Generale condannato a restituire al Ministero della Giustizia oltre 300.000 euro per la fruizione illecita di personale e mezzi del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia (DAP).
Sent. n. 352/2017
Repubblica italiana
La Corte dei Conti
In Nome del Popolo Italiano
Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio
Composta dai seguenti Magistrati
Dott.ssa Piera Maggi Presidente
Dott.ssa Anna Bombino Consigliere
Dott. Eugenio Musumeci Consigliere
ha emesso la seguente
SENTENZA
nel giudizio di responsabilità iscritto al n. 73430 del registro di segreteria, instaurato, ad istanza del Procuratore regionale, nei confronti di:
R.E. (CF: ..... nato a ...... (.... il ...... residente a ........ alla via ...... n. .... rappresentato e difeso dall'avv. Gianfranco Passalacqua ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma via Giovanni Vitelleschi n. 26
Letti gli atti tutti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 10 ottobre 2017, con l'assistenza del segretario dott.ssa Sarina Anna Ponturo, il relatore dott.ssa Anna Bombino, il P.R. nella persona del dott. Andrea Lupi, l'avv. Gianfranco Passalacqua per il convenuto;
FATTO:
Con atto di citazione, depositato l'11.12.2013, la Procura regionale ha chiamato in giudizio il convenuto, come generalizzato in epigrafe, per ivi sentirlo condannare al risarcimento, in favore del Ministero della Giustizia, della somma di euro 390.214,84 per la fruizione illecita di personale e mezzi del Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia (DAP), oltre al danno, da quantificare in via equitativa, corrispondente alla mancata utilizzazione di autovetture da parte dello stesso DAP, ed alla condanna alla rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT, agli interessi legali dal dì del dovuto al saldo e alle spese di giudizio.
Assume l'organo requirente che dall'istruttoria a carico del gen. R., nella qualità di direttore generale della Direzione generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi del Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria, erano emerse condotte illecite, come descritte nella richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica di Roma in data 18 marzo 2013, mutuata nell'atto di citazione, idonee a giustificare la sua citazione in giudizio dinanzi alla Corte dei Conti:
- R.: danno cagionato a seguito della fruizione illecita delle prestazioni lavorative dei dipendenti del DAP sigg. F., C. M., R.G., S.F., L.D., V.V., D.S.A., F. M..G., D.G. F., F. F., B. A., che, con proprio ordine, comandava in missione da Roma a Genova per ragioni falsamente attinenti alla sua tutela e che, in realtà, conducevano veicoli del DAP diversi dall'auto specializzata, in numero di due veicoli destinati l'uno al trasporto del R. e talvolta di persone al seguito, l'altro al trasporto dei bagagli, effetti personali e masserizie, nonché per gli spostamenti nella città di Genova e dintorni, scegliendo di volta in volta in quella sede l'utilizzo di uno o dell'altro veicolo a disposizione ovvero entrambi e del relativo personale (in più occasioni avendo impartito analogo ordine ai dipendenti del DAP C. e P.i che si trovavano a Genova con altro mezzo del DAP). Da ciò scaturiva un ingiusto danno al DAP che non utilizzava per le proprie finalità i veicoli ed inoltre procedeva al pagamento delle missioni e degli stipendi senza godere delle prestazioni lavorative dei suindicati dipendenti.
Tale posta di danno è stata quantificata nell'importo complessivo di euro 55.594,68 per stipendi; euro 62.979,94 per missioni Roma-Genova ed euro 66.283,10 per riparazioni autovetture, per un totale di euro 184.857,72, oltre al danno, da valutare equitativamente, conseguente alla mancata utilizzazione delle autovetture da parte del DAP.
- R.: danno cagionato a seguito dell'intenzionale ed illecita fruizione delle prestazioni lavorative dei dipendenti del DAP C.e P., che comandava in missione da Roma a Genova per periodi di quindici giorni consecutivi al mese per ragioni falsamente attinenti alla sua tutela, dal momento che il R. restava a Roma, per far condurre loro veicoli del DAP in Genova, ivi rimanendo con i predetti mezzi a disposizione del R. per le necessità di quest'ultimo e dei suoi familiari con danno ingiusto del DAP che non utilizzava, per le proprie finalità, i veicoli ed inoltre procedeva al pagamento degli stipendi e delle missioni senza godere delle prestazioni lavorative dei suindicati dipendenti. Danno quantificato in euro 32.220,00 per le missioni ingiustificatamente pagate (euro 18.300,00 per C.ed euro 13.920,00 per P.) ed euro 110.896,67 per emolumenti ingiustificatamente pagati (euro 56.569,04 per C.ed auro 54.327,63 per P.), oltre al danno da valutare equitativamente, cagionato dalla mancata fruizione dei veicoli da parte del DAP.
- R.: danno cagionato dalla illecita appropriazione di carburante utilizzato dai predetti veicoli per le missioni da Roma a Genova, carburante che veniva pagato con carte di credito o buoni carburante appartenenti al DAP per un importo complessivo di euro 62.240,45 (come da prospetto redatto dal DAP allegato alla nota del 28.6.2013).
Fatti commessi negli anni 2009, 2010 e sino al settembre 2011.
Agli atti si rinviene cd-rom trasmesso dalla Procura della Repubblica di Roma contenente gli atti relativi al procedimento penale instaurato a carico del R. da cui emerge – ad avviso del V.P.G.- ampia prova dei danni cagionati dal gen. R. al Ministero della Giustizia in qualità di dipendente del DAP.
Ad avviso della Procura contabile dei notevoli danni, patiti dal Ministero della giustizia, è tenuto a rispondere il solo R. dal momento che i dipendenti C.e P., autisti del DAP, ai quali era stato inviato pure l'invito a dedurre sulla falsariga delle fattispecie delittuose in concorso, ipotizzate dal P.M. penale, avevano presentato controdeduzioni scritte ed orali ritenute dall'inquirente idonee a superare gli addebiti ad essi contestati e quindi era stata disposta l'archiviazione delle loro posizioni con la motivazione che i predetti avevano dato esecuzione agli ordini dell'autorità ad essi sovraordinata.
L'accusa ha ravvisato nella condotta del R. - di cui non risultano presentate deduzioni - l'elemento soggettivo del dolo (posto a base della imputazione dei delitti perseguiti in sede penale), con esclusione di qualsiasi riduzione degli addebiti; il nesso di causalità tra la condotta ascrivibile al convenuto e gli oneri finanziari ingiustificatamente sostenuti dalla Amministrazione; il P.R. ha, infine, escluso che la sezione possa semplicemente condannare il presunto responsabile ad una somma “comprensiva di rivalutazione e/o interessi” dovendo motivare in merito al quantum della riduzione ed al calcolo della rivalutazione e degli interessi, indicando quale sia il metodo seguito (es. indici Istat) e l'importo esatto di tali elementi da distinguere nettamente dalla somma capitale.
Con memorie depositate in data 12.5.2014 (avv. Virginia Felici) e in data 14.7.2014 (avv. Passalacqua), ribadita la piena autonomia del giudizio contabile rispetto al procedimento penale instaurato a carico del R., in concorso con altri, per i reati di “peculato”, “abuso d'ufficio”, “falso materiale ed ideologico” e “truffa ai danni dello Stato”, e rilevato che le controdeduzioni all'invito a dedurre, depositate il 18.10.2013, erano state disattese dal requirente, le difese hanno sostenuto il corretto utilizzo di mezzi e di uomini inviati in missione per la tutela e protezione della sua persona e dei familiari, da parte del gen. R., nel periodo di riferimento. Il convenuto avrebbe tenuto condotte improntate alla massima trasparenza rilevando che, nella procedura di assegnazione del personale e dei mezzi per le operazioni di missione (Roma - Genova), erano coinvolti sia il Centro Amministrativo “G. A.” (CAGA), con compiti contabili - espletati dal funzionario delegato concernenti la gestione del personale di polizia penitenziaria in servizio nelle sedi Roma (il funzionario delegato preposto al Centro amministrativo procede, a seguito di riscontro contabile, alla liquidazione e al pagamento delle spese dallo stesso sostenute e delle competenze accessorie del personale (straordinari, spese di missione), sia l'Ufficio per la Sicurezza e la Vigilanza (USPEV) (con compiti operativi di sorveglianza, sia il controllo della sede ministeriale e delle strutture decentrate, nonché per la sicurezza e la tutela delle autorità dipendenti dal Ministero di giustizia (assicurati attraverso il servizio di scorta e tutela sulla base delle direttive emanante dall'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale (UCIS), delle linee guida e degli obiettivi di gestione assegnati dal Capo del Dipartimento).
Secondo le difese, il R. ha operato nel rispetto delle disposizioni di servizio vigenti che, con riferimento al servizio per la sua protezione, fino al marzo 2011, avevano previsto l'assegnazione di n. 4 unità di personale di Polizia Penitenziaria (F., P., C.e C.), e che tale personale era stato ridotto a 3 unità essendo il C. rientrato nella disponibilità dell'Ufficio centrale; hanno precisato che, soltanto dal 7 settembre 2011, si era proceduto all'assegnazione di autovetture fisse per ogni autorità. L'uso dell'autovettura era comprovata dalla redazione, a cura dell'autista, del foglio di uscita del veicolo (sul quale sono riportati, la distanza percorsa, i consumi sostenuti e l'autorità che fruisce del servizio) che veniva consegnato all'Ufficio per l'inserimento nel SIAT.
In definitiva, le difese hanno sostenuto l'infondatezza degli addebiti contestati al gen. R. per insussistenza degli elementi costitutivi delle fattispecie delittuose ipotizzate a suo carico. Infatti è stato escluso qualsiasi artificio e raggiro richiesti per il reato di truffa (nella informativa della Guardia di Finanza del 2 aprile 2012 si dichiarava che dell'attribuzione del 3 livello veniva data comunicazione all'USPEV responsabile per l'impiego operativo del personale addetto al servizio di protezione e scorta); mancherebbero poi sia la disponibilità del possesso e della disponibilità delle autovetture utilizzate per le missioni, sia l'abuso d'ufficio, quali presupposti di fatto e di diritto degli illeciti posti in essere, riconducibili alle “ragioni falsamente attinenti alla tutela”, perché l'organizzazione della protezione e le sue modalità di esecuzione non solo non sono mai state contestate dagli organi preposti, ma anche perché le stesse norme non impedivano, in maniera espressa e tassativa, che ciò avvenisse, come è avvenuto, per tre anni, palesemente, non con mezzi fraudolenti, e con la necessaria consapevolezza delle autorità preposte al relativo controllo.
Con riferimento alle varie poste di danno, le difese hanno dedotto:
- per le prestazioni lavorative dei dipendenti del DAP C.e P. (che comandati in missione da Roma a Genova per periodi di tempo anche di quindici giorni consecutivi al mese, per ragioni falsamente attinenti alla tutela, mentre il R. rimaneva a Roma), hanno confermato la legittimità delle modalità di utilizzo e di impiego degli stessi sulla base del D.M. del Ministero dell'Interno -Dipartimento della pubblica sicurezza, adottato con riferimento alle fattispecie previste dall'art. 2 comma 1 del d.l. n.83 del 2002, convertito nella legge n.133 del 2002. La permanenza a Genova dei due dipendenti C.e P. (al R. assegnati) consentiva, al rientro del militare a Genova, un cambio turno con coloro che avevano provveduto alla tutela e scorta durante il percorso Roma -Genova evitando di richiedere personale alla struttura territoriale.
Né sarebbe provato che detto personale svolgesse a Genova un lavoro diverso da quello istituzionale, e, pertanto, le difese hanno respinto l'addebito concernente il danno patrimoniale relativo alle retribuzioni e indennità di missione percepite dai dipendenti del DAP illecitamente utilizzati da parte del convenuto.
- Per i costi delle riparazioni dei mezzi utilizzati nelle missioni, quantificati dagli Uffici del DAP in euro 66.240,45, hanno sostenuto che le autovetture erano state utilizzate anche in altri servizi locali e/o missioni diverse da quelle effettuate dal gen. R., non essendo nella sua esclusiva disponibilità, quindi non eziologicamente collegati all'utilizzo dei mezzi nelle missioni effettuate nell'interesse del convenuto.
- In ordine al danno non quantificato, per la mancata fruizione dei veicoli da parte del DAP, lo stesso non può essere calcolato se non previo esame dell'atteggiamento del convenuto, escludendosi ogni disinteresse ovvero trascuratezza dei propri doveri e noncuranza degli interessi pubblici.
Alla udienza del 18 settembre 2014 il P.M. precisava che le deduzioni erano state presentate tardivamente, in quanto depositate in data 18 ottobre 2013 dopo la scadenza del termine di 30 gg. stabilito nell'invito a dedurre. Confermava l'impianto accusatorio evidenziando l'utilizzo indebito delle auto di servizio per il trasporto di masserizie, animali domestici e altro, comprovato dalle risultanze dell'istruttoria penale.
All'esito della discussione dibattimentale, il Collegio disponeva la sospensione del giudizio in attesa della sentenza del tribunale di Roma, la cui acquisizione in giudizio era da ritenersi necessaria ai fini “…… di una ricostruzione più assestata dei fatti di causa, sotto il profilo della quantificazione del danno, per le problematiche discendenti dalla avvenuta archiviazione del procedimento nei confronti dei dipendenti del DAP C.e P., le cui missioni ed emolumenti, ritenuti ingiustificatamente retribuiti, risultano addebitati al R., anche quando i predetti sono stati oggetto, in concorso del convenuto, della richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla procura della Repubblica …” (cfr. motivazioni della Ord. n.279/14).
Con nota prot. 0011264 del 12.6.2017 la Procura ha provveduto al deposito della sentenza penale; il giudizio è proseguito alla odierna udienza, fissata con decreto presidenziale.
Il difensore avv. Passalacqua ha depositato ulteriore scritto difensivo con il quale ha sollevato questioni preliminari di rito e di merito, in considerazione delle decisioni assunte dal giudice penale con la sentenza acquisita agli atti del giudizio (n. 5003/17/RG del 6.3.2017).
Il giudice penale ha, infatti, ritenuto la responsabilità penale del R., in concorso con gli altri convenuti, in ordine ai delitti loro ascritti e disposto la confisca della somma di euro 271.437,95, in solido tra i responsabili (R., C., P.), la condanna ad un risarcimento da liquidarsi in separato giudizio, il pagamento di una provvisionale, oltre interessi e rivalutazione, sempre in solido.
Nello specifico, la difesa ha eccepito e dedotto quanto appresso:
- ha chiesto l'integrazione del contraddittorio nei confronti di C.e P. permanendo le stesse perplessità già espresse nella richiamata ordinanza n. 279/14, circa la quantificazione del danno, dal momento che l'archiviazione del procedimento nei loro confronti ha determinato l'attribuzione al R. anche degli emolumenti e delle missioni erogati ai dipendenti C.e P., per i quali i medesimi sono stati ritenuti responsabili, in solido, con il convenuto;
l'integrazione del contraddittorio sarebbe giustificata dalla necessità di evitare un contrasto di giudicato valorizzando il principio del simultaneus processus e la necessità dell'estensione dell'accertamento dell'emananda sentenza nei confronti dei terzi chiamati in causa (art. 2909 c.c.).
In subordine, ha chiesto l'applicazione dell'art. 83 c.g.c..
- la declaratoria della prescrizione delle somme percepite sino al 2009 rilevando che la richiesta di rinvio a giudizio è datata 18.3.2013.
Nel merito, la difesa ha evidenziato che la sentenza penale, pure impugnata dal R., ha riconosciuto che lo scopo perseguito dal convenuto non sia stato quello utilitaristico, per fini privati, diretto ad ottenere un ingiusto vantaggio con un risparmio di spesa, ma solo quello di tutelare la propria persona e la propria famiglia. Pertanto ha chiesto il rigetto della domanda per assenza di dolo in mancanza di prove circa l'arricchimento senza causa da parte del convenuto in carenza di una valutazione prognostica di quale necessario utilizzo potesse essere fatto, in concreto, dei mezzi ultronei, tale da aver comportato un indebito risparmio per il R. e un danno per l'Amministrazione del DAP.
Ha sostenuto l'economicità della scelta adottata volta a ridurre sia il numero delle persone da utilizzare nell'arco delle 24 ore sia le spese per straordinari e missioni da erogare al personale impiegato nelle trasferte a Genova.
Con riferimento al danno, ha contestato l'attendibilità e la quantificazione dello stesso in assenza, in atti, di un raffronto comparativo tra la situazione che si sarebbe venuta a determinare se si fosse applicata la disposizione di riferimento, che, ad avviso del R., avrebbe comportato l'utilizzo di tre autovetture (due di Roma e una di Genova), il costo di due viaggi di andata e ritorno Roma - Genova e l'impiego di tre agenti (2 per il viaggio di andata e 6 per turni afferenti la permanenza a Genova e altri due per il viaggio di ritorno a Roma) rispetto al costo effettivo per il servizio reso dai dipendenti C.e P. e sostenuto dall'Amministrazione del DAP (cfr. Corte conti Lazio n. 90/15 e Sez. I app. n.370/16).
Ha rilevato, altresì, che la sentenza penale ha disposto il sequestro preventivo di beni e utilità del R. sino alla concorrenza della somma di euro 271.437,95, somma che, nel caso di accertamento dell'indebito contabile, dovrà essere detratta dall'importo di euro 390.214,84 richiesto dalla P.R., e, conseguentemente, si dovrebbe circoscrivere il danno alla somma di euro 118.776,77, da addebitarsi al convenuto, in solido con i dipendenti C.e P. (destinatari degli emolumenti indebiti percepiti a titolo di indennità ), nei confronti dei quali dovrà, quindi, essere disposta la chiamata nell'odierno giudizio.
Sempre in via subordinata, la difesa ha chiesto di escludere la somma di euro 110.896,67 corrisposta a titolo di emolumenti stipendiali ai dipendenti C.e P., dovendosi tener conto delle indennità erogate per le ore di lavoro straordinario, per il servizio notturno/festivo riconosciute ai predetti in relazione alle missioni svolte per conto del gen. R., pari a euro 39.418,98.
Ha, infine, insistito per il rigetto della domanda con vittoria delle spese ed onorari di lite.
Alla udienza dibattimentale del 10 ottobre 2017, il P.M. ha respinto le avverse eccezioni preliminari, quanto alla prescrizione, sostenendo la tempestività dell'azione contabile, tenuto conto della richiesta di rinvio a giudizio in sede penale in relazione alla quale non è maturata alcuna prescrizione; quanto alla confisca, la misura non precluderebbe l'azione risarcitoria contabile, salvo tener conto in sede esecutiva dei recuperi eventualmente effettuati in favore dell'Amministrazione danneggiata.
Ha, infine, insistito per l'affermazione della piena responsabilità del convenuto per gli addebiti contestatigli tenuto conto degli esiti del giudizio penale.
L'avv. Passalacqua ha insistito sulle richieste anche istruttorie formulate e, nel merito, per l'assoluzione piena del convenuto, per assenza del danno.
La causa è posta in decisione.
Ritenuto in
DIRITTO
Il convenuto ha eccepito la prescrizione dell'azione per i fatti commessi sino all'anno 2009, oltre il quinquennio precedente la notifica dell'invito a dedurre effettuata in data 18 agosto 2013.
L'eccezione è infondata.
La prospettazione della responsabilità del convenuto è strutturata sulla tesi che i fatti illeciti ascritti nel presente giudizio siano stati compiuti con dolo e con occultamento nei confronti del DAP consistenti nel consapevole utilizzo del personale e dei mezzi adibiti nel servizio di scorta in violazione delle norme di legge e regolamento.
Le attività ispettive, svolte nel caso dell'istruttoria penale, non possono individuare un momento anteriore per la decorrenza del termine iniziale nei confronti del P.M. contabile non coinvolto in tali accertamenti, non a conoscenza dei fatti, come non possono avere tale rilievo gli atti ispettivi interni (Relazione ispettiva del 14.10.2011) che, anche se contenenti accertamenti di irregolarità afferenti la condotta del convenuto, non potevano costituire elemento sufficiente per la Procura per delineare un quadro di sistematica irregolarità nel servizio di tutela assegnato al convenuto. Pertanto, conformemente al disposto di cui all'art. 1 comma 2 della legge 20/1994 e suc. modif. il termine iniziale della prescrizione va individuato nella scoperta del danno e, dunque, nella fattispecie, dalla conoscenza del provvedimento di rinvio a giudizio del R. per i fatti prospettati in questa sede come titolo di addebiti.
In relazione a tale momento (18.3.2013) la notifica dell'invito a dedurre nell'agosto del 2013 risulta abbondantemente entro il termine prescrizionale.
L'eccezione va, pertanto, respinta e ritenuta tempestiva l'azione intrapresa dalla P.R., anche con riferimento ai danni cagionati nell'anno 2009.
b) Riguardo la richiesta di integrazione del contraddittorio anche nei confronti dei dipendenti C.e P. (le cui posizioni sono state vagliate e archiviate dalla P.R.), il Collegio evidenzia che il codice di giustizia contabile, approvato con d. lgs. 174/2016, all'art. 83, 1 c. dispone il divieto assoluto della chiamata in giudizio su ordine del giudice.
Ad avviso del Collegio non si ravvisano neppure i presupposti indicati dal 2 comma dell'art. 83, non emergendo, dagli atti di causa, “elementi nuovi” o “motivate ragioni” idonei a superare le motivazioni poste a base del provvedimento di archiviazione, emesso dal requirente all'esito della disamina delle controdeduzioni depositate dagli invitati.
Il P.R. ha, infatti, ritenuto non perseguibili i predetti avendo escluso un contributo causale della loro condotta nella produzione del danno attesa la loro posizione di subordinati impiegati dal gen. R. nei trasferimenti disposti regolarmente dal medesimo a propria tutela (sebbene dipendenti dell'USPEV).
Il Collegio non ravvisa, quindi, fondati motivi per disporre la chiamata in giudizio dei dipendenti C.e P. condividendo, tra l'altro, le conclusioni poste a base del provvedimento di archiviazione.
3) Merito
La domanda è fondata e provata e merita accoglimento, seppure con alcune precisazioni circa la quantificazione del danno erariale per come prospettata nella domanda.
A) Come già ampiamente esposto in fatto, l'organo requirente ha intrapreso l'azione di responsabilità che ci occupa a seguito della comunicazione del provvedimento di rinvio a giudizio del 18 marzo 2013, definito con la sentenza di primo grado del tribunale di Roma, che ha ritenuto colpevole il gen. R. dei reati ascrittigli.
Secondo la ricostruzione dei fatti, mutuata dalla richiesta di rinvio a giudizio, poi confermata dalla sentenza del tribunale di Roma all'esito dell'ampia istruttoria dibattimentale (prove testimoniali e documentali), l'odierno convenuto, nella qualità di Direttore generale della Direzione generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi presso la Direzione dell'Amministrazione penitenziaria, sottoposto a tutela su auto specializzata, ha intenzionalmente fruito delle prestazioni lavorative dei dipendenti dell'amministrazione penitenziaria, che, con proprio ordine, comandava in missione da Roma a Genova, per ragioni attinenti alla sua tutela, risultate non veritiere, sia per l'uso di mezzi diversi dall'auto specializzata, in numero di due veicoli, uno adibito al trasporto del R. e di altre persone, l'altro per il trasporto di bagagli, effetti personali e masserizie; per avere altresì fruito delle prestazioni dei dipendenti C.e P., disponendone, con proprio ordine, il comando in missione da Roma a Genova, anche per la durata di quindici giorni consecutivi al mese per ragioni attenenti alla sua difesa, ragioni rivelatesi non veritiere, dal momento che lo stesso rimaneva a Roma, mentre i dipendenti permanevano a Genova con veicoli dell'Amministrazione, ovvero per le necessità proprie ovvero dei familiari.
Il comportamento del R. si appalesa, quindi, contrario a norme di legge (penale) e regolamento avendo egli arbitrariamente distolto risorse umane dai compiti di istituto a cui le stesse avrebbero dovuto essere destinate, travalicando il perimetro delle competenze, che gli erano state attribuite quale Direttore generale delle risorse materiali, dei beni e dei servizi presso il DAP. Infatti è documentalmente provato che il convenuto ha posto in essere atti organizzativi del servizio tutela, riservati, per espressa previsione di legge, all'Ufficio centrale interforze per la sicurezza personale (UCIS) (art. 2 D.L. 6 maggio 2002 n.83, conv. Legge n.2 luglio 2002 n.133).
Secondo quanto è emerso dalla ampia ricostruzione dei fatti effettuata dal giudice penale, con specifico riferimento al personale del Ministero della Giustizia sottoposto a tutela, il servizio di protezione e vigilanza è affidato alla Polizia Penitenziaria che si avvale dell'Ufficio per la sicurezza personale e per la vigilanza (USPEV), ferme restando le competenze dell'UCIS.
In base alle disposizioni ministeriali adottate dal Ministero dell'Interno del 28.5.2003, attuative della legge 133/02, il gen. R. avrebbe dovuto comunicare di volta in volta il proprio programma di spostamento all'USPEV, quale unità competente ad organizzare il servizio di scorta fuori della Regione Lazio, che avrebbe dovuto contattare la prefettura e questa l'autorità territorialmente competente, che avrebbe fornito uomini e mezzi; in carenza di personale e mezzi, avrebbe provveduto direttamente l'USPEV, al quale spettava, per disposizioni di legge, provvedere, in via esclusiva, all'organizzazione del servizio di tutela del gen. R., non spettando allo stesso alcun potere organizzativo del servizio di tutela, né per sé né per i propri familiari, per cui gli ordini di servizio da lui emanati erano palesemente illegittimi, poiché emessi in carenza di specifica competenza ed in situazione di evidente conflitto di interessi.
La stessa relazione ispettiva del 14.10.2011 diretta al Capo Dipartimento del DAP ha attestato come l'imputato, anziché adottare la procedura di cui sopra, ordinasse unilateralmente con propri provvedimenti, la movimentazione di mezzi e personale, per “urgenti e riservate ragioni di servizio” inerenti le misure di protezione personale previste nei suoi confronti. Le prove raccolte hanno, poi, dimostrato che il convenuto provvedeva in proprio alla organizzazione del servizio scorta, dando egli stesso le disposizioni circa le modalità della propria tutela, sia per i veicoli da impiegare che per il personale da utilizzare negli spostamenti a Genova, organizzando il proprio servizio di scorta in modo del tutto autonomo, scegliendo e comandando il personale di scorta e impiegando mezzi dell'Amministrazione di cui aveva la disponibilità, distogliendo gli stessi dalle finalità cui erano destinati. Anche la vigilanza generica sul luogo di destinazione avrebbe dovuto essere assicurata dalle forze locali di sicurezza.
Tutto ciò ha consentito al R. l'utilizzo di un livello di servizio superiore a quello a lui assegnato dal 2009 (impugnato dallo stesso R. dinanzi al TAR con esito sfavorevole), con evidente dispendio di risorse pubbliche.
Come ben affermato dal giudice penale, la normativa violata, avente i caratteri e il regime sostanziale degli atti di legge, non appare preordinata, genericamente, a salvaguardare la regolarità dell'azione amministrativa, ma pone puntuali divieti in ordine all'utilizzo arbitrario del personale, divieti che sono stati raggirati palesemente dalle reiterate condotte poste in essere dal convenuto, con conseguente abuso dei poteri, attraverso gli ordini impartiti al personale di scorta, rientrando nel perimetro delle attribuzioni connesse alla qualifica rivestita nell'ambito dell'Amministrazione penitenziaria.
Sulla base di quanto acclarato e provato in sede penale, il Collegio ritiene, quindi, la domanda attrice meritevole di accoglimento, in quanto gli indizi e gli argomenti di prova c.d. “in positivo”, vagliati dal giudicante penale, inducono il collegio a ritenere perfettamente persuasiva e condivisibile l'ipotesi accusatoria formulata, in sede contabile, rivelandosi tali indizi, nel loro insieme, idonei a dare prova degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa, che, come è noto, si sostanziano in un danno patrimoniale, economicamente valutabile, in una condotta connotata da colpa grave o dolo, nel nesso di causalità tra il predetto comportamento e l'evento dannoso, oltreché nella sussistenza di un rapporto di impiego o di servizio fra coloro che lo hanno determinato e l'amministrazione che lo ha subito.
Il Collegio ritiene, pur con i limiti sopra evidenziati, che la sentenza penale, acquisita agli atti del giudizio, offra elementi utili e circostanziati per affermare la responsabilità amministrativa del convenuto anche sulla base delle prove ivi raccolte da valutare come elementi che concorrono ex art. 116 c.p.c. alla formazione del libero convincimento del giudice (Corte conti Sez. Liguria n. n.269/11 e n. 153/15; Sez. I app. centr. n.3/2011).
Pertanto, sulla base del coacervo degli elementi probatori versati in atti, che si rilevano solidi, adeguati e coerenti, è possibile pervenire ad un giudizio di evidente sussistenza degli addebiti mossi al convenuto anche in termini di responsabilità amministrativa in ordine alle condotte illecite, consumate in danno dell'Amministrazione della Giustizia; tali elementi, infatti, dimostrano, nel contempo, una sprezzante volontà di violare le regole di condotta con conseguente lesione degli interessi e dei valori costituzionalmente significativi, di rilievo penale, ma anche di profilo amministrativo contabile in quanto comprovano un comportamento confliggente con i doveri di servizio scaturenti dal rapporto funzionale che legava il R. all'Amministrazione statale e riconducibili ai canoni di legalità, trasparenza, buon andamento che dovrebbero costantemente informare l'azione della pubblica amministrazione e dei suoi agenti. Ciò vale ancor più in considerazione del ruolo ricoperto dal R. all'interno dell'Amministrazione di appartenenza e dei rapporti instaurati con il personale posto alle sue dipendenze ed utilizzato scorrettamente per le operazioni di missioni e di scorta a tutela della sua persona (cfr. Relazione ispettiva del 2011; ordini di servizio emessi dal R., prove testimoniali e documentali).
Pur tuttavia, oltre all'accertamento compiuto in sede penale, sia pure con i limiti indicati, che comunque costituisce elemento di rilevanza probatoria circa la modalità della condotta, dal materiale istruttorio si ricavano anche gli altri elementi costitutivi della responsabilità amministrativa, il cui sindacato e accertamento rientra, comunque, nella sfera dei poteri giurisdizionali cognitivi devoluti al giudice contabile.
E' provata, infatti, la sussistenza della relazione di servizio o funzionale del convenuto in qualità di Direttore generale delle Risorse, dei beni e servizi con poteri direttivi, in quanto egli era inserito nell'organizzazione amministrativa nella cui sfera si producevano direttamente gli effetti della sua attività (Cass. S.U. n.7946/2003 e n.4540/10; Corte conti SS.RR. n.4/1999).
Con riferimento all'elemento psicologico ne va affermata l'esistenza e l'ascrivibilità al solo convenuto, con sicura connotazione dolosa sotto il profilo della sua qualificazione giuridica, in termini di consapevolezza e volontà della realizzazione della fattispecie illecita, ponendosi il suo comportamento in marcata violazione con gli obblighi di servizio, sia in termini di condotta antitetica a quella alternativa, perfettamente esigibile e doverosa, sia per le inevitabili conseguenze patrimoniali da essa derivanti. L'elemento soggettivo è da ritenersi pacifico, tenuto conto delle modalità concrete della condotta del convenuto e dei suoi sottoposti, in assenza di evidenze processuali di segno contrario offerte in controprova dal convenuto circa la sussistenza di eventuali cause di esclusione della colpevolezza.
Egualmente avviene con il nesso di causalità, in ragione del c.d. rapporto di derivazione tra le condotte dolose commissive poste in essere dal convenuto e l'evento lesivo (indebiti vantaggi economici corrisposti ai sottoposti) arrecato alla Amministrazione del DAP nella predetta qualità, rivelandosi il pregiudizio perfettamente prevedibile ed evitabile sulla base di un giudizio formulato ex ante da parte del convenuto e derivato dalla violazione dei precetti relativi alle modalità di protezione a seguito del declassamento dal livello 2. (due auto e 4 uomini di scorta) al livello 3 (un'auto specializzata e due uomini di scorta), disposto dalla Prefettura a partire dall'anno 2009.
Sotto il profilo del danno, diversamente da quanto ritenuto dalla difesa del convenuto, il collegio reputa pienamente soddisfatto l'onere probatorio sotto il profilo dell'an debeatur tenuto conto della gravità, della frequenza e ripetitività delle condotte illecite (verificatesi nel triennio 2009-2011), consistite nel mantenimento del livello superiore del servizio di scorta, anziché di quello inferiore ad esso attribuito dal 2009, con conseguente erogazione di indebiti emolumenti al personale adibito al servizio di scorta.
Quanto invece alla sua determinazione, la Procura ha chiesto il risarcimento della somma complessiva di euro 390.214,84 così ripartita:
- euro 55.594,68 per stipendi a vari dipendenti;
- euro 62.974,94 per missioni,
- euro 66.283,10 per riparazioni;
- euro 32.220 per missioni a C.e P.,
- euro 110.896,67 per emolumenti a C.e P.,
- euro 62.240 per carburante,
oltre il danno, da quantificarsi in via equitativa, conseguente alla mancata utilizzazione delle autovetture di servizio.
Il Collegio ritiene equo detrarre la voce di danno di euro 66.283,10 per riparazioni dei mezzi tenuto conto che non è provato l'utilizzo esclusivo degli stessi per i trasferimenti del convenuto, confermando le ulteriori poste per un ammontare complessivo di euro 323.931,74 da addebitarsi interamente al convenuto R.. Il Collegio reputa generica la richiesta di liquidazione dei danni per mancato utilizzo delle autovetture non avendo il requirente offerto nessun indizio o criterio per la sua quantificazione, se pure in via equitativa.
Condividendo l'assunto attoreo, il Collegio ritiene che non sussistano le condizioni per l'esercizio del potere riduttivo del danno attesa la qualificazione giuridica dolosa della condotta imputata e delle modalità con cui essa si è espressa.
Con riferimento agli accessori legali, il Collegio ritiene che la rivalutazione monetaria da riconoscere debba decorrere dalla indebita erogazione delle somme a titolo di emolumenti percepiti dai dipendenti C.e P..
In sede di esecuzione della sentenza si dovrà tenere conto delle somme eventualmente già introitate dall'erario in esecuzione dei provvedimenti emessi dal giudice penale.
P.Q.M.
La Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, definitivamente pronunciando, ogni contraria domanda ed eccezione respinte
ACCOGLIE
la domanda e, per l'effetto, condanna il sig. Enrico R. al pagamento, in favore del Ministero della Giustizia, della somma di euro 323.931,74, nonché alla rivalutazione monetaria secondo gli indici istat dalla data di corresponsione degli emolumenti ai dipendenti C.e P., fino alla data di notifica della presente sentenza e agli interessi legali a far tempo da tale data e sino all'integrale soddisfo.
Dall'importo di danno così determinato, dovranno essere detratte le eventuali somme già recuperate o recuperande dall'erario in esecuzione della sentenza n. 5003/17 del Tribunale penale di Roma.
Alla soccombenza segue il pagamento delle spese del giudizio che vengono liquidate in euro 445,57 (quattrocentoquarantacinque/57).
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 ottobre 2017
Il Relatore Il Presidente
F.to Anna Bombino F.to Piera Maggi
Depositata in segreteria il 29 novembre 2017
Il Dirigente
F.to Paola Lo Giudice
17-12-2017 17:47
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