutilizzabilità ai sensi dell'art. 407 c.p.p. , comma 3, degli atti d'indagine compiuti dopo la scadenza del termine ordinario o prorogato stabilito per la conclusione della indagini preliminari differisce dall'inutilizzabilità comminata dall'art. 191 c.p.p. , per le prove vietate, di cui non può essere fatto alcun utilizzo processuale.
Pertanto, la relativa questione non è rilevabile d'ufficio, ma soltanto su eccezione di parte secondo un regime di deducibilità assimilabile a quello previsto per le nullità a regime intermedio previsto dall'art. 182 c.p.p. , per cui, essendo stata la relativa questione sollevata solo nel dibattimento, come da verbale di udienza del 18 ottobre 2012, era intervenuta decadenza. Peraltro, a questa stessa conclusione si deve pervenire anche considerando che il processo fu radicato innanzi al Tribunale Militare a seguito di dichiarazione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, così determinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice ritenuto competente ( art. 20 c.p.p. che richiama l'art. 22, comma 1). Ne consegue che la trasmissione del procedimento all'A.G. militare ha comportato una nuova iscrizione della notizia di reato nell'apposito registro con l'inizio ex novo del termine di durata massima delle indagini, giacchè non vi è dubbio che la nuova iscrizione, per il suo carattere di autonomia rispetto alla precedente, determini una nuova decorrenza dei detti termini al fine di consentire all'organo giudiziario di compiere le indagini necessarie per assumere le proprie determinazioni.
2. Anche il terzo motivo, con cui si contesta esclusivamente che dalla differente valutazione giuridica - peculato militare anzichè truffa militare - consegua una pena accessoria "di natura e valenza gravissima nei confronti di un militare di carriera", quale la rimozione nel grado, omette di considerare che la medesima sanzione accessoria consegue di diritto anche alla condanna per truffa militare, onde in concreto non è ravvisabile un concreto interesse del ricorrente a dolersi della diversa qualificazione introdotta in appello.
3. Il quarto motivo è pretestuoso, oltre ad introdurre valutazioni di fatto, estranee alla natura del giudizio di legittimità.
I giudici di merito, sulla base di una corretta applicazione dei principi giuridici discendenti dall'art. 192 c.p.p. , e di criteri logici incensurabili in questa sede, hanno individuato, valorizzato e coordinato più prove convergenti che hanno consentito di appurare i meccanismi, specificamente indicati nella parte espositiva della presente sentenza, attraverso cui S. si appropriava del denaro incassato. La Corte di appello militare ha riportato le dichiarazioni dei militari D.L., V., B. e C. sulle pressioni e minacce ricevute per creare incassi "a nero", e come la provvista che si formava veniva prelevata da S. ed ha ritenuto provato che questo comportamento, posto in essere da chi di fatto gestiva il bar, integrava il reato di peculato militare, così procedendo alla diversa qualificazione. Per giurisprudenza costante di legittimità, il peculato consiste nella appropriazione del denaro o della cosa mobile di cui l'agente ha il possesso o anche soltanto la disponibilità per ragione del suo ufficio, intesi anche come mera detenzione, uso o semplice custodia ricollegati alle mansioni esercitate dall'agente e che gli consentano di maneggiare denaro o altre cose mobili, sia pure occasionalmente ed in via di fatto (v. per tutte Sez. 1, Sentenza n. 9179 del 2008;
Cass. Sez. 6, n. 405 del 1994, rv. 198499); come si è verificato nel caso in esame, in cui quindi non rileva che il possesso del denaro rientrasse nella specifica competenza funzionale di altri soggetti, ben potendo derivare anche da prassi o consuetudini (v. Cass. Sez. 6, n. 27850 del 2001, rv. 229642).
Quanto poi alla insussistenza di un rapporto di dipendenza gerarchica tra S. e i militari addetti al bar, che consentisse al primo di dare le disposizioni circa la non emissione degli scontrini fiscali e la consegna del denaro, è sufficiente rilevare che è divenuto definitivo per mancata impugnazione il capo B) della sentenza, nella parte in cui l'imputato è stato riconosciuto colpevole del reato di minacce a inferiore, che ha riconosciuto che S. si trovava rispetto ai predetti militari "in posizione di supremazia gerarchica e funzionale", ed è tale situazione di fatto che lo legittimava ad impartire ordini e a consentirgli la gestione del denaro incassato "a nero".
4. Anche il quinto motivo è manifestamente infondato e si fonda su una capziosa interpretazione del sintagma "apporre" utilizzato nei capi di imputazione per truffa per illustrare il meccanismo che portava alla ingiusta locupletazione a danno dell'amministrazione, come se la contestazione avesse voluto intendere che fossero stati i due imputati ad apporre materialmente le false firma sui registri.
Prescindendo dal notare che la costante giurisprudenza di legittimità afferma che "Non sussiste la violazione del principio di correlazione tra accusa e difesa ( art. 521 c.p.p. ), qualora l'imputato, cui sia stato contestato di essere l'autore materiale del fatto, sia riconosciuto responsabile a titolo di concorso morale, considerato che tale modifica non comporta una trasformazione essenziale del fatto addebitato, nè può provocare menomazioni del diritto di difesa, ponendosi in rapporto di continenza e non di eterogeneità rispetto alla originaria contestazione (Sez. 5, n. 15556 del 09/03/2011 - dep. 18/04/2011, Bruzzese, Rv. 250180)", va rilevato che dalla lettura dei capi di imputazione è evidente che il termine "nell'apporre" è stato utilizzato (in luogo dell'indicativo "apponevano") in funzione impersonale e non soggettivizzata, in funzione descrittiva della situazione disvelata. Lo specifico addebito mosso agli imputati consisteva di aver predisposto "artifici e raggiri consistenti... nell'apporre" firme false, dizione perfettamente compatibile con la non identificazione del soggetto che materialmente aveva posto in essere la falsificazione. Ancora una volta, l'aver identificato negli imputati i soggetti responsabili della truffa è stato ancorato ad una valutazione delle prove, compiuta logicamente e nel rispetto dei canoni di interpretazione dei fatti, che hanno posto in evidenza il loro ruolo apicale e di essere gli unici che avrebbero potuto rilevare l'anomalia in essere.
5. Quanto infine al motivo sulla prescrizione, la Corte di appello militare ha correttamente ancorato la commissione dei reati alle singole date in cui è stata apposta la falsa firma, così come, con valutazione di fatto, risultava dalle indagini compiute (pag. 48 della sentenza). Non vi è ragione quindi per applicare il principio del favor rei richiamato dalla difesa che, ai fini della retrodatazione della data di consumazione del reato e della prescrizione del reato (al 1 gennaio o al 1 luglio 2006), presuppone che non sia stata accertata quella reale.
6. Ne consegue l'inammissibilità del ricorso e la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento nonchè ciascuno al versamento in favore della Cassa delle Ammende, di una somma determinata, equamente, in Euro 1000,00, tenuto conto del fatto che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità". (Corte Cost. 186/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrente al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 2 dicembre 2014.
Depositato in Cancelleria il 12 marzo 2015
24-01-2016 16:50
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