Capitano dei Carabinieri imputato di truffa militare pluriaggravata nell'uso e nella compilazione di fogli di viaggio, falso aggravato continuato in fogli di licenza, di via e simili , truffa pluriaggravata nella percezione di indennità festive , truffa pluriaggravata in attestazioni sull'uso di un proprio mezzo in fogli di viaggio.
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
G.F.nato il ......a .......avverso la sentenza del 05/10/2016 della CORTE MILITARE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCO MARIA SILVIO BONITO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
che ha concluso per Il Procuratore Generale conclude per il rigetto del ricorso.
Udito il difensore L'avvocato REINA ANTONINO conclude chiedendo l'accoglimento del ricorso.
L'avvocato SANSONE SALVATORE si riporta ai motivi del ricorso e ne chiede
l'accoglimento.
Penale Sent. Sez. 1 Num. 53607 Anno 2017
Presidente: DI TOMASSI MARIASTEFANIA
Relatore: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Data Udienza: 27/09/2017
RITENUTO IN FATTO
1. Il GUP del Tribunale militare di Napoli, con sentenza deliberata
il 27 febbraio 2014, assolveva con ampia formula G. F.,
capitano dei CC, dai reati di truffa militare pluriaggravata nell'uso e
nella compilazione di fogli di viaggio (capo a), falso aggravato
continuato in fogli di licenza, di via e simili (capo b), truffa
pluriaggravata nella percezione di indennità festive (capo c), truffa
pluriaggravata in attestazioni sull'uso di un proprio mezzo in fogli
di viaggio (capo d), il tutto secondo imputazioni meglio descritte
nella contestazione della pubblica accusa.
2. A sostegno della decisione il giudice di primo grado osservava
che, ai sensi dell'art. 4 1. 417/78, l'amministrazione non può
disporre il rientro giornaliero in sede del dipendente per missioni da
svolgersi in località per raggiungere le quali occorre un tempo
maggiore di 90 minuti; che, nella specie, l'imputato aveva svolto
missioni disciplinate da tale norma raggiungendo Messina da
Palermo; che la missione giornaliera prescinde dalla determinazione
specifica di tempi, luoghi ed ore di partenza e rientro, dovendosi il
tutto considerare compreso nella durata giornaliera della missione
stessa, indipendentemente dalle concrete modalità utilizzate da
parte dell'agente; che il pagamento della missione è previsto dalla
legge a forfait, astrattamente considerando le fasi ed i momenti del
suo svolgimento i quali, in concreto, possono essere diversi
(rinunciando per esempio al pranzo, o pernottando in luoghi di
favore senza esborsi di somme); che alla stregua di questi
presupposti dovevano valutarsi le contestazioni di cui ai capi a) e c),
per le quali doveva pertanto escludersi la prova circa la volontà
truffaldina dell'imputato. Quanto al reato di falso di cui al capo b),
osservava il GUP che le dichiarazioni risultate non veritiere
contenute nei fogli di viaggio non erano più richieste dalla legge e
che, comunque, si era in costanza di falsi innocui, tenuto conto del
carattere a forfait del rimborso giornaliero, conteggiato su spese
considerate in astratto e comunque dovute indipendentemente dal
reale esborso. Quanto, infine, alla contestazione truffaldina di cui al
capo d) (truffa pluriaggravata per aver attestato nei fogli di viaggio
l'uso di un proprio mezzo per raggiungere le sedi di destinazione)
rilevava il giudice di primo grado che risultava insussistente il fatto
contestato, dappoichè comunque utilizzata dall'imputato, per andare
e venire da Palermo a Messina, un proprio automezzo.
3. Avverso la sentenza di prime cure proponeva appello il
rappresentante della pubblica accusa, integralmente contestando il
sillogismo assolutorio ed assumendo l'inequivoco accertamento dei
fatti partitamente contestati con i diffusi e specifici capi di
imputazione in uno con la loro rilevanza penale secondo lo schema
accusatorio affidato alle contestazioni. La corte adita provvedeva
alla parziale rinnovazione della istruttoria dibattimentale,
disponendo l'esame dei consulenti delle parti sui contenuti dei
documenti indicati nelle contestazioni e sull'eventuale danno da
essi derivanti alla P.A. ed all'udienza del 5 ottobre 2016: dichiarava
l'imputato colpevole del reato ascrittogli al capo a) con riferimento
ai fogli di viaggio 1, 3, 4, 5, 6, 8, 10, 12, 16, 18, 21, 22, 25, 27, 29,
30 del 2010, condannandolo alla pena, condizionalmente sospesa,
di mesi otto di reclusione; assolveva invece l'imputato dal reato di
cui al capo a) con riferimento ai fogli di viaggio 9, 13, 14, 17, 19,
20, 23, 24, 26, 28, 31, 32, 33, 35, 37 e 39 del 2010, 1 e 5 del 2011 e
dal reato di cui al capo c) perché il fatto non sussiste; dichiarava il
difetto di giurisdizione dell'Autorità giudiziaria militare in ordine al
reato di cui al capo b); confermava nel resto la sentenza impugnata
(eppertanto l'assoluzione per il capo d).
4. La corte territoriale ha motivato la sua decisione precisando,
quanto al capo a), che è dato accertato e non contestato che nei fogli
di viaggio relativi alle 23 missioni di cui alla contestazione
l'imputato abbia anticipato, rispetto alla realtà, il momento
dell'inizio e posticipato quello della conclusione; che il trattamento
economico della missione, ancorchè forfettario, ha subito
mutamenti in relazione a tali indicazioni temporali, mutamenti
favorevoli al prevenuto e dannosi per l'amministrazione, chiamata a
liquidare rimborsi indebiti; che per verificare però la ricorrenza in
concreto del reato di truffa militare occorre individuare il requisito
del vantaggio ingiusto in favore dell'agente e, per converso, quello
del danno patrimoniale ed economico a carico della
amministrazione; di qui la necessità di raffrontare quanto percepito
dal prevenuto e quanto avrebbe percepito se veritiere le
autoattestazioni temporali rilevate; che all'esito di tale verifica,
supportata dalle conclusioni dei consulenti delle parti, i requisiti del
reato di truffa militare può essere considerato provato
esclusivamente in relazione alle missioni indicate a tal fine nel
dispositivo di condanna (ed innanzi precisate), per le quali il danno
a carico dell'amministrazione è stato conteggiato in euro 2.444,71.
5. Avverso la sentenza di secondo grado ricorre per cassazione
l'imputato, assistito dal difensore di fiducia, il quale nel suo
interesse sviluppa quattro motivi di impugnazione.
5.1 Col primo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente
violazione degli artt. 533 co. 1 c.p.p., 6 CEDU, 234 e 220 c.p.p., in
particolare osservando: nel giudizio di appello la riforma della
sentenza assolutoria deve essere motivata con argomentazioni
connotate da una superiore forza persuasiva, dovendosi in ogni caso
superare ogni ragionevole dubbio; nel caso di specie tale principio
di diritto, frutto di una annosa evoluzione giurisprudenziale ed
ormai diritto vivente, risulta palesemente disatteso dalla corte di
secondo grado, la quale è pervenuta al sovvertimento della
decisione assolutoria sulla base di una mera rilettura delle carte
processuali, di per sé inidonea a superare il ragionevole dubbio;
avrebbe dovuto il giudice di appello dimostrare nello specifico
l'insostenibilità sul piano logico e giuridico delle conclusioni
assolutorie; non solo, la corte militare ha disposto una rinnovazione
istruttoria in un giudizio di appello relativo a sentenza resa nel
contesto di un giudizio abbreviato, senza peraltro dame la specifica
motivazione richiesta dalla legge (at. 603 c.p.p., co. 3); la disposta
integrazione istruttoria, data dall'esigenza di accertare attraverso
attività dei consulenti la concreta sussistenza di un danno causato
all'amministrazione militare, è anch'essa priva di una motivazione
in relazione alle ragioni dell'impugnazione.
5.2 Col secondo motivo di ricorso denuncia la difesa ricorrente
violazione dell'art. 4 1. 26.7.1978 n. 47, sul rilievo che: la norma
citata consente la liquidazione forfettaria della missione svolta in
località distante più di 90 minuti di viaggio dalla sede di servizio,
norma valorizzata dal giudice di primo grado per la pronuncia
assolutoria e viceversa disattesa dalla corte di appello là dove
criticamente esaminato il quadro c) del certificato di viaggio; il
processo, inoltre, si è occupato delle missioni svolte in un biennio,
tanto che la contestazione individua 57 certificati di viaggio per
sostenere l'accusa di truffa; di tale numero la corte di secondo
grado ha individuato 16 casi nei quali, a suo avviso, si sarebbe
prodotto un danno economico per l'amministrazione; tanto senza
alcuna modifica della contestazione, con ciò spezzando l'unicità del
disegno criminoso coerente con la condotta dell'imputato; si
consuma in tal modo la violazione dell'art. 81 c.p. giacché
mantenuti soltanto i fogli di viaggio utili per la prospettazione di
accusa e tralasciato il valore ed il significato dei documenti
viceversa regolari.
5.3 Col terzo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente
violazione di legge in riferimento all'art. 13 co. 2 c.p.p. e 479 co. 1
c.p., in relazione al riconosciuto difetto di giurisdizione, in
particolare osservando: secondo la corte militare di secondo grado il
militare che dichiara il falso su un foglio di viaggio quanto alla
durata della missione risponde di falso ideologico e, più
precisamente, di falso nelle ipotesi delittuose di cui agli artt. 480 e
483 c.p.; la qualificazione detta è errata ed in contrasto con
l'insegnamento di Cass., sez. 6, 8934/2014 e sez. 5 19/2010,
insegnamento che afferma la ricorrenza, nella ipotesi data, del reato
di cui all'art. 479 c.p. (falsità ideologica commessa da pubblico
ufficiale in atto pubblico) quando "il loro contenuto dispiega un
oggettivo rilievo e un interesse eccedente l'area del mero rapporto
di impiego"; la diversa qualificazione comporta l'applicazione
dell'art. 13 co. 2 c.p.p. ed il riconoscimento della giurisdizione
ordinaria a conoscere sia del falso che della truffa militare, giacchè
più grave il reato di falso ex art. 479 c.p.p. rispetto a quello di
truffa.
5.4 Col quarto motivo di impugnazione, infine, denuncia la difesa
ricorrente "incoerenza e illogicità diffusa in profili diversi della
motivazione", in particolare osservando che, avendo il giudice di
appello sostanzialmente incentrato la motivazione accusatoria
riformatrice di quella assolutoria esclusivamente sugli esiti dei
chiarimenti di consulenza sull'effettivo danno economico cagionato
dai singoli documenti, sono state ignorate tutte le acquisizioni
processuali diverse da tali esiti ed i temi di indagine difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. La questione preliminare da sottoporre a decisione è quella
relativa alla eccezione di giurisdizione ed alla corretta applicazione
della disciplina dettata dall'art. 13 co. 2 c.p.p., illustrata dal
difensore col terzo motivo di impugnazione, per la quale occorre
procedere alla valutazione in ordine alla qualificazione della
condotta dell'imputato, diversamente definita dalla corte di merito
rispetto alla tesi difensiva.
Orbene, la originaria contestazione di reato faceva riferimento
all'art. 220 co. 1 e 2 c.p.m.p. e descrive la condotta imputando al
G., capitano dei CC. comandante del nucleo antisofisticazioni e
sanità di P. nella sua qualità di delegato degli organismi di
rappresentanza Coba e Coir, di aver formato ed usato fogli di
viaggio, relativi a missioni in qualità di delegato sindacale,
riportando località estranee al percorso ed orari di partenza e rientro
dilatati rispetto a quelli reali.
La Corte militare di appello ha ritenuto non corretta la
qualificazione giuridica di tale condotta e non ricorrente l'ipotesi
criminosa di cui all'art. 220 c.p.m.p., sul rilievo che la fattispecie
concreta andrebbe riferita alle ipotesi di cui agli artt. 480 o 483 c.p.
(falsità ideologica commessa da p.u. in certificati o autorizzazioni
amministrative ovvero falsità ideologica commessa dal privato in
atto pubblico), reati meno gravi della truffa aggravata.
La difesa ricorrente richiama viceversa arresti di legittimità per
sostenere che nella specie ricorrerebbe l'ipotesi di cui all'art. 479
c.p., falso ideologico in atto pubblico, reato più grave della truffa
militare aggravata, con la conseguenza che, nella specie, in
applicazione della disciplina di cui all'art. 13 co. 2 c.p.p,
ricorrerebbe la giurisdizione del giudice ordinario.
Presupposto della tesi difensiva è che il falso contestato
all'imputato è un falso materiale e che il falso ideologico non è
previsto dalla codificazione militare, di guisa che, alla specie, deve
trovare applicazione la disciplina codicistica ordinaria.
L'eccezione difensiva, ad avviso della Corte, è manifestamente
infondata.
Appare utile richiamare, innanzitutto, l'insegnamento di Sez. U, n.
15983 del 11/04/2006, Rv. 233423, le quali, chiamate a giudicare in
fattispecie in cui gli imputati, pubblici dipendenti, si erano
allontanati dal luogo di lavoro senza far risultare tale
allontanamento, non dovuto a ragioni di servizio, attraverso la
prescritta marcatura del cartellino, ha affermato il seguente
principio di diritto "non integra il delitto di falso ideologico in atto
pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua
presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di
presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto
pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al
rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica, documenti che,
peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà
riferibili alla P.A.".
Tale lezione interpretativa può considerarsi ormai consolidata, non
risultando, allo stato, voci contrarie. Sez. 5, n. 19 del 13/11/2009,
dep. 2010, Rv. 245732, ad esempio, in fattispecie concernente
relazioni redatte da appartenente alla polizia provinciale e attestanti
interventi mai effettuati, ha ritenuto integrato il delitto di falsità
ideologica commessa da pubblico ufficiale proprio sul presupposto
che il documento dispiegava un oggettivo rilievo e un interesse
eccedente l'area del mero rapporto di impiego tra ente pubblico e
dipendente in considerazione del suo contenuto, espressivo della
volontà e dell'azione della P.A..
Analogamente Sez. 6, n. 8934 del 10/12/2014, dep. 2015, Rv.
262649, ha ritenuto la ricorrenza di identica fattispecie delittuosa
nel caso di un sottufficiale della G.d.F. il quale aveva falsamente
compilato fogli di servizio giornaliero con riferimento alla durata ed
alle modalità dell'attività svolta.
Ebbene, in entrambe le pronunce richiamate è stata esclusa la
qualificazione giuridica delittuosa più grave giacchè la
documentazione redatta rifletteva una esplicita attività della P.A.
svolta dal pubblico ufficiale a favore di soggetti estranei ad essa.
Giova infine richiamare Sez. 5, n. 15271 del 13.4.2005, Rv.
232117, secondo cui il pubblico dipendente che chiede il rimborso
delle spese di missione non agisce neppure indirettamente per conto
della P.A. ma opera come mero soggetto privato del rapporto
contrattuale che lo lega all'amministrazione di appartenenza, di
guisa che egli non esprime certo la volontà e la conoscenza della
P.A., ma un semplice interesse privato.
Tornando ora al caso dedotto in giudizio, la Corte, pur considerando
che la nozione penalistica di atto pubblico è più ampia di quella
civilistica e ricomprende in essa tutti i documenti compilati dai
pubblici ufficiali o dai pubblici impiegati incaricati di un pubblico
servizio nell'esercizio dello loro funzioni o attribuzioni, ritiene che
non possa definirsi pubblico ufficiale il dipendente di
amministrazione dello Stato il quale svolga funzioni di delegato
sindacale, questa era la funzione svolta dall'imputato e per questo
sono state svolte le missioni per cui è causa, e che i fogli di viaggio
indicati nelle contestazioni di reato gli consentivano il rimborso
delle spese per tale sua attività, di guisa che gli stessi non possono
rientrare nella nozione di atto pubblico di rilevanza penale. Ad essi
è infatti estraneo il requisito individuato dalle ss.uu. del 2006, Sepe,
e dalle sentenze innanzi citate, il requisito cioè del rilievo esterno
dell'atto e della sua rappresentatività di un interesse eccedente l'area
del mero rapporto di impiego tra ente pubblico e dipendente, in
quanto espressivo di una volontà riferibile alle funzioni della P.A..
In conclusione, pertanto, nella specie correttamente il giudice
territoriale non ha qualificato la condotta dell'imputato ai sensi
dell'art. 479 c.p. (falso ideologico in atto pubblico) come
prospettato dalla difesa ricorrente, bensì ai sensi degli artt. 480 c.p.,
ovverosia falsità ideologica commessa in certificati o autorizzazioni
amministrative, reato meno grave della truffa aggravata.
2. La seconda questione giuridica di natura pregiudiziale illustrata
dalla difesa fa riferimento alla problematica data dalla sentenza di
secondo grado riformatrice di una assoluzione decisa dal giudice di
primo grado, materia questa sulla quale è intervenuta ripetutamente
la corte di legittimità richiamando, come è noto, sia la necessità di
una motivazione rafforzata (SS.UU. n. 33748 del 12.7.2005, imp.
Mannino, Rv. 231679, secondo cui "In tema di motivazione della
sentenza, il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di
primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio,
alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i
più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza,
dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza,
tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato", di
recente: Sez. V, n. 29261 del 24.2.2017, Rv. 270868), sia quella di
assicurare il contraddittorio delle parti in ordine alle prove ritenute
dal giudice di secondo grado decisive per la riforma in peius
(SS.UU., n. 27620 del 28.4.2016, Dasgupta, Rv. 267491; SS.UU.,
n. 18620 del 19.1.2017, imp. Patalano, Rv. 269785).
Orbene, nel caso in esame la motivazione impugnata, ad avviso
della Corte, risponde ai parametri ed ai principi di rigore dialettico
imposti dalla lezione di legittimità e valorizza dati documentali
acquisiti e formati in sede di rinnovazione della istruttoria
dibattimentale, in relazione ai quali è stato assicurato un ampio
confronto tra accusa e difesa attraverso l'esame dei singoli
documenti di viaggio, esame eseguito con l'ausilio di consulenti di
parte, incaricati con successivo intervento della corte territoriale, di
una preciso accertamento: quello delle indiscusse falsità (non
negate dall'imputato, il quale le giustifica richiamando il criterio del
rimborso a forfait della missione giornaliera ed il principio del falso
innocuo) dell'eventuale danno economico cagionato, quello del
conteggio eventuale della relativa entità.
Sulla base di tali conclusioni i giudici di appello hanno poi costruito
la tesi accusatoria logica e di forza persuasiva ben maggiore rispetto
a quella del GUP, il quale, come dimostrato dal giudice di secondo
grado, aveva addirittura travisato i contenuti dei fogli di viaggio e
comunque negato la ricorrenza di un danno erariale. Anche per tale
profilo, pertanto, le doglianze difensive, affidate al primo motivo di
ricorso, sono manifestamente infondate.
3. Venendo ora all'esame delle residue doglianze, ed in particolare
di quelle affidate al secondo ed al quarto motivo di impugnazione,
ne rileva la corte l'inammissibilità per la genericità dei rispettivi
contenuti.
Ed invero lamenta il difensore, col secondo motivo, la mancanza di
motivazione, in contrasto con l'art. 603 co. 3 c.p.p., della decisione
assunta dalla corte di secondo grado di procedere alla rinnovazione
dibattimentale, la violazione dell'art. 4 L. 47/78 ai sensi del quale la
liquidazione della missione nelle condizioni date deve avvenire a
forfait e la violazione dell'art. 81 c.p. perché spezzata l'unicità del
disegno criminoso ritenuto in prime cure con il riconoscimento
della colpevolezza dell'imputato in relazione a sole 16 missioni
rispetto alle 41 riscontrate come regolari.
Ebbene, quanto alla rinnovazione della istruttoria dibattimentale, la
assoluta necessità di provvedere, nel contraddittorio dei consulenti
di parte, all'esame dei documenti contenenti dati ritenuti non
veritieri si è di per sé dimostrata "assolutamente necessaria", sol
che si consideri come esso esame sia stato posto a fondamento della
decisione di condanna riformatrice di quella assolutoria di prime
cure. Quanto all'art. 4 1. 47/78, ha evidenziato la corte territoriale
che la norma citata non elimina certo il dovere del militare in
missione di ridurre al minimo, comunque, il suo impegno lontano
dalla sede di servizio e dai compiti di istituto. Quanto, infine, alla
tesi circa la violazione dell'art. 81 c.p., per la verità di contenuto
alquanto oscuro, si osserva che la delimitazione a 16 dei casi di
riconosciuta non veridicità dei certificati di viaggio non inficia in
alcun modo la applicazione della disciplina della continuazione.
Quanto, infine, alle censure di "incoerenza ed illogicità diffusa in
profili diversi della motivazione", appare sufficiente evidenziarne
l'aspecificità perché non indicate le acquisizioni processuali diverse
dagli esiti di consulenza contabile non considerati e la decisività di
tale omissione.
4. Alla stregua di quanto sin qui argomentato il ricorso deve essere,
in conclusione, dichiarato inammissibile ed il ricorrente
condannato, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese
processuali e di una somma in favore della Cassa per le ammende,
somma che si stima equo determinare in euro 2000,00.
P.T.M.
Roma, addì 27 settembre 2017
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro duemila in
favore della Cassa dele ammende.
21-12-2017 22:55
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