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Sentenza

Caporal maggiore comandato per il servizio di guardia armata, in concorso con al...
Caporal maggiore comandato per il servizio di guardia armata, in concorso con altra guardia armata, consentì reiteratamente l'ingresso nella caserma di due ragazze con le quali entrambi i militari si intrattennero per alcune ore all'interno della struttura militare, in violazione della consegna avuta che vietava l'ingresso alle persone non autorizzate.
Cassazione Sez. PRIMA PENALE, Sentenza n.24846 del 18/05/2017 udienza del 10/01/2017, Presidente VECCHIO MASSIMO  Relatore DI GIURO GAETANO 		 		 
 SENTENZA 
sul ricorso proposto da: P. V. N. IL ..... avverso la sentenza n. 6/2015 CORTE MILITARE APPELLO di ROMA, del 27/05/2015 visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/07/2016 la relazione fatta dal Consigliere Dott. LUIGI FABRIZIO MANCUSO e udito il Procuratore Generale, Udita la parte civile,  Il Pubblico Ministero, in persona del dott. Luigi Maria Flamini, Sostituto Procuratore generale militare della Repubblica presso questa Corte, ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso. 
RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza in data 1 dicembre 2011, il Tribunale militare di Verona, concesse le circostanze attenuanti generiche ritenute prevalenti sulle aggravanti contestate, condannava P.V., caporale maggiore capo, alla pena principale di mesi quattro e giorni venti di reclusione militare e alla rimozione dal grado, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione, avendolo ritenuto responsabile del reato commesso, in concorso con altri, nei giorni 4, 6 e 8 novembre 2009, di violata consegna aggravata continuata. Secondo l'impostazione accusatoria, recepita dal giudice, il P., effettivo presso il distaccamento 1° Reggimento Trasporti in Bellinzago Novarese e comandato per il servizio di guardia armata presso la Caserma Artale di Alessandria quale comandante della guardia, in concorso materiale e morale con la guardia armata F. S. (separatamente giudicato in appello e quindi prosciolto, ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen., con la formula «perché il fatto non costituisce reato»), consentì reiteratamente l'ingresso nella caserma di due ragazze con le quali entrambi i militari si intrattennero per alcune ore all'interno della struttura militare, in violazione della consegna avuta che vietava l'ingresso alle persone non autorizzate e che, in ogni caso, imponeva l'identificazione e la registrazione di coloro che accedevano alla caserma. Con l'aggravante del grado rivestito e, per il Palumbo, dell'essere preposto al servizio e dell'aver commesso il reato in concorso con l'inferiore. La sentenza veniva riformata, limitatamente alla determinazione della pena, dalla Corte militare di appello, con sentenza del 9 aprile 2014. Su ricorso dell'imputato, la sentenza di appello veniva annullata, per vizio derivante da mancato accoglimento di istanza difensiva di rinvio per legittimo impedimento, con sentenza di questa Corte n. 52960 pronunciata il 2 dicembre 2014, che disponeva nuovo giudizio. A seguito di giudizio di rinvio, la Corte militare di appello, con sentenza del 27 maggio 2015, in parziale riforma della sentenza di primo grado, riduceva la pena principale a mesi tre di reclusione militare. 2. L'avv. Patrizia Bartaloni, in difesa del P. ha proposto nuovo ricorso per cassazione datato 9 luglio 2015, affidato a cinque motivi. Si deduce mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di P.- affermazione della responsabilità nonché violazioni di legge con riferimento: alla contraddittorietà e non congruità della motivazione a fronte della Direttiva Difesa n. 25344/2006; agli artt. 192 e 507 c.p.p., in relazione alla mancata assunzione della testimonianza del colonnello I., comandante del «Primo Reggimento trasporti Bellinzago», sull'inidoneità fisica dell'imputato P.V.; alle procedure della Rassegna, ancora applicabili, di cui al R.D. n. 1133 del 1942 (E.I.); al R.D. n. 708 del 1927 (M.M.); alla Direttiva Difesa n. 25344/2006, in tema di valutazione della idoneità al servizio militare. In relazione agli aspetti indicati, si sostiene nel ricorso che la questione attinente all'inidoneità del P. al servizio operativo armato non sarebbe mai stata esaurientemente esaminata, nonostante la tempestiva e rituale produzione del verbale della Commissione medica ospedaliera del Dipartimento militare di medicina legale di Milano (che non sarebbe stato trasmesso agli organi competenti e sarebbe stato «letteralmente occultato») e nonostante la comprovata idoneità del P.a svolgere unicamente mansioni tecnico-amministrative. L'assegnazione del P. a diverso servizio, e in particolare al comando della guardia, avrebbe comportato la diretta responsabilità di chi quella disposizione aveva impartito e la correlata mancanza di responsabilità del P.per difetto della volontarietà nelle condotte contestategli. Il P. non sarebbe stato idoneo a svolgere il servizio armato, quindi non sarebbe potuta sussistere la sua piena consapevolezza di violare le consegne impartitegli. Se fosse residuato qualche dubbio, la legge avrebbe imposto una sentenza assolutoria. 2.1. In particolare, con il primo motivo del ricorso ora in esame si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1 lett. b) e lett. c), cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli articoli 192, 533 e 530 cod. proc. pen. 2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1 lett. e), cod. proc. pen., per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione colpevolizzante, risultando il vizio dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificatamente indicati nei motivi di gravame (artt. 192, 533 e 530 cod. proc. pen.). 2.3. Con il terzo motivo si deduce assoluta contraddittorietà e incongruità della motivazione a fronte della direttiva Difesan 25344/2006. 2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1 lett. b), lett. d), lett. e), cod. proc. pen., in riferimento all'articolo 192 nonché all'art. 507 cod. proc. pen., per la mancata ammissione, audizione, acquisizione in atti della testimonianza del colonnello Ionata, comandante del «Primo Reggimento Trasporti Bellinzago», teste che avrebbe potuto riferire e chiarire sicuramente ed ampiamente in merito allo stato di idoneità del P.. La menzionata testimonianza è assorbente e decisiva, al fine precipuo di approdare ad una giusta statuizione evitando di interpretare in modo soggettivo il concetto di inidoneità del P.. 2.5. Con il quinto motivo si deduce violazione dell'articolo 606, comma 1 lett. b), cod. proc. pen., per inosservanza ed erronea applicazione della legge penale e di altre norme giuridiche di cui si deve tenere conto nell'applicazione della legge penale. 3. Con istanza pervenuta il 20 luglio 2016, l'avv. Patrizia Bartaloni ha chiesto il differimento dell'odierna udienza per contemporaneo impegno professionale, deducendo che alle ore 9.30 di oggi avrebbe dovuto assistere e difendere una persona offesa, durante un'audizione dibattimentale in un processo pendente presso il Tribunale di Novara. Questo Collegio, su conforme parere del Procuratore generale, avendo appreso tramite la cancelleria del citato Tribunale che la predetta persona offesa non è costituita parte civile nel menzionato processo, ha rigettato l'istanza difensiva di rinvio, dovendosi considerare prevalente, rispetto all'altro in comparazione, l'impegno di difesa dell'imputato in questa sede. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. La sentenza della Corte militare di appello, ora impugnata, ha ricordato nella pagina 10 che, a fronte della richiesta difensiva formulata in primo grado, di escussione come teste del colonnello M. I., ex art. 507 cod. proc. pen., perché riferisse sulla ridotta idoneità del P. all'epoca dei fatti, il Tribunale non ravvisò i presupposti per l'applicazione della norma, ritenendo le condizioni fisiche dell'imputato al momento dei fatti già esaurientemente documentate in atti. La Corte militare di appello, poi, ha spiegato, nelle pagine 17 e 18 della sentenza ora impugnata, che, circa la richiesta di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, formulata dall'appellante ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen. e riguardante ancora l'escussione del colonnello M.I. (sempre in ordine alla circostanza della idoneità del P. a svolgere regolarmente il servizio armato al quale era stato comandato nel periodo dal 3 al 10 novembre 2009 e ad osservare le relative consegne impartitegli) doveva condividersi e confermarsi la valutazione di superfluità già espressa dal Tribunale, poiché la circostanza sulla quale il colonnello Michele Ionata avrebbe dovuto essere chiamato a deporre era stata esaurientemente esplorata dal materiale documentale già acquisito in primo grado e ulteriormente approfondita dalla documentazione prodotta dalla difesa all'udienza del giudizio di rinvio ed ammessa dalla Corte militare di appello su parere favorevole del Pubblico ministero. La documentazione evidenziava, secondo la sentenza ora impugnata (recante a pagina 18 il riporto di brani di documenti inerenti allo stato di salute del P.) le procedure per gli accertamenti sanitari svolti al fine di verificare l'idoneità al servizio del P.e forniva su tale argomento un quadro completo al quale nulla avrebbe potuto aggiungere l'invocata escussione del colonnello Ionata. La sentenza ora impugnata ha affrontato inoltre nel merito, in modo specifico, con osservazioni contenute soprattutto nelle pagine 27, 28 e 29, anche il tema della idoneità del Palumbo al servizio, spiegando che dal giudizio medico- legale del 17 giugno 2009 emergeva espressamente solo la temporanea inidoneità dell'imputato all'impiego in missione fuori area e la sua idoneità alle mansioni tecnico-amministrative, nell'ambito delle quali rientrava, ad avviso di detta Corte, e sulla base della tipologia delle prescrizioni caratterizzanti, anche il compito di comandante della guardia armata, affidate all'imputato nel novembre 2009. La sentenza in esame ha affermato che non poteva ritenersi preclusa al P. la possibilità di svolgere servizi che prevedessero la dotazione di armi e si è riferita ad un determinato documento prodotto dalla difesa, costituito dalla «Direttiva tecnica sui criteri e le procedure da adottare nella formulazione di decisioni sanitarie e giudizi medico-legali in tema di assenza dal servizio per malattia a di valutazione della idoneità al servizio militare per il personale della Forza Armata». La sentenza, riferendosi al contenuto di tale direttiva, di cui ha riportato qualche brano, ha notato che, se un militare sia stato valutato temporaneamente inidoneo al solo impiego in missioni fuori area e contemporaneamente idoneo al servizio per mansioni tecnico-amministrative, nell'ambito di queste ultime non gli siano precluse attività di tipo operativo, anche comportanti l'utilizzo di armi, attività per le quali non sia intervenuto alcun espresso divieto né alcun giudizio di inidoneità. La sentenza ha spiegato peraltro che, al fine della possibilità di ravvisare l'elemento psicologico del dolo, anche qualora si fosse ritenuto di voler accedere alla tesi sostenuta dall'appellante, il fatto che costui aveva intrapreso e svolto un servizio assegnatogli dai superiori non sarebbe valso ad esonerarlo dalla osservanza delle relative prescrizioni, costituenti consegna, poste a disciplina del servizio. Inoltre, la sentenza ha precisato che l'invocata inidoneità all'utilizzo di armi non presentava alcun profilo di incidenza concreta né di attinenza astratta con la specifica natura della consegne la cui violazione era stata contestata.2. Alla luce del contenuto della sentenza della Corte militare di appello qui in esame, deve notarsi che i giudici del merito hanno attentamente analizzato le risultanze disponibili e sono pervenuti, senza incorrere in alcun errore di diritto, all'affermazione della responsabilità del P. in ordine al reato continuato contestatogli. Lo sviluppo argomentativo della motivazione posta a sostegno della sentenza impugnata supera il vaglio di legittimità demandato a questa Corte, il cui sindacato deve arrestarsi alla verifica del rispetto delle regole della logica e della conformità ai canoni legali che presiedono all'apprezzamento delle circostanze fattuali. Nella sentenza ora impugnata sono chiaramente spiegate le ragioni che hanno determinato la decisione e sono enunciati compiutamente gli argomenti che hanno condotto al superamento della tesi difensiva circa la pretesa inidoneità del P. al sevizio cui era destinato, né emerge alcuna necessità di attività istruttoria integrativa. In concreto, nel ricorso si contesta «nel merito», quindi incorrendo nel vizio di inammissibilità, il giudizio sul quadro probatorio a carico, fondato correttamente sugli elementi disponibili ed evidenziati nella sentenza in esame. 3. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e al pagamento della somma di euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende. P. Q. M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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